8
superficiale di tale modo di fare informazione. Anzi, “la paideia
televisiva si organizza in sistema e se qualcosa non va reagisce”3.
Questa tendenza, a osservare le evidenze empiriche delle
quali si darà conto più avanti, non sembra per ora avere fine. Se
ne può invece risalire alle origini, probabilmente il lontano 1981
con la lunga diretta TV dedicata al tragico incidente del bambino
Alfredino caduto in un pozzo a Vermicino. Ma in un’Italia che
uscendo dagli anni bui del terrorismo riscopriva l’esaltazione del
“privato”, il tempo del loisir ed il piacere di raccontarsi in
pubblico4, sembrò per alcune stagioni di rilevare anche una TV
attenta nel saper cogliere le richieste di partecipazione e
approfondimento della vita pubblica che pervenivano dalla
società civile.
Gli anni successivi al crollo della prima Repubblica
certificarono in realtà un definitivo spostamento
dell’informazione verso il versante privatistico e spettacolare
dell’intrattenimento e soprattutto la capacità del potere di
rilegittimare il discorso politico ancorandolo al vettore epidittico
ormai generosamente messo a disposizione dal medium televisivo
del duopolio. Nel rapporto incrociato che si è poi venuto
delineando in questi ultimi quindici anni, durante il progressivo
dispiegarsi degli effetti della modernità, tra pubblico, politica e
media all’interno della sfera pubblica mediatizzata, il ruolo di
questi ultimi è sembrato sempre più condizionato dalle logiche
commerciali e dai criteri del newsmaking. Criteri che, anche allo
scopo, non secondario, di fidelizzare fasce di pubblico e
conquistare quote di mercato pubblicitario, privilegiano il
3
“Così, al parente della vittima che si offre in pasto ai microfoni si
riservano un atteggiamento empatetico e parole commosse. Su chi rifiuta
l’intervista, invece, si fanno commenti poco positivi, eventualmente
mandando in onda sequenze in cui un freddo citofono gracchia un
rifiuto”. M. Loporcaro, Cattive notizie, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 165.
4
Per un’articolata analisi di quelle stagioni, M. Morcellini (a cura di),
Lo spettacolo del consumo. TV e cultura di massa nella legittimazione
sociale, Angeli, Milano, 1986.
9
sensazionalismo, la spettacolarità, l’istantaneità, dunque il grado
di narratività di una notizia5.
Non è impossibile comprendere oggi la predilezione per tali
criteri; più difficile risulta entrare nella logica dei media quando
essi paiono “incartarsi” emotivamente dentro più o meno presunte
emergenze sottraendo alla discussione razionale,
all’approfondimento, la dimensione concreta dei problemi che
sottostanno alla notizia presentata. Osserva Ulrich Beck nel suo
ultimo lavoro come il rischio terroristico venga accentuato quale
evento mediatico globale e come invece ciò non valga per il
mutamento climatico6: in realtà anche un terremoto o
un’inondazione presentano una “vocazione all’esposizione
mediatica”, ma solo quando l’aspetto emotivo consenta l’acme
della notiziabilità; non prima, o dopo, quando si tratti ad esempio
di denunciarne le cause o di vigilare su una lenta ricostruzione. A
parte rari casi isolati, lì i riflettori sono spenti.
Anche in tale genere di eventi pare dunque di assistere, a
parte un ambiguo ruolo istituzionale di cui l’informazione a volte
si riappropria in difesa di presunti sentimenti collettivi7, alla
stessa logica che, come si vedrà oltre, sottointende la produzione
5
Per un approfondimento dei “vizi” del sistema dell’informazione
italiana, F. Giorgino, Dietro le notizie. Il mondo raccontato in sessanta
righe e novanta secondi, Mursia, Milano, 2004.
6
“Dunque sussiste una clamorosa discrepanza tra le distruzioni materiali
che modificano irreversibilmente le condizioni di vita su questo pianeta
e la loro inadattabilità alla messa in scena mediatica. Mentre la ‘realtà’
del rischio terroristico nasce da una vocazione all’esposizione mediatica
e dall’onnipresenza delle immagini oscene della violenza (senza che
siano in gioco irreversibilità materiali), la ‘realtà’ della catastrofe
climatica è invece il risultato di ‘una messa in scena top down’, dovuta
alla forza e alle capacità di un’alleanza di scienziati, politici e
movimenti sociali”. U. Beck, Conditio Humana. Il rischio nell’età
globale, Laterza, Roma-Bari, 2008, p. 118.
