Prefazione: intenzioni
Ricreare uno spazio è quello che, prima di tutto, vorrebbe fare questo
lavoro. Un luogo la cui origine e i cui limiti derivano dai contrasti e dalle
discussioni intorno a problemi pratici che, nella loro essenzialità, hanno
dato modo di riflettere sulla praticabilità di un’idea radicalmente diversa di
società. Questo spazio, generato da confronti che si proponevano di
scegliere le strade migliori per realizzare la società anarchica, è
caratterizzato da una tensione politica più simile a un equilibrio dinamico
fatto di scontri e passaggi, che a un monolite privo di imperfezioni. È uno
spazio che viene a scolpirsi e a formarsi dalle incisioni che queste
discussioni hanno provocato su un’idea iniziale, forse molto coerente, ma
ancora da farsi e precisarsi. Ripercorrere alcune di queste dispute, fondanti
nella loro problematicità, con lo scopo di rivisitare quella linea, di
collegamento e di confronto, tra i due limiti ideali e politici dell’anarchia e
della democrazia, è lo scopo principale di questa tesi. Sostenere che la
tensione politica tra aspirazione anarchica e possibilismo pratico, presente
in queste discussioni di metodo e di principi, abbia dato origine al primo
socialismo liberale in Italia è una tesi di questo lavoro.
L’idea di base dello scritto consiste dunque nel testare i confini di
un’idea: quella anarchica. ‘Testarla’ significa discuterla. Mettere l’utopia di
fronte alla sua frizione con la realtà. Tenteremo quindi di conoscere il
percorso di un’idea politica confrontandoci con alcuni problemi
direttamente connessi alla possibilità stessa dell’anarchia. Problemi
inerenti alla sua praticabilità che sono stati direttamente affrontati da molti
pensatori e militanti del pensiero libertario. In particolare, si è deciso di
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rivisitare questo percorso ideale considerando alcuni problemi le cui spesso
opposte soluzioni sono in grado di illuminare alcuni snodi centrali del
pensiero anarchico - socialista.
Non ci si azzarda qui a separare troppo drasticamente i due termini –
anarchia e socialismo - perché, proprio su disquisizioni politiche e pratiche
similari a quelle che verranno proposte in questa sede, le due strade si
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sono a volte incrociate, a volte separate, a volte riunite .
Soprattutto in Italia - luogo e terreno di cui si occuperà principalmente
questo lavoro - è stato proprio nelle dissertazioni intorno ai modi di
realizzare il mondo futuro che, allontanandosi e avvicinandosi di volta in
volta, l’idea del socialismo e quella dell’anarchia si sono andate delineando,
sviluppando e precisando.
Errico Malatesta, Francesco Saverio Merlino, Gaetano Salvemini e
Camillo Berneri, sono tra gli autori che questa tesi vuole riproporre.
Questi stessi autori hanno provato, nella propria vita e sulla propria
pelle, il chiasmo presente tra queste tendenze politiche, se non opposte,
certo non coincidenti. Nel loro pensiero si sono spesso intrecciati rifiuto
politico e progettualità sociale, riformismo e rivoluzionarismo, utopia e
pratica e, in ultimo, democrazia e anarchia. Saverio Merlino è stato, con
Malatesta, uno dei principali militanti anarchici italiani durante gli anni
della sua giovinezza, salvo convertirsi al socialismo libertario e riformista
intorno al 1897 e riavvicinarsi parzialmente agli anarchici negli ultimi anni
della sua vita. Gaetano Salvemini fu storico, socialista federalista e maestro
di Carlo Rosselli e di Camillo Berneri. Rimasto unico sopravvissuto della sua
famiglia dopo il terremoto di Messina del 1908, fu costretto dal fascismo
all’esilio prima in Francia, poi in America. Nel contesto di questo lavoro
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Cfr. Malatesta Errico, La base fondamentale dell’anarchismo, “Umanità Nova”, 25 luglio 1920:
«anarchia e socialismo sono due concezioni sublimi (per noi si confondono in una sola) che
abbracciano tutta la vita umana e la spingono verso le più alte idealità *…+».
