Introduzione
2
Anche se l’eterogeneità di una proteina a bassa temperatura è supportata da molte analisi
teoriche e sperimentali (Aqualino et al., 1991; Ehrenstein & Nienhaus, 1992; Guzzi et al.,
1997), non si sa ancora bene se essa sia dovuta principalmente al disordine intrinseco delle
biomolecole oppure se prevalga il disordine strutturale indotto dal congelamento del solvente
intorno alla proteina. Con l’ausilio di opportuni esperimenti si possono studiare
separatamente i due contributi. In particolare, si possono ottenere informazioni sul contributo
dello strain strutturale cambiando le condizioni di congelamento e le proprietà del solvente.
Gli effetti del congelamento sui sistemi biologici sono stati ampiamente studiati (Ondrias &
Rousseau, 1981; Yang & Brill, 1991; Yang & Brill, 1996), mentre per quel che riguarda gli
effetti della velocità di congelamento, i risultati sono sempre stati presentati a margine di altri
studi (Ondrias & Rousseau, 1981; Aqualino et al., 1991; Yang & Brill, 1996).
Con questo background noi abbiamo indagato su come la procedura di congelamento e
l’aggiunta di glicerolo alla soluzione proteica influiscano sull’eterogeneità del sito attivo
nell’Azurina (wild type e double mutant) e nell’Amicianina. La scelta del glicerolo come
cosolvente nasce dal fatto che stabilizza la struttura proteica ed inoltre perché è largamente
utilizzato per realizzare campioni trasparenti, necessari per la spettroscopia ottica a bassa
temperatura (Bizzarri & Cannistraro, 1993; Di Pace et al., 1992). Tuttavia, il suo utilizzo
impone di verificare se si tratta di una sostanza inerte nei confronti della struttura proteica. La
spettroscopia EPR si rivela un ottimo strumento per studiare questo aspetto, perché non
richiede l’aggiunta di sostanze crioprotettive.
Lo studio del doppio mutante dell’Azurina s’inquadra nella problematica del ruolo del ponte
disolfuro nelle proteine e, in particolare, nell’eterogeneità strutturale.
La tesi è organizzata come segue.
Nel primo capitolo è descritta la struttura delle proteine: dalla sequenza amminoacidica lungo
la catena polipeptidica al ripiegamento in una struttura secondaria e in una terziaria, dai CS ai
moti interni. Ci si è soffermati soprattutto sulla struttura dell’Azurina e dell’Amicianina per
evidenziarne le caratteristiche principali.
Nel secondo capitolo sono illustrati gli aspetti teorici della spettroscopia EPR e la sua
applicazione allo studio degli ioni dei metalli di transizione (centro paramagnetico), con
particolare enfasi verso il Cu
++
.
Il terzo capitolo verte sulla descrizione della preparazione dei campioni, dello spettrometro
EPR e del metodo di simulazione utilizzato per riprodurre numericamente gli spettri
Introduzione
3
sperimentali. Si sono, poi, analizzati gli effetti di strain sugli spettri EPR dei complessi del
Cu
++
.
Il quarto capitolo mostra i risultati delle misure e la relativa discussione. Nella prima parte
viene fatto un confronto tra l’Azurina nello stato nativo e l’Amicianina e viene trattata la
relazione tra il ruolo del solvente e la velocità di congelamento e la distribuzione dei CS.
Nella seconda parte vengono confrontate le due Azurine e si osserva in che modo il ponte
disolfuro influisce sulla matrice proteica.
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
4
CAPITOLO 1
Struttura proteica ed azione del solvente
Le proteine sono sistemi eterogenei che presentano delle analogie strutturali e dinamiche con
i glasses. In particolare, sono caratterizzate dall’esistenza di molte configurazioni, quasi
isoenergetiche, che corrispondono a dei minimi locali di energia potenziale. Queste
configurazioni, chiamate sottostati conformazionali (CS), differiscono per la disposizione
locale di atomi o gruppi di atomi e sono disposte in maniera gerarchica. Si può parlare di
eterogeneità intrinseca della proteina. A temperatura ambiente avvengono continuamente
delle fluttuazioni tra i CS, che sono essenziali per determinare la funzionalità biologica della
proteina. Per T < 200 K, invece, ogni molecola di proteina è bloccata in un particolare CS. Si
è ipotizzato che l’acqua d’idratazione giochi un ruolo di primo piano nella dinamica dei CS.
