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Introduzione
Negli ultimi anni si è assistito, e si assiste tuttora, a profondi mutamenti sociali,
economici, politici, tecnologici, che, data la rapidità con cui essi avvengono,
difficilmente riescono ad essere del tutto assimilati dalla gente che finisce per
vivere una sorta di smarrimento sociale.
Scrive Z. Bauman: «Una società può essere definita liquido-moderna se le
situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire
riescano a consolidarsi in abitudini e procedure» (Bauman, 2005, p.VII).
Esserci lasciati coinvolgere da una società in evoluzione, perché sempre più
tecnologica e quindi più complessa, ma anche più contraddittoria, e dove il profitto
e il consumo sembrano valori dominanti, ci ha portato a perdere contatto con una
più intima e segreta coscienza depositaria di preziosi valori. La mancanza, in
maniera considerevole e forse irreversibile, di rispetto verso i valori, ha generato
l‟eclissi del senso, con il sopraggiungere della tendenza ad adattarsi in maniera
acritica ai vari messaggi veicolatici e a non reagire alle inaccettabili leggi del
consumo e del profitto (Gemma, 2011, p.277).
Sul piano economico, la crisi internazionale iniziata nel 2007 nella sola area
degli USA e manifestatasi in tutta la sua gravità a partire dal 2008 a livello
internazionale continua a non risolversi, abbattendosi pesantemente sui Paesi
dell‟Eurozona, tra cui l‟Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo e Cipro;
la politica a sua volta non riesce più ad essere credibile, concretamente propositiva,
mostrandosi unita nel superare le difficoltà del Paese e dei cittadini;
la tecnologia continua ad avanzare a passi da gigante, spesso utilizziamo
macchinari tecnologici solo per moda e non per utilità, veicolando contenuti
asettici privi di criticità.
Dunque vi è la necessità da parte dei cittadini di adeguarsi rapidamente ai
cambiamenti, di cercare o riscoprire i valori a cui fare riferimento. Quale ruolo
ricoprono oggi gli istituti che da sempre hanno il compito di trasmettere il sapere, i
valori in cui credere, come la Scuola e l‟Università?
Partendo da queste premesse, e dalla premessa secondo cui l‟attuale crisi
economica è caratterizzata da minacce ecologiche senza precedenti accompagnate
da catastrofi naturali attribuite ai cambiamenti climatici e livelli di povertà
mondiale anch‟essi inediti, il mio lavoro consiste nel trasferire tali considerazioni
in ambito locale, cioè su Taranto, effettuando una ricerca sul territorio tarantino
ponendo dei questionari che vedono coinvolti cittadini di diversa età (dai 10 anni
in su) e di diversa professione.
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Il campione preso in considerazione è composto da 200 unità, di cui 150 di età
compresa dai dodici anni in su e 50 di età compresa tra i nove e gli undici anni.
Al fine di avanzare delle proposte d‟intervento educativo, nella ricerca sono state
coinvolte tre scuole elementari statali situate in diverse aree della città di Taranto:
il Settimo Circolo “E. Giusti” sito nel rione Tamburi; l‟Istituto Comprensivo “G.
Salvemini” situato nella circoscrizione di Talsano; l‟Istituto Comprensivo “L.
Pirandello” (sede distaccata “G. Falcone”) situato nel quartiere Paolo VI.
Nello specifico, la ricerca è articolata in due momenti:
• il primo momento fa riferimento alla somministrazione dei questionari agli
adulti avvenuta tra maggio e settembre 2012;
• il secondo momento fa riferimento alla somministrazione dei questionari ai
bambini, avvenuta tra settembre e ottobre 2012.
