7
con l’ambiente, perché ritiene che da esso può trarne vantaggi
economici.
L’Unione Europea ha da qualche tempo deciso di sostenere
quest’approccio delle aziende affiancando, a norme che impongono
limiti di emissione e prevedono sanzioni per il mancato rispetto di
standard, regolamenti, protocolli d’azione volontari ai quali le imprese
possono scegliere di aderire.
Fino a poco tempo fa i pubblici poteri avevano puntato,
particolarmente in Italia, sugli strumenti di “command and control”,
vale a dire sull’uso di norme di legge allo scopo di imporre
determinati standard seguiti da sistemi di controllo e sanzione. Questi
mezzi si sono rilevati inadatti per alcune implicazioni a volte
contraddittorie; infatti, se da una parte essi possono creare stimoli ad
innovare, incentivare lo sviluppo di nuove imprese, dall’altra possono
favorire la dislocazione delle attività in aree più tolleranti in tema
ambientale o appesantire eccessivamente gli obblighi burocratici,
deprimendo l’imprenditorialità e ostacolando le imprese italiane
impegnate in una competizione internazionale.
Le norme cogenti in materia ambientale non possono essere più
disattese, ma può essere utile anche adottare un approccio proattivo, in
modo da vivere l’ambiente non solo come un vincolo, ma anche come
fonte di opportunità. L’esempio più rappresentativo di questi nuovi
strumenti sono le norme di carattere volontario come la norma
internazionale UNI EN ISO 14000 del 1996 in materia di Sistemi di
Gestione Ambientale (SGA), ed il Regolamento comunitario n.
1836/1993, intitolato EcoManagement and Audit Scheme (EMAS),
8
recentemente sostituito dal Regolamento CE n. 761/2001, introdotto
dall’Unione Europea nell’ambito del V Programma d’Azione
sull’Ambiente per sperimentare concretamente l’iterazione tra gli
strumenti di command e control con quelli di carattere volontario
basati su dinamiche di mercato.
Porsi in un’ottica di custodia ambientale consente di raggiungere
vantaggi interni ed esterni, permette di ottimizzare l’utilizzo delle
risorse interne, eliminando i possibili sprechi, migliorare la propria
immagine nei confronti dell’opinione pubblica, instaurare un dialogo
diretto con le istituzioni di controllo e la popolazione locale evitando
l’insorgere di fenomeni di stato di conflitto, guadagnandone fiducia,
avviare un rapporto di tipo costruttivo e cooperativo, fino alla
prevenzione delle crisi ambientali sul sito produttivo. Altro fattore
fondamentale che potrebbe spingere le imprese verso la tutela
ambientale, sono gli incentivi concessi alle imprese ecoefficenti.
Il Regolamento EMAS non ha fatto altro che tradurre in una legge
comunitaria la spinta che, in realtà, proveniva dall’intero apparato
industriale. EMAS non propone limiti ambientali oltre a quelli già
previsti, ma indica invece strumenti gestionali attraverso cui l’azienda
può raggiungere gli obiettivi che essa stessa ha fissato, in un costante
e ragionevole miglioramento continuo, adeguando il sistema
gestionale, e comunicando all’esterno i risultati. L’atto finale del
percorso è la registrazione del sito (organizzazione), che avviene dopo
che l’azienda ha presentato all’Organismo Competente la
Dichiarazione Ambientale convalidata.
9
La norma 14001 fornisce i requisiti di un Sistema di Gestione
Ambientale in modo tale da permettere ad un’organizzazione di
formulare una politica e stabilire degli obiettivi, tenendo conto delle
prescrizioni legislative e delle informazioni riguardanti gli impatti
significativi su cui l’azienda può esercitare influenza.
La diffusione di tali sistemi potrebbe essere favorita dalla similitudine
con le norme ISO serie 9000 riguardanti, i Sistemi di Qualità. Tra gli
aspetti affini con il regolamento EMAS troviamo l’impegno, in
entrambi i casi, dell’azienda alla comunicazione esterna, l’impiego di
un sistema di autoverifica, il cosiddetto audit interno e le analogie tra
Sistema Qualità e Sistema di Gestione Ambientale.
