II
spirito e trasformarsi sin da subito in una “parentela dell’anima” con la
Germania: “la terra delle libertà, e delle alte combinazioni”
5
.
Formatasi nei circoli letterari di fine-Ottocento che vedevano rinascere
gli ideali romantici e stürmeriani di inizio secolo, pur non legata ad
alcuna scuola poetica, Marina Ivanovna avverte di essere “l’ultima dei
romantici”, di provare all’interno di quella affinità dello spirito che la
attraeva verso la terra di Goethe, il sentimento romantico della
Sehnsucht, della ricerca della Ewigkeit e della Unendlichkeit, di essere
dominata da una inspiegabile forza ultraterrena che in attimi di estasi
mistica le fa dono della ispirazione poetica e la rende vate di un
messaggio superiore non accessibile all’uomo comune.
In conformità con i sentimenti romantici, Cvetaeva si colloca allora
all’interno di una minoranza: la stirpe dei poeti, che spesso sembra
confinarla con il sigillo di paria, soprattutto negli anni della emigrazione,
in una sorta di ghetto facendole avvertire un sentimento di orfanezza e
di solitudine che la spinge alla costante ricerca dei propri simili e di
quella che ella riconosce come “patria dei poeti”, presente e viva nella
sua anima, ma priva di confini geografici terreni.
Un paese ultraterreno a metà tra cielo e terra, dove ogni poeta, nella
condizione di nomade in questo mondo, sente di essere a casa nell’altro.
Una terra diafana, trasparente, che Cvetaeva definisce Paradiso dei
poeti, Terzo regno, in cui l’anima si libera dal fardello del corpo e mostra
finalmente il proprio autentico volto.
Nella sua ricerca della terra dello spirito, Cvetaeva si costruisce un
mondo interiore a cui solo a pochi eletti è dato accedere, solo a coloro
con i quali Marina Ivanovna percepisce “una parentela dell’anima”. Ed è
così che Johann Wolfgang von Goethe, Novalis, pseudomino di
Friedrich Leopold von Hardenberg, Friedrich Hölderlin e Heinrich
Heine entrano a far parte di quel suo mondo immaginario, diventando
rispettivamente il genio poetico, il poeta dell’anima, l’ammiratore della
Grecia classica ed il genio ribelle, ognuno è parte integrante di un’unica,
caleodoscopica realtà interiore: lo spirito ed il cuore di Marina Ivanovna
Cvetaeva:
Quando mi chiedono chi è il Vostro poeta preferito, vorrei elencare tanti nomi, poi di
colpo nomino un decina di poeti tedeschi. Mi occorrerebbero dieci bocche per
rispondere in fretta, per elencarli, in coro, all’unisono,. […] Ognuno vuole essere il
primo perché lo è, ognuno vuole essere l’unico, perché non c’è un secondo. Heine è
5
M. Cvetaeva, O Germanii, cit., p. 472.
III
geloso di Platen, -Platen di Hölderlin. Hölderlin di Goethe, solo Goethe non è geloso
di nessuno: è lui stesso un Dio.
6
La Germania e il patrimonio culturale tedesco sembrano aiutare Marina
Ivanovna nella sua ricerca della terra delle libertà. Il territorio tedesco si
trasforma allora, in un processo che coinvolge soprattutto l’anima, in
geografia del cuore divenendo espressione dello spirito cvetaeviano: “La
Germania sono-io” scrive il poeta, “albero, quercia, heilige Eiche[…]
Germania è involucro stesso del mio spirito, Germania è la mia carne: i
suoi fiumi ( Ströme!) sono le mie braccia, i suoi boschi ( Haine!) i miei
capelli, è tutta mia, e io sono tutta sua!”
