d’arte
5
. Per questa ragione il museo moderno si può considerare
innanzitutto come “il luogo in cui stabilire una relazione con l’opera
d’arte”
6
, relazione storicamente fondata sulla distanza tra soggetto e
oggetto istituita dalle gallerie d’arte fin dalla fine del XVI secolo, e che
ancora oggi conferisce un’aura di sacralità all’ambiente museale stesso.
Riassumendo, se da un lato lo spazio influenza azioni e relazioni che
si svolgono al suo interno, dall’altro esso può essere considerato come
“un linguaggio a tutti gli effetti”
7
in quanto si tratta di “un insieme di
entità fisiche diversamente articolate che parla del mondo in cui si
dispiega”
8
: da questo punto di vista, Gianfranco Marrone considera la
spazialità, in analogia col linguaggio verbale, come “un sistema
semiotico mediante il quale gli uomini attribuiscono senso e valore al
mondo (contenuto) sulla base di un’articolazione fisica dell’estensione
spaziale, sia essa naturale o costruita (espressione)”
9
. A questo
proposito Manar Hammad, nelle sue analisi sociosemiotiche di realtà
spaziali di vario genere, studia lo spazio come un’espressione che può
essere messa in scena per parlare d’altre cose oltre che di se stessa e
proprio in quanto rimanda ad altro può essere considerata una
semiotica.
10
Pertanto, credo che si possa studiare l’articolazione spaziale del
museo, nelle sue principali forme, come un linguaggio che racconta le
funzioni e i ruoli del museo stesso, il tipo di relazioni messe in scena, il
5
Parlo di opera d’arte e non di altri tipi di oggetti poiché mi occuperò sostanzialmente di
musei artistici; ad ogni modo, queste osservazioni introduttive sono valide in linea di
massima anche per musei di altro genere, ad esempio scientifici o naturalistici, in cui il
visitatore viene messo in relazione con manufatti d’altro tipo o con reperti di tipo naturale.
6
Biscottini (2004), pag. 13.
7
Marrone (2001), pag. 292.
8
Marrone (2001), pag. 293.
9
Marrone (2001), pag. 292.
10
Cfr. Hammad (2003).
2
sistema di valori che si vuole trasmettere, e così via. All’interno di
un’analisi di spazio museale, ancora Hammad afferma che “nella
misura in cui il museo trasmette un messaggio, [lo spazio] può essere
considerato come un discorso enunciato. Di conseguenza, il soggetto
che seleziona gli oggetti e allestisce il museo è un soggetto enunciatore
che pone il/i visitatore/i in posizione di soggetto enunciatario”
11
.
Partendo proprio dalla concezione dello spazio museale come
discorso enunciato da un soggetto, vorrei qui concentrarmi appunto sul
piano dell’enunciato, in modo da mettere in luce il tipo di messaggio
veicolato dallo spazio museale in sé e il sistema di valori presupposto e
rappresentato da esso. Poiché “lo spazio prende il proprio senso solo in
funzione dell’uso che ne viene fatto, ovvero del fare che vi si svolge”
12
,
diventa artificioso scindere nell’analisi l’elemento spaziale da quello
attoriale; per questa ragione si deve sempre tenere presente quali sono
gli attori chiamati in causa nello spazio che si sta studiando. Di
conseguenza, pur partendo dallo spazio come discorso enunciato, è
necessario riferirsi anche al piano dell’enunciazione del discorso,
quindi sia al soggetto che decide l’allestimento, sia al soggetto previsto
come fruitore, quando e se è previsto.
Quindi, procederò ripercorrendo l’evoluzione delle principali
tipologie architettoniche museali e considerando per ogni “tappa” i
seguenti punti:
- il contesto e le caratteristiche dello spazio architettonico;
- il soggetto enunciatore;
- il tipo di pubblico (soggetto enunciatario) previsto;
- le funzioni dello spazio e il genere di messaggio veicolato;
- la relazione con l’opera d’arte messa in scena;
- i tratti del mondo esterno rispecchiati dall’allestimento.
11
Hammad (2006), pag. 205.
12
Hammad (2003), pag. 171.