A loro volta, i singoli momenti si suddividono in due parti:
• nella prima parte del questionario sono contenute sei domande a risposta
multipla riguardanti alcune tematiche strettamente legate alla città, quali
l‟ambiente, il mare, l‟industria e il lavoro, la politica, la cultura e le prospettive di
crescita;
• nella seconda parte sono elencati quindici valori (come ad esempio la famiglia, il
lavoro, l‟onestà, ecc.) in cui si chiede all‟intervistato di indicarne cinque a cui
non potrebbe assolutamente rinunciare. Valori intesi come linee guida della vita
di ognuno.
Per poter definire l‟assetto definitivo del questionario da porre agli intervistati, ho
effettuato un‟indagine campione tra un numero complessivo di 15 unità (di cui 5
bambini della scuola elementare “E. Giusti”, di età compresa tra i nove e undici
anni), a cui è stato chiesto di rispondere (in riferimento alla prima parte della
ricerca) liberamente alle stesse domande che costituiranno il questionario
definitivo, al fine di poter strutturare le diverse alternative di risposta che
definiranno la ricerca conclusiva. Anche in riferimento alla seconda parte del
questionario è stato chiesto agli intervistati che compongono il campione
d‟indagine di fornire apertamente, secondo la propria scala di valori, 5 valori a cui
non potrebbero assolutamente rinunciare.
Al termine della ricerca analizzerò i risultati e traccerò un quadro della situazione
sociale a Taranto, individuando quali valori possano essere considerati punti di
riferimento per i cittadini tarantini, come sono percepite le tematiche ambientali,
lavorative, politiche e culturali, indicando su quali problematiche la Scuola e
l‟Università presenti sul territorio dovrebbero intervenire.
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Mi preme sottolineare in queste righe introduttive come l‟obiettivo del mio
lavoro non è ricercare gli elementi caratterizzanti della “tarantinità”, cioè il modo
di essere dei soggetti in quanto tarantini, ma di “avere un termometro” della
situazione sociale a Taranto, il che inevitabilmente sfocia nel delineare i caratteri di
una identità difficile da definire.
Tale premessa è necessaria in quanto nel 1990 la sociologa tarantina Patrizia
Resta svolse un lavoro avente diverse analogie con questa ricerca il cui obiettivo
era però tracciare l‟identità di una comunità, di una città, cioè la tarantinità.
L‟intero lavoro è strutturato in tre capitoli: nel primo capitolo si parla delle cause
della crisi mondiale, con le inevitabili ripercussioni che esse hanno avuto sul
tessuto sociale italiano modificando i parametri della società stessa analizzando i
dati ottenuti nell‟indagine dell‟Istituto di ricerca Censis del marzo 2012 sui valori
degli italiani. A seguire si analizza la società tarantina attraverso tre indicatori
fondamentali: la cultura, il mare e l‟industria, affrontando prevalentemente
l‟aspetto socio-culturale, i mutamenti e gli adeguamenti che la società tarantina ha
subito nel corso dei secoli. Il secondo capitolo riguarda la ricerca sopracitata, frutto
delle considerazioni effettuate nel primo capitolo, cioè l‟intreccio delle analisi e
risultanze su scala nazionale e locale. Infine il terzo capitolo riporta le conclusioni
provvisorie della ricerca e alcune proposte inerenti la formazione nella città di
Taranto.
I fatti di cronaca riportati all‟interno dei tre capitoli si arrestano a marzo 2013;
mentre la ricerca, nel suo complesso, si è svolta tra febbraio e ottobre 2012
(somministrazione dei questionari campione e definitivi).
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CAPITOLO I
Taranto
Taranto, nel corso della sua millenaria storia ha subito molteplici mutamenti in
gran parte dovuti alla sua posizione strategica nel Mar Mediterraneo e alle
particolari caratteristiche geografiche, divenendo una preda ambita da parte di
popolazioni colonizzatrici del passato, lasciando “tracce” del proprio passaggio.
La diffusione della cultura greca nelle zone del Mediterraneo, eurasiatiche e
orientali; i domini romani; saraceni; bizantini; normanni; francesi; spagnoli;
rappresentano solo alcune delle innumerevoli popolazioni che hanno colonizzato
Taranto.
