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PARTE PRIMA
L’evoluzione delle forme di partito
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1. Notabili e confraternite
1.1. Partito di notabili
Le forme della partecipazione politica hanno assunto peculiarità differenti, sulla base del
contesto sociale e culturale riscontrabile in un determinato luogo e in un ben definito periodo
storico. Per questo motivo, non è possibile individuare in modo acontestuale la nascita di una
determinata forma di partito, ma ci si può limitare ad astrarre da cornici storiche e topologiche
differenti, esperienze comuni e generalizzabili.
In generale, è possibile affermare che l’evoluzione dei partiti, almeno in una prima fase, sia
strettamente correlata all’allargamento della partecipazione politica dei cittadini. Pertanto, la prima
forma assunta dai partiti politici fu quella del “partito dei notabili”. Caratteristico della prima fase di
sviluppo delle democrazie liberali, esso è legato a condizioni di suffragio ristretto (soprattutto su
base censuaria) e al monopolio dell’intermediazione tra comunità locale e autorità centrale da parte
di ristrette élites di possidenti, professionisti, imprenditori. L’elaborazione teorica di questa forma
di partito si deve a Max Weber e a Maurice Duverger. Entrambi la pongono in contrapposizione con
il partito di massa, ma mentre il primo rileva soprattutto l’aspetto economico (i notabili potevano
contare su una forma di sostentamento indipendente dall’attività politica, mentre nei partiti di massa
risulta indispensabile il contributo dei singoli iscritti), il sociologo francese si sofferma sulle
peculiarità organizzative. Duverger nota infatti come il partito dei notabili avesse come sua unità di
base il comitato, ossia un gruppo ristretto di personaggi influenti che si riuniva quasi
esclusivamente in occasione delle campagne elettorali, mentre rimaneva pressoché inattivo al di
fuori di queste. L’adesione è del tutto informale, basata solo sul prestigio riconosciuto ai notabili:
«Queste persone hanno un peso sociale. Se firmano un manifesto in favore di un candidato,
trascineranno con loro altre persone che, per un fenomeno di ammirazione e contagio sociale,
tenderanno ad allinearsi sulla posizione politica di questi notabili»
1
.
1.2. I notabili a Scicli agli inizi dell’Ottocento
Dopo il tragico terremoto del 1693, che cancellò un quinto della popolazione residente, la
consistenza demografica di Scicli aumentò per tutto il XVIII secolo, cosicché la città si presentò
agli albori dell’Ottocento con quasi dieci mila abitanti. L’introduzione del modello di
amministrazione civile di origine napoleonica in Sicilia (1817) rende oggi possibile
l’individuazione e l’analisi del notabilato presente all’interno di ogni singolo comune. La nuova
legislazione prevedeva infatti la compilazione delle cosiddette “liste degli eleggibili”, all’interno
delle quali venivano scelti i funzionari pubblici. Nei comuni con una popolazione superiore ai sei
mila abitanti, qual era Scicli, erano inclusi nelle liste i proprietari con una rendita annuale di almeno
otto onze, ma anche professionisti, artigiani, commercianti e agricoltori.
Dall’analisi delle liste emerge una stretta correlazione tra famiglia e patrimonio, come
testimoniato non solo dalla forte incidenza dei possidenti, ma anche dalla presenza di “allistati” tra
loro parenti. Basti pensare che, se si fa eccezione per la lista del 1831, il numero degli iscritti aventi
legami di parentela con altri notabili si attesta intorno al 90%. E non si tratta solo di esponenti
dell’aristocrazia, la cui incidenza numerica sulle liste risulta esigua, al contrario di quella
economica, con le famiglie Spadaro e Penna davanti a tutti. C’è da considerare, però, che numerosi
esponenti delle famiglie nobili della città sono classificati sotto altre voci.
Si può notare, infine, come l’ingresso di giovani al di sotto dei trent’anni, anche se favoriti da
autorevoli legami di parentela, garantisca un cospicuo ricambio generazionale al notabilato locale e
probabilmente incida anche sulla diminuzione dell’analfabetismo tra gli “allistati”.
In sostanza, le élites locali appaiono piuttosto compatte nella loro composizione.
L’appartenenza a famiglie quali La Rocca (aventi il titolo di duca), Spadaro, Pisani, Papaleo, Penna,
1
Les partis politiques. L’organisation des partis, di Maurice Duverger, 1953-54, in Sociologia dei partiti politici, a cura
di G. Savini, il Mulino, Bologna, 1971.
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Mormina, e così via da barone in barone, garantisce una posizione di primo piano all’interno del
notabilato cittadino.
1.3. Confraternite e “oro di Busacca”
Il trasferimento a valle dell’abitato di Scicli (cfr. Appendice § 2.3.), con l’espansione
demografica e la ristrutturazione dello spazio urbano che ne seguirono, rese difficile il
corroboramento dei legami interfamiliari all’interno della città. Un ruolo importante per il
raggiungimento di tale obiettivo fu giocato dalle confraternite laicali che si costituirono attorno ai
nuovi edifici religiosi. Un aspetto rilevante delle confraternite fu la loro dimensione interclassista,
che riuniva nobili, borghesi ed artigiani attorno a regole comuni e all’interno di una rete di
solidarietà spirituale e materiale.
Alla fine del XVI secolo si potevano contare in città ben venti associazioni laicali di culto, ma
di queste solamente sette giungeranno fino all’Ottocento. Fra queste, ad incidere maggiormente
sulla storia della città furono indubbiamente quelle legate alle chiese di Santa Maria la Nova e di
San Bartolomeo. Tali confraternite raccoglievano al proprio interno le famiglie più influenti della
città: a Santa Maria la Nova primeggiavano gli Spadaro, insieme ai La Rocca e i Beneventano,
mentre a San Bartolomeo i Penna si accompagnavano ai Papaleo e ai Mormina, solo per citarne
alcuni.
Principale oggetto del contendere fu per oltre tre secoli l’eredità lasciata alla confraternita
marianista da Pietro Di Lorenzo, detto “Busacca” (cfr. Appendice § 2.3.). Il patrimonio del Di
Lorenzo (circa 20 mila onze) andò a costituire l’opera pia più ricca di tutta la Sicilia. È evidente che
il controllo di tale ricchezza risultava di grande interesse, giacché la distribuzione dei legati di
maritaggio e di monacazione (poi aboliti) costituivano uno strumento ineguagliabile al fine di
conseguire il primato politico all’interno della città.
