5
dei tre film presi come esempio. Essi sono “Il vigile” (1960), di Luigi Zampa, “Una
vita difficile” (1961), di Dino Risi, e “Il commissario” (1962), di Luigi Comencini.
In queste tre opere, girate in pieno “Boom” economico, Sordi interpreta protagonisti
diversi tra loro, ma molto simili nella sorte avversa che li rende degli sconfitti.
Saranno riportati i dialoghi-chiave dei film, per poter meglio comprendere
caratteristiche e vicende dei personaggi, nel contesto in cui agiscono. Verrà infine
approfondita la direzione verso cui Sordi, il regista e lo sceneggiatore concepirono
questi e altri personaggi di film importanti.
Per molti anni ci si è soffermati quasi esclusivamente sull’attore-Sordi, ne è stato
celebrato il grande talento e l’unicità della sua recitazione comica e drammatica. Con
questa tesi si cercherà tuttavia di rendere giustizia anche al Sordi-personaggio
“educativo”, troppo a lungo, invece, giudicato superficialmente solo come una
maschera dei vizi e meschinità dell’italiano medio.
6
Capitolo 1
ALBERTO SORDI ATTORE DRAMMATICO
1.1 - Sordi e la Commedia all’italiana
Secondo Goffredo Fofi nel suo saggio “Alberto Sordi”, scritto all’indomani della
morte dell’attore, << resta ancora tutta da scrivere una pagina importante, non banale
e demagogica del cinema “drammatico” interpretato da Alberto Sordi. Si tratta di una
pagina non indifferente del percorso artistico dell’attore, la cui maturazione è
avvenuta gradualmente, dopo decine e decine di film leggeri che ne hanno forgiato la
stoffa >>
1
.
La carriera di Alberto Sordi può essere letta come un attraversamento di diversi
mezzi di comunicazione, dal varietà alla rivista, e successivamente alla radio e infine
al cinema e alla tv. Come scrive Maria Pia Comand
2
, il divismo di Sordi si regge
sulla deficienza e non sul “surplus” di competenza. I film di Alberto Sordi nei primi
anni ’50 presentano una comicità “seriale” dei personaggi. Essi, infatti, si nutrono di
tic, tormentoni, maschere che si possono trovare in ogni film. Nel bene e nel male, è
proprio da questi personaggi che << […] si attesta la sedimentazione mitologica,
diretta o indiretta, dell’attore nella percezione del publico >>
3
.
Sordi trasferì al cinema alcuni personaggi creati dalla sua fantasia e proposti alla
radio tra la fine della guerra e i primi anni ’50. Si trattava di caricature da lui
inventate, di individui grotteschi, “scocciatori” stereotipati appartenenti all’Azione
Cattolica e devotissimi frequentatori di parrocchie, a cui Sordi faceva il verso
risultando spesso antipatico al pubblico cinematografico. Ciò era dovuto al fatto che
tali stereotipi risultavano ossessivamente petulanti e ottusi, molto spesso sgradevoli.
1
Goffredo Fofi, “Alberto Sordi”, Mondadori, Milano, 2000, cit., p.8.
2
Maria Pia Comand, “Modelli, forme e fenomeni di divismo:il caso Alberto Sordi”, in M.Fanchi-E.Mosconi (a cura di),
“Spettatori”, Fondazione Scuola Nazionale di cinema, Roma, 2002, cit.,p. 200.
3
Maria Pia Comand, “Modelli, forme e fenomeni di divismo: il caso Alberto Sordi”, cit., p.208.
7
Tra questi personaggi, divennero famosi i “compagnucci della parrocchietta” Mario
Pio e il Conte Claro nella trasmissione radiofonica “Vi parla Alberto Sordi” del
1948. Prima ancora, nel 1947, Sordi proponeva il petulante e catastrofico “Signor
Dice”. Quest’ultimo, << […] malgrado l’antipatia del tratto, ottenne un grande
apprezzamento da parte degli ascoltatori, tanto da incoraggiare il giovane comico su
quella strada […]>>
4
. I personaggi radiofonici di Sordi costituirono il punto di
partenza del suo divismo ma il trasferimento al cinema, in una dimensione cioè visiva
e non più solo vocale, non venne accolto dal pubblico allo stesso modo
Sordi si fa conoscere nel cinema comico al grande pubblico nell’ interpretazione di
un ragazzotto ostinato e biondiccio dei boys-scouts cattolici in “Mamma mia che
impressione!” (1951), ufficialmente di Roberto Savarese, ma diretto e prodotto in
realtà da Vittorio De Sica con la collaborazione alla sceneggiatura di Zavattini
5
. Lo
stesso tipo di personaggio è reso nell’inquilino petulante e appiccicoso, persecutore
del povero Peppino de Filippo ne “Lo Scocciatore” (1953) di Giorgio Bianchi, e
ancora nel perfido esaminatore del povero Antonio de Curtiis in “Totò e i Re di
Roma”(1952), di Steno e Monicelli, l’unico incontro sullo schermo tra Sordi e Totò.