Il fenomeno della colonizzazione non è però un fatto da ricercare solo nei libri di
storia, di fatti Taranto è sempre stata oggetto di grande interesse anche nel recente
passato, basti pensare alla nascita dell‟Arsenale Militare Marittimo inaugurato il 21
agosto 1889 e l‟insediamento dello stabilimento siderurgico Italsider (oggi ILVA)
operativo a partire dal 22 ottobre 1964. Vecchi e nuovi colonizzatori.
Scelte che professavano di essere portatrici di progresso e di innovazione, di
civiltà.
Il mare motore di una città dal passato glorioso e dal presente incerto, da culla
della Magna Grecia ai divieti di coltivare mitili nel nostro mare inquinato; mare
che da sempre rappresenta uno spiraglio di apertura verso nuove frontiere e nuovi
scenari culturali e lavorativi; mare che ad oggi è uno dei temi più controversi del
territorio tarantino.
Una Taranto che cerca di adeguarsi a tutti i costi al progresso e all‟innovazione,
essere al passo con i tempi, tempi quasi sempre dettati dal “Nord industrializzato”.
Taranto che per migliorarsi e cambiare ha messo da parte le proprie origini e i
propri caratteri, spesso a scapito di una propria identità.
Sul finire dell‟epoca barocca la città diviene oggetto d‟interesse e di studio (non
solo Taranto, ma in generale l‟Italia e specificatamente il Sud) da parte dei
viaggiatori europei che intraprendevano il Grand Tour, un viaggio in cui i giovani
studiosi imparavano a conoscere la cultura, la politica, l‟arte, gli usi e costumi dei
luoghi esplorati in un viaggio che poteva durare alcuni mesi o svariati anni.
Le origini del Grand Tour risalgono al XVII secolo e continua fino agli inizi del
primo conflitto mondiale, e vede coinvolti viaggiatori prevalentemente francesi,
inglesi e tedeschi.
Temerari esploratori che si avventuravano nelle provincie del profondo Sud
(anche dopo l‟Unità d‟Italia gli stessi napoletani consideravano le regioni al di
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sotto di Napoli “Africa”) affascinati dai luoghi naturali incontaminati, dai paesaggi
pittoreschi, dal folklore delle popolazioni meridionali e, quasi sempre vi era la
determinazione a ripercorrere le orme dei grandi personaggi dell‟età classica.
E‟ difficile citare i nomi di tutti i viaggiatori, le epoche e le loro opere, pensiamo a
George Berkeley, Louis Ducros, Henry Swinburne, Craufurd Tait Ramage,
François Lenormant, George Gissing, Janet Ann Ross.
Scrive il viaggiatore e scrittore inglese George Gissing durante il suo secondo
viaggio in Italia nel 1897: «Questo, il Galeso? Il fiume amato da Orazio, sulle cui
rive trovava pascolo una famosa razza di pecore con vello così pregiato che veniva
protetto da una gualdrappa di cuoio? E‟ certo che tutte le acque della Magna
Grecia sono molte scemate dall‟età classica ad oggi, ma (a meno che non vi siano
stati grandi cambiamenti nella struttura del terreno, dovuti, ad esempio, a
terremoti) questo ruscello deve sempre aver avuto la stessa lunghezza ed è difficile
pensare che il Galeso fosse così insignificante» (Gissing, 2006, p.40).
Le testimonianze di Gissing sono di particolare importanza in quanto descrive le
condizioni di Taranto subito dopo la nascita dell‟Arsenale Militare.
Dunque una Taranto che non custodisce i propri tratti caratteristici, spesso
sacrificati dagli stessi abitanti in prospettive di crescite future, una non curanza del
proprio patrimonio culturale e archeologico, l‟inconsapevolezza di ciò che Taranto
fu.