All’eterogeneità di una proteina contribuisce anche la diversa velocità di congelamento. Si
può parlare di eterogeneità indotta dal solvente. Aggiungendo dei cosolventi alla soluzione
acquosa, si può alterare l’interazione dinamica proteina-solvente. Nella fattispecie, il
glicerolo riduce l’eterogeneità intrinseca della proteina: favorisce, infatti, un
impacchettamento tra e nelle molecole di proteina, con conseguente rafforzamento dei legami
intramolecolari e diminuzione dei moti di grand’ampiezza.
1.1) Ruolo dei metalli di transizione nei processi biologici
Le proteine sono i componenti fondamentali di tutte le cellule e svolgono molte funzioni
necessarie per la loro vita. Tali funzioni possono essere:
a) Strutturali. Le proteine costituiscono il materiale strutturale degli organismi viventi.
Alcune di queste proteine strutturali, di natura fibrosa, svolgono un’azione protettiva,
come le cheratine α e β presenti nella cute, nei capelli, nelle unghie. Altre proteine
fibrose sono, invece, connettive, come il collagene dei tendini, mentre altre ancora
svolgono funzioni motorie come il complesso actino-miosina nei muscoli.
b) Di trasporto, nel senso che trasportano nell’organismo fattori essenziali alla
sopravvivenza: in questa classe rientrano le metallo-proteine, la cui azione è legata alla
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
5
presenza di uno specifico ione di un metallo di transizione. Per esempio, proteine
contenenti il ferro sono predisposte per il trasporto di O
2
e CO
2
dai polmoni alle cellule
dei tessuti; proteine contenenti il rame sono adibite al trasporto di elettroni.
c) Enzimatica. Le proteine possono catalizzare, come enzimi, i processi biochimici nei
sistemi biologici. Molti di questi enzimi, soprattutto quelli coinvolti nei processi di
ossido-riduzione, contengono ioni di metalli di transizione come gruppo prostetico
1
. In
sostanza, tutti i metalli della prima serie di transizione (scandio, titanio, vanadio, cromo,
manganese, ferro, cobalto, nichel, rame e zinco) sono d’interesse biologico; tra quelli
della seconda serie solo il molibdeno gioca un ruolo apprezzabile nei sistemi viventi,
mentre negli altri due gruppi, lantanidi e attinidi, non si conoscono elementi aventi
importanza biologica.
Ancora, gli anticorpi, che l’organismo elabora per difendersi dalla presenza o
dall’aggressione di sostanze estranee, hanno natura proteica.
Spesso solo una piccola parte di queste biomolecole, chiamata “sito attivo”, è direttamente
coinvolta nei processi biochimici essenziali per la sopravvivenza. Sia la natura degli atomi
che compongono il sito attivo, sia il modo in cui essi sono disposti geometricamente intorno
al metallo, definiscono l’ambiente molecolare che permette alla proteina di svolgere la
propria funzione. È importante notare che il sito attivo si trova, generalmente, all’interno
della macromolecola; tutto ciò che lo circonda costituisce la matrice proteica: il suo ruolo è
quello di mediare le interazioni tra il sito attivo ed il solvente esterno.
1.2) Proteine e sottostati conformazionali
Le proteine sono dei polipeptidi dotati di attività biologica ottenuti dalla condensazione di un
gran numero di amminoacidi. Questi ultimi sono dei composti organici costituiti da un
gruppo carbossilico –COOH e da un gruppo amminico –NH
2
, legati allo stesso atomo di
1
Il gruppo prostetico è una parte organica o inorganica legata alla proteina, in genere nel suo sito attivo.
