4
far cogliere a pieno questo aspetto che ho voluto riportare tutta la
documentazione richiesta per rilasciare i diversi documenti di cui si fa carico
l’Ufficio Immigrazione, dai quali è evidente la complessità dell’iter burocratico
inerente ad ogni singolo documento, e la conseguente difficoltà per uno straniero
di comprendere tutto ciò che è necessario fare, e per gli operatori di
spiegarglielo.
Infine ricollegandomi alla parte iniziale, ci ho tenuto a precisare che, il fatto che
il formarsi della nostra persona sia condizionato da numerosi fattori esterni, non
significa essere obbligati a convivere con lati di noi stessi che non ci piacciono,
o che ci ostacolano nell’ottenere ciò che più desideriamo; anzi la mia
convinzione è che ogni persona, se è disposta a mettersi in discussione, con più
o meno fatica, possa fare la differenza per se stessa e raggiungere gli obiettivi
per lei più importanti.
5
Capitolo 1: differenze individuali
Da dove derivano le differenze individuali?
Esistono innumerevoli teorie volte a dare risposta a questa domanda, ma ciò è
probabilmente dovuto al fatto che esistono altrettanti fattori che ci influenzano,
ci portano ad avere determinati valori e comportamenti e ad essere ciò che
siamo. Prendendo in considerazione la teoria di campo di Lewin,
“<<metodo di analisi delle relazioni causali tra eventi e di produzione di
costrutti scientifici, orientata a fornire una comprensione scientifica dei fatti
sociali.>>[Lewin 1951; trad. it. 1972]”
1
in cui il campo è quindi la totalità dei fatti coesistenti nella loro interdipendenza,
possiamo dire che il comportamento di una persona e il suo stato psicologico di
un dato momento, è il risultato dell’interazione di tutte le componenti del
campo, che ne danno una particolare configurazione. Tali componenti sono:
caratteristiche del soggetto (bisogni, ideali,struttura cognitiva, motivazioni),
caratteristiche dell’ambiente psicologico, ovvero come viene visto e vissuto
dalla persona stessa. Da cui la formula:
C = f(AP)
2
Dove C è il comportamento, che è in funzione appunto del prodotto tra
ambiente A e persona P. Questo significa che:
“Le proprietà di ogni fatto derivano dalla relazione con tutti gli altri fatti
presenti e in base a questo sistema di interrelazioni ogni fatto trova la sua
spiegazione e la sua funzione nel concorrere alla dinamica del
sistema.”[Amerio 1995]
3
1
Francesca Emiliani e Bruna Zani Elementi di psicologia sociale 1998 pag. 20
2
Ibidem pag. 21
3
Ibidem pag. 21
6
Lewin introduce anche in concetto di <<prospettiva temporale>>: il campo
psicologico che esiste in un determinato momento contiene anche i punti di vista
con cui l’individuo guarda al suo futuro e al suo passato.
Se guardiamo a tutte le teorie di cui parlavo sopra, con questa prospettiva,
possiamo dire che ognuna di esse dà un contributo a rendere più completa la
spiegazione del perché preferiamo comportarci in un modo piuttosto che in un
altro, del perché abbiamo percorso una determinata strada, e del perché siamo
chi noi siamo.
Primo ambiente di socializzazione di un individuo è indubbiamente la famiglia,
essa costituisce il luogo sociale in cui ci vengono trasmessi i primi valori e le
prime norme comportamentali, in cui si provvede a fornire un patrimonio di
informazioni e di modalità relazionali (tramite le tecniche educative) che
possono influire sulla vita futura di una persona.
Daniel Goleman
4
fa riferimento ad alcune ricerche che evidenziano come il
modo in cui i nostri genitori si rapportano a noi nei primi anni di vita, influisce
moltissimo sul nostro approccio verso il mondo.
Alcuni psicologi hanno dimostrato che i bambini molto piccoli, non riuscendo a
distinguersi come entità separata dall’altro, reagiscono ai sentimenti altrui come
se fossero loro stessi a provarli. Già all’età di un anno, sebbene resti ancora in
loro un po’ di confusione, cominciano a capire che un determinato sentimento
appartiene all’altro e non a loro. Rimane quindi quello che nel libro di Goleman
5
viene definito mimetismo motorio:
“I bambini imitano la sofferenza altrui, forse per meglio comprendere ciò che
l’altro sta provando; ad esempio, se una bambina si fa male alle dita, un’altra
bimbetta di un anno potrebbe mettersi la mano in bocca per vedere se fa male
anche a lei. Alla vista del pianto della sua mamma un bambino si stropicciò gli
occhi sebbene non ci fossero lacrime da asciugare.”
