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INTRODUZIONE
The Importance of Being Earnest, una commedia il cui carattere rivela magnificamente
un’indiscussa poliedricità instillata dal suo eccentrico autore, immerso in un ambiente sociale
in cui l’uniformità della collettività cozza violentemente contro la propria natura. Costituisce
l’opera brillante prodotta da uno scaltro disadattato che, diverso per nazionalità e sessualità,
incarna l’epica figura dell’“altro” che abbatte gli ostacoli della propria emarginazione
procurandosi un discreto, seppur breve, successo.
La farsa presa in analisi lungo le pagine di questo lavoro seduce perché nell’ironica
semplicità delle situazioni brillanti che vi si susseguono freneticamente, essa rimane
inconfondibilmente sospesa tra numerose interpretazioni spesso anche piuttosto discordi tra
loro. Già la critica contemporanea mostra, infatti, un timido imbarazzo nel dover attribuire un
senso all’opera dichiarando l’assoluta non convenzionalità della stessa. L’emblema di tale
difficoltà si riscontra inizialmente nei primi commenti di W. Archer
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, che definisce la
commedia un “rondò capriccioso
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”, atto a non esplicitare nulla se non la natura originale del
proprio autore.
Il quesito cui questo lavoro si propone di rispondere è strettamente legato al tentativo
di voler definire chi sia Earnest, cosa significhi esserlo o pretendere di diventarlo, e, ancora,
quale sia l’identità specifica che Wilde osserva da vicino durante la composizione della
commedia, e cosa egli stesso intenda dichiarare o piuttosto denunciare usufruendo di quel
mezzo. Il tentativo di trovare risposta ad ognuno di questi interrogativi si risolve nella
contemplazione dell’insolita dicotomia vuoto/pieno che si trasforma curiosamente in una
categoria integra, come se questi due termini opposti combaciassero in maniera
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W. Archer, “On The Importance of Being Earnest”, in K. Beckson (ed.), Oscar Wilde: The Critical Heritage,
London, Routledge & K. Paul, 1970, pp. 189-191.
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Id., p. 190.
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inequivocabile entro i confini dell’opera teatrale. La soluzione soggiacente sarà che qualsiasi
tentativo definito al fine di tradurre il senso di The Importance of Being Earnest non sarà altro
che la risoluzione dell’obiettivo di Wilde, quello cioè di essere riuscito nell’intento di farsi
fraintendere, quello di confondere nel tentativo di mettere lo spettatore di fronte a realtà
spesso negate, o nascoste da attitudini sociali manipolanti. La farsa rappresenta la
celebrazione del pensiero e della genialità di un autore di fine secolo che vuole opporsi in
maniera netta al regime votato all’azione ed alla produzione come matrice essenziale
dell’esistenza.
La difficoltà interpretativa principale consiste nella necessità di confrontarsi con
numerose considerazioni, cercando quindi di tener ben presente il contesto storico della
produzione, congiuntamente al pensiero filosofico dell’autore essenzialmente votato
all’estetismo ad oltranza, senza lasciarsi convincere da verità troppo banalmente ovvie. Il
metodo adottato al fine di dimostrare tali ipotesi è quello di accostare all’eredità filosofica ed
intellettuale di Wilde, riscontrabile nei suoi saggi e nelle sue opere, l’opinione di una nutrita
parte di critici appartenenti a periodi e correnti molto diversi tra loro. Tali scritti si
suddividono per contenuti in tre grandi categorie, una prima connessa con l’idea per cui The
Importance of Being Earnest non è altro che una denuncia contro la società vittoriana troppo
invadente e troppo pericolosamente disposta ad uniformare le coscienze; una seconda che si
allaccia invece alla volontà di rintracciare nella farsa le impronte della presunta omosessualità
dell’autore come inconfondibile natura del soggetto dell’opera; ed una terza che dà invece
ampio spazio all’idea di Wilde come outsider, facendo leva specialmente sullo spirito
nazionalista dell’autore e sulla sua capacità di metamorfosi per procurarsi la sopravvivenza in
un territorio estraneo, attraverso l’edizione di un proprio metodo che lo protegga con un
effetto di chiaroscuro.
