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Introduzione
Il presente lavoro nasce dalla volontà di individuare ed analizzare le
implicazioni delle differenti strategie messe in atto dalle imprese del sistema
moda e in particolare guardando a quelle operate nel segmento del fast fashion
dai suoi principali interpreti: Benetton, Gap, Zara e H&M.
Il fast fashion ha significato una vera e propria rivoluzione nel sistema
moda. Si tratta di un fenomeno recente, eppure già consolidato, che ha saputo
condizionare anche i marchi più prestigiosi portandoli a rivedere la propria
struttura organizzativa e produttiva.
Tradizionalmente, dalla selezione delle tendenze e delle materie prime
fino alla vendita dell’abito nel negozio passano circa 24 mesi, eppure il ciclo di
vita di tali prodotti è di poche settimane. Un mercato più rischioso, e in cui
servono più risorse finanziarie per competere nell’affollamento mediatico dei
marchi della moda, ha spinto alcune aziende a usare modalità e tempistiche
produttive totalmente diverse. Il numero delle aziende che attinge dalla famiglia
dei modelli organizzativi e dalla strategia del fast fashion è in crescita e
acquisisce sempre maggiori quote di mercato.
Il loro successo è stato spesso interpretato come l’effetto di una
maggiore capacità di offrire in tempi molti brevi e a prezzi competitivi quello che
il mercato richiede: prodotti di tendenza da poter rinnovare in continuazione.
La moda veloce è stata da sempre identificata con un segmento di
mercato e una tipologia di prodotto di basso livello qualitativo, non
paragonabile quindi a ciò che sono invece le caratteristiche tipiche del sistema
del prêt-à-porter. I due mondi si stanno, tuttavia, sempre più sovrapponendo
oggigiorno: le catene distributive internazionali hanno diversificato la propria
offerta verso l’alto e il consumatore è oggi sempre più disposto ad acquistare
trasversalmente ai segmenti di mercato.
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Il lavoro si articola in tre parti, di cui la prima dedicata alla
contestualizzazione dell’ambito di riferimento che si è preso in esame, il
segmento del fast fashion, l’ultima rivoluzione permessa da cambiamenti di
valutazione e di priorità del prodotto agli occhi del cliente.
In questa parte vedremo come il consumatore postmoderno,
contraddistinto da orientamenti decisamente imprevedibili, ha reso
indispensabile la transizione dal supply chain management al demand chain
management, ossia una gestione delle attività della catena del valore guidata
dalla domanda effettiva nel settore di riferimento. Tale cambiamento costituisce
uno dei pilastri su cui ha potuto costruire la propria espansione Zara, che è
forse l’emblema dell’azienda fast fashion per eccellenza. Un’altra caratteristica
che si inserisce in questo contesto innovativo è l’uso sapiente dell’information
technology, che sviluppandosi in maniera considerevole negli anni ’80, oggi
permette di accorciare la catena del valore attraverso un uso tempestivo delle
informazioni provenienti dai canali di vendita che portano la produzione ad
aderire sempre più alle esigenze del cliente il quale diventa l’artefice delle
tendenze.
La seconda parte analizza in modo sintetico il processo di diversificazione
delle aziende. La diversificazione, vista attraverso un’ottica teorica ma anche
attraverso esempi concreti, ci permette un’adeguata valutazione delle scelte dei
principali competitors del settore indagato. Come vedremo tutte le imprese
analizzate hanno attuato una strategia di diversificazione di prodotto e di
insegna, estendendo lo spettro di attività intraprese direttamente
dall’organizzazione all’interno del value system in cui essa è inserita. Attraverso
processi di integrazione verticale, in cui si inglobano le attività svolte in
precedenza dai fornitori oppure si accorpano le attività svolte dai propri canali
(emblematico il caso di Inditex), l’impresa riesce spesso ad ottenere un
vantaggio competitivo. Tutte le organizzazioni che analizzeremo si sono
diversificate creando diversi brand che hanno permesso di differenziare la
propria offerta e rispondere in maniera più completa alle esigenze del
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consumatore moderno, riuscendo ad intercettare target differenti in modo da
aumentare il potere di mercato dell’azienda.