6
Questo fenomeno svanisce intorno ai due anni d’età, momento in cui i bambini
cominciano a differire per la loro sensibilità verso gli stati d’animo altrui, e,
secondo alcuni studi condotti da Marian Radke-Yarrow e Casolyn Zahn-Waxler
4
Daniel Goleman Intelligenza emotiva 1999
5
Ibidem
6
Ibidem p.126, 127
7
al National Institute of mental haelth sembra che gran parte di questa differenza
derivi da come i genitori rimproverano i loro figli:
“I bambini erano più empatici quando il rimprovero comprendeva un forte
richiamo sulla sofferenza e il disagio che il loro comportamento sbagliato aveva
causato a qualcun altro. In altre parole , quando essi dicevano:<< Guarda
come l’ hai fatta soffrire>>, invece di << È stata una cattiveria>>.”
7
E, sempre gli stessi studiosi, scoprirono anche che:
“l’empatia dei bambini si forma osservando il modo in cui gli altri reagiscono
alla sofferenza altrui; imitando ciò che vedono, i bambini sviluppano un
repertorio di risposte empatiche, che usano soprattutto quando aiutano altre
persone che stanno soffrendo.
8
”
Quindi a seconda delle attitudini che i genitori e le persone più vicino a loro
hanno nel rapportarsi con la sofferenza altrui, i bambini saranno più o meno
empatici.
Alla base dello sviluppo dell’empatia, secondo Goleman, ci sarebbe anche la
sintonizzazione emotiva tra genitore e bambino, vale a dire il processo con cui le
madri comunicano ai figli di percepire i loro sentimenti. Questo tipo di
comunicazione viene ottenuta grazie a piccoli gesti che rispecchiano lo stato
d’animo del bambino in un determinato momento, e che gli danno la
rassicurante sensazione di essere emotivamente in contatto con la madre. A
dimostrazione dell’importanza di questo processo l’autore riporta un racconto
esemplificativo:
“Sarah aveva venticinque anni quando diede alla luce due gemelli, Mark e
Fred. Mark, secondo lei le somigliava di più, mentre Fred era più simile al
padre. Questa percezione probabilmente fu all’origine della differenza,
significativa sebbene impercettibile di trattare i due bambini. Quando i gemelli
ebbero tre mesi, Sarah cercava spesso di incrociare lo sguardo di Fred, e
7
Ibidem p.127
8
Ibidem p.127
8
quando lui girava la faccia , lei cercava nuovamente di guardarlo negli occhi;
Fred rispondeva allora voltandosi più enfaticamente. Quando la madre
desisteva, Fred ricominciava a guardarla e il ciclo di inseguimento e
allontanamento ricominciava daccapo – spesso col risultato di lasciare Fred in
lacrime. Con Mark, invece Sarah non cerò mai di imporre il contatto visivo
come faceva con Fred. Mark poteva interrompere il contatto visivo quando
voleva, e lei non cercava di ristabilirlo. Una differenza piccola, certo, ma
significativa. Un anno più tardi Fred era considerevolmente più pauroso di
Mark; uno dei modi con cui mostrava la sua paura era di interrompere il
contatto visivo con le altre persone, proprio come faceva con la madre all’età di
tre mesi distogliendo lo sguardo abbassandolo. Mark, d’altro canto, guardava
la gente dritto negli occhi; quando voleva interrompere il contatto , girava
leggermente la testa verso l’alto e poi di lato con un sorriso di vittoria.[…] La
madre dei gemelli era in sintonia emotiva con Mark, mentre non lo era con
Ferd.”
9
Daniel Stern, uno psichiatra affascinato da questo tipo di scambi tra genitori e
figli, sostiene che questi momenti di sintonizzazione e desintonizzazione fra
genitori e figli influenzino moltissimo le aspettative di un bambino nei confronti
del mondo esterno. Quando si ha un alto grado di sintonizzazione, il bambino
comincia a pensare che gli altri possano e vogliano condividere i suoi
sentimenti; in caso contrario sembra invece che il bambino non sentendo
comprese le sue emozioni, smetta di esprimerle e forse anche di provarle.