In tema di sviluppo della qualità ambientale, si deve però distinguere
tra approccio sistemico, legato al processo produttivo, che si basa sulla
realizzazione e certificazione di Sistemi di Gestione Ambientale, e
approccio di prodotto, incentrato sulle Etichette e sulle Dichiarazioni
Ambientali di vario tipo.
Il seguente studio è incentrato su un’analisi degli strumenti volontari
di gestione ambientale riferiti al processo produttivo, ossia sulle
considerazioni sul Regolamento EMAS con alcuni riferimenti ad ISO
14000 (parte prima), focalizzando l’interesse sulle Dichiarazioni
Ambientali prodotte dai siti registrati secondo il Regolamento
comunitario nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi, delle acque
di scarico e simili, e di quello connesso della produzione di energia
dai rifiuti (parte seconda), mettendo in risalto la gestione delle
problematiche ambientali all’interno dell’azienda. In questa
10
prospettiva si colloca la ricerca di processi produttivi compatibili con
uno sviluppo sostenibile.
Si introduce lo svolgimento della prima parte del testo con una breve
parte riguardante il problema ambientale (capitolo 1) , mettendo in
risalto lo sviluppo della coscienza ambientale dagli anni 50-60 fino
all’introduzione del Regolamento comunitario di ecogestione ed audit.
Dopo una prima parte introduttiva viene presentata la gestione delle
problematiche ambientali all’interno dell’impresa (capitolo 2),
incentrata sul rapporto impresa-ambiente rispetto ai vari modelli di
gestione della variabile ambientale, e sui vantaggi della gestione eco-
compatibile.
I Sistemi di Gestione Ambientale sono illustrati in maniera generale
nel capitolo 3, mentre i capitoli successivi, rispettivamente il quarto ed
il quinto, trattano la presentazione del Regolamento EMAS in tutti i
suoi aspetti, ed il confronto con le norme ISO 14000.
La seconda parte dell’esposizione inizia con una trattazione generale
sui rifiuti, illustrando alcuni dati sulla loro produzione e gestione ed
indicandone i processi di smaltimento (capitolo 6).
Infine, nel capitolo 7, si presenta l’analisi delle Dichiarazioni
Ambientali nel settore dello smaltimento dei rifiuti, compiendo
un’analisi comparata tra le dichiarazioni ed un’illustrazione di alcuni
processi di smaltimento dei rifiuti.
11
PARTE PRIMA:
GLI STRUMENTI VOLONTARI DI
GESTIONE AMBIENTALE APPLICATI AI
PROCESSI PRODUTTIVI
12
1. IL PROBLEMA AMBIENTALE
1.1. Dalla nascita del problema ambientale
all’introduzione di EMAS.
Negli anni ’50-60 i problemi tecnologici ed ambientali cominciarono
ad attrarre l’attenzione del pubblico, furono anni caratterizzati dalla
piena affermazione del modello produttivo fordista, basato sulla
catena di montaggio, i beni standardizzati, il crescere dei consumi, ma
anche tempi contrassegnati da numerosi incidenti di grandi petroliere
1
,
da preoccupanti fenomeni di inquinamento atmosferico e delle acque
in aree ad elevata concentrazione industriale
2
.
Per molti la “rivoluzione ambientale”, iniziò con la pubblicazione nel
1962 di Silent Spring
3
, dove furono denunciati i danni all’ambiente ed
all’uomo causati dall’uso di alcuni pesticidi. A cavallo di questi anni il
conservazionismo elitario delle prime associazioni ambientaliste,
caratterizzate da una prospettiva apocalittica e ristretta, fu superato da
un’ambientalismo di massa, mentre una parte di esso si concentrò
sulla critica ai modelli economici dominanti. Questi fenomeni,
l’incontro tra iniziative scientifiche e attività politiche daranno
l’impulso per lo sviluppo delle grandi conferenze sull’ambiente di cui
si parlerà più avanti.