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vengono riprese soprattutto le sue lucide osservazioni sulla democrazia e il
suo particolare metodo di riflessione politica: il problemismo. Tale metodo
consiste nel non perdere mai di vista i problemi concreti
dell’organizzazione politica: è dalla risoluzione degli snodi più pratici che
può partire una chiara riflessione teorica. Camillo Berneri, ucciso dagli
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stalinisti nella notte tra il cinque e il sei maggio del 1937 , sul finire della
guerra civile spagnola, è passato da giovanissimo dal socialismo legato a
Prampolini all’anarchismo ma, su questa linea ideologica, ha sempre
cercato di porre in maniera problematica alcuni ‘dogmi’ della tradizione
dell’anarchismo classico, allo scopo di uscire da certe chiusure che vedeva
come un limite al realizzarsi del progetto libertario. Proprio in questo tiro
alla fune tra utopia morale e possibilismo pragmatico, si estende la
discussione politica che, nel momento stesso in cui crea il dibattito, traccia
nuovi sentieri.
Così la discussione di base anarchica del 1897 tra Errico Malatesta e
Saverio Merlino, dall’affrontare la questione tutta strategica sulla
partecipazione elettorale, passerà senza salti concettuali alla discussione,
tutta di principi sul concetto di rappresentanza politica.
La revisione e la critica del marxismo, iniziando da una considerazione
apparentemente teorica sul concetto di valore—lavoro, passerà alla critica
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Cfr. Per esempio: C. Venza, Anarchico, non liberale, “A, Rivista Anarchica”, anno 37, n. 331,
Dicembre 2007 – Gennaio 2008: «l’omicidio era stato giustamente denunciato dagli anarchici e
da altri rivoluzionari e la responsabilità venne attribuita agli stalinisti italiani che d’altra parte lo
avevano pubblicamente rivendicato. *…+ Si veda, ad esempio, quanto scriveva verso la fine del
maggio 1937 “Il grido del popolo”, foglio dell’emigrazione italiana in Francia, da loro controllato.
“Il Grido del Popolo”, organo ufficiale del PCI a Parigi, nel maggio pubblicava testualmente:
“Camillo Berneri, uno dei dirigenti degli Amici di Durruti, che, esautorato dalla direzione stessa
della FAI Iberica, ha provocato il sanguinoso sollevamento contro il governo del fronte popolare
della Catalogna, è stato giustiziato dalla Rivoluzione democratica a cui nessun antifascista può
negare il diritto della legittima difesa”. E questo con buona pace di chi cerca di scaricare le
responsabilità degli stalinisti nell’esecuzione dell’omicidio. Il brano in corsivo è consultabile
su: www.europaplurale.org/ep_32006.pdf». Vedi anche il contributo video di su Camillo Berneri:
(http://www.youtube.com/watch?v=VPEMyKrtZlo) di Carlo De Maria, Fiamma Chessa e Claudio
Venza.
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pratica e politica della sospetta ‘dittatura del proletariato’, e alla sua
possibile deriva totalitaria. La necessità di un programma e di un progetto
politico porta alle riflessioni sullo stato libertario come approssimazione
storica dell’idea anarchica, e la discussione sui mezzi da utilizzare si riflette
in quella sui fini da raggiungere. Del resto, è lo stesso Malatesta a ribadirlo
più volte: nell’anarchismo, il mezzo e il fine sono collegati a tal punto che,
se si dovesse vincere la rivoluzione sociale tramite un eccesso di violenza,
sarebbe meglio perdere perché quel minimo di libertà che viene
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conquistato con la forza è come perduto e, più in generale, i mezzi non
devono essere in contraddizione con il fine perseguito.
Una discussione per problemi sulla praticabilità della ‘società ideale’, è
in linea con la precarietà esistenziale dei pensatori di cui questo lavoro si
occupa. Autori che, per motivi di oppressione e di propaganda, hanno
scritto più articoli e frammenti che lunghe opere complete. Partendo
spesso da problemi pratici per arrivare a concetti teorici; a volte invece,
come nel caso della revisione al marxismo, seguendo il percorso contrario:
così da legare teoresi e propaganda, parola e azione, vita e pensiero.
Strutturato in diversi capitoli, questo lavoro è diviso principalmente in due
parti: la prima essenzialmente economica, la seconda prevalentemente
politica. La parte economica ha due intenti: l’uno storiografico e l’altro teorico.
Il primo scopo consiste infatti nel rivalutare la figura di Saverio Merlino,
isolato e diffamato a suo tempo dai socialisti maggioritari e, a parte rare
eccezioni, poco considerato successivamente. Quel che mi preme far
notare è soprattutto che il revisionismo marxista in Italia non sia stato un
troppo semplice ‘confronto a due’ tra Labriola e Croce, ed anzi, come
Merlino abbia influito, se non di più, sicuramente prima, (e in modo più
pratico) su grandi revisionisti esteri quali ad esempio Bernstein, nel quale,
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Cfr. A. Borghi, Vivere da anarchici, edizioni Alfa, Bologna 1966, pp. 207-209. Ma Cfr. anche
Errico Malatesta, Il terrore rivoluzionario, in «Pensiero e Volontà», 1° ottobre 1924.