Questo dovrebbe secondo me far riflettere su come davvero molti piccoli
particolari che sembrerebbero insignificanti, invece non lo sono; e su come
proprio i piccoli gesti possano rendere più o meno problematico l’approccio di
un bambino con la altre persone e col mondo esterno.
Nel libro “La socializzazione al lavoro” di Guido Sarchielli
10
, si sottolineano
due assunti fondamentali: a) il contesto familiare tende ad esprimere , in forma
diretta e indiretta, ciò che sarebbe desiderabile nel comportamento e negli
atteggiamenti dei giovani; b) i valori di riferimento sono ben correlati non solo
con la classe sociale di appartenenza, ma anche con il modo con cui viene
9
Ibidem p.130
10
Guido Sarchielli La socializzazione al lavoro 1978 p. 70
9
percepita e valutata tale collocazione e con il tipo di immagine della realtà che
proviene da una determinata esperienza di lavoro.
Nella famiglia si sperimentano anche processi di identificazione legati alla
professione dei genitori. Spesso infatti essi parlano del loro lavoro, o addirittura
si portano il lavoro a casa dall’ufficio, o può capitare anche, che un genitore
porti il figlio a lavorare con sè.
“Il bambino ha così l’opportunità, da un lato di ascoltare e di rendersi conto del
tipo di prestazione richiesta dal mondo del lavoro, dall’altro lato di
sperimentare una sorta di transfert nei confronti della vita professionale dei
genitori, che viene delineata in termini di prestigio.”
11
(in realtà gli psicologi, che hanno tentato di individuare le connessioni esistenti
tra professione dei genitori e scelta professionale dei figli, hanno riportato dati
discordanti, anche perché spesso sono maldefiniti, in termini operazionali,
variabili come le aspettative socio-professionali e non sempre è tenuta in
considerazione la variabile socio-ambientale. E secondo me per una questione di
possibilità di influenzamento presenti nella famiglia dovuto al social power, di
cui parlerò più avanti).
A questo proposito, Sarchielli riprende una classificazione di Lesle Paul che
individua diverse tipologie di influenzamento, che differiscono a seconda di
come il padre si comporta nei confronti del suo lavoro:
- Silent attitude: nelle famiglie in cui il padre non parla mai del lavoro. In
genere i figli ricostituiscono, inconsciamente, con caratteri di sospettosità
il mondo verso cui il padre è così reticente.
- Resentfull attitude: in cui il silenzio sul lavoro è interrotto da
imprecazioni quando il padre ha vissuto una giornata nera piene di
difficoltà. I figli, in questo caso, sembrano farsi un’idea negativa del
mondo del lavoro, come di un luogo infelice e indesiderabile.
- Partecipatine attitude: quando il padre appare lieto del proprio lavoro e
trasmette questo entusiasmo ai suoi figli.
11
Ibidem p. 71
10
- Candid attitude: quando il padre descrive con equilibrio il mondo del
lavoro, e si sviluppa in genere un interesse positivo e generoso verso il
lavoro stesso.
Ovviamente, come sostiene l’autore, queste categorie sono criticabili per la loro
rigidità, e perché non tengono conto di altre variabili come per esempio il sesso,
la classe sociale, ma introducono la necessità di fare diverse specificazioni sul
ruolo della famiglia nella genesi degli atteggiamenti nei confronti dell’ambito
lavorativo.
Oltre a questo l’esperienza familiare costituisce l’occasione di esercizio diretto
di attività che hanno un carattere preparatorio alla vita sociale (apprendimento di
social skills), e sono particolarmente predisposte all’ambiente professionale.
“La famiglia può cioè, essere vista come l’occasione di contatto con micro-
modelli di rapporti sociali: essa diviene l’albergo, il ristorante , il luogo di
lavoro, il luogo di divertimento, e in ogni situazione di vita il soggetto può
collaudare direttamente il proprio modo di inserirsi. Per esempio, quando il
bambino viene messo a tavola con gli adulti, viene indirizzato a tenere un certo
tipo di comportamento, e gli si presentano così occasioni per provare, senza
rischi eccessivi, comportamenti socialmente approvati che dovranno essere in
seguito generalizzati. In questo modo si delinea un primo “atteggiamento di
base” nei confronti del proprio futuro lavorativo e in generale nei confronti
delle altre persone.”