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Lo scopo ultimo è quello di verificare come ognuno degli elementi presi in analisi sia
carico di contenuti tali da dimostrare molte verità dell’opera, ma senza essere in grado di
affermare l’intento preciso dell’autore che l’ha prodotta che rimane sostanzialmente in bilico
tra tutto ciò che viene dichiarato e ciò che invece è non nominandum per natura.
Il lavoro presentato viene suddiviso in quattro capitoli. Nel Capitolo I si procede con
un iniziale excursus storico-sociale entro il quale si valuta il contesto vittoriano, mostrando,
avvalendosi del contributo inestimabile di W. E. Houghton, il significato del concetto di
earnestness durante quella controversa epoca. Si procede dunque con un’introduzione a The
Importance of Being Earnest in cui si fa riferimento agli elementi essenziali della trama ed ai
primi commenti esercitati dalla critica contemporanea di seguito alla partecipazione alla prima
rappresentazione della commedia, ponendo l’accento sul senso di gaia confusione e
disorientamento lasciato dalle prime impressioni, gettando così le basi per affermare
l’assoluta non convenzionalità dei contenuti esaminati. Il capitolo si conclude con un’analisi
dettagliata del metodo del travestimento umoristico adottato da Wilde nel tentativo di
esercitare un critica accesa alle rigide convenzioni sociali dell’epoca, colpevoli di condannare
l’individuo all’uniformità delle idee, non mancando di fare cenno a “The Critic as Artist”
introducendo così temi quali mascheramento, finzione e paradosso.
Il Capitolo II intende per buona parte analizzare la metodologia espressiva di Wilde a
partire dalla natura di un pensiero, riscontrato nei saggi, tra cui i più significativi “The Decay
of Lying” e “The Critic as Artist”; in essi si manifesta l’essenza della teoria estetica, che viene
di seguito applicata significativamente anche all’edizione di The Importance of Being
Earnest, e la conoscenza della quale è fondamentale ai fini della comprensione del dramma
farsesco. Passando attraverso concetti cari all’irlandese quali quello di menzogna, di nonsense
e di assurdo, si arriva all’applicazione della teoria sul corpo dell’opera in analisi,
considerando quindi le manifestazioni di dissimulazione dei personaggi e la tendenza allo
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sdoppiamento, affermando, attraverso la voce di critici come K. Worth, O. Reinert, J. Jordan,
J. Mc Cormack, G. Stone ed altri, la presenza di queste reazioni essenzialmente motivate dal
senso di disagio suggerito da una realtà sociale che vincola la naturale espressione
dell’umanità degli individui. Si lascia ampio spazio alla discussione del metodo
dell’inversione, portando all’attenzione esempi piuttosto significativi del capovolgimento
delle istituzioni entro il microcosmo di The Importance of Being Earnest con le dovute
implicazioni sociali che danno significato a questo processo che rivela una natura piuttosto
utopica.
Il Capitolo III, invece, si addentra più a fondo nel concetto di identità, tentando di
verificare come in The Importance of Being Earnest si possa tracciare una sorta di parabola in
cui si dimostra la necessità esistenziale di reperire ed affermare il sé, dando prevalentemente
voce alla teoria critica di D. Parker e K. Worth. Si procede tentando di spiegare la differenza
che intercorre tra identità nominale ed identità effettiva, affacciandosi ai concetti di forma e
contenuto, being e meaning, che riprendono gli scritti di J. Fineman e E. Miller, incentrati
prevalentemente sull’analisi letterale della scelta di molti dei nomi dei personaggi della farsa
volendo affermare il formalismo come atto supremo di creazione.
In conclusione il Capitolo IV si addentra nell’analisi della latenza dell’identità e nella
conseguente esplorazione del territorio dell’“altro”, indagando a questo modo i temi di
omosessualità e nazionalità, in qualità di potenziali soggetti della commedia. Si procede con
un excursus storico che intende definire il rapporto tra omosessualità, legge, e società in epoca
vittoriana, per poi addentrarsi in interessanti dispute critiche quale quella tra A. Sinfield e C.
