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INTRODUZIONE
Il mio lavoro di tesi nasce dall’incontro di due delle mie più grandi passioni: quella per le
serie televisive e quella per lo studio del linguaggio. Oggetto della mia analisi è Stranger
Things, una serie tv contemporanea prodotta nel 2016 dalla piattaforma di streaming on
demand Netflix. La serie mi ha particolarmente colpita per la capacità dei suoi registi, i
fratelli Matt e Ross Duffer, di rappresentare una narrazione seriale con l’impostazione
estetica di un film ispirato a grandi capolavori della letteratura e del cinema degli anni
Ottanta. In particolare, la visione della prima stagione ha suscitato in me un grande
interesse per l’uso televisivo di allusioni o citazion. Si è deciso così di incentrare l’analisi
sugli studi dell’intertestualità per capire in che modo, da un punto di vista prettamente
testuale e discorsivo, tale rete di citazioni fosse stata adattata sullo schermo. In realtà, mi
sono quasi subito resa conto che l’intertestualità nella serie non coinvolgeva meri aspetti
discorsivi, ma anche altri codici semiotici. Ad esempio, molte scene e fotogrammi
richiamavano esplicitamente opere precedenti, dai capolavori di Stephen King a quelli di
Steven Spielberg, oltre che cult del cinema come Stand By Me – Ricordo di un’estate
(diretto da Rob Reiner nel 1986), Poltergeist – Demoniache presenze (diretto da Tobe
Hooper nel 1982), Alien (diretto da Ridley Scott nel 1979), e tanti altri. Pertanto, la serie si
potrebbe definire come una “strizzata d’occhio” dagli anni Ottanta, richiamando i celebri
studi di Umberto Eco, perché la sua costruzione è basata su una serie di riferimenti,
citazioni, allusioni e analogie tratte da opere cinematografiche e testi che hanno costellato
il panorama artistico e culturale di quegli anni.
Oltre queste opere, è possibile rilevare la presenza di una lunga serie di riferimenti
intertestuali, inseriti proprio per suscitare negli spettatori un brivido di nostalgia verso la
cultura popolare di quegli anni, spesso difficili da cogliere, soprattutto per chi non ne abbia
conoscenza.
Dunque, nella prima parte della mia analisi è risultato anzitutto necessario ripercorrere una
breve storia della serialità televisiva, a partire dalle origini fino alla nascita delle nuove
forme di narrazione del mondo contemporaneo, attraverso svariati esempi di prodotti
televisivi di enorme successo. Le serie tv rappresentano un importante mezzo di
trasmissione di contenuti, soprattutto a partire dalla diffusione delle nuove piattaforme
streaming e reti tv via cavo. Grazie ai contributi di studiosi come Daniela Cardini o Kristin
Thompson, è stato dunque possibile constatare che la nuova narrativa episodica,
6
multilineare e “transmediale”, ha dato al lettore la possibilità di accedere a diversi spazi
della narrazione del prodotto, e di interagire con una comunità di esperti partecipando
attivamente al processo di storytelling, in alcuni casi arrivando addirittura ad influenzarne
gli svolgimenti futuri della narrazione.
Per esempio grazie all’utilizzo di social network come Facebook, gli utenti possono
condividere l’esperienza narrativa con altri spettatori, generando discussioni e commenti,
anche possibili all’interno di forum online dedicati a specifiche serie tv. Infatti, il termine
transmedia storytelling, introdotto dallo studioso di Media Henry Jenkins, indica proprio
quel processo in cui gli elementi che costituiscono una narrazione vengono dispersi su
diverse piattaforme mediali al fine di creare un’esperienza di intrattenimento unificata e
coordinata: un vero e proprio universo narrativo. Di qui, la nascita di nuove pratiche di
fruizione che permettono la diffusione di fenomeni di fandom e lo sviluppo di un nuovo
ruolo del pubblico, definito dallo studioso “audience creativa”, tra comunità e fan fiction
1
.