1
Il primo di gran rilievo avvenne nel 1967 sulle scogliere della Cornovaglia, dove furono riversati
118.000 tonnellate di petrolio.
2
B. De Marchi, L. Pellizzoni, D. Ungano, “Il rischio ambientale”, il Mulino 2001.
3
Il libro di Rachel Carson suscitò negli anni successivi numerosi dibattiti, facendo sì che diversi
paesi limitarono l’uso di alcuni pesticidi.
13
Alcuni fanno invece risalire la nascita del “problema ambientale” al
1972, anno della pubblicazione de I Limiti dello sviluppo
4
, in cui
salirono alla ribalta il problema del sovrappopolamento e
dell’insostenibilità della crescita economica.
E’ ormai passato molto tempo da quando Adam Smith e David
Ricardo affermarono che in cambio dell’acqua e dell’aria non si deve
nulla perché essi erano presenti in quantità illimitata
5
; difatti le risorse
naturali non erano considerate beni “economici”
6
.
Il rapporto sui limiti dello sviluppo, pur partendo da un modello
approssimativo e semplificato
7
, fece notare come l’inquinamento ed il
rapido esaurimento delle risorse energetiche rendevano prossimo quel
disastro contestato da coloro che avevano un’eccessiva fiducia nel
sistema tecnologico. L’unica possibilità di salvezza stava
nell’immediato cambio di rotta, vale a dire riducendo drasticamente
l’incremento della popolazione, l’investimento industriale e quello
agricolo e trasferendo, nello stesso tempo, risorse ai paesi meno
sviluppati
8
. Nonostante le critiche radicali, il merito del modello fu
quello di porre l’attenzione sulla “questione ambientale”. A
dimostrare che il dibattito è ancora attuale alcuni economisti, Robert
M.Solow, Paolo Sylos Labini, Jeremy Rifkin, hanno condotto recenti
studi sostenendo che “uno sviluppo senza limiti determina un
peggioramento della qualità della vita ed una maggiore vulnerabilità
4
Il cosiddetto Rapporto Meadows, commissionato dal club di Roma al Massachussets Intitute of
Tecnology (MIT) di Boston.
5
Al tempo questo fondamento poteva tuttavia ritenersi giustificato.
6
L.C. Lucianetti, “Produzione, consumo e tutela ambientale, analisi e proposte”, Libreria
dell’Università Editrice, Pescara 1997.
7
La ricerca è stata attuata tramite il modello della dinamica dei sistemi di Forrester.
8
D.H. Meadows ed altri, “The limits to Growth”, Universe Books, New York 1972, trad. It. “I
limiti dello sviluppo”, Mondadori, Milano 1981.
14
nei confronti dei fattori esogeni e quindi incide negativamente in
un’economia di scala creando “disordine” ambientale che provoca
l’aumento dei costi sociali, politici ed economici”
9
.
Nel 1972, a Stoccolma si svolse sotto l’egida delle Nazioni Unite la
prima conferenza mondiale sull’ambiente
10
. Essa, riunendo per la
prima volta rappresentanti di oltre cento Paesi ed oltre circa
quattrocento Ong, mise a confronto i Paesi del Nord con quelli del
Sud, sancendo un approccio coordinato ai problemi globali e
stabilendo il principio della responsabilità internazionale. Le attività,
che ebbero inizio dalla conferenza di Stoccolma, possono essere
considerate la risposta all’utopistico “sviluppo zero”
11
, il quale
sostiene che, l’unico modo per uscire dai pressanti problemi che
affliggono la società è quello di “contenere al massimo lo sviluppo
economico”
12
.
La successiva crisi energetica
13
spostò il movimento ambientalista e
l’opinione pubblica sul tema delle fonti di energia alternative.