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come nel pensiero di Merlino, la revisione dell’economia marxista conduce
direttamente ai rapporti tra socialismo e democrazia. Bernstein vedeva
infatti l’istituzione democratica non solo come il mezzo per attuare il
socialismo, ma come la forma in cui concretizzarlo. Merlino non è così
ottimista nei confronti della democrazia, ma anche in lui la critica
dell’economia marxista conduce direttamente ad un’analisi politica che ha
la democrazia come oggetto, e che non auspica la distruzione del sistema
socio-politico esistente, ma un suo perfezionamento.
Il secondo scopo – quello teorico – consiste nell’esporre la critica
economica marxista del revisionismo tra fine Ottocento ed inizio
Novecento (essenzialmente in Italia), tramite Merlino ed altri autori a lui
collegati (Graziadei, Croce e Bernstein principalmente) e nel valutare quale
impatto abbia provocato tale critica economica sulle mosse pratiche del
socialismo. La riconsiderazione del concetto di valore—lavoro e la
confutazioni di talune previsioni marxiste quali la teoria del crollo e la
scomparsa dei ceti medi, hanno costretto la sinistra dell’Internazionale a
deviare con forza dal sentiero rivoluzionario. Tale deviazione ha portato,
per esempio, in Germania alle prese di posizione di Bernstein ed alla via
parlamentare della socialdemocrazia, e in Italia alla vittoria di un socialismo
maggioritario e in accordo col governo, di cui possiamo designare Turati
come leader e che ha ignorato, se non diffamato, quella ‘terza via’, di
ispirazione libertaria che tentava di conciliare autonomia politica e
realismo pratico e, tra gli altri, aveva Merlino come possibile ispiratore.
L’idea di fondo che percorre questo lavoro è che, andando a mettere in
crisi alcune previsioni ed alcune teorie economiche marxiste, si sia aperto
per necessità il bisogno di trovare una via politica diversa, sia dal
socialismo parlamentare, sia da quello di Stato, derivante per Merlino da
una burocrazia eccessiva che la pianificazione comunista non potrebbe
evitare. Da questa esigenza politica nasce il dibattito (di tattica e di
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strategia) sulla questione elettorale e i primi passi di questa terza via, che
ritrovo, anche per molti contatti teorici tra la figura di Merlino e quella di
Berneri, nello ‘stato libertario’ di quest’ultimo.
La riflessione di economia generale di fine Ottocento ha quindi
complicato e diversificato la concezione marxista a tal punto da rendere
necessario un nuovo socialismo; un socialismo senza Marx, più morale che
scientifico, più umano che politico e che possa ravvisarsi nel cordone
Merlino – Berneri come continuo dibattito tra democrazia e anarchia. Tra
la forma governativa della prima, e il demone critico della seconda.
Questa terza via, alla fine del diciannovesimo secolo, è terza rispetto al
socialismo e al liberalismo che stavano prendendo la forma dello statalismo
da una parte e del liberismo economico dall’altra. Nei confronti del primo,
l’esigenza era quella di staccarsi da un’ortodossia schematica e
deterministica che il marxismo (anche per opera di Kautsky ed Engels)
acquistò negli anni del positivismo. Nei confronti del secondo, lo scopo era
quello di riportare il liberalismo ai suoi valori generali e storici: il rispetto
per eguali libertà individuali contro la versione che identificava il ‘giusto’
liberalismo con il libero mercato e lo Stato minimo. Per dirla con Rosselli,
insomma, ricordare al liberalismo che lo scopo è liberare l’uomo, non
l’uomo borghese. Come nota anche Nadia Urbinati, «non a caso, in Italia fu
un anarchico (cioè un liberale radicale ed un socialista non marxista),
Francesco Saverio Merlino, a rappresentare questa prima fase della terza
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via socialista liberale ». L’esigenza di questa strada coincideva con il
tentativo di riunire l’idea di giustizia sociale con quella di libertà
individuale.