Ho proseguito poi con un’analisi approfondita dell’intertestualità, per cui è stato
fondamentale confrontarsi con gli studi di Jurij Lotman, il primo a introdurre il concetto di
“semiosfera” (o universo della significazione), definito come la totalità dei singoli testi e di
linguaggi che si interconnettono tra loro, funzionanti come dei mattoni che messi insieme
costituiscono tutte le strutture comunicative possibili
2
; e di Julia Kristeva, la prima ad
utilizzare il termine intertestualità sostenendo che:
ogni testo si costruisce come mosaico di citazioni, ogni testo è assorbimento e
trasformazione di un altro testo. Al posto della nozione di intersoggettività si pone quella
di intertestualità, e il linguaggio poetico si legge per lo meno come “doppio”
3
.
Secondo la studiosa, il concetto di autorialità è messo fortemente in questione, perché
qualsiasi autore non crea nulla in maniera originale, ma trae il proprio materiale, più o
meno consapevolmente, da testi già esistenti. Ho così approfondito diverse letture del
concetto sia dal punto di vista letterario che linguistico, fino ad arrivare ad una concezione
di intertestualità in chiave prettamente postmoderna, grazie a contributi teorici come quello
di Umberto Eco. Lo studioso si sofferma su quel processo di analisi testuale che richiede al
lettore di compiere molteplici “salti fuori dal testo”, per collegare quello che sta leggendo
con altri testi e discorsi. Dunque, secondo l’autore, il lettore deve possedere una certa
“competenza intertestuale” che gli permetta di ricollegarsi a testi conosciuti. Talvolta, ciò
costituisce un vero e proprio stimolo per coloro che traggono piacere da questa sorta di
“tempesta intertestuale”. Eco introduce così una forma di “ironia”, realizzata da quegli
1
Jenkins H., Cultura Convergente, Maggioli S.p.A., Santarcangelo di Romagna (RN), 2004.
2
Lotman J., On the Semiosphere, traduzione a cura di Clark Wilma, in Sign System Studies, vol. 33.1, 2005.
3
Kristeva J., Word, Dialogue and Novel, in The Kristeva Reader, Toril Moi, New York, 1986, p. 37.
7
autori che mettono alla prova i propri lettori inserendo citazioni nascoste di altri testi
4
. Di
qui, due testi rilevanti per delineare una precisa categorizzazione di questi fenomeni sono
stati quello del critico letterario e saggista Gérard Genette (Palinsesti, 1997), e quello dello
studioso di semiotica Andrea Bernardelli (Che cos’è l’intertestualità, 2013). Tuttavia,
essendo l’obiettivo del lavoro analizzare la manifestazione di tali fenomeni all’interno di
un prodotto audiovisivo, il passo successivo è stato proprio adattare le principali forme
dell’intertestualità al cinema e alla televisione, utilizzando il sostegno di numerose ricerche
di accademici tra i quali Dudley Andrew e Geoffrey Wagner, i quali si concentrano sulle
modalità di adattamento di testi letterari a film, o Alberto Negri, che indaga appunto le
forme e le strategie del cinema postmoderno, proponendo quattro principali forme di
riferimenti intertestuali: la citazione-riporto, la citazione-allusione, l’autocitazione
autoriale, e la citazione-ripetizione
5
. Tali supporti teorici hanno certamente contribuito a
facilitare la seguente analisi della componente intertestuale presente in Stranger Things,
nonostante non sempre fosse facile stabilire con certezza il tipo di riferimento incontrato,
soprattutto per via della polisemioticità del testo in questione.
