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INTRODUZIONE
“Il fenomeno ‘sociale totale’ del tatuaggio contemporaneo interroga le scienze
dell’uomo col paradosso d’una iscrizione incancellabile sui membri di una società
cosiddetta ‘liquida’ ”
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.
Si sente sempre più spesso parlare del tatuaggio nella società contemporanea, un
segno indelebile destinato a rimanere impresso sul corpo per tutto il resto della
nostra esistenza, una pratica ormai consolidata nel corso degli anni che è diventata
un fenomeno di massa colmo di significati, sia oggettivi che soggettivi, con
un’impronta culturalmente significativa.
Nella prima parte dell’elaborato verrà analizzato il tatuaggio nella sua complessità,
approfondendo diversi aspetti importanti al fine di comprendere il suo potere
comunicativo e la sua rilevanza come forma di espressione individuale.
Nonostante le molteplici sfaccettature presenti in questa pratica, come lo stile del
tatuaggio, le culture di provenienza, e le varie motivazioni che spingono un
soggetto a incidersi permanentemente un segno sul corpo, il tatuaggio permette
alla pelle di comunicare un qualcosa, di significare, di raccontare il passato,
presente e futuro del suo “portatore”, la sua identità; consente in sostanza di creare
una sorta di maschera attraverso cui può essere compreso o supposto il significato
del segno tegumentario, insieme alla personalità e alla cultura dell’individuo che
lo possiede.
Charles Sanders Pierce definisce il segno come un’inferenza: “un segno (o
Representamen) è qualcosa che sta a qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto
o capacità. Si rivolge a qualcuno, cioè crea nella mente di quella persona un segno
equivalente, o forse un segno più sviluppato. Questo segno che esso crea lo chiamo
interpretante del primo segno”
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G. Marrone - T. Migliore, Iconologie Del Tatuaggio, Meltemi, Milano, 2019, p. 13.
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Per approfondire si veda V. Pisanty - A. Zijno, Semiotica, McGraw-hill, Milano, 2009, p. 109 e successive.
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Da tale definizione emerge limpidamente l’esistenza di un rapporto triadico tra il
segno, l’oggetto a cui il segno fa riferimento e la concezione soggettiva che ne ha
colui che interpreta.
Si può dunque affermare che il tatuaggio è a tutti gli effetti un segno: da una parte
poiché viene interpretato come tale da qualcuno, dall’altra poiché è prodotto con
la precisa intenzione di comunicare qualcosa.
Un segno tegumentario assolve quindi molteplici necessità e funzioni; tuttavia, le
sue implicazioni più evidenti risiedono indubbiamente nella trasformazione
individuale del soggetto e nella possibilità che ognuno di noi ha di raccontare una
storia facendo “parlare” la propria pelle.
Nella parte successiva dell’elaborato verranno invece analizzati due aspetti
particolarmente significativi del tatuaggio: il suo utilizzo nei campi di sterminio
nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e il tatuaggio come memoriale per la
progenie dei sopravvissuti alla Shoah.
Il tatuaggio nella Germania nazista rappresentava infatti una delle pratiche più
atroci e disumane della storia dell’umanità. I prigionieri nei campi di
concentramento di Auschwitz-Birkenau venivano marchiati con un numero che li
privava per sempre della loro dignità e identità, disumanizzandoli e segnandoli per
tutta la loro esistenza. Tali segni numerici , oltre a rappresentare una delle forme
più atroci e spietate di repressione e deumanizzazione adottate dal regime nazista,
provocavano un trauma duraturo che avrebbe accompagnato i sopravvissuti alla
Shoah per il resto dei loro giorni.
Tuttavia, molti parenti dei sopravvissuti hanno deciso di onorare i loro antenati
replicando il loro tatuaggio numerico, funzionando come simbolo commemorativo
in ricordo dello sterminio ebraico e della sofferenza da loro subita, e continuando
a mantenere vivo il ricordo di tale evento catastrofico, che non deve essere mai
dimenticato.
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CAPITOLO 1
Il fenomeno del tatuaggio
1.1. Il tatuaggio: dalle origini all’attualità
La pratica del tatuaggio fonda le sue origini già dell’antichità: esiste da almeno
cinquemila anni e ciò è pienamente dimostrato dai reperti storici rinvenuti:
dall’uomo del Similaun, comunemente chiamato ‘uomo di Ötzi’, che ritrovato
sulle alpi nel 1991 rappresenta il primo essere umano tatuato di cui si abbia
conoscenza e che presentava ben sessantun tatuaggi sul proprio corpo risalenti a
cinquemila anni or sono, alle mummie egizie del 2000 a.C., anch’esse aventi
molteplici segni tegumentari sui propri corpi
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.
Altro caso degno di nota è rappresentato da Ice Maiden, una donna rimasta sepolta
sui monti Altai in Siberia per duemilacinquecento anni prima di essere rinvenuta
nel 1993, che tuttavia possedeva svariati tatuaggi ancora conservati in egregie
condizioni.
Interrogarsi sul loro significato, sulle varie motivazioni che spinsero (e tuttora
spingono) le persone a marchiarsi il corpo indelebilmente e comprendere cosa
volessero comunicare tali segni tegumentari, è estremamente importante per avere
una visione accurata e completa della complessità di questa pratica, che a primo
impatto potrebbe sembrare una semplice raffigurazione decorativa.
Il termine tattoo, inizialmente tattow, deriva dalla lingua tahitiana tatau, parola
onomatopeica che ricorda il suono prodotto dal picchiettio delle bacchette
utilizzate per bucare l’epidermide e che designa la procedura dell’incisione della
pelle.