7
La duplice ricerca del Paradiso dei poeti e degli artisti, come lei nomadi
su questa terra, spinge Marina Ivanovna a cercare platoniche relazioni
amorose, caratterizzate spesso da un distacco, da una essenza terrena, un
congedo, Rasstojanie che, se pur vissuto con sofferenza e separazioni
nella vita reale, assicura invece un incontro spirituale e ultraterreno
nell’altro mondo: “Il tipo di rapporto che preferisco è ultraterreno: il
sogno: vedere in sogno. Il secondo la corrispondenza. La lettera : una
forma meno perfetta del sogno, ma le leggi sono le stesse.”
8
Le relazioni
cvetaeviane sono caratterizzate allora dal Non-Incontro, dal Nevstreča,
da assenza terrena di contatto che si consolida in una affinità ultraterrena
tra anime.
Per tutta la vita allora Marina Ivanovna insegue un sogno, vive nella
tensione verso un incontro metafisico, nell’attesa di entrare in relazione,
un giorno forse, con quel giusto rappresentante del mondo dei poeti,
quel genio artistico che avrebbe dovuto essere per lei incarnazione
dell’Ideale nel Reale, del Bytie nel Byt’, metafora della sua Germania,
suo chimerico fratello. Solo a due poeti ella concede il proprio cuore,
due anime pure degne di entrare a far parte di quel suo mondo: Boris
Leonidovič Pasternak e Rainer Maria Rilke, un lirico russo e un poeta
tedesco: la Russia e la Germania diventano allora paradigmi di una
dimensione ultraterrena, perdono i propri tratti geografici e si elevano al
di sopra del suolo, sospesi tra terra e cielo.
Ed è in questa dimensione ultraterrena che Cvetaeva incontra Rainer
Maria Rilke: il poeta eletto, “ L’Orfeo tedesco, cioè Orfeo per questa
6
M. Cvetaeva, O Germanii, cit., p. 475.
7
M. Cvetaeva, O Germanii, cit., p. 476.
8
19 nuovo novembre 1922, M Cvetaeva a B. Pasternak, Il paese dell’Anima, a cura di S. Vitale,
Milano Adelphi 1988, p. 135.
IV
volta comparso in Germania. Non Dichter(Rilke) - Geist der
Dichtung”
9
.
Al un rapporto che di terreno possiede solo le epistole si intreccia, tra il
maggio e il dicembre del 1926, una relazione sovrannaturale e spirituale.
Un incontro di anime, accentuato dall’amore del poeta tedesco verso la
Russia, la madrepatria di Marina Cvetaeva,
Una Russia in cui Rilke intravede e riconosce ciò che il poeta russo
aveva visto nella Germania. Un Oriente che per il poeta tedesco
rappresenta: “la terra più vicina a Dio”, la patria dell’anima e della
riscoperta della autentica essenza divina, della forza primitiva e vitale
capace di creare una rinascita interiore, primo passo che conduce alla
anelata Wandlung rilkiana:
Si prova una strana sensazione nel trovarsi quotidianamente in mezzo a un popolo
pieno di umile dolcezza e religiosità, sono profondamente felice di queste mie nuove
scoperte.
10
Questo spettacolo, per me inusuale, mi colpì fin dentro all’anima. Per la prima volta
in vita mia fui invaso da una sensazione inesprimibile, qualcosa come il sentimento
di patria....
11
“ La Russia” scrive ancora Rilke “ è stata la base della mia esperienza e
della mia percezione. Che cosa devo alla Russia? E’ lei che ha fatto di
me quello che sono divenuto, è da lei che sono interiormente uscito,
tutte le mie profonde radici sono là.”
12
L’incontro tra Cvetaeva e Rilke è dunque un incontro di anime in una
relazione che non è frutto dell’immaginazione, ma un evento reale ed
indiscutibile. Tra le righe di quelle loro epistole si realizza allora una
nuova realtà, quella creata dalla Cvetaeva, la realtà fisica dell’anima, in
cui l’irrealizzabile qui diviene realizzabile lì.