L’uso spregiudicato che la confraternita di Santa Maria la Nova fece inizialmente dell’”oro di
Busacca”, tradendo i principali obblighi testamentari (impiego a multiplo della metà delle rendite,
controllo degli atti da parte della confraternita di San Bartolomeo, distribuzione calibrata dei legati,
sulla base dei legami di parentela con il testatore), indusse il viceré Olivares a trasferire nel 1595
l’amministrazione dell’opera pia a Palermo, dove se ne sarebbe occupato un giudice del tribunale di
Regia Monarchia. Il controllo dell’opera pia tornerà a Scicli solo nel 1867, per opera del nuovo
Governo unitario.
La lontananza del patrimonio di Busacca non impedì alle due confraternite rivali di continuare
i loro conflitti: dalla costruzione del collegio gesuitico, all’erezione delle collegiate (XVII secolo);
dalle processioni religiose in onore di San Guglielmo, al controllo delle cariche pubbliche (nel
Settecento). Quando però si trattava di tutelare i privilegi di classe di fronte agli attacchi della
borghesia e dei ceti più disagiati, o di difendere il prestigio e il peso politico della città all’interno
del circondario modicano, i notabili sciclitani si ricompattavano senza alcun indugio. Così, le
rivoluzioni che infiammarono il Regno borbonico nell’Ottocento, e che interessarono anche i
territori dell’ex Contea di Modica, videro le famiglie nobili di Scicli impegnarsi congiuntamente
contro l’accentramento degli uffici pubblici a Modica (unendosi alla protesta di Ragusa, Comiso,
ecc.), ma anche nel cercare di mantenere il controllo sociale all’interno della città.
Di fronte all’emergere dei nuovi ceti, le due confraternite reagirono in maniera opposta.
Mentre Santa Maria la Nova accentuò la chiusura oligarchica del proprio gruppo dominante, San
Bartolomeo scelse la strategia opposta: dilatò il numero degli iscritti, imitando così la costruzione di
una vera e propria “macchina” di partito. Nonostante la ristretta base censitaria imposta dal sistema
elettorale, tale allargamento delle adesioni costituirà un valido strumento di pressione e di consenso,
in grado di garantire ai bartolari il controllo futuro del decurionato cittadino.
1.4. Gli equilibri post-unitari
Come già anticipato, con l’ingresso nel Regno d’Italia, Scicli riuscirà a far valere le proprie
ragioni su Palermo, ormai priva del titolo di “capitale del Regno”, e potrà tornare ad amministrare
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autonomamente il lascito del Di Lorenzo. Se i governi di Destra preferirono lasciare immutate le
funzioni delle opere di carità, la Sinistra spingeva però a favore di un più diretto coinvolgimento
pubblico nella loro gestione e nelle finalità. Ad essere criticato fu soprattutto l’istituto dei legati di
maritaggio, accusato a ragione di aver protratto le condizioni di povertà della plebe urbana.
Ovviamente, la città respingeva in maniera compatta tali imputazioni, temendo i notabili di non
poter più contare su quel valido strumento clientelare, e i ceti più poveri di perdere le venti onze del
legato. A fare eccezione erano, naturalmente, i baroni di San Bartolomeo, ansiosi di sottrarre ai
rivali marianisti il controllo del patrimonio di Busacca. Non a caso, a spingere verso un maggior
coinvolgimento pubblico nella gestione dell’opera pia fu anche la sezione locale dei Fasci dei
lavoratori, guidata da Francesco Mormina Penna.
La decisione definitiva di lasciare intatta la quota di patrimonio riservata ai legati di
maritaggio e di devolvere la frazione precedentemente assegnata ai legati di monacazione per la
costruzione di un nuovo ospedale, sposterà su altri piani il confronto politico in città. Ancora una
volta, di fronte all’avanzata dei ceti inferiori, si ricostituì il blocco del notabilato locale, superando
(almeno apparentemente) le antiche divisioni. Il cartello liberale riuscirà a far eleggere deputato il
barone Guglielmo Penna (1895 e 1897) e ad imporsi anche alla guida dell’Amministrazione
comunale, con due Sindaci bartolari (Giovanni Mormina, prima, e Bartolomeo Penna, poi),
affiancati da una Giunta interamente marianista.
Tale blocco di potere non era però destinato a reggere ancora per molto. L’avanzata dei
giolittiani, guidati dal modicano Corrado Rizzone Tedeschi, che sconfisse il barone Penna alle
elezioni del 1900, ricompattò ancor di più i notabili sciclitani. Ma il Rizzone intraprese una
progressiva conquista dei luoghi di potere strategici, a partire proprio dalla confraternita di Santa
Maria la Nova e, attraverso essa, dell’opera Busacca. A rimanere nelle mani della vecchia guardia
fu solo il Municipio.
Il 1909 segnò una nuova svolta nella politica locale. Vedendo a rischio la propria rielezione,
l’onorevole Rizzone tradì gli ex alleati di Scicli e si alleò col vecchio blocco dei “penniani”. Il
nuovo accordo gli permetterà di superare indenne non solo l’esame del 1909, ma anche la rischiosa
consultazione del 1913, la prima che prevedeva il suffragio universale maschile.
1.5. Peculiarità del “partito delle confraternite”
Sono state qui ripercorse molto brevemente le vicende storiche che contraddistinsero la lotta
politica a Scicli per oltre tre secoli. Si è cercato di mostrare come, raggruppato intorno a due
confraternite laicali, il notabilato sciclitano si sia dato battaglia a suon di santi, processioni, legati ed
elezioni, ma si sia sempre dimostrato compatto quando veniva messa a rischio l’autonomia della
città (di fronte alle prepotenze di Palermo o Modica) o la propria supremazia politica.
Emergono però alcuni aspetti che distinguono la concentrazione del notabilato di Scicli
attorno alle confraternite dai comitati teorizzati da Weber e Duverger. Innanzi tutto, la
composizione interclassista delle confraternite permetteva una partecipazione alla vita politica
cittadina anche delle classi più disagiate. Ovviamente, tale adesione era utilizzata in maniera
strumentale dai maggiorenti, ma ha agevolato indubbiamente la formazione di una coscienza
politica anche tra alcuni esponenti della plebe urbana.
In secondo luogo, le vicende che ruotano attorno all’eredità di Pietro Di Lorenzo hanno
anticipato la nascita di una dialettica politica in città, grazie anche alla relativa autonomia
amministrativa di cui Scicli ha goduto dapprima come territorio demaniale, e poi insieme al resto
della Contea di Modica. Anche dopo l’avvenuta annessione al Regno d’Italia, le campagne elettorali
non possono essere considerate gli unici momenti di confronto, giacché la loro preparazione era
connessa alla gestione del patrimonio clientelare offerto dall’opera Busacca. Ciò assicurava
un’attività politica non proprio continuativa, ma per lo meno piuttosto frequente.