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
6
carbonio − chiamato, convenzionalmente, carbonio alfa (C
α
) −, e che differiscono tra loro per
la natura chimica del gruppo R. Gli amminoacidi più comuni sono venti.
Le abbreviazioni a tre lettere dei venti amminoacidi sono riportate nella tabella 1.1, insieme
alle caratteristiche polari del loro gruppo R.
Tabella 1.1: Abbreviazione a tre lettere e polarità degli amminoacidi.
AMMINOACIDO ABBREVIAZIONE A TRE
LETTERE
POLARITA’ DEL
GRUPPO R
Alanina
Arginina
Asparagina
Acido aspartico
Cisteina
Acido glutammico
Glutammina
Glicina
Istidina
Isoleucina
Leucina
Lisina
Metionina
Fenilalanina
Prolina
Serina
Treonina
Triptofano
Tirosina
Valina
Ala
Arg
Asn
Asp
Cys
Glu
Gln
Gly
His
Ile
Leu
Lys
Met
Phe
Pro
Ser
Thr
Trp
Tyr
Val
Non polare
Polare carico
Polare non carico
Polare carico
Polare non carico
Polare carico
Polare non carico
Non polare
Polare carico
Non polare
Non polare
Polare carico
Non polare
Non polare
Non polare
Polare non carico
Polare non carico
Non polare
Polare non carico
Non polare
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
7
Obbedendo al codice genetico codificato nel DNA, gli amminoacidi si legano
covalentemente l’uno all’altro, attraverso un legame caratteristico, chiamato legame
peptidico. Questo legame avviene mediante una reazione di condensazione tra il gruppo
–COOH di un amminoacido, che perde un ossidrile –OH, e il gruppo –NH
2
dell’amminoacido successivo, che cede invece un atomo di H, con conseguente eliminazione
della molecola di H
2
O formatasi. In questo modo, gli amminoacidi si uniscono in sequenza e
formano una catena polipeptidica lineare. Questa sequenza di amminoacidi individua la
struttura primaria della proteina. La successione di atomi –C
α
−C−N−, ripetuta per ogni
legame peptidico, forma la catena principale della proteina, mentre i gruppi R legati ad ogni
C
α
costituiscono le catene laterali. L’unità fondamentale della struttura primaria è il residuo
amminoacidico, ovvero ciò che rimane all’amminoacido dopo l’eliminazione da una parte del
gruppo –OH, e dall’altra dell’atomo di H. La struttura primaria assicura l’identità della
macromolecola: alterando anche uno solo degli amminoacidi che la costituiscono, si
modificano i caratteri biochimici della proteina.
Esistono, poi, delle interazioni tra gli atomi delle catene laterali che favoriscono la
formazione di legami trasversali; tra questi i più comuni sono il ponte disolfuro, legame
covalente tra due cisteine, e il legame idrogeno, più debole, tra l’idrogeno del gruppo >N–H
e l’ossigeno del gruppo >C=O di due diversi gruppi peptidici, e tra catene laterali. I legami
trasversali hanno un’importanza strutturale fondamentale per le proteine, dal momento che
determinano la ripiegatura della catena in una struttura secondaria e poi in una terziaria, la
quale è spesso globulare e ha un diametro di alcuni nanometri. Il ripiegamento è essenziale
affinché la proteina possa svolgere la propria funzione. Studi di cristallografia a raggi X
(Voet & Voet, 1997) hanno mostrato che una catena polipeptidica può trovarsi,
principalmente, in due tipi di strutture secondarie:
1) Struttura elicoidale. Poiché il legame peptidico è planare, la catena polipeptidica possiede
solo due gradi di libertà per ogni residuo: la rotazione φ, intorno all’asse del legame
C
α
− N, e quella ψ intorno all’asse C
α
−
C (Fig. 1.1a). Quando l’angolo di rotazione a
livello di ciascun atomo di carbonio C
α
rimane costante, la catena polipeptidica si ripiega
ad elica. In questa struttura ogni residuo forma un legame idrogeno con il residuo che, al
successivo giro dell’elica gli corrisponde. La più importante tra le strutture elicoidali è
l'α-elica (Fig. 1.1b): in essa sono presenti n = 3.6 residui per giro e i legami idrogeno, che
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
8
tengono insieme l’elica, si formano tra il gruppo C=O del legame peptidico del residuo n
ed il gruppo N–H del legame peptidico del residuo (n + 4).