Come viene ricordato in “Spettatori”
6
, “Mamma mia, che impressione!” ebbe un
tiepido successo. Il pubblico andava a vederlo spinta dal ricordo del programma
radiofonico, ma ne rimaneva delusa. E così lo stesso Sordi ricordò l’insuccesso del
suo primo film comico:
[…] avevamo puntato troppo sui dialoghi, sulla parola, come se si trattasse ancora una volta di un’impresa di
carattere radiofonico, non tenendo conto dell’immagine che, nel cinema, va sfruttata il più possibile in
funzione narrativa
7
.
Quelle di questi anni, sono interpretazioni che si possono definire, secondo Fofi,
“macchiettistiche”. L’insuccesso di questi personaggi al cinema sono da ricercare in
4
Ivi, p.210.
5
Sordi apparve al cinema anche negli anni ’40 interpretando diversi ruoli da protagonista e co-protagonista (“I due
aquilotti”, “Il vento mi ha cantato una canzone” i titoli principali).
6
Maria Pia Comand, “Modelli, forme e fenomeni di divismo: il caso Alberto Sordi”, in M.Fanchi-E.Mosconi (a cura
di), “Spettatori”, cit., p. 212.
7
Ibidem.
8
un’incapacità linguistica di convertire il passaggio dal sonoro all’audiovisivo e, come
scrive Maria Pia Comand, nel mancato riconoscimento di un pubblico radiofonico
diverso da quello cinematografico, oltre che in un’immagine distorta e storpiata che
non trovava riscontro nelle aspettative del pubblico.
Tuttavia era intuibile nella maniera di recitare di Sordi un elemento inedito fino ad
allora; l’attore infatti << […] pareva accanirsi e infierire sul proprio personaggio
caricandolo di crudeltà. Non c’erano precedenti in Italia, di protagonista comico che
fa ridere della propria abiezione […] >>
8
. Questa caratteristica diventò presto il suo
punto di forza, laddove il pubblico è chiamato a solidarizzare col personaggio,
disprezzandolo al tempo stesso. Era questa la grande novità, in quanto generalmente
gli attori comici tradizionali “proteggevano” il loro personaggio, lo esibivano al
pubblico sperando di ottenerne fiducia e apprezzamento. Per il comico, infatti, “si fa
il tifo”
9
perché è un debole, uno sprovveduto, una vittima come potevano apparire
Macario, Rascel e Totò.Con Sordi, seguendo l’analisi di Masolino d’Amico, avveniva
il contrario: egli si accingeva a cogliere piccoli particolari e sfoggiarli con forza,
attraverso una meticolosa e attenta analisi della società e dei “tabù” etici e morali
sorti nel dopoguerra.
L’ incontro artistico che determina una prima “svolta” nella carriera di Alberto Sordi
è quello con Federico Fellini. Fu il regista riminese colui che ebbe il merito di
togliere dal canovaccio e dalla macchietta, Sordi, la cui carriera si stava concludendo
anzitempo a causa dei suoi personaggi sempre uguali. Fellini, secondo il parere di
Carlo Lizzani
10
, ebbe la facoltà di far nescere il “tipo” sordiano, abbandonando per
sempre lo “stereotipo”.
Con Fellini, Alberto Sordi si calò in un cinema e in ruoli di spessore, interpretando
due personaggi negativi e immorali. Nel 1952 Sordi fu il protagonista ne “Lo sceicco
bianco”, primo film interamente diretto da Fellini
11
. Era una critica sul mondo dei
fotoromanzi e dello spettacolo, che anticipa in tono meno ambizioso le tematiche de
8
Masolino d’Amico, “La commedia all’italiana”, Mondadori, Milano, 1985, cit., p. 80.
9
Ibidem.
10
Carlo Lizzani, “Il cinema italiano”, Editori Riuniti, Roma 1992.
11
“luci del Varietà”, girato nel 1951 era diretto da Fellini con Alberto Lattuada.
9
“La dolce vita” (1960), ma nel quale si intravedono i primi lineamenti classici del
cinema di Fellini. Il film non ottenne un buon successo di pubblico
12
, ma viene
riconosciuto oggi un lavoro fondamentale per quel passaggio da “stereotipo” a “tipo”
del personaggio-Sordi.