7
Si ripercorrano le recenti accese polemiche in merito a presunte
ingiuste critiche espresse dalla trasmissione “Annozero” all’efficienza
dei soccorsi in Abruzzo nel corso della puntata del 9 aprile scorso. Al
riguardo si ritiene che a tale effetto di agenda non sia del tutto estraneo
l’imminente rinnovo delle nomine ai vertici dell’informazione della Rai.
10
delle notizie di cronaca nera; su questo secondo versante però, tra
“mostri” sbattuti in prima pagina e particolari da Grand Guignol,
la coscienza deontologica degli operatori dell’informazione
sembra a volte ancora meno salda.
Giusto un anno fa, in piena Campagna per le Politiche 2008,
in luogo dell’ “emergenza terremoto”, un’altra più intangibile
emergenza connessa ad una diffusa percezione sociale di
insicurezza affollava, invero già da qualche semestre, l’agenda di
quotidiani e telegiornali. Insicurezza che, a leggere la cronaca
nera, sembrava apparentemente porsi in relazione non tanto con i
nuovi rischi della globalizzazione8, quanto con il reiterarsi di
episodi locali di criminalità riconducibili in buona parte alla
presenza di immigrati sul territorio. Episodi che però, dati alla
mano9, risultavano e risultano da diversi anni in costante calo su
tutto il territorio nazionale.
Si è poc’anzi accennato all’apparente estraneità del legame
tra nuovi rischi globali e l’odierna percezione di insicurezza:
giova in realtà precisare, e lo si vedrà meglio nel successivo
capitolo, come la paura dell’altro sia per molti versi da mettere in
relazione con le conseguenze della fase più avanzata della
modernità e con le risposte, ai vari livelli, che essa produce;
risposte che – tanto più paradossale parlando di modernità –
comportano il rischio di pratiche regressive che sembrano poter
riavvolgere il nastro della storia umana fino al suo punto di start.
E’ dunque a partire da queste osservazioni, dalla presenza
sovradimensionata, anche nei “toni”, di questa delicata issue, che
si sono delineate le domande di fondo che hanno stimolato il
presente lavoro. Svolgono i media, e, segnatamente,
l’informazione televisiva che è ancora la più seguita, un adeguato
ruolo di ausilio alla comprensione e all’approfondimento della
complessità sociale che deriva oggi dall’appartenere ad un
sistema globalizzato con le contraddizioni culturali che tale
8
Degli aspetti connessi alla globalizzazione si tratta diffusamente nel
corso del capitolo 1, paragrafo 1.
9
Si intendono i dati forniti da organismi istituzionali e dagli enti di
ricerca, per i quali si rimanda al capitolo 2, paragrafo 2.
11
appartenenza comporta? Tutelano essi, con le loro
rappresentazioni giornalistiche spesso superficiali o
emotivamente orientate, tale complessità? Assicurano
adeguatamente un rapporto tra potere e società, quella mediazione
tra politica e cittadino che fu alla base della nascita
dell’informazione come sede del dibattito pubblico razionale? E
come si dispiega tale rapporto in occasioni fondanti del gioco
democratico quale è ad esempio quello delle campagne elettorali?
Infine, se con le loro narrazioni giornalistiche i media sembrano
aver messo in crisi quel primigenio rapporto, come altrimenti si
potrebbe definire il ruolo principale che oggi svolgono? Ad
alcune domande si è provato a dare uno sviluppo e delle risposte
nel corso della ricerca descritta in questa tesi.
A tale riguardo, l’obiettivo10 generale della ricerca è
consistito nell’analizzare il contenuto delle notizie di cronaca
nera proposte dai maggiori telegiornali generalisti della fascia
serale (Tg1 e Tg5). Ciò, in un periodo campione coincidente con
lo sviluppo temporale delle fasi dell’ultima Campagna per le
Politiche (terza settimana dei mesi di marzo, aprile e maggio
2008), così da provare a rapportare il tema “sicurezza” al
dibattito e ai “tempi” della politica.