Durante il mio percorso di ricerca, però, ho realizzato che Stranger Things non era
interessante solo per la rete di riferimenti agli anni Ottanta, ma anche e soprattutto per il
modo in cui tali riferimenti sono utilizzati dai personaggi per comunicare tra loro e
comprendersi l’un l’altro. Allo stesso modo il linguista Norman Fairclough sostiene che
ogni testo contiene al suo interno una serie di voci, non sempre identificabili con grande
precisione
6
. La cultura popolare diventa essa stessa strumento di comunicazione,
specialmente tra i protagonisti principali: Mike, Lucas, Dustin e Will, i quali comunicano,
si pongono problemi e trovano soluzioni attraverso riferimenti e metafore che creano
paralleli con i loro romanzi e film preferiti. In particolare i ragazzi dimostrano di possedere
un codice comune derivato dai mondi immaginari in cui film e romanzi sono ambientati.
Proprio per questo, allora, mi sono chiesta se i quattro protagonisti avessero le
caratteristiche per essere considerati una discourse community, ovvero, secondo la
definizione del linguista Brian Paltridge, un gruppo di persone che hanno modi specifici di
parlare tra loro, condividono obiettivi e hanno valori e credenze in comune
7
. In particolare,
ho cercato di dimostrare come il gruppo di amici soddisfi i sei requisiti elaborati da John
Swales, in possedimento dei quali un insieme di individui costituisce la rappresentazione di
una comunità di discorso. Di conseguenza, ho analizzato in dettaglio i dialoghi della prima
4
Eco U., Lector in Fabula, Bompiani, Milano, 1979.
5
Negri A., Ludici disincanti. Forme e strategie del cinema postmoderno, Bulzoni, Roma, 1996.
6
Fairclough N., Analysing Discourse – Textual analysis for social research, Routledge, Londra, 2003
7
Paltridge B., Discourse Analysis, An Introduction, Bloomsbury, Londra, 2012.
8
stagione della serie con lo scopo di ricavarne una terminologia comune, costituita da tutti
quei riferimenti intertestuali che, a una prima visione della serie, già sembravano formare
un linguaggio specifico.
Infine, mi è sembrato interessante approfondire tutte le tematiche affrontate in relazione ad
una pratica sempre più diffusa in Occidente: il sottotitolaggio. Dunque, dopo una doverosa
introduzione al campo di studi dei Translation Studies, termine utilizzato per la prima volta
dal linguista James Holmes nel 1972
8
, e dopo un excursus storico dalla nascita di
quest’ambito alle sue evoluzioni, mi sono inoltrata nel terreno degli studi linguistici in
continua evoluzione relativi a quelle attività d’avanguardia dell’Audiovisual Translation.
Grazie al supporto delle teorie e delle ricerche di accademici come Jorge Díaz Cintas, Jan
Pedersen e Henrik Gottlieb, ho potuto approfondire le principali caratteristiche, nonché le
restrizioni, di un lavoro complesso come il sottotitolaggio, e il tipo di traduzione che ne
deriva. Gottlieb, in particolare, è stato il mio maggiore punto di riferimento durante un
lavoro di analisi attraverso cui indagare le principali strategie traduttive nella composizione
di sottotitoli, nonché la personale tassonomia dello studioso delle strategie utilizzate
quando si ha a che fare con extralinguistic cultural references (ECRs) nei dialoghi
originali. Tali strategie, sono suddivise in categorie che vanno da un grado di massima
fedeltà al testo originale a un grado di minima fedeltà. Gli ECR costituiscono infatti uno
dei maggiori problemi per il traduttore. Essi sono definiti da Pedersen come riferimenti
fatti attraverso qualsiasi espressione culturalmente connotata che indichi un’entità extra-
linguistica o un processo culturale. Gli ECR sono termini che si riferiscono a luoghi,
istituzioni, persone, costumi, cibi, che non necessariamente sono conosciuti da tutti i
parlanti di una determinata lingua, e non hanno equivalenti specifici in altre lingue
9
.
Questi, però, possono includere anche riferimenti intertestuali derivanti dalla letteratura e
altri tipi di testi, come quelli audiovisivi. Pedersen sostiene infatti che uno dei modi in cui
uno spettatore può accedere al riferimento è “intertestualmente”, e che i riferimenti extra-
linguistici culturali sono spesso elementi immaginari derivanti da opere di questo tipo
10
,
come il titolo di un film, di un romanzo, o il nome di un personaggio.