Infine, i notabili sciclitani hanno dimostrato in diverse occasioni una discreta tendenza al
progressismo, pur trattandosi di posizioni sicuramente di comodo. La partecipazione ai moti del
1820, quando i Penna e gli altri maggiorenti di San Bartolomeo costituirono una “vendita”
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carbonara, contrapposta alla loggia massonica degli Spadaro e dei marianisti, e l’entusiastica
adesione alla spedizione garibaldina avevano indubbiamente l’obiettivo di far tornare
l’amministrazione dell’opera Busacca a Scicli, ponendo fine al ruolo predominante di Palermo. In
questo modo, essi avrebbero potuto beneficiare delle rendite per rafforzare le proprie posizioni.
Insomma, un progetto gattopardiano, che mirava a cambiare tutto per lasciare ogni cosa immutata.
2. Un socialismo “confessionale”
2.1. Primi esperimenti socialisti
La grave crisi economica che colpì l’Italia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta
dell’Ottocento ebbe ripercussioni ancora più gravi in Sicilia, dove la conversione agro-colturale
attuata da molti coltivatori non portò i guadagni sperati. Per di più, la politica agricola del Governo
non premiava i nuovi imprenditori agricoli, che divennero così un’importante base d’ascolto per chi
da tempo tentava di rivolgersi agli strati popolari per aggregarli e farne una forza politica autonoma.
Nel Modicano, a promuovere questa azione fu Giuseppe De Stefano Paternò, un giovane
avvocato radical-socialista, con cui collaborò anche lo sciclitano Francesco Mormina Penna,
avvocato e studioso del pensiero mazziniano.
La prima esperienza socialista si realizzò con la nascita dei Fasci dei Lavoratori, in cui
confluirono operai, contadini, artigiani e alcuni piccoli imprenditori agricoli. A differenza di quanto
avvenne nel resto dell’isola, i Fasci iblei non assunsero caratteri rivoluzionari, ma si mantennero
sempre su un piano di assoluta legalità, limitandosi a proporre interventi di riformismo progressista.
Ciò non bastò, comunque, a garantirne la sussistenza: i ceti dominanti vedevano nell’esperienza
portata avanti dal De Stefano una pericolosa organizzazione, che si contrapponeva al blocco
dominante. L’azione repressiva decisa dal governo Crispi colpì dunque anche i Fasci del
circondario modicano.
2.2. La penetrazione del metodismo
La presenza di confessioni non cattoliche nel territorio dell’attuale provincia di Ragusa
risultava nell’Ottocento assolutamente marginale. Solo a partire dagli anni Ottanta di quel secolo, le
ideologie protestanti iniziarono a trovare ascolto, in particolar modo a Vittoria e Scicli. In questa
città, fu Giovanni Busi ad introdurre la dottrina evangelica nel 1897. Egli trovò seguito facilmente
tra i braccianti e gli operai, costretti a lavorare in condizioni miserevoli.
Ma il radicamento della Chiesa metodista a Scicli fu soprattutto opera di Giovanni Gattuso di
Brancaccio, un barone meridionale, ex garibaldino, che si fece promotore di un largo movimento
operaio, basato sulla Società agricola e sulla Società operaia, che confluirono poi nei Fasci dei
lavoratori. La repressione del governo Crispi portò in carcere anche lo stesso Gattuso, la cui opera
di pastore fu proseguita a Scicli da Lucio Schirò.
Nato nel 1877 a Parco (oggi Altofonte, in provincia di Palermo), Schirò entrò in contatto con
ambienti socialisti in Umbria, dove prestava servizio per la Guardia di Finanza. Abbandonata la
poco amata carriera militare per dedicarsi all’opera pastorale, fu trasferito a Scicli nel 1908. Due
anni dopo nacque in città, ad opera dell’avvocato Ignazio Piccione, la prima sede del PSI, che vide
lo Schirò tra i più assidui frequentatori, tanto che, nel 1913, questi inizierà a pubblicare un
quindicinale, dal titolo Semplicista!, che diverrà organo di informazione della locale Chiesa
evangelica e del circolo socialista insieme. La pubblicazione sarà però interrotta dalla chiamata alle
armi del direttore nel 1917.
2.3. L’attività politica di Schirò
Dopo il ritorno a Scicli, Schirò trovò una Sicilia profondamente cambiata: il caroviveri, la
disoccupazione, i problemi della smobilitazione dell’esercito e le agitazioni sociali disegnavano il
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quadro del “biennio rosso”. Il circondario ibleo era in prima fila nel condurre la lotta, animato dal
massimalismo socialista, che rivendicava il mito della rivoluzione russa e della dittatura del
proletariato. Anche Schirò abbandonò così il cauto riformismo delle origini e assunse un impegno
diretto in politica, accettando nel 1919 la carica di segretario provinciale del PSI.
Nel 1920, Scicli si preparava ad eleggere il nuovo consiglio comunale e i socialisti, guidati da
Schirò, puntavano a diventare forza di maggioranza, arrivando anche a teorizzare, dalle pagine del
Semplicista! il ricorso alla violenza: «Noi siamo disposti a tutto: se si vuole violenza, sarà violenza!
Colpiremo inesorabilmente e sicari e gaspanazzi e galoppini, ma terremo d’occhio anche i
mandatari! Provveda chi deve, e stiano attenti i signori! Noi vogliamo che la lotta abbia un carattere
civile, che proceda corretta e senza garbugli e allora lotteremo con serenità. Ma se dovessimo essere
costretti a fare quel che nostro malgrado non vorremmo fare: noi siamo votati a tutto!»
2
.
La nuova linea massimalista del PSI ebbe successo: in provincia di Siracusa, i cittadini di
undici comuni votarono in massa per i socialisti e ben otto di queste città appartenevano all’attuale
provincia iblea. In altri otto comuni, tra cui il capoluogo, si affermarono invece i socialriformisti.
Lo stesso successo non si ripeté in altre aree della Sicilia e ciò contribuì a connotare Siracusa come
la “provincia rossa” dell’isola, con il contributo determinante dei comuni iblei.