Si susseguirono nel frattempo gli incidenti, tra i più significativi
quello del ’76 in un impianto chimico a Seveso
14
.
Negli anni ’80 le società industriali riacquistarono fiducia nella
crescita, si sostenne la sostituzione dei processi più inquinanti con altri
più ecologici, si sviluppò l’industria dei servizi, le politiche ambientali
9
Articolo pubblicato con il titolo An almost pratical step toward sustainability in occasione del
quarantesimo anniversario di Resources for the Future, Washington 1992.
10
McCormick nel 1995 osservò che questa conferenza segnò il passaggio dall’ambientalismo
ingenuo ed emotivo degli anni ’60 a quello razionale dei ’70.
11
Lo sviluppo zero si indica anche con il simbolo ZYG, vale a dire Zero, Y = reddito nazionale,
Growth (tasso di sviluppo).
12
D.W. Pearce, R.K. Turner, “Economia delle fonti naturali e dell’ambiente”, Il Mulino.
13
Nel ’73 con la guerra arabo-israeliana.
14
Situato nei pressi di Milano, dove in seguito ad una pericolosa fuga di diossina, la popolazione
fu avvertita con grave ritardo.
15
furono ripensate, i movimenti si avvicinarono alle istituzioni mentre i
partiti verdi si affacciarono alle diatribe parlamentari. In questa fase si
era convinti che la risposta ai problemi ambientali andava cercata in
un’ulteriore modernizzazione industriale. Si sviluppa il concetto di
prevenzione
15
.
Sebbene il discorso di modernizzazione ecologica riguarda, i Paesi più
industrializzati, il suo corrispettivo in ambito globale è dato dal
concetto di “sviluppo sostenibile”.
Lo sviluppo sostenibile fu definito per la prima volta nel Rapporto
Brundtland (WCED, 1987) come “lo sviluppo che soddisfa i bisogni
del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni
future di soddisfare i propri”. Le dimensioni che entrano in gioco sono
quella sociale, economica ed ambientale. La sostenibilità non si limita
all’aspetto intergenerazionale, ma mira alla ponderazione della
dimensione ecologica, sociale ed economica
16
. Si cerca di garantire
una base per l’esistenza, in particolare nel caso delle popolazioni in
via di sviluppo
17
. Sui modi in cui questo deve avvenire ci sono due
correnti di pensiero: la cosiddetta sostenibilità forte e la sostenibilità
debole
18
. La prima, la cosiddetta concezione ecocentrica, nega la
sostituibilità perfetta fra le diverse forme di capitale (naturale e
prodotto dall’uomo), perché considera il capitale naturale
insostituibile e lo tratta separatamente; non accettando l’idea che le
infrastrutture costruite dall’uomo possano adeguatamente compensare
15
B. De Marchi, L. Pellizzoni, D. Ungano, “Il rischio ambientale”, il Mulino 2001.
16
W. Kahlenborn, R.A. Kraemer, “Sostenibilità e gestione delle acque in Germania“, Economia
delle fonti di energia e dell’ambiente 1997, 3, 23-25.
17
La commissione Brundtland era formata per lo più da rappresentanti di Paesi del terzo mondo.
18
L. Circolo, M. Giacco, A. Morgante, V. Riganti, “Merceologia” Monduzzi Editore , Bologna
1998.
16
le future generazioni per l’alterazione ecologica. Viceversa, la
sostenibilità debole, la tecnocentrica, dispone la perfetta sostituibilità
o quasi, tra le differenti forme di capitale che entrano nel ciclo di
produzione, manifestando una fiducia indiscutibile sul progresso
tecnologico.
19
Il problema di questo tipo di sostenibilità è che non c’è
nessuna garanzia che l’innovazione tecnologica intervenga in modo
sufficientemente tempestivo
20
.
Il rapporto condusse alla conferenza di Rio de Janeiro nel 1992, ma
lasciò molta incertezza sul concetto di sostenibilità, che proprio per
questo perse di significato
21
.