12
Le variabili tenute più frequentemente in considerazione dagli studiosi di
psicologia sociale, per comprendere i processi che operano a dar forma agli
atteggiamenti del bambino sono: il valore che la famiglia attribuisce
all’istruzione, le pressioni per raggiungere buoni risultati, l’impegno con cui
l’ambiente domestico stimola lo sviluppo intellettuale, i modelli di linguaggio
forniti dagli adulti della famiglia, le forme di disciplina e di controllo usati dai
genitori, la guida scolastica che i genitori forniscono.
Dagli studi di A. Roe a questo riguardo, emerge che se un giovane cresce in una
famiglia accogliente, che fornisce gratificazioni quando egli ha dei successi,
12
Ibidem p. 71
11
oppure offre consolazioni e affetto quando ci sono delle difficoltà gravi, con
grande probabilità un tale soggetto avrà un atteggiamento positivo verso i
problemi concreti inerenti alla vita lavorativa, nei quali tenderà ad impegnarsi
con slancio e al massimo. Ciò può essere definito anche in termini di
innalzamento del “livello di aspirazione”[ Lewin1969] nel senso che la positiva
conclusione di uno sforzo, e la relativa approvazione sociale stimolano il
soggetto a proporsi dei compiti sempre più impegnativi e interessanti. Al
contrario, la frequenza di insuccessi e un ambiente sociale negativo e
ipervalutativo porteranno il soggetto ad abbassare il livello qualitativo delle
proprie mete, e ad adeguarsi a situazioni professionali non impegnative.
Ciò viene poi riconfermato anche dalle ricerche inerenti all’atmosfera familiare
condotti da Baldwin, Kalhorn e Brasse[1945], i quali individuarono una
correlazione positiva assai forte tra comportamenti inadeguati dei bambini
all’ingresso della scuola materna e tipo di ambiente familiare; nel senso che
climi di vita autoritari e reazionari limitavano lo sviluppo creativo e
diminuivano la resistenza emotiva alle reali difficoltà di inserimento in un nuovo
ambiente.
Successivamente, è stata compiuta una ricerca su un campione di 84 famiglie di
classe operaia attraverso interviste strutturate fatte ai genitori. Dalla prima
analisi dei dati risalta ancora una volta l’importanza del clima familiare per la
genesi della motivazione alla scelta scolastica o professionale dell’adolescente.
Si è visto che per esempio, atteggiamenti educativi centrati su richieste di
autonomia e di elevata partecipazione da parte dei genitori creano le circostanze
adatte perché nei ragazzi si definisca una elevata motivazione alla realizzazione
personale, che si traduce in scelta a lungo termine come quelle di elevata
scolarizzazione. Se invece gli atteggiamenti educativi sono incentrati sulla
protezione, sulla richiesta di comportamenti dipendenti e formali prevalgono nel
ragazzo prospettive temporali brevi e una spinta verso l’acquisizione immediata
di beni materiali e di rapido consumo. In questo caso, emerge chiaramente che le
scelte di una scolarizzazione breve, possono essere sostituite da una scelta
professionale precoce, considerata come la prospettiva più adeguata della
realizzazione di sé, e come elemento conclusivo “necessario”, di un itinerario
che ha ricevuto progressive conferme sia nel periodo scolastico, sia in famiglia.
12
Quindi, sembra proprio, che:
“ le differenti modalità di relazione affettiva vissute nella famiglia
costituiscano un meccanismo efficace di formazione degli orientamenti di base –
apertura, positività, desiderabilità – nei confronti della carriera scolastica e
lavorativa.”
13
Sempre nel “La socializzazione al lavoro”, troviamo l’interazione tra genitori e
figli, specie in relazione ai processi di scelta per il loro futuro, studiata anche nel
più ampio contesto delle analisi sul potere [Smith1970]. Tale studio è volto a
individuare e valutare le “possibilità di influenzamento che sono presenti nella
famiglia nei confronti dei membri più indifesi. Il social power definisce due
assunti fondamentali:
a) è un potenziale personale che si esercita verso il cambiamento di una
persona;
b) tale potenziale non è legato tanto alle qualità della persona, ma deriva
dalle complesse condizioni che regolano l’interdipendenza dei soggetti
nell’interazione sociale.
L’influenza sociale, dagli studi effettuati, sembra poter prendere direzioni
differenti.
“ Si potrà allora parlare di influenza positiva o negativa,
a seconda che l’azione risultante sia nell’azione voluta dall’agente sociale o
no.”