Fig. 1.1: a) Legame peptidico. Sono indicati il C
α
, che lega i due gruppi peptidici, e gli angoli
di rotazione φ e ψ. b) Struttura α-elica. Le linee tratteggiate indicano i legami idrogeno tra i
residui n e (n + 4).
b)
a)
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
9
2) Struttura β. In questa struttura la catena principale assume una forma ripiegata a zig-zag
(β-strand). I legami idrogeno si formano tra porzioni affacciate della catena polipeptidica
e non tra residui della stessa porzione come nell'α-elica. Esistono due tipi di strutture β:
i) Il foglietto beta (β-sheet) antiparallelo, in cui i legami idrogeno si formano tra β-
-strands vicini orientati in direzioni opposte (Fig. 1.2a);
ii) il foglietto beta (β-sheet) parallelo, nel quale i legami idrogeno si formano tra β-
-strands orientati nella stessa direzione (Fig. 1.2b).
Fig. 1.2: Legami idrogeno nelle strutture β: a) β-sheet antiparallelo; b) β-sheet parallelo.
Si osserva che, quando i due β-strands sono orientati nella stessa direzione, i legami idrogeno
presentano una distanza di legame un po’ maggiore rispetto all’orientazione antiparallela.
(a) antiparallelo
(b) parallelo
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
10
In realtà, le eliche e le strutture β rappresentano soltanto la maggior parte della struttura di
una proteina. La rimanente parte ha conformazioni a forma di coil (spirale), loop (cappio) o
turn; si tratta di strutture non ripetitive, non meno ordinate delle altre, ma sicuramente più
difficili da descrivere.
La struttura terziaria di una proteina è la sua configurazione tridimensionale, che si origina
dai ripiegamenti degli elementi di struttura secondaria, e tiene conto anche della disposizione
spaziale delle sue catene laterali. La struttura terziaria è tenuta insieme da legami idrogeno,
intramolecolari e con il solvente, e da interazioni idrofobiche; queste ultime si devono al fatto
che la proteina, in soluzione, è circondata dall’acqua: perciò i residui polari, idrofilici,
tendono a porsi all’esterno della proteina a contatto con il solvente, mentre i residui apolari,
idrofobici, tendono a stare nella regione interna della macromolecola, lontano dal solvente.
La struttura terziaria delle proteine presenta delle interessanti proprietà. Poiché la sequenza
degli amminoacidi lungo la catena polipeptidica non è periodica, si ottiene uno scenario nel
quale amminoacidi uguali non si trovano alla stessa distanza l’uno dall’altro, vale a dire non
esistono condizioni di periodicità posizionale nella macromolecola.
Inoltre, poiché la proteina si presenta in forma compatta, per via delle interazioni idrofobiche
tra i gruppi non polari e delle forti interazioni tra i gruppi carichi non superficiali, all’interno
della macromolecola, dove la costante dielettrica è bassa, le catene laterali entrano in
conflitto: più catene laterali provano ad occupare lo stesso spazio, ma solo una vi riesce. A
causa di questa competizione, la proteina non assume una sola struttura ben definita. Si può
dire, a tal proposito, che la proteina è “frustrata” (Frauenfelder, 1987), nel senso che i suoi
residui amminoacidici sono limitati nella loro dinamica: è il microambiente che impone loro
di assumere una particolare orientazione. In particolare, sotto l’azione del microambiente, un
dato amminoacido può avere due o più posizioni localmente metastabili intorno ad un punto
nello spazio; queste posizioni corrispondono a diversi valori degli angoli di legame. Per via
del forte accoppiamento tra amminoacidi adiacenti, è molto difficile spostare un
amminoacido, anche solo da una posizione localmente metastabile ad un'altra, senza
disturbare gli amminoacidi vicini, i quali, a loro volta, influiranno su quelli a loro più
prossimi, e così via. Tutto ciò vuol dire che una proteina con N amminoacidi, può avere,
come minimo,
N
2 possibili conformazioni, le quali non sono tutte ugualmente probabili, ma
dimostrano, in ogni caso, l'alta complessità di una proteina (Stein, 1985). In seguito a ciò, le
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
11
catene laterali di alcuni amminoacidi possono avere una diversa orientazione, ad istanti
diversi, dando luogo a conformazioni differenti della stessa proteina.