Nel 1953, vincendo le resistenze dei produttori, Fellini offrì a Sordi il ruolo di
Alberto ne “I Vitelloni” (colui che esclama la famosa frase “lavoratori…tiè!!!”). Per
avere Sordi nel cast, il regista dovette ometterne il nome nelle locandine, poiché,
come viene raccontato da Fofi
13
, Sordi aveva fama di “respingere il pubblico” ed
essere sostanzialmente antipatico coi suoi personaggi. Questa volta il film ottenne,
soprattutto grazie a un’ importante interpretazione di Sordi, un grande successo di
pubblico
14
e di critica, vincendo il Leone d’Argento a Venezia e tre Nastri d’Argento
(regia, produttore e a Sordi come miglior attore non protagonista).
“I Vitelloni” (1953) divenne il banco di prova per la maturità di attore di Sordi, che si
liberò definitivamente del farsesco e del petulante propri dei primi personaggi. Si
poté notare il nuovo stile portato da Sordi, che << […] faceva ridere ma su cose
serie, talvolta terribili, nell’ impersonare individui orrendi come il guitto di provincia,
gran vigliacco di paese e della peggior risma […] >>
15
,come nel caso dell’ Alberto de
“I Vitelloni” (1953).
Verso la fine degli anni ’50 la “vis comica” di Sordi iniziò a fare spazio, senza
scomparire, a quella drammatica. L’occasione per sviluppare questo percorso arrivò
con “La grande guerra” (1959) di Monicelli, nel quale Sordi recitava accanto a
Vittorio Gassman. Questo film è, secondo Fofi, << […] un affresco agrodolce sul
conflitto del 1915-18, memorabile nel raccontarlo attraverso le vicende di due
vigliacchi trentenni, premiatissimo ai festival e ormai un classico del cinema
internazionale […] >>. E’ l’ennesima svolta per la maturità drammatica di Alberto
Sordi, che nonostante questo nuovo modo di recitare, non abbandonò il suo talento
12
42 milioni di incasso (125mo posto nei film più visti in Italia nel 1952).
13
Goffredo Fofi, “Alberto Sordi”, cit. p.34.
14
596 milioni di incasso reale (classificato al nono posto nei film più visti in Italia nel 1953).
15
Tullio Kezich, “Quella faccia del cinema che nasconde se stesso”, Corriere della Sera, 26 febbraio 2003, p.22
10
comico nel film, ma sapientemente lo unì << […] a un’ epica tragicità legata alla
condizione di sprovveduto in una guerra che non si comprende e non si vuole >>
16
.
Il cammino drammatico di Sordi proseguì negli anni del boom economico italiano
(1959-1963) con importanti interpretazioni in film dallo sfondo bellico e sociale girati
dai massimi esponenti della commedia in Italia: Risi, Monicelli, Comencini,
Lattuada, Zampa, Polidoro. Lavorò anche con importanti registi impegnati come
Francesco Rosi, col quale girò “I Magliari” (1959). Quest’ultima apparizione viene
definita da Giacovelli
17
, altamente drammatica e intrisa di meschinità: il truffatore
italiano in Germania resta una delle vette mai raggiunte da Alberto Sordi in un ruolo
drammatico, in un film che non appartiene alla categoria della commedia.
La lista dei personaggi drammatici degli “anni d’oro” interpretati da Sordi, si arricchì
con individui rispettabili, moralmente integri, spesso dimenticati dalla critica, quali il
tenente Innocenti in “Tutti a casa” (1960) di Comencini, Silvio Magnozzi in “Una
vita difficile” (1961), di Dino Risi, il commissario Lombardozzi ne “Il Commissario”
(1962) sempre di Comencini e lo sfortunato maestro Mombelli de “Il maestro di
Vigevano” (1963), di Elio Petri. Sono interpretazioni importanti perché smentiscono
in qualche modo il personaggio-tipo che Alberto Sordi era solito portare sullo
schermo: il negligente, insolente, truffatore e cinico, <<[…] facendolo avvicinare
anche a quella (tanta) parte di pubblico che ancora non accettava questo modello,
intriso di cattive qualità nell’ambito di una forte satira di (mal)costume piccolo-
borghese >>
18
.
L’ elenco dei ruoli drammatici di Sordi si arricchisce con “Detenuto in attesa di
giudizio” (1971) di Nanni Loy, ”Anastasia mio fratello” (1973) di Steno, e lo stesso
“Bello,onesto,immigrato Australia sposerebbe compaesana illibata”(1971) di Luigi
Zampa. Sono film che dimostrano << […] lo spessore drammatico di personaggi di
valore di un attore che ha portato al cinema la parte peggiore (spesso) e quella
16
Goffredo Fofi , ”Alberto Sordi”, cit. pp. 46-47.