Nel 1991 il rapporto Caring for the Earth, prendersi cura della terra,
strategia per un vivere sostenibile, definì in modo più corretto lo
sviluppo sostenibile come il soddisfacimento della qualità della vita
mantenendosi entro i limiti della capacità di carico
22
degli ecosistemi
che ci sostengono.
Il Vertice di Rio fu considerato da alcuni come un fallimento, da altri,
invece, come un importante punto di partenza. Uno dei risultati fu
quello di dare vita ad Agenda 21, vale a dire un documento che cerca
di affrontare una politica di sviluppo sostenibile nei diversi campi di
applicazione. Molto importante l’individuazione delle autorità locali
come motore fondamentale della sostenibilità, esse difatti
rappresentano la struttura attraverso la quale gli obiettivi locali sono
19
Questo approccio è tipico dell’economia neoclassica, che vede la natura come un settore
dell’economia.
20
AA.VV., “Suolo, sottosuolo e acque nelle politiche di sviluppo sostenibile”, Energia ambiente
innovazione 1999, 3, 59-73.
21
P. Pantano, “I limiti dello sviluppo ed il diritto al futuro”, su
http://www.entefaunasiciliana.it/art_limiti_sviluppo.html.
22
Carrying Capacity, la capacità di carico o capacità portante è il numero di individui di una
popolazione che le risorse di un habitat sono in grado di sostenere.
17
tradotti in azioni locali, secondo il principio “think globally, act
locally”
23
.
Gli orientamenti della Conferenza di Rio, sono stati accolti dal V
Programma d’Azione dell’Unione Europea per l’ambiente del 1992
(1993/2001), su cui è opportuno fermarci brevemente giacché ci fu un
notevole salto di qualità rispetto ai precedenti. Questo Programma
intende operare un cambiamento delle tendenze e delle pratiche nocive
per l’ambiente. Per garantire benessere, espansione sociale ed
economica alle generazioni attuali e future, si tende ad un
cambiamento del modello di comportamento della società
incentrandolo sul principio della “responsabilità condivisa”. La
Commissione Europea dichiarava, infatti, che “la realizzazione
dell’equilibrio auspicato tra attività umana e sviluppo, da un lato, e
protezione dell’ambiente, dall’altro, richiede la ripartizione delle
responsabilità chiaramente definita rispetto ai consumi ed al
comportamento nei confronti dell’ambiente e delle risorse naturali”.
Mentre i precedenti Programmi d’Azione prevedevano quasi
esclusivamente provvedimenti legislativi, il Quinto prevede oltre a
questi, strumenti di mercato, strumenti orizzontali di supporto
(formazione, dati statistici, informazione del pubblico) e meccanismi
di sostegno finanziario
24
. Con questo Programma ci fu il definitivo
superamento della concezione della politica ambientale come politica
settoriale esclusivamente regolata da strumenti basati sul principio del
comando e controllo.
23
M. Frey, F. Iraldo, “Il ruolo delle imprese nella costruzione dello sviluppo sostenibile, Economia
delle fonti di energia e dell’ambiente, 2000, 3, 19-37.
24
F. La Ferla, “Sesto programma UE per l’ambiente: quali prospettive per le PMI industriali”,
Ambiente e sviluppo 2003, 1, 23-28.
18
Cominciò contemporaneamente a mutare anche l’atteggiamento delle
imprese, si ebbero, infatti, i primi esempi di introduzione nella
missione aziendale della tutela ambientale.
In questo contesto va collocato il varo da parte della Commissione
Europea del Regolamento Cee n. 1836/93, noto come EMAS (Eco-
Management and Audit Scheme, Sistema di ecogestione e audit).
Esso rappresentò insieme al Regolamento n. 880/92 sull’etichettatura
ecologica dei prodotti (Ecolabel) il primo tentativo di concreta
realizzazione dei principi del Quinto Programma d’Azione
sull’Ambiente.