Un ragionamento simile si può fare anche per i legami idrogeno intramolecolari e quelli tra le
molecole proteiche e l’acqua d’idratazione (i primi 5 Å intorno alla superficie della proteina):
questi deboli legami possono essere facilmente rotti dalle fluttuazioni termiche e, inoltre,
possono assumere posizioni leggermente diverse, ad istanti diversi, a seconda di come le
catene laterali interagiscono con il microambiente.
Gli effetti di disordine e “frustrazione” fanno sì che, in uno spazio conformazionale a 3N
dimensioni, dove N è il numero di amminoacidi, si abbia una complessa configurazione
energetica con molti minimi locali, a cui corrispondono dei CS, separati da alte barriere (Fig.
1.3) [Frauenfelder et al., 1988; Frauenfelder, 1997]. Questi CS rappresentano le diverse
configurazioni strutturali che una proteina può assumere.
Fig. 1.3: Rappresentazione schematica dei CS che una proteina può assumere; lo stato
fondamentale è caratterizzato da una configurazione energetica piuttosto frastagliata.
Coordinata conformazionale
Sottostato conformazionale
Seq. primaria
Folding
Configurazione
energetica
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
12
In altre parole, i sottostati conformazionali hanno la stessa struttura complessiva
tridimensionale e svolgono la medesima funzione biologica, ma differiscono sia nei dettagli
strutturali − una catena laterale può essere ruotata, alcuni legami idrogeno possono essere
shiftati, una singola elica o un β-strand può essere spostato, o ancora l’intera proteina può
essere riassestata − sia nella velocità con cui svolgono la propria funzione. Ciò equivale a
dire che la proteina è un sistema piuttosto eterogeneo; il grado di eterogeneità dipende dalla
particolare proteina e, come vedremo più avanti, dal solvente in cui si trova.
Una proteina può presentarsi, generalmente, in due o più stati funzionali, ciascuno dei quali
ha diverse proprietà e, solitamente, differenti conformazioni. Le fluttuazioni da uno stato
all’altro sono essenziali per il suo corretto funzionamento. All’interno di ciascuno di questi
stati funzionali, a temperature relativamente alte (T > 200 K), essa non rimane in un’unica
conformazione, ma fluttua tra un gran numero di sottostati conformazionali; per temperature
inferiori ai 200 K, invece, ogni molecola proteica rimane bloccata in un particolare CS, il
che, con molta probabilità, è una conseguenza del congelamento dell’acqua d’idratazione
(Doster et al., 1986). In tal caso, i sottostati sono caratterizzati da energie un po’ diverse, ma
non ci sono transizioni tra loro. In questa situazione, le proprietà delle biomolecole trovano
una corrispondenza in quelle dei glasses e degli spin glasses: al di sotto di una temperatura
critica esiste un gran numero di minimi energetici separati da barriere infinitamente alte, il
sistema è non-ergodico e le proprietà variano da sottostato a sottostato, proprio come
evidenziato per i glasses (Ansari et al., 1985; Frauenfelder, 1987; Barkalov et al., 1993).
I glasses sono dei solidi strutturalmente disordinati che si ottengono congelando un liquido al
di sotto di una temperatura critica T
g
(alternativamente, si può asserire che un liquido diventa
un glass quando la sua viscosità è ≥ 10
13
poise); inoltre, essi sono caratterizzati da una
mancanza d’ordine a lungo range (Kittel, 1988; Kieffer, 1999; Speedy, 1999).