3
Nella seconda parte mi occuperò poi delle principali trasformazioni
museologiche avvenute nel corso del XX secolo, concentrandomi sulle
tendenze degli ultimi decenni che hanno introdotto una nuova modalità
di fruizione dell’arte: all’interno di una sempre più generalizzata
cultura del consumo, infatti, anche l’istituzione museale ha subito un
processo di cambiamento, influenzata soprattutto dagli esempi
statunitensi, ponendosi a metà strada tra interessi artistico-culturali ed
economici. In quest’ottica si è affermata una cultura dell’evento e del
consumo, come testimoniano sia il boom di mostre temporanee dagli
anni ’80, finalizzate ad attrarre un pubblico di massa, sia il moltiplicarsi
di coffee-shop e book-shop sempre più orientati al merchandising.
In questo nuovo quadro va collocato anche il Guggenheim di Bilbao,
inaugurato nel 1997 all’interno di un progetto di riqualificazione
urbanistica del territorio basco. Nell’analisi, considererò in particolare
le strategie comunicative messe in scena dall’allestimento spaziale e le
conseguenti pratiche di fruizione del pubblico in questo caso specifico
e paradossale di spazio museale, che da contenitore di opere d’arte
diventa esso stesso opera d’arte.
4
PARTE PRIMA
Trasformazioni funzionali
dello spazio museale
dalle origini al museo moderno
5
1.1 Premessa
In primo luogo, lo spazio museale esiste oggi per contenere un
raggruppamento di oggetti da conservare, restaurare, studiare e
trasmettere alle generazioni future, ma soprattutto da esporre allo
sguardo di qualcuno: è in quest’ottica che l’istituzione museale
persegue l’intento di rivolgersi ad un ampio pubblico, intento sempre
più curato e messo in risalto negli ultimi decenni. Per questa ragione è
doveroso accennare, seppure in modo semplicistico, al concetto di
collezione
13
. Si tratta di un fenomeno universale antichissimo,
riconosciuto in ambiti molto diversi: si va dall’usanza delle suppellettili
funerarie alle offerte per le divinità nei templi greci e romani, dagli
scambi di doni tra i detentori del potere ai bottini di guerra, dai tesori
principeschi al culto medievale delle reliquie. Questi esempi così
differenti tra loro vengono identificati dallo studioso Krzysztof Pomian
come collezioni, poiché si tratta in ogni caso di “un insieme di oggetti
esposti allo sguardo”
14
. Come l’autore chiarisce, lo sguardo a cui si
rivolge una collezione è normalmente quello degli uomini, anche se le
suppellettili funerarie e le offerte alle divinità sono invece destinate a
spettatori virtuali.
Tutti questi oggetti, proprio come quelli delle collezioni moderne e
contemporanee, vengono definiti semiofori, ovvero “oggetti che non
hanno utilità” ma che “sono dotati di un significato”, in particolare
“rappresentano l’invisibile”
15
. Secondo Pomian, infatti, dal Paleolitico
superiore in poi, l’uomo inizia a creare oggetti non utili e non
manipolabili, ma unicamente da esporre allo sguardo per trasmettere un
certo valore: in questo modo comincia a emergere una cultura
13
Nella premessa mi riferisco per le note storiche sulla collezione a Pomian (1978).
14
Pomian (1978), pag. 342.
15
Pomian (1978), pag. 350.
6
embrionale, che si manifesta con l’attività di raccogliere curiosità
naturali e soprattutto con la produzione di manufatti ottenuti
dipingendo, scolpendo, tagliando, ricamando e decorando materiali.
Da quel momento in poi, secondo Pomian, “l’invisibile si trova, per
così dire, proiettato nel visibile”
16
grazie al lavoro di intermediazione
dei semiofori, oggetti che svelano il proprio significato proprio perché
sono esposti allo sguardo di qualcuno, e che raggiungono la pienezza
del loro essere nel momento in cui diventano parte di una collezione: è
il significato di questi oggetti, e non la loro ricchezza materiale, a
fondarne il valore di scambio in quanto pezzi da collezione.
Pertanto, si può affermare che il museo in generale si caratterizza
innanzitutto come spazio per accogliere oggetti materiali, quindi
visibili, il cui valore sta nel manifestare una relazione con l’invisibile,
sia esso l’aldilà, il passato o una terra lontana.