Craft in merito alla presenza più o meno affermata dell’inversione sessuale all’interno di The
Importance of Being Earnest. Si conclude infine facendo riferimento a critici come D. Kiberd
il quale ha intravisto nel corpo del testo della farsa dei chiari riferimenti all’ambizione di
affermare il nazionalismo irlandese, alla volontà di emergere con la propria identità nazionale
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nascosta per necessità, ma sempre pronta sulla soglia al fine di definire un vero e proprio
rinascimento di natura intellettuale, etnica e politica.
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CAPITOLO I
The Importance of Being Earnest: maschere e volti oscuri dell’Inghilterra di Vittoria
1. La fenomenologia dell’idealismo vittoriano
I sessantaquattro anni del regno della regina Vittoria in Inghilterra si fecero protagonisti di
numerosi ed importanti mutamenti, difatti, un’ampia serie di scoperte scientifiche, associate
ad evoluzioni tecniche ed a questioni di natura politica ed economica, furono responsabili
della riorganizzazione della composizione sociale, rivoluzionando, allo stesso tempo, la scala
dei valori pre-esistente. L'ideologia vittoriana borghese, però, mascherava sapientemente una
duplice realtà, che se da un lato mostrava i lustrini dell’impero più ammirato e temuto
d’Europa, dall’altro nascondeva il fardello dell'oppressione e dello sfruttamento nell’ambito
del quale, per effetto di tale contraddizione, si manifestava una forte tendenza all’opposizione
contro ogni idea che potesse attentare al rigido sistema di valori su cui si fondava il tipico
moralismo ottimistico e filantropico dell’epoca.
1.1 Earnest: la quintessenza del filantropismo dell’epoca
I vittoriani impararono a capire a proprie spese di cosa consistesse “the vital importance of
being earnest
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” a tal punto da far divenire questo aggettivo, con tutte le sue probabili
accezioni, il baluardo di un’epoca, il comandamento da osservare al fine di condurre una retta
esistenza, volta alla realizzazione di numerose ambizioni personali e non solo. Per stabilire il
significato del termine earnest potremmo avvalerci della definizione che viene fornita in
merito dall’ Oxford English Dictionary, in base alla quale, se è attribuito a persona, esso
assume il senso di “Serious, as opposed to trifling; usually in emphatic sense, intensely
3
O. Wilde, The Importance of Being Earnest, in J. Bristow (ed.), The Importance of Being Earnest and Related
Writings, London, Routledge, 1992, p. 87.
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serious, gravely impassioned, in any purpose, feeling, conviction, or action; sincerely
zealous
4
”. Ma, come suggerisce lo studio di Hougton
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, per comprendere fino in fondo cosa
significasse in epoca vittoriana essere in earnest, è necessario commisurare le accezioni di
questo attributo a tutto quello che era il contesto storico e culturale caratterizzante il periodo.
Il termine incominciò a prendere piede già attorno al 1830, all’alba di una grossa crisi
destinata a diffondersi in diversi ambiti e volta a delineare un netto distacco con l’epoca
immediatamente precedente, con lo scopo fondamentale di dettare i parametri per proteggere
e dispensare le idee e la morale creando il giusto distacco dai mali ereditati dal passato. Per
tanto, le accezioni che ne costituivano il senso non potevano che essere prevalentemente
positive se associate a tutto ciò che esso non indicava, e che apparteneva ad attività facenti
parte dell’epoca precedente che dovevano essere bandite, come la mancanza di attenzione
nell’evoluzione della questione politica, l’assenza di sincerità in favore dell’evasione dal
senso comune di responsabilità, o ancora, la tendenza a privilegiare il piacere a discapito dei
doveri imposti al fine di assecondare un giusto scopo. Gli arbitri della modernità avevano
intessuto talmente bene la trama della morale da convincere i propri adepti che tutti gli
atteggiamenti giudicati poco seri fossero tanto dannosi da costituire un vero e proprio pericolo
per la ineccepibile conduzione della propria esistenza. I campioni di serietà e sincerità, che
incoraggiarono la earnestness in epoca vittoriana e spinsero verso la costituzione di questo
stereotipo o maschera, furono sicuramente gli evangelisti, che trovarono terreno fertile nel
loro lavoro di rieducazione, potendo fare leva soprattutto su un forte senso di crisi e
disorientamento dovuto alle mutazioni sociali che avevano visto l’ascesa della classe media a
classe dirigente, congiuntamente a quello che si rivelava essere il persistente dubbio religioso.