Con 1981 voti di lista, il PSI andò a costituire la nuova maggioranza consiliare, che elesse
Lucio Schirò Sindaco di Scicli. Il 6 novembre 1920 la bandiera rossa sventolò per la prima volta sul
campanile di San Matteo, una consuetudine che si ripete ancora oggi in caso di vittoria elettorale
delle sinistre. Schirò, nel suo discorso di insediamento al consiglio comunale, illustrò i punti focali
del suo programma amministrativo: innanzi tutto, la povertà, contro la quale sottolineò l’impegno
già portato avanti dai metodisti; in secondo luogo, la disoccupazione; infine, quello che oggi
chiameremmo “stato sociale”, dalla scuola alla sanità.
2.4. La “normalizzazione” liberal-fascista
La radicalizzazione dello scontro sociale portò all’isolamento dei socialisti anche da parte
della piccola borghesia agricola e commerciale, spaventata da una propaganda non sempre
controllata. Si coagulò così un vasto e composito movimento di opposizione al PSI, che,
ovviamente, vide in prima fila i notabili liberali. Sconfitta sul piano elettorale, l’oligarchia locale
ricorse all’ultima risorsa disponibile, ossia la violenza squadrista. Nazionalisti, fascisti e plebaglia
assoldata tra il sottoproletariato urbano organizzarono, sotto la guida del leader nazionalista
modicano Stefano Rizzone Viola, diverse spedizioni punitive. Tra socialisti e metodisti, l’obiettivo
privilegiato degli attacchi era sicuramente il sindaco Schirò.
La resa dei conti si consumò alla vigilia delle elezioni politiche del 1921. Anche a Scicli,
come in tutta Italia, il “listone” liberal-democratico accolse esponenti fascisti, nell’obiettivo di
ridurre drasticamente i consensi socialisti. Tra il 21 e il 25 aprile, inoltre, le violenze si
intensificarono drammaticamente, finché i fascisti giunsero a penetrare in casa Schirò (dove si
trovava anche la moglie incinta), imponendogli sotto la minaccia delle armi le dimissioni da
Sindaco della città. «Il 22 vennero i fascisti forestieri ad impormi le dimissioni e gliele diedi.
Avutele se ne andarono senonché il Direttorio Fascista locale mi mandò l’ingiunzione di
abbandonare Scicli entro 24 ore con tutta la famiglia e malgrado le gravi condizioni della puerpera.
I mandatari mi confidarono che avevano avuto l’ordine tassativo di addivenire a qualunque azione,
anche all’omicidio se avessi resistito»
3
. La prima Amministrazione a guida socialista della città
durò in carica appena sei mesi.
Le elezioni politiche del maggio 1921 si svolsero così nella totale assenza di ogni confronto di
idee e programmi. Grazie anche ad un elevatissimo astensionismo, il “blocco” liberal-fascista
ottenne 43 mila voti in provincia di Siracusa (oltre cinque volte di più di quelli conseguiti pochi
mesi prima), mentre il PSI passò dai 25 mila voti delle amministrative ai 4023 voti delle nazionali
2
Dal Semplicista! del 25/09/1920, anno V, n° 19. L’articolo è firmato “Sepi”.
3 Dalla lettera inviata da Schirò al Procuratore del Re presso il Tribunale Penale di Modica, pubblicata sul Semplicista!
del 09/04/1922, anno VII, n° 5.
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(poco influente in proposito la scissione comunista, visto che il nuovo gruppo porterà a casa appena
423 preferenze).
Nei mesi successivi, la “normalizzazione” si impose anche nei singoli Municipi. A Scicli, i
cittadini tornarono alle urne nel giugno 1922. Anche in quest’occasione, la costituzione di un
“blocco” liberale, in cui erano confluiti tutti i notabili locali, dai Penna agli Scimone, dai Mormina
ai Piccione, allargato anche ad esponenti fascisti, fu determinante. Le tradizionali élites ottennero
2550 voti e 24 seggi in Consiglio comunale, contro i 928 voti socialisti, che valsero loro appena sei
seggi nel Consesso.
Il 12 luglio dello stesso anno, Schirò fu costretto a sospendere definitivamente anche la
pubblicazione del Semplicista!, segnando la fine di un’esperienza politico-religiosa che ha segnato
la storia della città. Caduto il fascismo, il pastore metodista riprese il suo ruolo politico attivo, ai
vertici del PSI provinciale, ma l’orizzonte politico era ormai profondamente cambiato.
2.5. Un partito di massa socialista e confessionale
Il partito socialista capeggiato a Scicli da Schirò presentava tutti gli aspetti che la scienza
politica attribuisce in maniera connotante ai partiti di massa. Nato agli inizi del Novecento, sulla
scia di esperienze precedenti già radicate in città, esso si proponeva di dare finalmente una
coscienza politica ai ceti più disagiati, fino a quel momento strumentalizzati dai notabili. Per fare
ciò, si presentava con un programma di ampie riforme sociali, che proverà anche a mettere in atto
nei pochi mesi in cui si troverà ad amministrare la città. Il radicamento sociale del partito è dunque
innegabile, così come la capacità di mobilitazione. Perfino sotto il profilo della comunicazione
partitica, possiamo ritrovare quell’autonomia specifica del partito di massa, rivolta però
potenzialmente a tutti. Il Semplicista!, infatti, rappresenta un esempio tipico del giornale di partito,
legato in questo caso, anche ad una fede religiosa.
Proprio in questo si colloca l’anomalia del caso sciclitano. Il Partito Socialista,
tradizionalmente aconfessionale, trovò a Scicli uno stimolo al radicamento nella diffusione
dell’ideologia metodista. Le associazioni collaterali, che contribuiscono a seguire la vita
dell’aderente al partito di massa “dalla culla alla tomba”, nel PSI di Scicli si intersecavano con
quelle della Chiesa metodista: le scuole, prima di tutto, frequentate sia da protestanti che da
cattolici, sia da bambini che da adulti (grazie ai corsi serali). Schirò accettava quasi con pudicizia
questo doppio ruolo, di guida politica e religiosa, tanto da ammettere, nel corso del suo primo
discorso da Sindaco: «Io guardo questo posto e mi sento a disagio. Questo posto non è mio, è degli
sciclitani. Il mio posto è alla Chiesa. Ben vengano i paesani a gridare “viva il Socialismo!”, io allora
al loro grido esultante unirò la mia benedizione».