Nel caso di Merlino, questo sentiero alternativo consisteva nel
contrastare il determinismo generato dal marxismo socialista della seconda
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Cfr. N. Urbinati, Supplemento al n. 112 della rivista “Una città”, La sinistra e le due libertà; Il
socialismo liberale nella tradizione politica italiana, Forlì 2004.
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Internazionale e far rivalere contro gli anarchici l’importanza
dell’organizzazione politica (e di certe istituzioni) per raggiungere una più
ampia libertà, col metodo della libertà. Come Rosselli, pur a modo suo,
Merlino vedeva il socialismo non come una rivoluzione contro il
liberalismo, ma come una sua continuazione.
Questo lavoro inizia con un breve excursus sul riformismo marxista in
italia per poi presentare una sintesi delle principali tesi economiche di
Marx, attraverso la visione di un anarchico: Carlo Cafiero. La scelta di
Cafiero ha due motivi: lo stesso Marx si complimentò con lui per aver
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saputo raccogliere lo spirito del Capitale , e l’autore fa parte della
medesima corrente – quella libertaria – in cui Merlino si trovò a studiare e
lottare per una metà della sua vita. Inoltre, il libretto di Cafiero,
riassumendo le idee economiche di Marx, mostra come l’idea del valore—
lavoro sia utilizzata come strumento per analizzare il capitalismo da una
concezione che Graziadei definisce di ‘singola impresa’ e aiuterà a
comprendere la critica di Merlino che, proprio partendo dall’obiezione alla
teoria del valore marxista, si concluderà con una più ampia stroncatura
della sua teoria economica.
In seguito vedremo certe distorsioni storiografiche che Benedetto Croce
e il suo maestro Antonio Labriola hanno imposto relegando all’angolo
alcuni studiosi quali Merlino e presentando come frutto di una loro
semplice discussione intellettuale i riflessi del revisionismo marxista in
Italia; dunque noteremo alcune notevoli differenze d’impostazione teorica
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C. Cafiero, Il Capitale di Karl Marx, Compendio, Editori Riuniti, Roma 1996, p. 97 «Caro
Cittadino, Ringraziamenti sincerissimi per i due esemplari [inviati da Cafiero a Marx nel 1879]
del vostro lavoro! Tempo fa ricevetti due lavori simili, l’uno scritto in serbo, l’altro in inglese
*…+; ma peccano, l’uno e l’altro, volendo dare un riassunto succinto e popolare del Capitale, e
attaccandosi, nel contempo, troppo pedantemente alla forma scientifica dello sviluppo. In tal
modo essi mi sembrano mancare più o meno al loro scopo principale: quello di istruire il
pubblico al quale sono destinati. Ed è qui la grande superiorità del vostro lavoro». Lettera di
Marx a Cafiero del Luglio 1879.
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tra la critica di Croce e quella di Merlino. Infatti, pur avendo bene o male gli
stessi obiettivi, e concordando su alcuni punti, Croce mira a un discorso più
logico e filosofico (ma anche più astratto) per criticare alcuni eccessi
marxisti. Lo scopo di Merlino è invece - in questo più vicino a Bernstein -
quello di mettere sotto accusa l’intero impianto marxista, per dimostrarne
la deriva burocratico—totalitaria e la necessità di basarsi su un socialismo
capace di discostarsi dalla teoria marxista.
Nel corso del lavoro, verrà riproposta l’idea essenziale compresa nella
critica di Antonio Graziadei alla teoria del valore—lavoro di Marx, con la
quale si confrontarono, a loro tempo, sia Benedetto Croce, sia Saverio
Merlino. Detto per inciso, per quest’ultimo Graziadei coglie nel segno
quando denuncia l’astrattismo del valore—lavoro e sostiene che Marx
abbia sbagliato ad indicare il luogo nel quale nasce il valore di scambio
(nella circolazione e non nella produzione), ma sostiene parimenti che lo
studioso non abbia avuto il coraggio di portare avanti il suo ragionamento,
e dunque abbandonare la concezione economica di Marx per un’economia
che sia ‘davvero’ generale e ricavata da fatti concreti.
Data la vicinanza teorica tra alcune idee di Merlino e di Bernstein, il
lavoro si occupa anche dell’’autore tedesco, in specie per far notare
l’influenza reciproca tra i due. In particolare sembra avvicinarli il tentativo
di dare una spinta pratica e morale al movimento socialista; il tentativo di
liberarsi della dialettica hegeliana e di alcune troppo facili previsioni
marxiste e la considerazione delle garanzie democratiche come strumento
di emancipazione ed eguaglianza sociale.