E’ un dialogo di persone che si comprendono a mezze parole, di esseri
consacrati al medesimo mistero che si servono del linguaggio poetico
per leggere reciprocamente il fenomeno terreno e l’essenza spirituale
dell’altro.
9
15 gennaio 1927, M. Cvetaeva a Anna Antonovna Teskovà, in Pis’ma k Anne Teskovà[ Lettere a
Anna Teskovà], Praha, Podgotovil Vadim Morskovim 1969, p. 48.
10
19 maggio 1899, Rilke a Hugo Zalus, in Briefe una Tagebücher aus der Frühzeit, 1899 bis 1902,
Leipzig, Insel Verlag 1931, p. 15.
11
Wiadomosci Literackie, 16 novembre 1924, n. 46.
12
lettera del 1920, Briefe, a cura di K. Altheim, Rankfurt am Main, Insel Verlag 1980, p. 171.
V
Ne sono allora esempi straordinari non soltanto le lettere, ma anche le
due elegie composte sullo sfondo di quella “corrispondenza
ultraterrena”. In entrambe, sia nei versi della splendida composizione
rilkiana Elegie an Marina Zwjetaeva-Efron, scritta nel giugno del 1926,
che in Novogodnee[Per l’anno nuovo] i versi cvetaeviani dedicati alla
morte di Rainer Maria Rilke nel 1927, i moti dell’anima e l’ispirazione
poetica si intrecciano ai pensieri del cuore che avevano preso forma nelle
pagine scritte in prosa.
VI
Nota biografica
Marina I. Cvetaeva
Marina Ivanovna Cvetaeva nacque l’8 ottobre 1892. Sua madre, Marija
Aleksandrovna Mejn, pianista di talento, trasmise alla figlia l’amore per la musica e
la pittura. Il padre, Ivan Vladimirovič Cvetaev, professore di Storia dell’arte presso
l’Università di Mosca e fondatore e primo direttore del museo Aleksandr III,
l’attuale museo Puškin.
Marina Ivanovna ebbe dapprima una istitutrice, poi venne iscritta al ginnasio,
quindi, quando la tubercolosi della madre costrinse la famiglia a frequenti e lunghi
viaggi all’estero, frequentò alcuni istituti privati in Svizzera e in Germania ( 1903-
1905) per tornare, infine, dopo il 1906, in un ginnasio moscovita. Nel 1909 andò
quindi da sola a Parigi per frequentare le lezioni di letteratura francese alla Sorbona.
Cominciò a scrivere versi all’età di sei anni, e il suo primo libro Večernyj al’bom
[Album serale] ( 1910) conteneva le poesie scritte tra i quindici e i diciassette anni.
Nel 1911 si recò per la prima volta a Koktebel’ a casa di Maksimiljan Vološin il
quale in quegli anni l’aveva introdotta in ambienti gravitanti la casa editrice
Musaget. A Koktebel’ Marina Cvetaeva incontrò Sergej Efron, apprendista letterato
che sposò l’anno successivo, di lì a poco comparve la sua seconda raccolta Volšebnij
fonar’ [ Lanterna magica], il 5 settembre 1912 nacque la loro primogenita Ariadna
(Alja).