Ovviamente le cause di tutto ciò non sono imputabili esclusivamente ai cittadini
di un tempo, visto l‟elevato grado di analfabetismo presente non solo a Taranto,
ma in tutta Italia, il cui unico obiettivo era sostanzialmente portare il pane a casa,
ma a tutti coloro che non hanno saputo difende con le proprie scelte politico-
istituzionali un territorio pieno di storia e di tradizioni millenarie.
Scelte che hanno investito non solo Taranto, ma il Sud, non si sono rispettate le
sue tradizioni e si è cercato di imporre delle politiche sociali ed economiche
ispirate a modelli di sviluppo “settentrionali” (vedi ad esempio i “poli industriali”
degli anni Sessanta del „900 di Taranto (Italsider), di Brindisi (petrolchimico),
Gioia Tauro) che ne hanno determinato una crescita distorta che oltretutto ha
mortificato le sue caratteristiche geoantropoetniche (Pagano, 2003, p.72-73).
Il contesto socio-culturale italiano
Prima di analizzare il contesto socio-culturale e valoriale della città di Taranto è
necessario partire dalle cause che hanno dato origine all‟attuale crisi economica e
di come essa abbia avuto ripercussioni sul contesto socio-culturale italiano.
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1.1. Una città in crisi
Tutto ha avuto inizio con lo scoppio della bolla del mercato immobiliare
americano nel 2004, dopo un lungo periodo in cui i prezzi delle case erano
cresciuti costantemente. A un numero crescente di famiglie veniva data
l‟opportunità di accendere un mutuo, in maniera quasi indiscriminata. I creditori,
infatti, si erano dati ad una pratica chiamata dei “prestiti subprime”, ovvero
concedere prestiti a persone poco solubili, gente a cui normalmente non sarebbe
mai stato accordato un mutuo per comprare casa.
I mutui subprime, introdotti negli Stati Uniti dal presidente Bill Clinton,
prevedevano un tasso d‟interesse molto basso per i primi anni e un brusco aumento
nei successivi. Di solito i rischi non venivano spiegati nei dettagli, mentre i
debitori imboniti con la prospettiva di poter rifinanziare il mutuo negli anni a
venire per mantenere il tasso di interesse ai livelli iniziali. Alcuni economisti
misero in guardia riguardo ai rischi che si correvano, ma la maggioranza non volle
interrompere l‟atmosfera festosa che regnava nel mercato immobiliare statunitense.
Sembrava che tutti ci stessero guadagnando: compagnie di costruzione, agenti
immobiliari, istituti bancari e produttori di materiali edili. Tutti potevano in breve,
divenire proprietari di una casa.
Nel biennio 2004-2006 arrivò il momento di ripagare.
I tassi d‟interesse sui mutui subprime schizzarono alle stelle. Molti debitori non
erano in grado di ripagare o rifinanziare.
La crisi sarebbe potuta rimanere confinata agli Stati Uniti, ma sfortunatamente le
banche e i creditori di questi prestiti avevano venduto i debiti ad altri investitori.
I debiti sminuzzati in azioni erano stati venduti a investitori stranieri e ad istituti
bancari di tutto il mondo sotto forma di complicati pacchetti finanziari
incomprensibili ai più.
Nel 2007, 1,3 milioni di proprietà immobiliari sono state messe all‟asta per
insolvenza, il 79% in più rispetto al 2006.
Nessuno sembrava sapere di chi fossero questi debiti “senza valore”, sparsi nel
sistema finanziario a tutte le latitudini del globo.
Improvvisamente le banche non erano più disposte a farsi prestiti a vicenda,
diffidenza che risultò in un cosiddetto “credit crunch” ossia un periodo in cui c‟è
poca liquidità nel sistema perché nessuno presta denaro. Le perdite cominciarono
ad accumularsi.
A luglio 2008, grandi banche e istituzioni finanziarie a livello mondiale
denunciarono perdite per circa 435 miliari di dollari.
Molti istituti finanziari hanno dovuto dichiarare fallimento o sono sul punto di
farlo.