Veniamo ad accennare in questa presentazione la vera e propria critica
di Merlino all’economia marxista. In particolare, i punti focali della sua
riflessione ricadono sulla negazione dell’utilità del concetto di valore—
lavoro per attuare una società socialista. La critica al sistema capitalistico
borghese, anzi, deve partire da un impianto morale e da un forte senso di
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giustizia, non da una supposta teoria scientifica, peraltro inattuabile. Per
Merlino, la vera scienza economica generale non è quella di Marx, bensì
quella ad essa opposta: la teoria della scuola edonistica austriaca. Sperare
di uscire dalle leggi del valore e dello scambio tramite una pianificazione
collettivista significherebbe solo cadere in un totalitarismo burocratico,
dove si precipiterebbe da un rapporto tra pochi capitalisti e molti proletari
ad uno costituito dal conflitto tra un solo enorme e potentissimo capitalista
e ancor più proletari.
Al contrario di molti socialisti, Merlino crede non solo che la concezione
economica dell’ utilità marginale (Menger e Wieser per esempio) non sia
inconciliabile con le aspirazioni ugualitarie del movimento, ma che al
contrario essa sia un ottimo strumento per una critica più efficace e più
forte alle ingiustizie del capitalismo di quella marxista.
È a questo punto del lavoro che si riprende il dibattito tra Saverio
Merlino ed Errico Malatesta del 1897 riguardante la possibilità degli
anarchici di intervenire nella lotta elettorale. Il dialogo (della durata di un
anno) tra i due farà da connessione tra la critica a Marx e la necessità di un
socialismo meno attaccato al Capitale e, più in generale, al ‘socialismo
scientifico’; ossia farà da collegamento tra la parte economica e la parte
politica della tesi. In maniera più breve, verrà ripercorso anche il dibattito
(non privo di asperità e diffamazioni) tra Merlino e Filippo Turati, datato
1901 e concernente questa volta la differente concezione di libertà politica
dei due autori.
Dalla critica al collettivismo comunista, sorge la necessità di un sentiero
politico che eviti il socialismo di Stato e non ricada nel parlamentarismo. In
questo frangente, il dibattito sulla partecipazione elettorale si rivela
sostanziale perché, alla ricerca di un nuovo socialismo, si profila dapprima
una discussione sull’importanza strategica delle elezioni, e poi sui
medesimi principi di un socialismo libertario a venire, che tenti di
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coniugare le esigenze di autonomia politica di Malatesta con quelle
realistiche e talvolta aperte alla delega di Merlino.
Le elezioni sono cioè il fulcro da esaminare per ragionare su quale
metodo strategico convenga utilizzare non per raggiungere una società
politicamente idealizzata, ma per perseguire fini concreti quali
l’emancipazione sociale ed una più reale e comprensiva libertà umana.
Da questo dibattito i mezzi della democrazia non si riveleranno solo
come strumenti propagandistici, ma come vere e proprie garanzie di
autogoverno. Più in generale, quel che si rivela è una posizione dinamica e
mediana di Merlino: egli non crede affatto nel più gretto parlamentarismo,
ma in egual misura è convinto che un’organizzazione politica sia necessaria
per il raggiungimento dei fini anarchici e che questa organizzazione debba
passare per alcuni strumenti di vera democrazia. Storicamente, questo
dibattito ha rotto i rapporti politici (ma non ideali e personali) tra
Malatesta e Merlino. Se per il primo scegliere per o contro le elezioni
parlamentari, significa in fondo scegliere tra autorità o libertà; per il
secondo significa sfruttare ogni mezzo politicamente ed eticamente
possibile per raggiungere i fini preposti. Nei due dibattiti – quello con
Malatesta (del 1897) e quello con Turati (del 1901) – Merlino può sembrare
contraddittorio, perché critica del primo un esagerato rigorismo anarchico
e un eccessivo peso affidato alla capacità spontanea delle masse di
organizzarsi senza dover ricorrere al voto e alla delega, e del secondo
rimprovera una concezione parlamentarista ed elitaria di libertà che va a
nullificare i tentativi di spontanea organizzazione, considerando la libertà
politica più una questione di concessione delle élite alle masse che una
presa di coscienza dal basso. Questa apparente contraddizione si risolve
però nell’ambiguità della democrazia, che se da un lato offre le garanzie e
le possibilità di migliorare lo stato delle libertà individuali e della situazione
sociale, dall’altro presenta anche i pericoli di un autoritarismo sempre in
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