Cvetaeva continuò a scrivere e a pubblicare versi, la raccolta Vërsty I [Verste], uscì
come diario lirico nel 1916. Durante la rivoluzione di Febbraio 1917 il poeta si
trovava a Mosca. La seconda figlia nacque ad aprile. A causa della rivoluzione ella si
venne separata dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Bloccata a Mosca, non
lo vide dal 1917 al 1922. Dal 1918 al 1919 lavorò alle pièces del ciclo “romantico”:
Metel’[La tormenta], Feniks [La Fenice], Priključenie [L’avventura], Fortuna,
Červonnyj valet [Il fante di cuori], Kamennyj angel[ L’angelo di pietra]. Durante
l’inverno del 1919 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un
orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione. Nel 1920 scrisse il
poema-favola Car-devica[ Lo Zar-fanciulla] e Lebedinyj stan[ L’accampamento dei
cigni] , un ciclo lirico sull’Armata Bianca. I versi del 1917-1920 furono raccolti
invece in Vërsty II[ Verste II], che vide la luce a Mosca solo nel 1921. Quando la
guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in contatto con
Sergej Efron e acconsentì a raggiungerlo all’Ovest. Nel maggio del 1922 emigrò e si
recò a Praga passando per Berlino. Intanto nel 1922 usciva a Mosca la pièce Konec
Kaszanovy [ La fine di Casanova], e a Berlino vedevano la luce Stichi k Bloku[ Versi
a Blok] e Razluka[ Separazione]. Nel 1923 la capitale tedesca diede alla stampa la
raccolta lirica Remeslo[ Mestiere] e nel 1924 Psicheja[Psiche]- In quegli anni intanto
Cvetaeva si era innamorata di Konstantin Rodzevič e dedicava a quel compagno
d’armi del marito i due poemi Poema Gory [Poema della montagna] e Poema konca
[Poema dell fine].
Nel febbraio 1925, anno della stesura e della pubblicazione della satira lirica
Krysolov [L’accalappiatopi], nacque il terzo figlio Mur, nello stesso autunno partì
per Parigi. dove trascorse con la famiglia i quattordici anni successivi.
Nella capitale francese suo marito Sergej Efron, iniziò a collaborare con la GPU,
facendosi coinvolgere nell’attentato al figlio di Trotzkij, in seguito a questi eventi
VII
egli decide di lasciare la Francia e trovare rifugio in Spagna. Cvetaeva non essendo a
conoscenza dei movimenti del marito, si rifiutò di credere che Efron potesse essere
un omicida. Negli anni parigini Marina Ivanovna si dedica principalmente alla
stesura di alcuni saggi critici e di alcuni racconti autobiogafici. Nel 1936 Ariadna
torna a vivere a Mosca, dove due anni dopo viene raggiunta dalla madre e dal fratello
più piccolo. Nell’agosto del 1939 Alja viene arrestata e portata nei gulag, quindi nel
novembre dello stesso anno arrestano e fucilano anche Sergej Efron, un nemico del
popolo che sapeva troppo. Quando nell’estate successiva cominciò l’evacuazione di
Mosca, Cvetaeva venne evacuata a Elaburga, nella repubblica autonoma della
Tataria. Ella si sentiva completamente abbandonata. I vicini l’aiutavano a mettere
insieme razioni alimentari. La Domenica del 31 agosto del 1941, rimasta sola a casa,
Marina Ivanovna salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò.
Nessuno andò ai suoi funerali, venne sepolta in una fossa comune dove venti anni
dopo la sorella Anastasia ripose una croce.
Rainer Maria Rilke
Rainer Maria Rilke nasce a Praga il 4 dicembre 1875. Figlio di un funzionario delle
ferrovie, Josiph Rilke, e di una madre artista, Phia Ernzt, a cui rimarrà sempre legato.
Per seguire orme del padre il giovane Renè si iscrisse all’Accademia militare, a
Vienna, dove rimase fino al 1892; in seguito la sua vocazione artistico-letteraria
divenne predominante. Nel 1894 inezia a pubblicare i primi versi: la raccolta Leben
und Lieder; e l’anno successivo Larenopfer. Nel 1896 Rilke si iscrive all’Università
di Monaco, dove conosce Loù Andreas- Salomè, di quindici anni più grande di Rilke,
lo inizia alla vita culturale ed in particolare al pensiero filosofico di Friedrich
Nietzsche. Di questi anni sono l’Ewald Tragy e il Florenzer Tagebuch, scritto in
occasione del viaggio in Italia con Loù.
