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di cronaca che, nella carta stampata hanno una rilevanza minima o addirittura nulla. Pare che i telegiornali, e in particolare il Tg5 e
Studio Aperto, valorizzino la cronaca a prescindere dall’importanza delle notizie come scelta editoria. Qualche volta ciò ingenera la
sensazione che si voglio volutamente “parlar d’altro”. Quanto alla quantità e alla qualità dell’informazione politica bisogna dire che
essa occupa con frequenza un posto d’onore nella scaletta dei telegiornali ma il linguaggio è spesso molto complicato, da addetti ai
lavori. Così come spesso non si spiegano in maniera adeguata né i provvedimenti approvati né i contenuti delle polemiche che li
accompagnano. Solo chi segue quotidianamente la politica riesce a orientarsi. Inevitabilmente tg siffatti danno la sensazione di essere
concepiti più in funzione di interessi ai criteri politici che non in base alle esigenze dei telespettatori. Non basta, però, dar voce a tutti
per rendere equilibrato un tg. Da rilevare anche come i tg continuino spesso, soprattutto il Tg1, a far ricorso al cosiddetto “pastone
politico” di antica memoria: un contenitore unico e indistinto di fatti politici, dichiarazioni e commenti, dedicato a più temi, che tutto
tratta e niente approfondisce, con l’obiettivo di assicurare una presenza a tutti i protagonisti della vita politica stessa. In questo
contesto è più che confermata la tecnica del “panino”, cara alla Rai: prima si fa parlare il governo, poi l’opposizione e quindi la
maggioranza (che sostiene il governo). Non c’è molto da aggiungere per concludere che l’informazione dei telegiornali, e soprattutto
quella del servizio pubblico, risulta molte volte priva del requisito dell’imparzialità.
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CAPITOLO 1
LA COMUNICAZIONE POLITICA
1. La comunicazione politica nei media
È da ormai più di mezzo secolo che politologi, sociologi e massmediologi si interrogano sulla intricatissima questione degli
effetti delle comunicazioni politiche di massa sul voto. E per più di mezzo secolo sondaggi, survey, interviste in profondità, analisi di
contenuto e ricerche sperimentali dei tipo più vario si sono alternate nel tentativo di fornire una risposta (Sani G., 2001:23). Il
rapporto del 2006 del Censis spiega che la comunicazione politica, inclusa quella elettorale, va considerata all’interno del contesto
rappresentato dal rapporto consolidato dagli italiani con i vari media (Censis, 2006:17). Questo è un aspetto importante perché la
politica è uno dei contenuti che vengono veicolati da mezzi di comunicazione che notoriamente soggiacciono a logiche industriali, a
partire dalle quali, hanno strutturato il rapporto con l’utenza. Sotto questo profilo, il dato relativo al mezzo di comunicazione più
utilizzato dagli italiani come collettore di informazioni utili in campagna elettorale non offre grandi novità; infatti, è la televisione
ancora una volta la grande protagonista della campagna elettorale. Del resto, la televisione è l’unico mezzo in grado di parlare a tutti
gli italiani, tanto che le oscillazioni del consumo televisivo nel tempo sono assolutamente trascurabili; quindi, la politica non poteva
che partire da questo dato di fatto per affrontare la comunicazione agli elettori (Censis, 1996:18).
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2. La televisione
La televisione nasce ufficialmente in Italia il 3 gennaio 1954. Non sono in molti a scommettere sul suo grande futuro in questo
paese. Radio e cinema sembrano più che sufficienti a inglobare le quote di svago “massmediologico” necessarie ad un popolo ancora
fondamentalmente rurale (Porcellini M., 2000: 185). Eppure, anche in queste “disagiate” condizioni iniziali, alla tv sono sufficiente
cinque anni per celebrare il suo definitivo trionfo in Italia: nel 1959 essa è già regolarmente seguita da circa venti milioni di persone,
un’audience quasi da “saturazione”. Di queste peraltro, solo un 5% possiede un televisore proprio, mentre un 15% assieme agli
spettacoli in case private d’altri e la stragrande maggioranza popola quella “istituzionale” dell’Italia degli anni Cinquanta che sono le
salette-tv dei bar e dei ritrovi pubblici (Bachtin, 1975:53).