La revisione del Regolamento comunitario era già prevista nell’art. 20
del medesimo, disponendo modifiche entro cinque anni, se necessario,
riesaminando il sistema alla luce dell’esperienza acquisita; infatti, il “4
aprile 2001 fu pubblicato il Regolamento CE n. 761/2001
sull’adesione volontaria delle organizzazioni ad un sistema
comunitario di ecogestione ed audit.
1.2. Lo stato dell’ambiente.
Senza voler entrare nel dettaglio, vista la specificità e la vastità degli
argomenti da trattare che, richiedono peraltro conoscenze
estremamente specialistiche, faremo una breve panoramica sul recente
stato dell’ambiente, con l’intenzione di sensibilizzare il lettore su
questi temi.
19
Nonostante la valutazione del Quinto Programma d’Azione per
l’Ambiente conclude che, in molte aree, si siano fatti progressi come
per esempio
25
:
- le emissioni industriali nell’atmosfera di sostanze tossiche
(piombo e mercurio) sono state ridotte significativamente;
- l’acidificazione delle aree boschive e dei corsi d’acqua, causate
dalle emissioni di biossido di zolfo (SO
2
) è stata fortemente
ridotta;
- la depurazione delle acque reflue ha migliorato lo stato di
salute di molti laghi e fiumi;
sussistono tuttora una serie di problemi come il cambiamento
climatico, la perdita della biodiversità e degli habitat naturali,
l’erosione e la degradazione del suolo, il crescere del volume dei
rifiuti, l’accumulo di sostanze chimiche nell’ambiente, l’inquinamento
acustico e idrico, che destano preoccupazione a livello planetario.
La vita sulla terra è determinata dal buono stato di salute dei sistemi
naturali. L’uomo non solo trae dalla natura le risorse necessarie alla
vita, ma da essa crea servizi, ne trae piacere, la studia.
Senza dimenticare che, negli ultimi decenni si è notevolmente esteso il
concetto che dalla qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo dipendono
la nostra salute e la nostra vita; da ciò l’interesse a salvaguardare
l’ambiente per noi e le generazioni future.
Preoccupanti sono:
25
Dati tratti da L'ambiente nell'Unione europea alle soglie del 2000, Agenzia europea per
l'ambiente, 1999.
20
- l’erosione del suolo
26
, che connessa alle condizioni climatiche
e spesso anche ad una perdita di sostanza organica della terra,
può condurre, in alcuni casi, alla desertificazione;
- i rischi dovuti alla perdita della biodiversità. Numerose specie
di fauna sono vittime di un grave declino a causa della
frammentazione e del degrado degli habitat per effetto della
pressione antropica.
27
Per quanto riguarda il patrimonio
vegetale, molte specie sono a rischio e si registra una
significativa incidenza dei danni connessi all’inquinamento
atmosferico. Rilevante il danneggiamento forestale;
- l’inquinamento arrecato da incidenti o da attività industriali,
agricole e dai trasporti con effetti come le piogge acide
28
e
l’eutrofizzazione
29
;
- l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali senza dare ad
esse il tempo di rigenerarsi come nel caso degli stock ittici;
- l’eccessivo consumo delle risorse non rinnovabili, come i
metalli, i minerali e gli idrocarburi, a cui si lega
inevitabilmente il problema della riduzione dei rifiuti;
- le pesanti pressioni esercitate sulle risorse ambientali e
rinnovabili come il suolo, l’acqua, l’aria, causate dalla crescita
demografica e dagli attuali modelli di sviluppo economico.
26
Rappresenta un problema soprattutto per l’Europa meridionale.
27
In Europa il 38% delle specie di uccelli sono in pericolo.
28
I cui effetti rovinano terreni, foreste e laghi.
29
Vale a dire l’eccesso di nutrienti nell’acqua, che causa l’eccessiva crescita di alghe e piante in
acqua, con rischi per le forme di vita marina e di acqua dolce.