1.2 Lo studiolo umanistico
17
Solo e’ libri e le scritture mie e de’ mie passati a me piacque e allora e poi sempre
avere in modo rinchiuse che mai la donna le potesse non tanto leggere, ma né
vedere. Sempre tenni le scritture non per le maniche de’ vestiri, ma serrate e in suo
ordine allogate nel mio studio quasi come cosa sacrata e religiosa, in quale luogo
mai diedi licenza alla donna mia né meco né sola v’intrasse, e più gli comandai, se
mai s’abattesse a mia alcuna scrittura, subito me la consegnasse.
18
La prima tipologia architettonica in cui è stata rintracciata l’origine
dell’istituzione museale è rappresentata dallo studiolo
19
, tipologia
16
Pomian (1978), pag. 349.
17
In questo paragrafo mi riferisco principalmente al testo di Liebenwein (1977).
18
Leon Battista Alberti, I libri della famiglia, 1441, citato in Liebenwein (1977), pag. 41-42.
19
L’origine etimologica è lo studium, che indicava lo studio e l’applicazione, e più raramente
il luogo dello studiare.
7
architettonica italiana – parallela all’estude francese – che caratterizzò
l’epoca umanistica. Quest’ambiente, in origine dedicato unicamente ad
attività di studio, ampliò negli anni la propria funzione abbracciando
intenti sempre più precisi di conservazione di oggetti d’arte.
Lo studiolo consisteva di un “piccolo ambiente, squisitamente
arredato, dotato di ogni amenità che favorisca l’attività di studio”
20
, ed
era chiamato anche scrittoio, dal nome del mobile definito a misura
d’uomo proprio per esercitare le funzioni intellettuali. Lo scrittoio si
rifaceva al piccolo ambiente delle celle dei monaci, per molto tempo gli
unici ad avere il privilegio di uno spazio dedicato allo studio e alla
conservazione dei libri; tra i laici cominciò gradualmente a emergere la
volontà di educazione e la capacità di scrivere, e quindi la necessità di
ambienti appositi, fin dal XII secolo, ma trascorse parecchio tempo
prima che tali ambienti fossero inseriti abitualmente nelle abitazioni
civili.
Il prototipo dello studiolo nacque in Francia, nel corso del XIV
secolo, nella residenza papale del Palazzo di Avignone, e la tradizione
di quest’ambiente fu mantenuta dai papi anche nel secolo successivo a
Roma. L’esempio di studiolo più antico conservatosi è quello di Papa
Benedetto XII (1334-1342), in cui è evidente un’alta funzionalità
dell’ambiente: lo sappiamo infatti collegato con la biblioteca, l’archivio
segreto e la stanza del tesoro. Il Papa poteva accedervi dalla propria
camera senza essere visto; era lontano dai rumori della strada
trovandosi in cima ad una delle torri, cosa che permetteva uno sguardo
dall’alto e quindi un distaccamento dalle cose terrene. L’ambiente era
illuminato da una finestra, rivolta ad est come indicavano i medici per
evitare la melanconia, al tempo considerata una malattia provocata dal
troppo studio. Le caratteristiche degli studioli avignonesi sono quelle
confermate pochi anni dopo da Francesco Petrarca nel De vita solitaria,
20
Liebenwein (1977), pag. 1.
8
trattato in prosa latina scritto tra il 1346 e il 1356, in cui la solitudine
viene indicata come necessaria per l’esercizio della vita contemplativa:
il poeta consigliava appunto un luogo che fosse isolato e silenzioso in
modo da favorire la concentrazione, ma che avesse anche un’apertura
sulla natura proprio per evitare il rischio della melanconia.
Pochi anni dopo, il re di Francia Carlo V (1364-1380) si fece allestire
nella propria residenza due estudes, uno isolato in una torre, collegato
alla camera da letto, e l’altro nella fortezza del portone d’accesso, sopra
il passaggio d’entrata. Gli studi di Carlo V sono significativi per la
nascita del collezionismo moderno in quanto ospitarono per la prima
volta piccoli oggetti preziosi da collezione.