Nel 1898, sempre in compagnia di Loù, Rilke viaggia in Russia, dove conosce
Tolstoj. Frutto del viaggio è la scrittura dell prima parte dello Stundenbuch. L’anno
successivo escono Die frühen Gedichte, il racconto Geschichten vom lieben Gott e
Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke.
Nel 1900 Rilke si stabilisce a Worpswede, presso Berna, che è sede di una nota
comunità di artisti. Qui conosce la pittrice Paula Becker Clara Westhoff, che
diventerà sua moglie nel 1901, nello stesso anno nasce sua figlia Ruth e Rilke si
stabilisce a Parigi, nella capitale francese, dal 1902 al 1904, porta a termine lo
Stunden-Buch, scrive la raccolta Das Buch der Bilder ed inizia la composizione delle
Neue Gedichte e di Aufzeichnungen des Malte Laurids Brigge.
Nel 1911, in compagnia della principessa Thurn und Taxis, amica che svolgerà un
ruolo essenziale nella vita del poeta, Rilke giunge al castello di Duino, dove resterà
per un anno. Qui nasce il progetto delle Duineser Elegien, Rilke scrive le prime due
elegie e frammenti delle successive, ultimate nel 1922, a Muzot. Nello stesso periodo
il poeta scrive anche Das Marien-Leben.
Lo scoppio della prima guerra mondiale costringe Rilke ad arruolarsi e a prestare
servizio presso l’Archivio militare di Vienna, dove resterà per circa un anno. Nel
1919 giunge in Svizzera e decide di stabilirsi. Nel 1920 vive nel castello di Berg am
Irschl, con l’amica pittrice Baladine Klossovska, detta Merline. L’anno successivo,
quasi casualmente, scopre il piccolo castello di Muzot e lo sceglie quale sua dimora
VIII
definitiva. Qui nel 1922 porta a termine le Duineser Elegien e scrive di gettò i
Sonette an Orpheus.
Gli ultimi anni della sua vita sono scanditi da frequenti ricoveri presso il sanatorio di
Valmont a causa della leucemia, malattia che lo condurrà alla morte nel 1926. Le
opere di questi ultimi tempi sono scritte in francese: Vergers, Quatrains Valaiseins,
Les Roses, Les Fenêtres. Il 29 dicembre del 1926, Rilke muore nel sanatorio di
Valmont, ed è sepolto, secondo suo stesso desiderio, nel cimitero di Raron.
1
I Germania terra di alte combinazioni
1. La mia Germania
Con gli occhi di una bimba
L’infanzia di Marina Ivanovna trascorse in maniera serena al numero
otto del vicolo dei Trechprudnyj di Mosca. Primogenita di seconde nozze
del docente di Teoria e Storia dell’arte, Ivan Vladimorovič Cvetaev ebbe
modo sin da piccola di poter fruire di un’educazione completa, come si
confaceva alla fine del secolo scorso alle persone di un elevato rango so-
ciale. Dispose dunque, insieme a sua sorella minore Anastasja, di tutti i
mezzi per soddisfare il proprio incondizionato desiderio di sapere.
Dei primi anni di vita del poeta veniamo a conoscenza direttamente
dalle sue raccolte in versi: Večernyj Al’bom[Album serale] e Vol’sebnyj
fonar’[Lanterna magica], pubblicate rispettivamente nel 1910 e nel 1912,
ma è possibile trovare una descrizione più accurata negli scritti
autobiografici della metà degli anni Trenta.
1
In questi brevi racconti
Cvetaeva delinea il quadro delle prime esperienze familiari, dando un
particolare rilievo alla figura di Marija Aleksandrovna Mejn, la madre,
che indubbiamente svolse un ruolo determinante nell’infanzia di Marina
Ivanovna e che, a suo parere, contribuì più di chiunque altro alla sua
formazione e alla sua crescita culturale.