Queste autorità, che detenevano il potere di guidare ed indirizzare verso stili di vita seri ed
4
Oxford English Dictionary, Oxford, Oxford University Press, second edition 1989. Consultata la versione on-
line all’indirizzo internet di riferimento http://dictionary.oed.com.
5
W. E. Hougton, The Victorian Frame of Mind, New Haven, Wellesley College, 1957.
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impeccabili, cercavano di plasmare la morale individuale al fine di costituire delle doti
spirituali, ripristinando quelle che erano le credenze genuine in riferimento ai dogmi posti alla
base della vita di ognuno, ed impedendo, soprattutto, di giocare con parole o idee quasi come
se la vita intellettuale fosse una sorta di sollazzo. Essere moralmente in earnest significava
dunque:
… to recognize that human existence is not a short interval between life and death in which
one fingers as many guineas as possible and eats all the good dinners he can, but a spiritual
pilgrimage from here to eternity in which he is called upon to struggle with all his power
against the forces of evil, in his own soul and in society. This is the ‘real’ nature of life.
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In poche parole, coloro che profetizzavano la earnestness, si assumevano la responsabilità di
giudicare ed attaccare chiunque non avesse un serio scopo morale alla base del proprio
percorso di vita, preferendo, al contrario, lasciarsi trascinare nel vortice dei piaceri della
mondanità o in quello della esclusiva soddisfazione dei bisogni primari. Ciò che ci si
aspettava era che la vita di ognuno diventasse un cammino spirituale condito dall’eterna lotta
al fine di sconfiggere ogni traccia del male. Fondamentalmente si mirava ad eliminare
qualsiasi incertezza sul piano spirituale o più direttamente religioso, le nuove generazioni,
infatti, avevano perso la capacità di porsi dei quesiti in materia e di conseguenza non
riuscivano a trovare risposte che si adeguassero alle aspettative del tempo, la causa si
individuava prettamente in quello che era il loro patrimonio genetico, ereditato da un periodo
viziato da interessi frivoli ed immorali. Intraprendere una lotta significava, dunque, opporre
resistenza alla tentazione soggiogando i desideri dell’io, cosicché il warfare divenne una sorta
di imperativo non solo in ambito politico ed economico, ma anche in quello più immateriale e
spirituale. Ci si aspettava che l’uomo moderno fosse un buon soldato di Cristo, capace di
combattere contro i mali della sua epoca, utilizzando come armi, autodisciplina, sane
abitudini, ed un forte senso di autocontrollo. Il metodo era quello per il quale si prevedeva di
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W. E. Hougton, op. cit., p. 221. Citazione di Hougton in riferimento agli scritti di T. Carlyle, uno dei principali
responsabili, assieme a J. S. Mill, della costituzione e della diffusione dell’ideologia morale vittoriana.
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individuare, attraverso una seria indagine introspettiva, la genesi delle proprie debolezze,
ritenute colpevoli dell’incitazione ad immonde pulsioni, per poi pianificare la resistenza
interiore ad esse, mettendo in diretta soggezione la propria volontà d’agire, “the will is the
thing that needs being brought into subjection
7
”, questo era il comandamento da osservare al
fine di rieducare e re-indirizzare verso sani principi morali.
