~ 21 ~
1.1.3 Il Rinascimento: la traduzione come “bene di consumo”
Nonostante nel Medioevo non siano mancate riflessioni sul problema della
traduzione, durante il Rinascimento il dibattito assume un profondo cambiamento
di concezione.
Per quel che riguarda l’ambito religioso, viene messo in discussione il metodo
letterale (utilizzato per non falsare il Verbo divino). Infatti come scrive San
Gerolamo: “Nella Sacra Scrittura l’ordine stesso delle parole è un mistero” (San
Gerolamo, De optimo genere interpretandi).
~ 22 ~
Alla base di tale affermazione vi è dunque l’idea che un testo sacro dovesse essere
tradotto parola per parola, al fine di garantire la massima fedeltà ed limitando il
rischio di fornire un’interpretazione personale.
In campo profano la situazione è molto diversa: tradurre non significa più quello
che intendevano i teologi ma trasferire in senso di un testo da una lingua ad un
altro. Il rifacitore gode di molta libertà e può decidere di sviluppare o trasformare
il testo secondo le sue necessità o i gusti del tempo e del luogo.
Con il Rinascimento inizia a scomparire l’abitudine di chiamare volgari le lingua
nazionali (in contrapposizione al latino, considerato come l’unica vera lingua
nobile) ed il riconoscimento di queste come mezzi di comunicazione del pensiero
letterario, giuridico, diplomatico, filosofico e scientifico. Muta quindi la natura
stessa della traduzione.
Questo fenomeno di trasformazione è legato particolarmente ad un evento
importantissimo: l’invenzione della stampa. Infatti se da un lato assistiamo ad una
crescita rilevante del numero di lettori che ignorano il latino ed il greco (per quel
che riguarda la letteratura profana), nell’ambito della letteratura religiosa le
conseguenze sono enormi. La storia della traduzione della Bibbia nel
Cinquecento è particolarmente legata alla nascita del protestantesimo ed alle varie
correnti della Riforma. Nasce dunque la necessità di tradurre le Sacre Scritture
nelle varie lingue nazionali, non più attraverso una traduzione letterale ma
fornendo l’interpretazione del vero significato.
Il Cinquecento è l’epoca in cui Lutero offre la prima traduzione completa della
Bibbia in tedesco. Nell’opera Sendbrief vom Dolmetschen (Epistola sulla
traduzione) egli affermerà che per tradurre bisogna capire il senso intimo del testo.
Proprio per questo motivo il falso cristiano o il falso ebreo non potranno mai
tradurre il Vangelo. Infatti tradurre il Vangelo significa trasferire da una lingua di
partenza ad una lingua di arrivo il significato di ogni passaggio, non
semplicemente la singola lettera.
Abbiamo già detto che nell’ambito della letteratura profana aumenta notevolmente
il numero delle traduzioni e le possibilità stilistiche legate all’arte della
~ 23 ~
traduzione. Infatti a partire da questo secolo una serie di scrittori e traduttori
stabiliranno le norme del ben tradurre.
In particolare, Etienne Dolet nel trattato Manière de bien traduire d’une langue en
aultre (Il modo di ben tradurre da una lingua ad un’altra) fornirà cinque regole
fondamentali, tutt’ora attuali:
1. Comprendere il significato del testo e l’argomento trattato dall’autore
che si vuole tradurre;
2. Conoscere perfettamente la lingua originale e quella in cui si vuol
tradurre;
3. Non essere schiavi del significato letterale;
4. Attenersi alla lingua francese di uso comune ed evitare i latinismi;
5. Ricercare uno stile elegante, senza tante pretese, e soprattutto
uniforme;
Fondamentalmente potremmo dire che il Rinascimento rompe la versio
medievale, legata alla traduzione letterale. Lo sviluppo della traduzione si può
ricollegare e misurare attraverso la produzione di dizionari bilingui e poliglotti; ad
esempio il Dizionario delle otto lingue in greco, latino, fiammingo, francese,
spagnolo, italiano, inglese, tedesco (1550). La fine del XVI segna il momento in
cui la traduzione si avvia a diventare un bene di consumo.
1.1.4 Il Classicismo: la bella infedele
Il Seicento è caratterizzato da un elemento che segna la storia della traduzione:
centro della polemica è il fiorire in Francia, e successivamente nel resto
dell’Europa, di un tipo di traduzione che è stato definito belle infidèle (la bella
infedele). Si tratta di una serie di adattamenti che “ammodernavano” le opere
classiche secondo i gusti contemporanei, con lo scopo di migliorarle.
~ 24 ~
Naturalmente le polemiche non mancheranno: Madame de Lafayette paragona i
traduttori ai domestici “che vanno a portare un messaggio da parte del loro
padrone, e spesso riferiscono il contrario di quello che è stato loro detto. […] Essi
hanno anche un altro difetto da domestici: quello di credersi gran signori come il
loro padrone, soprattutto quanto questi è molto antico”. Montesquieu, nelle
Lettres Persanes, sarcasticamente riferendosi al traduttore fiero di star lavorando
da vent’anni alla stessa opera, afferma: “Come signore! Sono dunque vent’anni
che lei non pensa?”. Infine Voltaire, limitando il lavoro di traduzione dei testi
poetici, dichiara: “Che non si creda di conoscere i poeti attraverso le traduzioni;
sarebbe come pretendere di vedere in una stampa i colori di un quadro”.