Queste nuove forme di aggregazione socio-culturale non sono estranee al travolgente successo immediato della televisione in
Italia.
È davvero un compito arduo provare a dire “che cos’è la televisione”, oggi che questo medium elettronico, con un cinquantennio alle
spalle
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, pare sempre più indistinguibile da altre sfere un tempo distinte: la politica, la sfera pubblica e quella privata (Grasso A. e
Scaglioni M., 2006:7). La televisione è un oggetto ampiamente e frequentemente discusso:se ne sottolinea di sovente l ruolo
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Disponibile tecnicamente dalla seconda metà degli anni Trenta, la tv diventa un medium di massa solo dopo la ripresa delle regolari trasmissioni con la fine
della guerra, nel decennio compreso fra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Cinquanta, in momenti variabili a seconda dei contesti. In Italia, nel
gennaio del 2004 si festeggiano i cinquant’anni dell’inizio delle trasmissioni ufficiali della Rai.
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essenziale nella formazione dell’opinione pubblica, si paventa con preoccupazione la sostituzione televisiva della realtà e l’avvento
della videocrazia.
Nel nostro paese i recenti rapporti Censis, con la descrizione della “piramide dei media” più utilizzati e consumati dagli
italiani, non fanno che ribadire un concetto: “la televisione è a tutti gli effetti l’unico linguaggio mediatico universale che le persone
conoscano” e “raggiunge la totalità degli italiani, è in grado di parlare con qualsiasi livello sociale e costituisce la “pietanza” di base
di tutte le tipologie di dieta mediatica che si possono immaginare: dalle più variegate, dalle persone culturalmente più attrezzate
(circa otto milioni in Italia), alle persone prive di mezzi culturali (circa quattro milioni e mezzo) e che pertanto hanno una dieta
mediatica basata esclusivamente sulla televisione, che rappresenta per essi l’unico tramite per il mondo” (Censis, 2002:16).
Fin dalle origini della televisione, l’informazione ha rappresentato una delle colonne portanti dei palinsesti sia nell’ambito dei
modelli europei di servizio pubblico, dove la garanzia della sua imparzialità è stata una delle ragioni che ne hanno superato
l’edificazione (Grasso A., Scaglioni M., 2003: 102). La forza dell’informazione televisiva poggia su due caratteristiche di fondo:
l’istantaneità e il realismo delle immagini. Con l’informazione, il piccolo schermo fa propria la promessa autentificante di parlare del
mondo, di farsi finestra sugli eventi che accadono per giorno, ora dopo ora, riportati col massimo di precisione e attendibilità sullo
schermo di casa. Questa promessa è rinforzata dalla possibilità di essere presente di fronte agli avvenimenti, di filmare col suo occhio
elettronico la verità degli eventi e di metterli in onda in tempo reale. La promessa è resa ancora più persuasiva dalla capacità del
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mezzo di portare in mano la più convincente delle prove: le immagini, col loro portato do “oggettività”, di visibilità immediata, di
assenza di mediazioni. Naturalmente le cose non stanno esattamente così, e anche l’informazione televisiva, lungi dall’essere uno
specchio immediato delle realtà. Ne è invece una rappresentazione regolata da pratiche e norme (Bechelloni, 1995:91). L’importanza
della televisione è chiaramente ed esplicitamente affermata dall’istituzione televisiva: telegiornali e altri programmi d’informazione
costituiscono una parte sostanziale della quotidiana offerta tv. Dibattiti relativi all’obiettività dell’informazione sul piccolo schermo
sono sorti fin dalle origini e continuano a rappresentare uno dei temi più considerati e controversi. Persino in un sistema televisivo
come quello americano, in cui non esiste un vero e proprio servizio pubblico, le news vengono di frequente considerate come una
forma di “public service”. Naturalmente la centralità dell’informazione televisiva dipende in primo luogo dal fascino che essa esercita
sul pubblico (Calabrese e Volli, 1995:69). Per la maggior parte della popolazione italiana il giornalismo televisivo è la prima (talvolta
unica) fonte informativa. La trasmissione serale dei telegiornali è diventata, fin dalle origini del piccolo schermo, un’abitudine
familiare, quasi rituale, molto radicata negli spettatori: le edizioni principali dei tg serali raggiungono una cifra d’ascolto oscillante tra
i diciotto e i venticinque milioni, decisamente superiore al numero dei quotidiani letti nel nostro paese. Ciò significa che l’esperienza
dei fatti di rilevanza nazionale o internazionale è costantemente mediata dal passaggio televisivo, attraverso le sue specifiche forme
di visibilità. Bisogna inoltre considerare il fatto che l’informazione televisiva non si esaurisce nei telegiornali, ma si struttura in una
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serie di sottogeneri diversi, come l’inchiesta, il rotocalco, la rubrica di attualità, e che tende a ibridarsi con altri generi, come ad
esempio il tolk show, e talvolta l’intrattenimento (come accade nel cosiddetto infotainment) (Casetti e Di Chio, 1991:28).