Marija Mejn, seconda moglie del professor Cvetaev, amica di Varvara
Ilovajskij, prima moglie, discendeva da madre polacca e da padre
tedesco, un ricco editore e uomo d’affari del Baltico. Nel 1891,
ventunenne, dopo la morte di Varvara, accettò la proposta di matrimonio
di Ivan Vladimirovič per l’amicizia che l’aveva legata alla famiglia
Cvetaev e per l’affetto verso i loro figli, Valerija e Andrej, che avevano
bisogno di una madre.
Marina Ivanovna racconta come tra i suoi genitori non ci fosse amore
ma un civile reciproco accordo, e come furono in grado, comunque, di
trovare un interesse comune da coltivare: il sogno del padre di costruire
1
Marina Cvetaeva nel corso degli anni Trenta sentì l’esigenza di rivisitare in prosa i primi dieci anni
della propria vita, cioè il periodo compreso tra i suoi primissimi ricordi infantili e la partenza della
famiglia per l’Italia nel 1902 a causa della malattia della madre. A questo periodo sono dedicati i
racconti autobiografici Chlystovki [ Flagellati ]del 1934, Čëtr[ Il Diavolo], Skazka Materi[ La fiaba di
mia madre], Mat’ i muzyka [Mia madre e la musica], pubblicati nel 1935, e Moj Puškin [ Il mio
Puškin] del 1937. Di un periodo un successivo tratta il racconto Bašnja v pljušče[ La torre ricoperta di
edera ]. Tutti i racconti furono editi a Parigi tra il 1933 e il 1934 nella rivista Sovremennye zapiski.
( trad. it. Il diavolo, traduzione di L. Montagnani, Roma, Editori Riuniti 1981).
2
un museo che contenesse la collezione di copie di sculture antiche
dell’Università di Mosca:
2
Il più diretto collaboratore di mio padre era mia madre.
[...] E, parlando del suo aiuto al papà, parlo, prima di tutto, della sua instancabile
partecipazione spirituale, del prodigio della complicità femminile, dell’entrare in
tutto e uscire da tutto - vincitrice. Aiutare il museo era, prima di tutto, aiutare
spiritualmente il papà: credere in lui, e, quando necessario, anche per lui.
3
Spesso Cvetaeva, nelle lettere e nei racconti, usa descrivere il padre
come un uomo ostinato e poco partecipe alla vita familiare, che
preferisce prendere le distanze dalla realtà come al di là di una porta
chiusa. Ma “delle radici paterne di Talicy -Vladimir
4
”, come suggerisce
Aleksander Pavlovskij nella sua monografia Kust Rjabiny
5
“c’era, in
Marina Cvetaeva, non meno di quelle della madre. I genitori in maniera
si completavano l’un l’altro - madre e padre. “Nel giudicare il villaggio
di Talicy, Cvetaeva scrive:
Di là - il cuore non una allegoria, ma anatomia, un organo, tutto un muscolo, il
cuore, che galoppa velocemente mi solleva su verso il monte per due verste di
seguito - e in più, se serve, sempre lui mi sospinge e mi ribalta al primo tornante
dell’automobile. Il cuore non di un poeta, ma di un pedone. Il cuore che avanza solo
perciò non muore sulle scale mobili e sugli ascensori, li supera. Un cuore pedone di
tutti i miei primitivi avi dal nonno O. Vladimir fino al trisavolo Il’ja...Di là (villaggio
di Talicy della provincia di Vladimir, dove io non sono mai stata), di là...tutto.
6
Quel borgo costituiva dunque, agli occhi di Marina Ivanovna, un
autentico esempio del concetto Romantico d’Affinità con la Natura.
Condurre la propria esistenza in armonia con le leggi naturali significava
allora rispettare i ritmi temporali dettati dalla sublime forza dell’Essere,
entrare a far parte di un mondo pagano e cristiano in relazione con un
Dio e con una Natura che si identificano nella medesima Entità.