Per quanto riguarda il linguaggio, anche nel periodo classico persiste l’idea che
aveva caratterizzato il Medioevo: ovvero la supremazia delle lingue classiche
(greco e latino), considerate lingue perfette, dotate di ricchezza semantica e
stilistica. Al contrario le lingue moderne venivano considerate inferiori, ovvero
idiomi più deboli per nobiltà e tradizione.
La teoria della supremazia delle due lingue classiche è legata ad ipotesi religiose
riguardanti l’origine delle lingue: queste sarebbero state tanto più perfette, quanto
più vicine all’origine del mondo, per poi essere condannate ad una progressiva
decadenza. Questa teoria è stata rielaborata , poco meno di cent’anni fa, dal
linguista tedesco Schleicher: “La storia linguistica significa decadenza delle
lingue in quanto tali, dominate come sono dall’evoluzione graduale dello spirito
verso una libertà sempre maggiore”.
Moltissime sono, dunque, le opere dedicate alla traduzione, pubblicare in Francia
ed in Germania. Sarà poi l’Inghilterra a concludere l’epoca classica attraverso la
pubblicazione dell’ Essay on the Principles of Translation di Alexander Fraser
Tytler, nel 1970. Questo trattato rappresenta quindi il primo tentativo di esaminare
l’attività della traduzione su basi moderne e scientifiche.
~ 25 ~
1.1.5. Il Romanticismo ed il consolidamento delle lingue nazionali
Durante il Romanticismo assistiamo alla rivalutazione delle lingue nazionali ed al
fiorire del sentimento nazionale. Questo consolidamento porterà ad una critica del
gusto e della moda francese, ponendo le basi per la nascita della teoria della
traduzione moderna, attraverso la quale si imparerà a cogliere le differenze
esistenti fra epoche e civiltà
diverse
1
( Cfr. G. Mounin, Teoria e storia della Traduzione). Nell'ambito della
traduzione, queste rivoluzioni ideologiche, porteranno ad una critica nei confronti
delle belle infedeli, che avevano "francesizzato" la letteratura di tutta Europa.
Infatti queste "imitazioni" di opere antiche saranno considerate, da ora in poi,
esempi di cattiva traduzione.
In quest' epoca assistiamo, inoltre, ad un importante tentativo di creare una teoria
della traduzione: Goethe, nell'opera Westöstlicher Diwan (1819), individua tre
diversi tipi di traduzione:
1. La prima, in prosa, può essere considerata un primo tentativo di prendere
confidenza con la cultura straniera. Si tratta quindi della cosiddetta
traduzione scolastica;
2. Il secondo genere di traduzione è quello delle traduzioni che hanno come
scopo quello di avvicinare il testo straniero alla cultura d’arrivo, a scapito
della fedeltà all’originale. Più che traduzioni si potrebbe parlare di
"adattamenti". In questo caso Goethe fa riferimento alla pratica delle
traduzioni denominate "belle infedeli", diffuse soprattutto nella cultura
francese del tempo, alle quali affida un valore molto ridotto;
3. Il terzo genere di traduzione, l’ultimo e il più alto, è caratterizzato dal
tentativo di riprendere i tratti dell’originale (dal punto di vista retorico,
metrico, ritmico e sintattico) trasferendoli nella cultura d’arrivo: stiamo
parlando della traduzione integrale;
~ 26 ~
Un primo tentativo di traduzione integrale viene effettuato da Leconte de Liste, il
quale pubblica nella seconda metà del secolo una traduzione dell'Iliade.
Nell’introduzione dell’opera l’autore afferma infatti: "Il tempo delle belle e
infedeli è passato, ed è in atto un chiaro movimento di ritorno verso l'esattezza del
significato e la fedeltà letterale al testo.
Quello che alcuni anni or sono era solo un tentativo fortunoso, oggi è divenuto un
bisogno meditato di tutte le menti elevate. Diffondendosi, il gusto del pubblico si
è purificato".
1.2 La teoria della traduzione nel XX secolo
Nonostante la traduzione sia una disciplina “vecchia quanto il mondo” (Bouton,
1982), gli studiosi del linguaggio del passato non le hanno mai prestato grande
attenzione. Abbiamo già parlato dell’esistenza di una scuola di interpreti a Toledo,
risalente al XII secolo (paragrafo 2.2), ma solo recentemente si è tentato di
costruire “una teoria ed una storia” della traduzione, per la formazione di
interpreti e traduttori.
A partire dal XX secolo sono state elaborate teorie linguistiche riguardanti il
fenomeno della traduzione. La traduzione cessa così di essere considerata una
branca minore della linguistica o della letteratura comparata e si afferma come
disciplina autonoma. La parola traduzione viene citata quasi per caso nei trattati di
linguistica generale: il termine, infatti, non compare negli scritti di Saussure,
mentre Bloomfield la descrive come un’operazione semi-automatica e materiale,
che sembra non avere particolari problemi (Mounin, 2004). Solo in seguito alle
prime ricerche sulla traduzione automatica, nasce la necessità di creare una “teoria
della traduzione” da un punto di vista linguistico. I veri promotori di queste
ricerche furono, per lo più, ingegneri, matematici e logici. Al contrario,
nell’ambito della linguistica generale, furono pochi gli studiosi ad approfondire il
tema della traduzione.