Il PSI sciclitano si colloca dunque all’incrocio tra due delle “fratture” indicate da Martin
Lipset e Stein Rokkan come principio fondante dei partiti politici moderni. Da una parte, si può
individuare il cleavage sociale, che, nell’assenza di uno sviluppo industriale, contrapponeva a Scicli
i braccianti agricoli ai proprietari terrieri; dall’altra, sta invece il conflitto religioso, soprattutto in
materia di istruzione, per la presenza di chiese metodiste che rivendicavano il loro ruolo formativo
per i cittadini sciclitani, protestanti e non. A prevalere fu senza dubbio l’aspetto sociale, che si andò
via via radicalizzando, sia per gli effettivi disagi della popolazione più umile, sia per l’intransigenza
dimostrata dalla classe dirigente nei confronti delle richieste di costoro.
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3. Alla conquista di un nuovo elettorato
3.1. Elettorato d’opinione e “volatilità”
Ancora per tutti gli anni Ottanta, a Scicli la fetta più consistente dell’elettorato era orientata
verso un voto d’appartenenza, basato sulla tradizione culturale familiare ed essenzialmente rivolto
verso i due principali partiti esistenti, quello comunista e la Democrazia Cristiana. L’inizio degli
anni Novanta scardinerà questo dualismo (solo in parte mitigato dalla presenza del Partito
Socialista) per gli eventi che si verificheranno non solo a livello nazionale, ma anche in città, e che
vedranno al centro della scena proprio il PSI.
Ciò che qui interessa puntualizzare, però, è la reazione dell’elettorato a queste vicende. In tal
senso, è interessante notare come ad aver pagato lo scotto della crisi sia stato in misura maggiore il
partito che fino ad allora aveva dominato quasi indisturbato la scena politica locale, ossia il PCI. La
sua eccezionale solidità crollò improvvisamente
4
. Ma soprattutto, mutò profondamente il modo di
rapportarsi dei cittadini nei confronti di quello che fino ad allora era stato visto come un baluardo
della politica locale, e che adesso appariva solo come una delle forze in lotta, per di più ritenuta,
probabilmente a torto, corresponsabile degli scandali di quegli anni. La scomparsa della DC, che in
un primo tempo era riuscita a mantenere un buon numero di consensi, susciterà poco dopo un forte
senso di disorientamento anche nell’elettorato moderato. Si può parlare così anche a Scicli della
nascita di un elettorato d’opinione, turbato dagli agitati eventi politici, nazionali come locali.
In questo contesto cercarono di inserirsi partiti e movimenti liberi da condizionamenti
ideologici, più o meno privi di radicamento nel territorio e votati essenzialmente alla conquista di
incarichi pubblici, fonte di capitali da ridistribuire in parte attraverso i processi dello spoil system.
Si registra, cioè, uno spostamento ideale dei partiti: inizialmente collocati totalmente all’interno
della società civile (partiti dei notabili), essi si erano posti inizialmente come mediatori tra la società
e lo Stato (partiti di massa) per poi, infine, essere assorbiti all’interno di questo (partiti pigliatutto,
partiti di cartello). In Italia non si è ancora verificato un assestamento dell’assetto partitico, così le
commistioni tra formazioni politiche di tradizione differente continuano a ridisegnare il quadro
entro cui gli elettori devono effettuare le loro scelte, sia a livello nazionale che locale.
3.2. Scicli “scende in campo”
Tra le formazioni politiche nate in Italia nei primi anni Novanta, quella più innovativa, sul
piano stilistico e organizzativo, è senz’altro Forza Italia. La “discesa in campo” di Silvio Berlusconi
suscitò un’euforia tale da permettere a questo partito di divenire la prima forza politica italiana a
pochi mesi dalla sua nascita.
Anche Scicli non fu da meno. Il club azzurro in città nacque a ridosso delle elezioni politiche
del 27 marzo 1994. Ne entrarono a far parte personaggi provenienti da esperienze fortemente
differenziate (molti socialisti, ma anche repubblicani, liberali, democristiani), pochi però con
trascorsi politici degni di nota, almeno in un primo momento.
La singolarità organizzativa del partito di Berlusconi, con club legati fra loro solo dalla fedeltà
al leader comune, andò via via scemando, fino a far avvicinare la struttura interna di Forza Italia a
quella di un partito tradizionale. A Scicli, l’assenza di personaggi in grado di addossarsi e
mantenere ruoli di responsabilità ha reso ancor più travagliata la storia del club locale. Non è un
caso se, escludendo le prime tornate elettorali, influenzate dall’entusiasmo iniziale, i consensi di
Forza Italia a Scicli sono sempre stati molto elevati in occasione delle elezioni politiche ed europee,
mentre crollano inesorabilmente quanto più è ristretto territorialmente l’ambito di voto. È
interessante notare, inoltre, come vi sia una forte mobilità di aderenti al partito. Alle numerose
“salite sul carro” dei primi tempi, si contrappongono le importanti defezioni degli anni successivi,
4
Cfr. Dal PCI ai DS: 1976-2001, di Giuseppe Pitrolo, Il Giornale di Scicli, anno XXV n° 18 del 07/10/2001.
11
soprattutto a vantaggio di partiti e liste civiche sempre di centrodestra, ma di orientamento più
moderato.
Recentemente il partito non è stato in grado neppure di esprimere una propria leadership
interna, tanto da doversi affidare ad un commissariamento bicefalo, ossia in mano ai due uomini di
maggior peso in provincia: il senatore Riccardo Minardo e il deputato regionale Innocenzo Leontini,
sempre impegnati in un reciproco controllo, atto a contendersi la leadership provinciale del partito.
I risultati elettorali rispecchiano le alterne fortune di Forza Italia a Scicli. Da un forte
entusiasmo iniziale, che portò il partito di Berlusconi ad avere ben sei consiglieri comunali nel
1994, si passò ad un momento di stanca, reso più evidente dal “vento di sinistra” di quegli anni, nel
1998, quando si riuscì ad ottenere un solo seggio (con un terzo dei voti rispetto a quattro anni
prima); una parziale rimonta si ha nel 2003, frenata però dalla clamorosa bocciatura riservata dai
cittadini al candidato a Sindaco che proprio Forza Italia aveva proposto alla propria coalizione.