L’esistenza di stati e sottostati fa sì che ci siano tre tipi di moti nelle proteine: vibrazioni,
fluttuazioni d’equilibrio (EF) e moti funzionalmente importanti (FIMs) [Fig. 1.4].
Le vibrazioni avvengono all’interno di un singolo sottostato conformazionale; nelle EF, una
proteina si muove da un CS all’altro, ma non cambia il proprio stato funzionale; un FIM,
viceversa, descrive il moto da uno stato funzionale all’altro (Ansari et al., 1985; Frauenfelder
& Gratton, 1986; Frauenfelder et al., 1988).
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
13
Fig. 1.4: Movimenti in una configurazione energetica frastagliata: (1) vibrazioni; (2)
fluttuazioni d’equilibrio; (3) moti funzionalmente importanti.
I primi due sono moti contraddistinti dall’equilibrio termodinamico, mentre i FIMs sono
processi di non equilibrio: si passa da uno stato di non equilibrio ad uno finale d’equilibrio e
il rilassamento verso questo stato finale è sequenziale e non-esponenziale nel tempo, come
evidenziato per i glasses (Ansari et al., 1985). A prima vista, dunque, le velocità delle EF e
dei FIMs appaiono scorrelate; tuttavia, se lo stato iniziale e quello finale in un dato FIM sono
strutturalmente simili, i sottostati coinvolti nei due moti proteici saranno anch’essi simili. In
tale situazione le velocità delle EF e del FIM possono essere correlate e risulta che in media
Vibrazioni
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
14
la velocità delle EF e quella con cui uno stato lontano dall’equilibrio tende a raggiungere uno
stato di equilibrio sono le stesse (Frauenfelder & Gratton, 1986).
1.3) L’organizzazione gerarchica del paesaggio energetico
L’esistenza dei CS nelle proteine è stata evidenziata, per la prima volta, con esperimenti di
flash-photolysis sulla Mioglobina − una piccola proteina globulare costituita da 153
amminoacidi ripiegati in modo da formare otto α-eliche; all’interno della matrice proteica è
localizzato un gruppo eme che presenta un atomo di ferro centrale, al quale si legano piccole
molecole, come O
2
e CO. Altre conferme sull’esistenza dei CS nella Mioglobina vengono
dall’analisi del fattore di Debye-Waller degli atomi nei cristalli di proteina, tramite
diffrazione di raggi X e dalla non omogeneità delle righe spettrali (Frauenfelder, 1997 e ref.
ivi contenute). Il confronto tra i risultati di questi esperimenti mostra che il panorama
energetico, osservato in Fig. 1.3, è ben lontano dall'essere realizzato. I CS appaiono, in realtà,
raggruppati in diverse serie con barriere di energia libera di differente altezza tra i vari
sottostati, il che conduce ad un modello gerarchico del paesaggio energetico nella
carbossi-Mioglobina, MbCO, o nella deossi-Mioglobina, MbO
2
(Ansari et al., 1985).
La struttura risultante può essere descritta a partire dalla rappresentazione mostrata in
Fig. 1.5, che descrive l'energia di Gibbs di una proteina in funzione di una generica
coordinata conformazionale.
Una proteina in un dato stato presenta un gran numero di sottostati conformazionali, CS
1
,
separati da alte barriere, dell'ordine di 100 kJ/mol. Ciascuna valle in questo primo strato è
strutturata in altri sottostati, CS
2
, con barriere più piccole: l'energia spazia tra i 10 e i 50
kJ/mol. Questa suddivisione continua, almeno, per altri due strati con barriere di altezza
decrescente, fino ad arrivare a pochi kJ/mol o anche meno.
Capitolo primo: Struttura proteica ed azione del solvente
15
Fig. 1.5: Struttura gerarchica dei CS nella Mioglobina. (a) Schematizzazione dei minimi
energetici. (b) Diagramma ad albero. G = energia di Gibbs della proteina; CC (1-4) =
coordinate conformazionali degli strati 1-4.
STATO