1.2 L’impatto della earnestess sul tessuto sociale vittoriano
L’aristocrazia fu la classe sociale maggiormente presa di mira dai propugnatori della moralità,
perché ritenuta responsabile oltre che della miseria che si andava diffondendo, anche della
totale inconsapevolezza dello scenario apocalittico che si manifestava al di fuori dei lussuosi
palazzi. La vita mondana e la costante ricerca del piacere furono eletti come vizi da aborrire,
per tanto, si avvertì la necessità di adottare un atteggiamento quanto più serio e rigoroso
possibile, facendo leva sulla caduta diretta di questa classe sociale per dare dimostrazione di
come quel tipo di condotta non avesse portato ad alcun buon esito. La situazione, però, era da
definirsi critica, difatti, la minaccia del conseguimento di risvolti gravissimi era alta se si
aggiungevano all’evidente agio delle classi abbienti e alla loro abitudine nel rifarsi dei loro
sperperi sulle classi più povere, gli echi della recente rivoluzione francese, similmente
originata da un forte dislivello sociale, colpevole di aver incoraggiato la diffusione dell’odio
tra fazioni contrastanti. I profeti della earnestness, però, elusero sapientemente il rischio,
convincendo i potenziali facinorosi dei “worst excesses of… that unfortunate movement
8
”, e
quindi, la paura di finire in una più disgraziata condizione di quella attuale, fece da
propaganda alla cura degli interessi spirituali, orientando verso la devozione alla serietà
7
A. J. C. Hare, The Years with Mother, citato in W. E. Hougton, op. cit., p. 235. Hare fu un letterato vittoriano
noto prevalentemente per la produzione di numerose guide geografiche, oltre che per l’edizione di una delle
autobiografie più lunghe della storia della letteratura, il volume citato difatti è parte di essa. Nei racconti infantili
dello scrittore è interessante denotare quanto fosse forte la presenza della rigida educazione vittoriana alla
earnestness, a dimostrazione del fatto, che essa venisse inculcata in ogni individuo già in tenera età.
8
O. Wilde, The Importance of Being Earnest, cit., p.43.
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interiore ed alla morale, oltre che verso i principi religiosi nei quali entrambe erano
abbondantemente radicate, col fine di farne il mezzo eletto per evitare di procombere in
baratri ancor più fondi.
Anche il clero e la classe degli intellettuali furono accusati di leggerezza o “nominal
Christianity
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” in merito a riflessioni di carattere spirituale e morale. Responsabile diretto del
fenomeno si mostrò la diffusione di una sorta di utilitarismo religioso, ovvero la
strumentalizzazione degli affari mistici attraverso l’applicazione degli stessi a principi di tipo
terreno, con lo scopo di poter colmare delle aspettative che avevano compimento entro la
quotidianità. Questo atteggiamento nei confronti della morale aveva sviluppato la malsana
tendenza a stravolgere il senso degli scritti sacri, spingendo i credenti ad aver chiara
esclusivamente l’immagine del Dio redentore, a discapito della figura del Dio che puniva i
peccatori, che gradualmente stava finendo per non essere più temuta e rispettata da nessuno.
T. Carlyle e J. S. Mill più di altri si assunsero il compito di mettere sotto analisi le
problematiche del periodo al fine di fornire dei mezzi che potessero offrire delle sane
soluzioni, ciò che il loro occhio critico lamentò con impeto, fu una forte indifferenza alla
verità, tanto che l’incapacità di dimostrare e cercare la veridicità delle cose, divenne il
peggiore dei peccati insiti nel cuore e nell’anima degli uomini troppo presi a vivere in “a vain
show
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”. La disciplina cristiana, inoltre, aveva dato alla luce un’altra dote caratteristica
dell’epoca e prevista dal prontuario della earnestness, ovvero l’ambizione al continuo
miglioramento, ognuno doveva saper dare prova di essere in grado di progredire per non
soccombere alle rapide evoluzioni del tempo, sia per quel che riguardava la sopravvivenza
entro i ranghi del mondo materiale, sia per quella entro i ranghi del mondo spirituale.
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Definizione piuttosto ricorrente negli scritti etici evangelici dell’epoca spesso in associazione a “virtual
atheism”, un’espressione attraverso la quale si indicava una totale insensibilità alle cose così per come esse si
presentavano agli occhi di Dio, oltre che alla totale indifferenza al giudizio dell’Altissimo, così come all’odio o
al pentimento per il peccato. Questo diverso approccio alla Cristianità, ebbe come diretta conseguenza
l’assimilazione esclusiva di ciò che tornava utile, facendo diventare del Cristianesimo una religione senza troppe
pretese.
10
T. Carlyle, Heroes, citato in W. E. Hougton, op. cit., p. 225.