Ed era proprio questo il tipo d’esistenza che si conduceva a Talicy, un
villaggio dell’entroterra russo, non ancora entrato in contatto con la
civiltà contemporanea, in cui la gente conduceva una vita serena,
2
Il museo di cui si parla è il Museo di Belle Arti (oggi Museo Puskin ) di Mosca, alla cui
realizzazione Ivan V. Cvetaev dedicò molti anni della propria vita. Sull’argomento cfr.Il museo di mio
padre,in Il diavolo, cit., pp. 87-107.
3
Marina I. Cvetaeva, Otec i ego muzej, .in Izbrannaja proza v dvuch tomach, New York, Russian
Publisher 1979, vol, I (trad. it. Mio padre e il suo museo, in Il diavolo, cit., p.92).
4
Talicy un piccolo villaggio del governatorato di Vladimir nella Russia Centrale, paese natale di
Cvetaev.
5
A. Pavlovskij, Kust rjabiny.O poezii Mariny Cvateavoj, Moskva, Sovetskij Pisatel’ 1989, p. 25.
6
Ivi p .40
3
primitiva poiché non contaminata dalla decadenza mondana del nuovo
secolo.
Il costante riferimento al folklore, alle favole di Aleksander Afanas’ev,
all’elemento fantastico, nelle opere cvetaeviane sembra quindi assumere
un significato profondo e trovare una spiegazione in quella terra della
provincia di Vladimir dove tuttavia la scrittrice mai si era recata, ma che,
grazie ai racconti del padre, le era fortemente rimasta impressa nel cuore.
Dal padre Ivan Marina Ivanovna non ereditò soltanto l’amore per la
semplicità del popolo, ma anche quella passione per il mondo greco e
romano che Cvetaev seppe tenere accesa per tutta la vita e seppe
trasmettere ai suoi figli. Sin da piccola Marina Ivanovna ebbe modo di
appassionarsi alle vicende degli eroi della mitologia classica, in famiglia
imparò a conoscere l’arte greca e romana e i personaggi del mito come
Fedra, le amazzoni, Orfeo e Euridice. Da bambina, Cvetaeva era solita
sostare diverse ore nella fornita biblioteca e tra gli scaffali ricolmi di libri
immergeva in quei mondi lontani e fantastici, che in molti momenti della
sua vita divennero luogo di confine e di difesa tra il Reale e l’Ideale, tra
il Byt e il Bytie. Come non ricordare quindi l’ “amico immaginario” dei
suoi anni infantili: il Diavoletto grigio, che solo la piccola Marina aveva
il privilegio di incontrare in camera della sorella Valerija,
7
o la mitica
Amazzone, figura di donna e insieme di eroina, cui la giovane Cvetaeva
sembrava ispirare il proprio Essere.
Tutta la vita di Marina Cvetaeva si svolse, allora, nel tentativo un tempo
di cercare e di costruire il mito: il mito dell’altro e il mito di sé.
“ La Cvetaeva”, afferma Jurij Ivask, “pensava per miti “ e Roman Gul’
aggiunge: “ Era una persona difficile perché era, dal punto di vista
clinico, certamente una mitomane. La cosa le fu d’aiuto nella letteratura.
Ma nella vita fu per lei una catastrofe”.
8
7
Sull’argomento cfr. Čërt, in Izbrannaja proza v dvuch tomach, I (trad. it. Il diavolo, cit., pp.3-31 ).
8
L’affermazione di Ivask è tratta da una sua conferenza, Tsvetaeva (The Tsar Maiden ) il cui testo è
stato inviato a Simon Karlinsky. Il testo di Gul’ è tratto da una lettera personale del 15 settembre
1967, pubblicata in S. Kalinsky Marina Tsvetaeva. The Woman, her World and her Poetry (trad. it.
Marina Cvetaeva traduzione di D. Sant’Elia, Napoli, Guida 1989, p. 69).