Senza voler anticipare i risultati della ricerca,
dettagliatamente esposti nel corso del terzo capitolo, un primo
dato forte che è sembrato emergere sia a livello quantitativo che
qualitativo riguarda il ruolo più incisivo del Tg5 nel tematizzare
una correlazione decisa tra fatti di cronaca, immigrazione e
sicurezza. E questo in un ambito di maggior accordo con i
“tempi” della politica, quasi ad invocarne con toni più
marcatamente populisti l’intervento e ad assumere una funzione
di orientamento nei confronti dell’elettorato.
Tra gli obiettivi più specifici della tesi, infine, si è provato ad
inserire le evidenze empiriche in un quadro teorico ricostruito
mediante alcune teorie moderne della comunicazione di massa e
10
Per una più puntuale descrizione degli obiettivi della ricerca e dello
strumento di rilevazione si rimanda al capitolo 2, paragrafi 3 e 4.
12
attraverso autorevoli punti di vista sociologici sulla
contemporaneità.
In questa tesi, che rappresenta un approfondimento di una più
ampia iniziativa di ricerca sulla rappresentazione mediale della
criminalità attivata presso la Facoltà di Scienze della
Comunicazione, Sapienza Università di Roma, attraverso il
gruppo “Cattive Notizie” diretto dal Prof. Mario Morcellini, si è
scelto di limitare l’analisi del contenuto ai maggiori telegiornali
generalisti; tale scelta è motivata dalla constatazione che il Tg,
oltre ad essere recepito tradizionalmente come il produttore
istituzionale dell’informazione (“l’ha detto il telegiornale”),
presenta ancora oggi indici di ascolto televisivo tra i più alti e
anzi è “la fonte di informazione più rilevante per quegli italiani
che hanno un grado di istruzione medio - bassa”11. Tale aspetto
assume una significativa importanza a livello politico-sociale
quando si affronti un tema delicato come la cronaca nera connessa
alla sicurezza.
Ai margini del presente lavoro dovranno necessariamente
rimanere alcune problematiche strutturali che pure avrebbero
potuto avere una qualche influenza sull’analisi in corso, prima fra
tutte la peculiare e per certi versi anomala situazione normativa e
regolamentare dei rapporti tra il sistema politico (finanziario) e
quello mediatico del Paese12. Richiederebbe, in altra sede, più
approfondite verifiche anche la questione della professionalità e
della deontologia dell’informazione in Italia, se al riguardo pare
oggi di assistere alla produzione di una categoria prevalentemente
confinatasi in una blanda funzione dialettica da coro greco13.
11
P. Di Salvo, Il giornalismo televisivo, Carocci, Roma, 2004, p.115.
12
“In via generale si parte dall’assunto che il relativo grado di potere del
sistema dei media, in confronto ad altri sistemi sociali (…) è un prodotto
della distribuzione delle risorse e delle dipendenze che interessano ogni
singolo sistema…”. M. De Fleur, S.J. Ball-Rokeach, Teorie delle
comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 326.
13
A maggior ragione non potrà trattarsi in questa sede - ‘ché
meriterebbe un lavoro a parte - dell’uso banalizzante e degradante della
figura e del corpo della donna operato dalle narrazioni della cronaca
giornalistica e televisiva.
13
Valga nel merito soltanto la seguente considerazione, avanzata
nel tentativo di bilanciare l’eventuale pessimismo che dovesse
qua e là fare da sfondo: “Nei disastri c’è chi soffre, chi governa,
chi racconta (messaggero nella tragedia antica, giornalista oggi) e
chi indaga rammentando”14. Questo dovere del “rammentare”
giornalistico presenta a ben guardare significative assonanze
etimologiche con il “rammendare” della poesia nei suoi significati
di “ristabilimento” e “riparazione”15. Ovviamente ciascuno con i
propri tempi, che sono l’uno il tempo del presente, del “qui e ora”
della cronaca, l’altro il tempo più lungo di Clio. Ma è qui, in
questa preziosa funzione di “rammendo”, di “riparazione” che il
giornalismo potrebbe incontrare, e la incontra nei suoi momenti
migliori, la poesia; non certo nell’improbabile imitazione di triti
stilemi linguistico-retorici che, come si vedrà oltre, produce al
massimo cattiva letteratura.