Il telegiornale è comunque il formato principale, per ricorenza nel palinsesto, per ascolti e per funzioni che assolve: non più
solo di carattere informativo, ma anche regolatore, in quanto scandisce il palinsesto
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all’interno della programmazione neotelevisiva
di flusso e, di frequente, anche i tempi di vita degli spettatori (i pasti coincidono con la messa in onda dei tg, in una sorta di reciproco
condizionamento fra la “meridiana elettronica” e i tempi sociali di vita di una comunità nazionale) (Araldi P., 1999:76).
Chiunque si occupi di tematiche relative a politiche, storia contemporanea o cultura in generale dovrà tenere conto del fatto
che la prima fonte di informazione è oggi proprio il telegiornale: modello di idee e conoscenza del mondo, la cui finalità complessiva
è quella di offrire una rappresentazione, una messa in scena della realtà credibile e veritiera, sebbene essa sia poi condizionata dal
fatto di non coincidere né con la realtà stessa né col suo specchio trasparente. L’informazione (non solo quella televisiva ovviamente)
è appunto una rappresentazione discorsiva del mondo, caratterizzata da inevitabili condizionamenti tecnici, ideologici e professionali
(Carey, 1992:91).
Su questi condizionamenti si sono spese molte parole. Negli anni Settanta e Ottanta si è acceso un dibattito molto vivo sui
meccanismi di funzionamento della macchina informativa. La critica più da sinistra (soprattutto da autori di importazione marxista) è
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Ogni rete nazionale trasmette tg per un tempo che va da una a due ore al giorno, per un totale di cinquanta edizioni diverse.
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che l’informazione televisiva sia un potente strumento di costruzione del consenso e di diffusione dell’ideologia. Autori
d’impostazione liberale hanno invece sottolineato che la possibilità dell’obiettività dipende in ultima analisi, come d’altra parte per la
stampa e gli altri mezzi di informazione, dalla libertà e dal pluralismo in cui operano le istituzioni televisive (Cavicchioli e Pezzini,
1993:148). Oggi inoltre si tende a sottolineare come anche il mercato dell’informazione debba fare i conti con le relazioni di potere di
un mondo globalizzato e con la concentrazione di agenzie canali informativi nei conglomerati nordamericani ed europei. In termini
generali si può dire che l’informazione, come genere televisivo, è soggetta a una serie di convenzioni ed è condizionata da una varietà
di pratiche produttive che sono sia specifiche (relative all’informazione televisiva) sia generiche (relative cioè all’informazione
mediale tout court). Anche il dibattito sul tema del potere dell’informazione televisiva è stato riconsiderato principalmente nei termini
del potere di imporre un’agenda dei temi di volta in volta all’ordine del giorno, piuttosto che della forza persuasiva o manipolatoria
del medium (e dei media) (Aldo G e Scaglioni M.,2003:105).
Le modalità produttive dell’informazione sono fortemente legate all’organizzazione del lavoro giornalistico, alle sue routine,
alle convenzioni professionali. La notizia è il prodotto di un processo organizzativo che implica una prospettiva pratica sugli eventi,
che dal contesto in cui si sono svolti vengono trasferiti entro il formato del notiziario: questi due aspetti costituiscono il campo di
ricerca della corrente di studi nata negli anni Settanta e denominata newsmaking (Wolf M., 1998:94).