17
Enrico Giacovelli, “La commedia all’italiana”, Gremese Editore, Roma 1995.
18
Dario Fo, “Era il fratello romano di Ruzante”, L’Unità , 27 Febbraio 2003, p.15.
11
migliore (a volte) dell’italiano “mediocre”. Per quello medio dovremmo parlare di
Mastroianni e Manfredi […] >>
19
.
Dietro la tipologia fanfarona, vigliacca, opportunista e priva di senso civico se ne
nasconde anche un’ onesta, ingenua e sconfitta dalla vita, delineata in diversi ruoli.
Dietro la maschera di Sordi
si cela un clown che come Pierrot porta incisa una lacrima di fard nero sulla guancia.Potrebbe essere la
lacrima del nostro vicino di casa, del contribuente moroso, del marito tradito. Sordi drammatico (e non solo)
ci somiglia e ci fa rabbia o ci fa rabbia solamente perché ci assomiglia, sicchè potremmo dire che egli abbia
guardato un po’ tutti noi per ispirarsi,spiandoci e “copiando” i nostri tic,i nostri crimini quotidiani più
meschini ma anche le nostre qualità migliori.Ha interpretato il più spiacevole e il più morale del nostro
essere cittadini e uomini comuni, che peccano certamente, ma che talvolta i riscattano con valore.La sua è
stata un’analisi senza compiacimento perverso: per nuda cronaca e visione della realtà.
20
Sordi sapeva che osservando e riportando sullo schermo la realtà non sempre si
sarebbe ottenuto un effetto comico. E’ proprio questa l’essenza della Commedia
all’italiana. Usando il pensiero di Fofi sull’argomento, << […] Non è forse questa
una via di mezzo, quella in cui secondo Aristotele si trova la “virtù”? […] >>
21
.
La commedia all’italiana di cui Sordi è stato massimo esponente è, secondo Enrico
Giacovelli
22
, quel genere che fa quasi piangere e che preoccupa, ma solo per un
attimo. E che fa ridere,ma non troppo, invitandoci a riflettere. E’ ciò che la distingue
dal genere puramente drammatico e puramente comico (quello che in America
chiamano “Slapstick comedy”), ma anche che la distingue dalla commedia
tradizionale: la presenza, cioè, di un forte elemento drammatico. La commedia
all’italiana col tempo (sarà una sua caratteristica tipica), annullerà la distanza tra
comico e tragico così come avviene nelle interpretazioni di Sordi, soprattutto nei
suoi ruoli “etici”, molto spesso snobbati dalla critica.
19
Maurizio Porro, “Oltre 150 film e un solo sogno, vincere l’Oscar ”, Corriere della Sera, 26 febbraio 2003, p.10.
20
Goffredo Fofi, “Alberto Sordi”, cit., p. 23.
21
Ibidem.
22
Enrico Giacovelli, cit.,pp. 22-23.
12
E’ un curioso equivoco, mai spiegato, e che indubbiamente va fatto risalire alla
superficialità di buona parte della critica di ieri e di oggi, che ricorda le
interpretazioni di Sordi solo in ruoli negativi e diseducativi. Quasi sempre, anche
dopo film in cui Sordi si cimentava in grandi prestazioni drammatiche, il pubblico
andava a vederlo solo per ridere e poi si trovava di fronte a film drammatici; <<Il
fatto che il pubblico e la critica insistesse a sperare che ci fosse in lui solo comicità, è
un fatto che deve far riflettere sulla forza dell’umorismo a farti accettare
l’inaccettabile >>
23
.
Non ci sono dubbi a definire tragedia un’opera di Sofocle e commedia una di
Aristofane. Ma come si possono definire le opere di Cechov, Gogol, Pirandello e, nel
cinema, quelle di Monicelli, Risi e Comencini?
La nascita del genere propriamente detto “commedia all’italiana” ha come sfondo
naturale, secondo il parere di D’Amico
24
, il contesto della nuova società italiana
creatasi nel dopoguerra ed “esplosa” alla fine degli anni ’50 con nuovi stili di vita,
emancipazione, nuove passioni, nuovi consumi, nuove idee, ma anche più solitudine,
più alienazione e, dopo il ’68, nuovi conflitti sociali e l’anomalo problema del
terrorismo. E’ in questo momento che nasce il personaggio dell’ “Italiano medio”
(una formula molto abusata), il singolo e miserevole esponente della nuova società di
massa, inquadrato ma non privo di ambizioni sociali. Ricchezza e benessere
sembrano essere alla portata di mano come non mai in questi anni e, ovviamente, si è
disposti a tutto pur di accedervi.