Ciò detto e venendo ai limiti interni dell’indagine, occorre
precisare che i dati raccolti nell’ambito del citato gruppo di
ricerca afferiscono ad un progetto più articolato tuttora in
progress; si tratta pertanto di dati elaborati assai di recente la cui
matrice potrebbe richiedere in futuro degli aggiustamenti
percentuali, seppure minimi.
Vi è un altro limite più generale che giova qui evidenziare:
pur senza allargare il campo all’industria culturale tout court e
rimanendo nel recinto televisivo, si osserva da tempo come i temi
della cronaca vengano diffusamente a trovarsi in spazi diversi
rispetto a quelli, tuttora definiti istituzionali, dei Tg; e non solo
nella produzione infotainment ma in trasmissioni un tempo di
puro intrattenimento o in rotocalchi del genere delle “vite in
diretta” o delle “Italie allo specchio”. Proprio in tali spazi,
apparentemente meno mediati e per questo forse maggiormente
creditori di “senso”, viene data parola sull’argomento ad ogni
14
B. Spinelli, La nostra infinita emergenza, “La Stampa”, 19 aprile
2009, p.1.
15
“Questo effetto riparatorio della poesia deriva dal suo essere
un’alternativa intravista, la rivelazione di un potenziale che è negato e
sempre minacciato dalle circostanze”. S. Heaney, La riparazione della
poesia, Fazi, Roma, 1999, p.17.
14
attore della sfera pubblica: il politico da una parte, la gente
comune dall’altra. Questa consonanza di flussi informativi (e
autoformativi) che si cumula emotivamente e tematicamente a
titoli altri echeggianti la cronaca - il “crak” della borsa, il
“flagello” maltempo, il “baratro” dell’economia - richiederebbero
forse ricerche che andassero a scovare integralmente (verrebbe da
dire: maussianamente) le tematizzazioni della issue allo studio nel
flusso totale della programmazione televisiva; così da provare a
mettere in relazione tale coltivazione intensiva con l’attuale
periodo di ansia sociale, di crisi culturale, di declino dell’ethos.
D’altra parte, essendo la presente analisi concentrata sul
contenuto, occorrerebbe in futuro un parallelo lavoro di indagine
sugli effetti allo scopo di delineare un profilo più accurato delle
audiences e dei loro giudizi sul racconto mediale della sicurezza.
Pure occorrerà presto o tardi mettere in questione il ruolo del
cittadino-spettatore che si rappresenta nello specchio dei media:
se l’individuo al tempo della globalizzazione non è il soggetto
perturbante che si affacciava tra la folla all’inizio del XX secolo,
se si è abbandonata da tempo l’idea di una TV pedagogica16 e si è
fatta strada la consapevolezza di un consumatore capace di
resistere selettivamente all’influenza persuasiva dei messaggi
pubblicitari; se, in sostanza, la gente non è, parafrasando
Baudrillard, una massa “imbecille e risentita” ma una variegata
componente di individui che mostrano al momento opportuno di
“sapere benissimo cosa fare”, allora bisognerà quantomeno
coinvolgerla, ad ogni discorso critico sulle funzioni sociali dei
media, in una chiamata, se non in correo, almeno in
corresponsabilità.
Ma se di questo e di altro ancora non potrà occuparsi questa
tesi, chi scrive si augura che i limiti suddetti possano offrire un
16
Il che non esclude, anzi, che siano in atto preoccupanti e “ancora più
paradossali varianti della TV pedagogica”. Cfr. M. Morcellini, “Cinque
domande per capire una sconfitta”, in ID., M. Prospero (a cura di),
Perché la sinistra ha perso le elezioni?, Ediesse, Roma, 2009, p. 18.
15
modico contribuito al complessivo lavoro di ricerca scientifica
svolto dalla Facoltà.