Sembrerebbe che tale termine fu introdotto in Europa dal celebre capitano James
Cook a partire dalla metà del diciottesimo secolo, il quale durante il ritorno da un
viaggio nel 1774 verso la Gran Bretagna, portò con sé una persona estremamente
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G. Marrone - T. Migliore, Iconologie Del Tatuaggio, Meltemi, Milano, 2019, p. 87 e successive.
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tatuata, colma di segni tegumentari, con il solo obiettivo di mostrarla al mondo
civilizzato occidentale, quasi come se fosse un fenomeno da baraccone
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.
Nel periodo coloniale la pratica del tatuaggio era squisitamente caratteristica dei
marinai che intraprendendo lunghi viaggi si tatuavano per vari motivi. Da un lato
per avere un ricordo della meta visitata, imitando gli abitanti del luogo “in una
sorta di creolizzazione del linguaggio del corpo”
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. Dall’altro emerge invece un
ritratto alquanto angoscioso della realtà, poiché i marinai si tatuavano per
sconfiggere la noia dei lunghi ed intensi viaggi, per sopprimere la nostalgia dei
propri affetti lontani, ma sembrerebbe si tatuassero anche in un’ottica talismanica
e metafisica, con la speranza di scongiurare eventuali intemperie o sfortune del
caso.
Tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo la pratica del tatuaggio si espanse in
maniera esponenziale e contagiò anche classi sociali più altolocate come gli
aristocratici eccentrici europei.
Il tatuaggio ha dunque subito notevoli e radicali cambiamenti nel corso della storia:
considerato all’inizio del secolo scorso come un segno che identificava e
contraddistingueva chiaramente il classico prototipo del delinquente o soggetti ai
margini della società (ideologia che sposa pienamente Cesare Lombroso nel suo
testo “L’uomo delinquente”
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), oppure come una pratica eseguita prettamente in
un’ottica socioculturale, il tatuaggio è invece tuttora considerato e inteso come una
forma d’arte.
L’ideologia del senso comune concernente questa antica pratica è quasi sempre
stata associata in passato ad ambienti criminali, a soggetti che si trovavano ai
margini della società, a una forte degenerazione morale e a una devianza sociale
assai pervasiva.
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Per approfondire si veda in G. Marrone - T. Migliore, Iconologie Del Tatuaggio, Meltemi, Milano, 2019,
p. 109 e successive.
5
G. Marrone - T. Migliore, Iconologie Del Tatuaggio, Meltemi, Milano, 2019, p. 87.
6
Per approfondire si veda in G. Marrone - T. Migliore, Iconologie Del Tatuaggio, Meltemi, Milano, 2019,
pp. 236-237.
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Nella cultura cristiana ed ebraica il tatuaggio è considerato un male, è pregnante
di intense discriminazioni ed è visto come un mezzo per condurre l’essere umano
al demonio: l’origine di tali considerazioni fonda le sue origini in una prescrizione
biblica situata nel Levitico, che proibisce le incisioni sulla pelle e i tatuaggi
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A ben pensare, già all’epoca degli antichi Romani i tatuaggi venivano utilizzati per
discriminare schiavi e criminali, fino ad arrivare nel recente passato in cui nei
campi di concentramento nazisti veniva utilizzato il tatuaggio per contrassegnare
e discriminare i prigionieri ebrei, a cui veniva posto un numero sul braccio.
Nella cultura occidentale, analogamente a quella orientale, il tatuaggio si è dunque
sempre “macchiato” inizialmente di accezioni negative, trattandosi spesso di segni
distintivi denigranti. Oltre a ciò, seguendo tale percorso logico in un’ottica di
“avvilimento”, si può affermare che per lungo tempo la pratica del tatuaggio è stata
a ragione considerata come veicolo di propagazione di contagi o come causa di
malattie.
Nonostante sia stato considerato per secoli un segno infimo, colmo di significati
ostili e segno distintivo di gruppi sociali ben circoscritti, negli ultimi decenni il
tatuaggio è stato ampiamente accettato, anche se considerato allo stesso tempo una
pratica eccentrica che ‘investe’ in particolar modo il mondo dei giovani ma non
solo.
Vi è inoltre una spiccata tendenza a definire il tatuaggio come una moda che sta
prendendo sempre più piede nell’epoca contemporanea, con una diffusione
straordinaria a livello globale. Tuttavia, utilizzare tale termine per definire il
tatuaggio, pone dei limiti riguardanti il concetto di moda e occorre fare una precisa
considerazione: la moda, in quanto tale, presuppone continui cambiamenti nel
corso del tempo e un’omologazione persistente per restare appunto alla “moda”.
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Secondo la Genesi, il primo tatuato della storia fu Caino. “A Caino che, dopo il fratricidio di Abele, si
lamentava: ‘Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo, ed io dovrò nascondermi dalla tua faccia,
sarò errante e fuggiasco sulla terra, ed avverrà che chiunque mi incontrerà potrà uccidermi’(Genesi 4, 14),
Dio risponde: ‘Non così, perché chiunque ucciderà Caino, riceverà una punizione sette volte maggiore’.
Allora, il Signore mise un segno su Caino, affinché chiunque lo incontrasse, non lo uccidesse”(Genesi 4,
15). Nel Levitico si trova la prima proibizione riguardo ai tatuaggi: “Non vi farete incisioni nella carne, né
vi farete tatuaggi addosso, io sono il Signore”(Levitico 19,28).