In Italia, soprattutto a partire dal XV secolo, nel momento in cui
comincia a definirsi una sfera privata della famiglia distinta dalla
società pubblica, lo studio si diffonde nell’organizzazione del palazzo
cittadino con la funzione di archivio e/o biblioteca. Due umanisti,
Niccolò Niccoli e Poggio Bracciolini, furono i primi a ospitare nei loro
studi opere d’arte antica, dando una nuova prospettiva all’evoluzione
dell’ambiente. Queste opere raffiguravano per lo più grandi personaggi
dell’antichità e, funzionando da exempla morali per le attività di studio,
permettevano di fornire una giustificazione accettabile come base del
collezionismo.
Ma furono soprattutto i principi del Rinascimento italiano a farsi
allestire studioli nei loro palazzi. Ad esempio a Ferrara, intorno alla
metà del Quattrocento, Lionello d’Este, detto Musarum amator,
predispose notevoli lavori per lo studiolo del Palazzo di Belfiore, dando
particolare rilevanza alla decorazione dell’ambiente: il ciclo di affreschi
fu dedicato alle Muse
21
, le rappresentanti di scienza e arte per gli
21
Il termine museo, in latino museum, fu coniato in età ellenistica per definire il µουσεîον di
Alessandria: l’edificio era una vera e propria istituzione culturale, che si rifaceva al modello
del Liceo aristotelico, a sua volta ispirato all’Accademia platonica, e comprendeva la famosa
biblioteca nonché una raccolta di opere d’arte e di oggetti rari e curiosi, sia storici che
scientifici. Il Museo di Alessandria fu fatto costruire da Tolomeo II Filadelfo nel III sec. a.C.
9
umanisti. Dato l’antico legame tra il ruolo delle Muse e le attività
intellettuali, lo studiolo di Belfiore rappresentò uno dei primi esempi in
cui la decorazione pittorica rifletteva le funzioni previste per
l’ambiente.
Un altro famoso studiolo rinascimentale fu quello fiorentino di
Lorenzo il Magnifico a Palazzo Medici, che si contraddistinse per la
ricchezza degli oggetti, i quali – dalle informazioni che abbiamo grazie
agli inventari – sembra fossero raccolti in serie omogenee. Questo
studiolo fu tra l’altro il primo a ospitare dei naturalia
22
, tra cui una
zanna d’elefante e un corno di “unicorno”, probabilmente di narvalo, il
pezzo ritenuto di maggior valore dell’intera collezione. L’ambiente
mediceo non sembrava avere realmente una funzione di studio ma,
anche rifacendosi all’esempio francese di Carlo V, voleva piuttosto
dimostrare le enormi ricchezze del signore, che infatti erano spesso
ammirate dagli ospiti in visita.
Ad Urbino, negli stessi anni, il duca Federico di Montefeltro fece
realizzare il più compiuto studiolo nella sua forma pura, senza alcuna
contaminazione di tipo collezionistico. Lo studiolo si trovava al centro
dell’area dedicata agli appartamenti del duca, tra i due torrioni del
Palazzo ducale, ed ospitava ventotto ritratti di personaggi illustri nella
parte alta delle pareti. Il motivo di maggiore interesse era la
decorazione lignea alle pareti, i cui intarsi costituivano un inventario
figurativo degli oggetti che realmente Federico vi conservava.
ed era appunto dedicato alle ispiratrici di poeti e scrittori, ovvero alle Muse, le nove figlie di
Zeus e Mnemosyne, dea della memoria. Furono inizialmente protettrici del canto, della danza
e della musica, e in seguito di ogni manifestazione del pensiero, dell’arte e della scienza.
Proprio nell’origine etimologica è quindi implicito il riferimento al tema iconografico delle
Muse, che caratterizzò spesso le decorazioni pittoriche di studioli e gallerie in epoca
rinascimentale.
22
La divisione tra naturalia (cose naturali) e artificialia (oggetti prodotti dall’uomo)
rappresenta il criterio di classificazione basilare del collezionismo moderno dal XVI secolo
in poi, ma già nello studiolo di Lorenzo ne vediamo i primi accenni.
10