Se già risulta difficile classificare Forza Italia, così come si è sviluppata in ambito nazionale,
all’interno degli schemi tradizionalmente offerti dalla Scienza Politica, tanto da indurre alcuni
studiosi a coniare nuove espressioni, quale “partito mediale”, tali difficoltà aumentano quando si
cerca di definire l’esperienza sciclitana del partito dei club. Infatti, l’intenso ricorso ai media è
certamente legato alla leadership nazionale ed ha poco riscontro in ambito locale. Più similarità si
riscontrano piuttosto con il “partito di cartello”, caratterizzato da una base partecipativa ridotta, con
una conseguente professionalizzazione dell’attività politica, e da una ricerca del consenso capital
intensive, allo scopo di controllare le leve del potere e ricompensare gli elettori fedeli con la
distribuzione delle “spoglie”. Il limite maggiore, in questo caso, consiste nelle difficoltà che Forza
Italia di Scicli ha incontrato per introdursi nelle “stanze dei bottoni”: mai al governo della città, a
lungo tempo scarsamente rappresentata in Consiglio, mai in grado di esprimere rappresentanti negli
enti territoriali superiori. In questo modo si spiega probabilmente il mancato radicamento di Forza
Italia nell’elettorato sciclitano, nonostante questo abbia dimostrato di essere legato alla politica
dello spoil system, anche in occasione delle elezioni comunali del 2003.
3.3. I petali della Margherita
L’allontanamento dell’elettorato dagli schemi di appartenenza del passato ha favorito, come si
è detto, l’emergere di esperienze partitiche nuove. Ma se Forza Italia risulta totalmente priva di
radici politiche precedenti, se non nella figura di alcuni suoi esponenti e del suo stesso leader, legato
a doppio filo al socialismo craxiano, in Democrazia è Libertà – La Margherita le radici sono state, e
rimangono tutt’oggi, ben evidenti. In effetti, la Margherita era nata come un semplice cartello
elettorale, tanto che nello stesso simbolo erano ancora riportati quelli dei partiti fondatori. Fu, in
quel caso, il successo elettorale (seppur relativo, nel dilagare della Casa delle Libertà) a determinare
la scelta della fusione, con la conseguente scomparsa nel logo dei riferimenti ai partiti precedenti e,
in un secondo tempo, al leader Rutelli.
A Scicli, la Margherita trasse origine da due gruppi già attivi in città: il primo derivava
direttamente dalla Democrazia Cristiana, attraverso il Partito Popolare Italiano, nato dalle correnti
di sinistra della stessa DC; il secondo nacque con la Rete di Leoluca Orlando, poi inglobata
all’interno dei Democratici di Prodi e Parisi. Entrambi potevano contare su un buon radicamento in
città, soprattutto il gruppo dell’asinello, espressione del Sindaco in carica e partito di maggioranza
relativa in Consiglio Comunale. Il riscontro elettorale non mancò: la Margherita risultò primo
partito cittadino sia alle elezioni regionali che alle provinciali del 2001 e in quest’ultima occasione
riuscì addirittura a far eleggere entrambi i candidati sciclitani al Consiglio provinciale.
I successi delle urne nascondevano però delle forti difficoltà organizzative, tra due
componenti tradizionalmente poco inclini al dialogo reciproco (si ricordi che alcuni fondatori della
Rete in città imitarono il leader Orlando e abbandonarono la DC sbattendo la porta). La goccia che
fece traboccare il vaso fu la grave battuta d’arresto in occasione delle elezioni comunali del 2003,
allorquando la Margherita, pur riuscendo a confermare il Sindaco uscente, dimezzò i propri voti,
lasciando ai Democratici di Sinistra la leadership interna alla coalizione e retrocedendo al quinto
12
posto assoluto. La scelta del proprio rappresentante in Giunta determinò poi una spaccatura tutta
interna alla componente ex PPI. Mentre i maggiorenti popolari sostenevano la candidatura del
coordinatore cittadino del partito, il Sindaco scelse un altro esponente di quel gruppo. Si
determinarono così due fazioni: da una parte gli ex Democratici e una parte della base ex PPI (a
sostegno del nuovo Assessore), dall’altra i maggiorenti popolari, alleati, in sede provinciale, con un
gruppo di ex socialisti facenti capo al Deputato regionale Sebastiano Gurrieri.
La stagione congressuale dell’autunno successivo si svolse in un clima arroventato e sancì
l’affermazione interna del gruppo popolar-socialista, che poté contare sulle strategie di tesseramento
tipiche della Democrazia Cristiana, contro un trascorso movimentista e, quindi, di adesione
informale, dell’altra componente. Gli stessi equilibri si ripresentarono in ambito provinciale,
laddove lo sciclitano Antonino Gentile fu eletto Coordinatore della Margherita iblea, con
l’essenziale supporto del Sindaco di Ragusa Solarino e dell’on. Gurrieri.
Il fatto stesso di aver unificato esperienze politiche fortemente differenti dimostra come la
Margherita si inserisca, a Scicli come nel resto d’Italia, nel filone dei “partiti pigliatutto”. La
rinuncia alle singole ideologie di cui si erano fatti portatori fino ad allora, unificandole in un partito
che si rivolge indistintamente all’intero elettorato, e alle forme organizzative precedenti ha
rappresentato per le componenti della Margherita uno sforzo non indifferente, che ha portato
inizialmente all’instabilità descritta. Il fatto poi che gran parte degli iscritti, al momento del
congresso cittadino, non fossero a conoscenza degli scontri interni al loro stesso partito, dimostra
come la relazione tra i membri ordinari e i leader sia di tipo top-down, laddove l’élite dirigente
organizza e dirige a proprio beneficio la base.
Se vogliamo scendere più nel dettaglio, è possibile anche dare una definizione teorica alle
componenti su descritte, ancora ben evidenti a Scicli. Il gruppo di maggioranza interna richiama nei
propri atteggiamenti politici il modello del “partito clientelare di massa”, descritto da Caciagli in
relazione alla Democrazia Cristiana catanese: il mercato delle tessere, gli interessi di parte, il
clientelismo, ma anche i legami con rappresentanti istituzionali di rango superiore e la capacità di
persuasione nei confronti dei cittadini. Sul lato opposto, è ancora palese il carattere “movimentista”
degli ex retini, con una modesta base di iscritti (compensata da un consenso elettorale piuttosto
ampio), una scarna organizzazione interna e, soprattutto, una decisa intransigenza sulla “questione
morale”. In mezzo, i “transfughi” popolari, chiusi nel limbo di una condivisione dei valori morali di
una parte, ma ancora legati alla struttura organizzativa della componente di origine.
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4. Novità e tradizione sul finire del XX secolo
4.1. Nuove forme di partecipazione politica
L’indebolimento delle tradizionali forme di partecipazione politica, prima fra tutte il partito di
massa, ha portato ad effetti differenziati. Se, da una parte, la creazione di nuovi modelli di partito ha
ripreso alcuni aspetti preesistenti, anche se in maniera non prevalente, dall’altra è possibile
individuare soggetti politici innovativi. Tali inedite caratteristiche possono riferirsi tanto alle forme
organizzative interne, quanto alle issues che vengono presentate all’attenzione degli elettori.