14
Ciò sembra dovuto al tipo di rapporto tra la persona e l’agente sociale, e alle
resistenze che l’uno suscita sull’altro. I diversi studi sul social power portano ad
una sintesi definitiva, ripresa anch’essa dal professor Sarchielli, elaborata da
Second e Backman [1971] , che considerano tre elementi di base:
a) Le risorse personali;
13
Ibidem p. 78
14
Ibidem p. 80
13
b) La presenza di una dipendenza, intesa come caratteristica dell’interazione
direttamente legata all’investimento motivazionale di un individuo nello
scopo espresso dall’altro soggetto.[Emerson1962]
c) La possibilità che una persona abbia risorse alternative, o sia percepita
come alternativa.
Chiaramente questo concetto, si può applicare anche alla relazione genitore –
figlio. Se per esempio, un bambino ha molta stima nei confronti del padre,
tenderà modellarsi a lui, e ad ascoltare le sue indicazioni, sarà quindi un agente
sociale dotato di molto social power sul figlio. Se per un qualche motivo, il
figlio dovesse poi perdere la stima nel genitore tenderà invece a ribellarsi e a
non ascoltarlo. A questo proposito Salomon [1961] sostiene che:
“diverse aree di vita adolescenziale(lavoro, tempo libero, ecc…) sono connesse
all’expert power del padre nei confronti del quale il figlio uniforma il proprio
comportamento, attratto dal prestigio dell’adulto “ autonomo”, che “lavora”,
che “sa vivere”. In tal senso le rappresentazioni che l’adolescente elabora nei
confronti del lavoro sono fortemente legate a questa dinamica di
influenzamento, che pone le condizioni anche per una progettazione fantastica,
fortemente simbolizzata, del proprio futuro vocazionale”
15
chiaramente, bisognerebbe tenere in considerazione anche l’interazione di tutto
questo con altre numerose variabili, come il sesso, la classe sociale, il rapporto
tra genitori stessi. Interessante, a riguardo il concetto di atmosfera familiare:
“definita dal tipo di dinamiche , tensioni, scambi presenti e dalle percezioni che
questi hanno i vari membri della famiglia. In tal senso lo “stile” di rapporto
presente in una famiglia, il suo grado di strutturazione e condivisione sono
considerati determinanti nello sviluppo della personalità sociale dei vari
membri. In qualche misura questo concetto si può ricondurre a quello analogo
di clima sociale , utilizzato da Lewin e collaboratori nella loro ricerca sul ruolo
della leadership in gruppi di bambini, attraverso la quale furono dimostrati: un
rapporto diretto tra stile del leader e rendimento dei bambini, e la presenza di
15
Ibidem p. 81
14
scelte comportamentali indotte dal clima sociale stesso [Lewin, Lippit e
White1939].
16
Questo concetto, di clima sociale, inteso da Lewin come la qualità dominante
nell’interazione tra i membri di un gruppo, è chiaramente applicabile anche al
contesto familiare, dove è infatti possibile una correlazione tra clima e cammino
evolutivo scelto da una persona:
“Per quanto riguarda la famiglia esso si potrà specificatamente individuare
tenendo conto della qualità e dell’intensità delle relazioni affettive, della
modalità e della frequenza degli interventi disciplinari, del valore ad essi
attribuito, del tipo di interessamento (ad es. iperprottettivo o no) che gli adulti
hanno verso i bambini.”
17
Protagonisti della nostra infanzia oltre ai genitori e alla famiglia, troviamo i
giocattoli.
Esiste una vera e propria corrente di studi che si propone di analizzare e
comprendere come e se questi primi oggetti con cui entriamo in contatto
influiscano sulla nostra vita.
Questi sono anche degli strumenti che i genitori usano per comunicare ai loro
figli i propri valori. Ad esempio dei genitori che sono persone attive e amanti
del divertimento potrebbero desiderare che i propri fogli abbiano la possibilità di
divertirsi altrettanto, e perciò regaleranno giocattoli come se regalassero un po’
della loro vivacità. Al contrario genitori che preferissero la privacy si
aspetterebbero che i figli trovassero da soli le delle cose da fare e utilizzerebbero
per incoraggiare tali aspettative solitarie. Altri genitori potrebbero provare
piacere nell’ostentare la propria ricchezza non soltanto in ciò che comprano per
se stessi, ma anche in ciò che comprano per i loro figli. O ancora, se dei genitori
preferissero attività di tipo creativo ai giocattoli, essi darebbero ai figli solo quei
giocattoli che sembrassero loro non meramente meccanici, ma adatti a stimolare
l’iniziativa e la creatività.
16
Ibidem p. 82
17
Ibidem p. 82