A questo punto, è chiaro che i riferimenti intertestuali presenti in Stranger Things,
costituiscono uno spunto d’analisi anche in relazione a come il traduttore li abbia resi nel
passaggio dall’Inglese all’Italiano. Così, mi sono inoltrata in un’interessante analisi del
8
Bertazzoli R., La traduzione: teorie e metodi, Carocci Editore, Roma, 2015.
9
Pedersen J., Scandinavian Subtitles: A Comparative Study of Subtitling Norms in Sweden and Denmark
with a Focus on Extralinguistic Cultural References, Doctoral Thesis, Stockholm University, Department of
English, 2007.
10
Ibidem.
9
sottotitolaggio dei dialoghi originali, contenenti gli ECR riscontrati, nel tentativo di stilare
un resoconto delle strategie impiegate dal traduttore, e di motivarne la scelta secondo le
linee guida degli accademici di questo campo.
10
CAPITOLO I – Le Serie TV
1.1 Che cos’è una Serie Tv
Nell’attuale panorama del mondo televisivo, le serie tv sono senza dubbio tra i prodotti che
riscuotono maggiore successo. Spesso, infatti, queste soddisfano i gusti anche di chi non
ama la televisione, e anzi ne rifiuta in maniera fortemente critica i contenuti. Prima di
inoltrarci nell’esplorazione di questo mondo, però, sarebbe utile anzitutto stabilire di cosa
parliamo quando parliamo di serie tv. Ciò che si intende è un prodotto di fiction strutturato
in puntate o episodi, e quindi formato da “segmenti di racconto” in sé conclusi o collegati
tra loro. L’insieme degli episodi formano cicli stagionali, con carattere strutturale e
un’ambientazione costanti
11
. I protagonisti sono in genere personaggi fissi invariabili.
Dunque, la serie tv si differenzia dal film per la proprietà di estendere nel tempo la
narrazione. Se un film articola la storia in un unico testo, la serie può distribuirlo su tre
livelli: la puntata, la stagione e la serie nella sua interezza
12
. Ciò che però sembra essere la
caratteristica distintiva e unica di una serie televisiva, è l’importanza che si pone sulla
stagione da un punto di vista sia narrativo che estetico. La stagione nella “Grande
Serialità” è un elemento fondamentale, dettagliatamente pensato e strutturato, e la
suddivisione in stagioni lo è ancor più, proprio perché esprime a pieno la dimensione
narrativa espansa che richiede un’accurata produzione
13
. La serie tv, infatti, non si basa
necessariamente sulla consequenzialità tra i suoi segmenti narrativi. Al contrario, spesso si
basa proprio sulla discontinuità e la non consequenzialità degli episodi, senza tenere conto
dello sviluppo cronologico delle vicende o dell’evoluzione dei personaggi, al fine di
sviluppare una struttura narrativa complessiva che acquisisca senso nella stagione nella sua
interezza.
È Daniela Cardini, studiosa di Teorie e tecniche del linguaggio televisivo e di Format e
Serie tv, a coniare l’espressione “Grande Serialità” per definire le forme seriali la cui unità
di misura non è più l’episodio/puntata, ma la stagione. Secondo l’accademica, la serialità
televisiva tradizionale (del telefilm, del serial, della fiction, tra le varie definizioni
utilizzate dagli anni Novanta) è basata su un segmenti narrativi singoli programmati per
una messa in onda settimanale.
11
Grignaffini G. e Bernardelli A., Che cos’è una serie televisiva, Carocci editore, Roma, 2017.
12
Bandirali L. e Terrone E., Filosofia delle serie tv. Dalla scena del crimine al Trono di Spade, Mimesis,
Milano-Udine, 2012.
13
Cardini D., Long TV – Le serie televisive viste da vicino, Edizione Unicopli, Milano, 2017.