I partiti politici nati in seguito all’allargamento del suffragio avevano il fondamentale
obiettivo di favorire l’integrazione sociale delle masse, che per la prima volta erano coinvolte
all’interno dei processi decisionali. Tuttavia, emerge come gli stessi partiti si siano
progressivamente allontanati dalla società civile, fino ad essere considerati quasi parte integrante
delle istituzioni. Il vuoto che si è venuto così a creare è stato occupato in parte dalla nascita di
numerosi movimenti, che mirano a spostare il policy making verso luoghi più visibili e controllabili.
Non si può comunque parlare di una totale indipendenza di tali movimenti dai partiti
tradizionalmente intesi. Anzi, mentre i movimenti tendono ad influenzare il programma politico dei
partiti, questi mirano spesso a cooptare le nuove aggregazioni. In particolare, sono le formazioni
politiche di sinistra ad aver offerto maggiori possibilità di confronto in questo senso.
Ma si è detto che a mutare non sono solo le forme di partecipazione, ma anche le tematiche
oggetto di discussione. Ai vecchi cleavages proposti da Lipset e Rokkan se ne sono aggiunti degli
altri, basati sulle mutate condizioni della società contemporanea. In particolare, il diffuso stato di
benessere dell’Occidente ha progressivamente indebolito i valori di tipo materialistico, favorendo
l’emersione di tematiche post-materialistiche, quali l’espansione della libertà d’opinione e della
democrazia partecipativa, ma anche la difesa dell’ambiente.
In una piccola cittadina siciliana, qual è Scicli, l’indebolimento dei partiti tradizionali è stato
rallentato sia dal profondo radicamento di questi all’interno della società, vuoi per le ideologie di
cui erano portatori o vuoi per i rapporti clientelari che essi avevano instaurato, sia dalle perduranti
condizioni di arretratezza economica, che hanno reso possibile solo di recente lo spostamento di
interesse verso tematiche post-materialistiche. La prima esperienza “movimentista” di una certa
importanza è stata rappresentata dalla Rete di Leoluca Orlando, che ha trovato a Scicli ampi
consensi; caratteristiche del tutto diverse ha invece il Comitato per Scicli, presente in città da circa
dieci anni.
4.2. La Rete e la “questione morale”
«La DC è un partito che non può essere riformato dall’interno. Restare dentro i partiti, in
generale, è come continuare a giocare in un campo di calcio allagato, dove ci si muove senza
ottenere alcun risultato»
5
. Con queste parole, il Sindaco di Palermo Leoluca Orlando annunciava
anche agli sciclitani il suo addio alla Democrazia Cristiana e la nascita di un nuovo movimento, “La
Rete”, «uno strumento utilizzato per comunicare con la gente normale, che non vuole sentire parlare
il politichese, ma una lingua più comprensibile, diretta, legata alla quotidianità»
6
.
In effetti, così come a Palermo, anche in provincia di Ragusa il nuovo movimento trovò subito
calorosi consensi. Ma fu in particolare a Scicli che esso riuscì ad attecchire, come dimostrato non
solo dai risultati elettorali (i migliori dell’area iblea), ma anche dalla solida tradizione che la Rete
sciclitana riuscì a costruire, tanto che, ad oltre dieci anni dalla sua nascita, è ancora possibile
ritrovare profonde tracce di quell’esperienza nel panorama politico cittadino odierno.
5
Perché ho rotto con la DC, intervista di Maria Cavallino a Leoluca Orlando, Il Giornale di Scicli, anno V, n° 3 del
03/02/1991.
6
Ibidem.
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A Scicli, le origini del movimento di Orlando sono da ricercare in alcuni ambienti
ecclesiastici, critici nei confronti della Democrazia Cristiana, e nell’attività culturale del Circolo
“Vitaliano Brancati”. Ad aderire furono subito non solo i suddetti rappresentanti della cultura
cattolica, ma anche alcuni fuoriusciti del PCI e molti laici, fino ad allora lontani da un impegno
politico attivo. In città, comunque, la Rete mantenne un orientamento palesemente di sinistra, a
differenza di altre zone della Sicilia, in cui era presente anche una componente di destra.
La Rete trovò quindi a Scicli un terreno fertile, anche perché era sempre più diffuso il
malcontento nei confronti di un sistema di potere ormai ventennale, nelle mani di gruppi politici
legati al settore dell’edilizia. Rimandando le spiegazioni più dettagliate, qui basta anticipare che le
clientele e le lotte fratricide (spesso al calor bianco) all’interno dei partiti portarono, tra la fine del
1991 e l’estate del 1992, prima all’arresto di alcuni componenti la Giunta municipale e, poi, allo
scioglimento del Consiglio comunale su decreto del Presidente della Repubblica, per presunte
infiltrazioni mafiose. In realtà, apparve chiaro a molti (e la magistratura lo chiarì in seguito) come la
matrice di quei fatti fosse politica più che mafiosa. E proprio la neonata Rete fu tra le prime a
denunciare questo stato di cose.
Il primo appuntamento elettorale per il movimento di Orlando furono le elezioni regionali del
1991. Nonostante non ci fossero candidati locali (il gruppo era ancora troppo disorganizzato), la
Rete raccolse più di 5 mila voti in provincia, di cui 772 a Scicli. Già l’anno successivo, apparve
evidente come il gruppo di Scicli fosse il più adatto a guidare la Rete iblea: sia per la Camera che
per il Senato erano infatti presenti due candidati sciclitani e di questi il primo, Mario Occhipinti,
non riuscì ad essere eletto per poco più di 600 preferenze nella circoscrizione della Sicilia orientale.
La prima esperienza amministrativa della Rete durò solo un anno: eletta nel 1994, la Giunta guidata
dal diessino Lonatica, con la retina Franca Carrabba nel ruolo di Vicesindaco, si dimetterà l’anno
successivo, soprattutto per una propria debolezza caratteriale.
Inizierà invece nel 1998, quando ormai la Rete si preparava a confluire nei Democratici di
Prodi, quel ciclo che vede ancora Bartolomeo Falla (allora Consigliere uscente della Rete) Sindaco
di Scicli. La sua candidatura nacque in una fase travagliata per il centrosinistra, tanto che la
coalizione presentò in quella tornata elettorale tre diverse proposte agli elettori, tra cui, appunto,
quella di Falla, sostenuto, oltre che dalla lista Rete-Verdi, anche da Rifondazione Comunista. In
testa sin dal primo turno, Falla si affermerà al ballottaggio con 3000 voti in più rispetto al
concorrente diessino.