Bisogna tuttavia fare dei “distinguo” per Sordi: egli non è stato solo il marito
frustrato e invidioso di Franca Valeri ne “Il vedovo” (1959) di Dino Risi, il venditore
di bambini ne “Il Giudizio Universale” di De Sica (1961) o ancora, il trafficante
d’armi in “Finchè c’è guerra c’è speranza” (1974) da Sordi diretto. E’ stato anche, e
soprattutto, il povero Maestro di Vigevano vittima del neocapitalismo piccolo-
borghese di provincia, della moglie ambiziosa e dei soprusi sul lavoro, l’onesto e
sconfitto Silvio Magnozzi di “Una vita difficile”(1961), sicuramente un film che
23
Ibidem.
24
Masolino d’Amico, “La commedia all’italiana”, Mondadori, Milano 1985.
13
potrebbe fare da seguito al non meno efficace “Tutti a casa” (1961) di Comencini.
Tutte queste interpretazioni non possono passare in second’ordine nella carriera di
Alberto Sordi.
Le commedie interpretate da Sordi ruotano principalmente attorno al contrasto tragi-
comico, sia narrativo che figurativo, come dice Fofi
25
, fra un “solo”, l’individuo, e
un “tutti”, la società (di oggi e di ieri). E’ un contrasto continuo, inevitabile e senza
soluzione, e si svolge sempre e dappertutto, soprattutto in luoghi tipici del nuovo
benessere quali l’automobile, la festa borghese, la spiaggia o peggio, al fronte e nella
trincea, o addirittura durante un funerale.
La società dei consumi tenta in ogni modo di catturare l’individuo, di annetterselo,di
portargli via la principale ricchezza,cioè la personalità. E l’individuo? Talora cede
alle lusinghe e talvolta vi sfugge. Spesso, per salvarsi, l’unica via è la morte, ma
anche dopo la morte l’opposizione continua, come nel finale de “La grande
guerra”,dove i corpi senza vita di Sordi e Gassman giacciono inermi vicino un muro,
nella totale indifferenza delle truppe che proseguono la marcia.
26
A questo proposito Alberto Sordi disse in Storia di un commediante:
Pensai che avrei potuto ricoprire tanti ruoli, perché la gente che si incontra per strada, in tram, in trattoria,
avrebbe ispirato le mie storie con le sue stesse storie. Meglio di qualsiasi libro e di qualsiasi trattato di
cinema. Capii che quella gente la dovevo rappresentare io e nel più breve tempo possibile. Mi prese una gran
furia, come una specie di ondata. Avevo voglia di far vedere gli uomini com’erano nella realtà, con tutti i
loro difetti, ma anche con i loro pregi,e quando mi calavo nei personaggi da me ideati,scoprendo in loro delle
somiglianze con aspetti del mio comportamento,mi guardavo allo specchio e mi vergognavo talvolta di me
stesso. “Che carogne che siamo” pensavo tra me, e aumentava il desiderio di fustigare, di distruggere i
miti.Incominciai così un genere nuovo che faceva ridere di cose realistiche. Un genere demolitore, il mio
genere per intenderci, e finalmente potei esprimermi in pieno come desideravo
27
.
25
Goffredo Fofi, “Alberto Sordi”, Mondadori, Milano, 2003.
26
Masolino d’Amico, “La commedia all’italiana”, cit., p. 64.
27
Alberto Sordi a Maria Antonietta Schiavina, “Storia di un commediante”, Baldini & Castoldi, Milano, 1999, cit.,pp.
78-79.
14
I personaggi di Sordi sono uomini comuni, e come tali sopravvivono in qualche modo
alle illusioni perdute, agli amori finiti, alle tasse spietate e non ultimo, al consumismo
e al progresso a tutti i costi.
Il tratto originale dei personaggi è stato quindi quello di far ridere e piangere della
“tragica normalità”.
Terenzio, uno dei padri della commedia scrisse al riguardo: “Homo sum, humani nihil
a me alienum puto”
28
.
28
“Sono un uomo, e nulla mi è estraneo di quanto accade agli uomini”.
15
Sordi in “Mamma mia, che impressione!”(1951), un film di Roberto Savarese
Con Brunella Bovo ne “Lo sceicco bianco”(1952) Sordi nei panni di Alberto ne “I Vitelloni” (1953) di
di Fellini Fellini