È questa ancora la traccia più evidente che la Rete ha lasciato nella vita politica sciclitana. Ma
non è certo l’unica. L’elezione di Mario Occhipinti al Senato nel 1996, la candidatura di Paolo
Nifosì alle elezioni europee del 1999 (sotto il simbolo dei Democratici) e gli ottimi risultati, con la
Margherita, di Franco Susino alle regionali e alle provinciali del 2001, nonché la riconferma di
Falla nel 2003, stavolta sostenuto dall’intero centrosinistra, dimostrano come da tredici anni quel
gruppo di persone, politici per vocazione piuttosto che per professione, continua a mietere consensi
a Scicli, ma anche nel circondario, sia negli ambienti politici che nell’elettorato.
Ma ciò che è più interessante sottolineare, ai nostri fini, è la persistenza di un carattere
“movimentista”, anche all’interno di un partito più solido, quale la Margherita, che rappresenta
l’ultima tappa del percorso politico svolto dalla Rete. L’effetto più evidente di ciò si ha mettendo a
confronto gli equilibri interni del nuovo partito: se sul piano elettorale si ha una decisa superiorità
della componente oggetto di analisi, questa subisce invece una carenza organizzativa rispetto alle
iscrizioni formali, dovendo così cedere la leadership interna alla componente ex popolare. In questo
influisce anche, probabilmente, la costante attenzione rivolta alla “questione morale”, da cui le
accuse di intransigenza e di khomeinismo, che sottopone il gruppo ad una costante autocritica. Per
cui, inserirsi in quella compagine significa inevitabilmente rinunciare ad una politica di basso
profilo e mantenere l’etica come punto di riferimento essenziale. Questo, probabilmente, scoraggia i
più.
15
4.3. Un nuovo “comitato”
Come già detto, nel 1995, appena un anno dopo il suo insediamento, la Giunta di
centrosinistra retta da Giuseppe Lonatica rassegnò le proprie dimissioni. I cittadini sciclitani
tornarono così alle urne per eleggere il nuovo Sindaco, rimanendo immutata la composizione del
Consiglio comunale. In una situazione di questo tipo, appare evidente come una candidatura
personale abbia più possibilità di emergere rispetto ad elezioni in cui i partiti presentino i propri
simboli. Ed in effetti, al di là di ogni previsione della vigilia, si verificò proprio questo. Rispetto ai
candidati di centrosinistra, Vincenzo Agosta, e di centrodestra, Pietro Sparacino, emerse l’ex
repubblicano Adolfo Padua. A sostenerlo fu un gruppo di persone con retroterra politico-culturali
fortemente differenziati, ma anche molti professionisti fino ad allora poco impegnati nella politica
attiva. Sostanzialmente, Padua riuscì ad aggregare il consenso di un vasto ceto moderato-
conservatore, cui si aggiunsero alcuni personaggi vicini alla sinistra, ma delusi dal comportamento
di quei partiti, ritenuti a torto responsabili della caduta di Lonatica. Da quell’esperienza nacque il
“Comitato per Scicli”.
Probabilmente in modo inconsapevole, i fondatori della lista civica scelsero per la stessa una
definizione politologicamente appropriata. L’organizzazione interna ricorda infatti proprio i
comitati notabilari ottocenteschi, sorti attorno ad un leader da far eleggere. Ottenuto l’obiettivo,
l’impegno politico continuava per il solo rappresentante istituzionale, mentre gli altri rimandavano
il vincolo alla tornata elettorale successiva. Così anche a Scicli, a circa un secolo di distanza,
l’esperienza si ripropose in maniera simile. Inizialmente, solo un gruppo di “notabili” locali si riunì
attorno alla candidatura di Padua. Attraverso questi, poi, si cercò di contattare anche persone di
livello sociale meno elevato, raggiungendo all’incirca il numero di cinquanta comites attivamente
impegnati. I tre anni dell’amministrazione Padua rappresentarono il periodo d’oro del Comitato per
Scicli. L’assenza di una maggioranza consiliare costringeva la Giunta a ricercare un dialogo con
tutti i partiti, ma allo stesso tempo ad intraprendere una politica più che apartitica, quasi apolitica,
cioè priva (a parere degli oppositori) di progettualità di ampio respiro. Un elemento positivo di
quell’esperienza amministrativa fu però sicuramente l’aperto confronto politico, privo di preconcetti
basati sulle rispettive appartenenze. Non a caso, il Comitato non ha mai voluto assumere una
posizione preconcetta all’interno delle due coalizioni prevalenti, fino a subire per questo motivo una
scissione interna. Adolfo Padua, infatti, dichiarò nel 1998 il proprio sostegno all’alleanza di
centrodestra, mentre la lista civica presentò un proprio candidato autonomo. Tale scelta si spiega
con una scelta centrista ritenuta irrinunciabile, nonché alle difficoltà dichiarate nell’intraprendere un
dialogo con le forze collocate agli estremi delle due coalizioni, Alleanza Nazionale, da una parte, e
soprattutto Rifondazione Comunista, dall’altra. La tendenza centripeta di AN, rispetto
all’intransigenza del partito di Bertinotti, ha indotto infine il Comitato per Scicli a sostenere la
candidatura del candidato della Casa delle Libertà, Manenti, nel 2001, nonostante Falla avesse
lasciato aperto uno spiraglio nella possibilità di un accordo. Ma se già alle origini l’attività
istituzionale risultava in parte separata da quella politica del gruppo, ancor di più nell’attuale
legislatura l’unico rappresentante in Consiglio comunale si trova spesso ad agire autonomamente,
mentre solo per le questioni più rilevanti si riuniscono i componenti della lista civica, al fine di
assumere una posizione condivisa. Il progressivo disimpegno di molti aderenti, la maggior parte dei
quali confluita nell’UDC al seguito di Padua, farebbe supporre una prossima sparizione del
Comitato per Scicli dal panorama politico locale, con una conseguente diaspora dei suoi aderenti.
L’unica alternativa possibile appare al momento la ricerca di un nuovo leader carismatico, che
possa raccogliere il consenso del ceto medio, così come lo era Padua. Ma se il radicamento del
bipolarismo rende praticamente impossibile la costruzione di una forza centrista autonoma, il
definitivo inserimento all’interno della coalizione di centrodestra farebbe rischiare al Comitato una
nuova scissione che ne ridurrebbe ulteriormente le forze.