Il terzo e ultimo capitolo espone i casi aziendali e in particolare Zara e
H&M, i due colossi nel settore da noi indagato. Prima verranno analizzati Gap e
Benetton, due aziende che pure sono diretti competitors delle altre due imprese
e questo ci permetterà di delineare un panorama delle diverse strategie messe
in campo nel settore del fast fashion. Zara occupa una posizione privilegiata
all’interno di tale analisi, dal momento che più di tutti gli altri, ha saputo, con il
suo modello di business, trovare un’alternativa vincente a quelli consolidati nel
sistema moda. Sono stati approfonditi gli aspetti critici di tale modello, quali la
logistica, la struttura totalmente integrata, il processo distributivo e la
sorprendente assenza di pubblicità che delineano un approccio manageriale
capace di gestire perfettamente la crescente complessità del settore.
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Capitolo 1. Il settore del fast fashion e
l’ambito di riferimento
1.1 La nuova tendenza nel settore della moda: il fast
fashion
Lo scenario attuale vede l’affermarsi di nuovi trends nel sistema moda,
come, solo per citarne alcuni, una costane necessità di innovazione, una
maggiore indipendenza del consumatore, il bisogno di raggiungere determinate
masse critiche per compensare investimenti crescenti, la proliferazione di nuovi
concorrenti ed il dilagare della tendenza low cost.
In tale ottica, un’efficace gestione dei fattori caratterizzanti il contesto
contemporaneo da parte del management delle imprese del settore deve
confrontarsi anche con la caratteristica strutturale del prodotto moda, ossia la
sua variabilità nel tempo, dovuta all’intrinseco ciclo delle stagioni e al ciclo della
moda. Il ciclo della moda, un tempo scandito dalla logica delle collezioni
stagionali collegate a eventi fieristici e sfilate, sta confluendo verso una nuova
tendenza: il superamento del concetto di stagione mediante l’aumento continuo
del numero di collezioni annue da presentare e consegnare al punto vendita.
Tra i retail brand che si sono già strutturati per progettare, produrre e
consegnare le nuove collezioni senza soluzione di continuità nel corso dell’anno,
troviamo ormai moltissimi marchi tra cui potremmo citare, ad esempio, Zara,
Gap e Promod
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. Questa esasperata visione del ciclo della moda porta alla
tendenza che si sta facendo largo nel mercato dell’abbigliamento, ovvero il fast
fashion, il concetto che prevede una rapida risposta agli stimoli del mercato,
brevissimi cicli di produzione, continuo rinnovo dell’assortimento, veloce
rotazione del punto vendita, nonché prezzi accessibili e design accattivante.
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Saviolo S. e Testa S., Le imprese del sistema moda. Il management al servizio della creatività,
2000.
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Il fast fashion, nelle caratteristiche con cui oggi lo conosciamo, è un
fenomeno relativamente recente. La logica commerciale del fast fashion è del
tutto nuova per il mondo della moda. Non ci sono più due collezioni ma tante
micro-collezioni che si passano il testimone nell’arco dell’anno. Questa riposta ai
cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nel sistema competitivo ha portato
molte imprese della moda e non solo ad intraprendere azioni concrete tese alla
razionalizzazione dei processi operativi finalizzate essenzialmente a migliorare la
capacità di risposta alle esigenze del mercato, provvedendo a migliorare nel
contempo l’efficienza e la velocità della loro intera supply chain. In realtà il fast
fashion, pur risultando essere un fenomeno inedito di questo nuovo millennio,
affonda le sue radici nel sistema del cosiddetto pronto-moda, in cui il
management dei tempi, oggi cruciale nella moda veloce e attuato in buona
parte anche grazie all’integrazione tra i diversi attori della supply chain, era già
un fattore critico nella competizione. Il fast fashion oggi si presenta come un
canale del settore moda che comprende diversi marchi e diverse tipologie di
brand. Molti di essi sono ormai universalmente famosi come Zara, H&M, Mango,
Gap, Esprit. Sono per lo più marchi giovani ed emergenti che da qualche anno
stanno erodendo quote di mercato anche alle grandi marche all’interno di un
settore ormai maturo. In poco tempo questi brand sono riusciti a imporsi
all’interno del mondo moda introducendo novità sostanziali, innovazioni e nuovi
modelli di business che hanno dato vita a una vera e propria rivoluzione nel
settore del fashion, condizionando persino i protagonisti del lusso.
Tutti questi marchi sono infatti responsabili di aver creato novità che
riguardano principalmente la tempistica e la struttura delle collezioni, oltre che
la gestione della supply chain e delle reti di vendita. Il fast fashion si basa sul
concetto chiave della Quick Response (QR) , introdotto per la prima volta nel
settore dell'abbigliamento dal brand spagnolo Zara, ovvero la risposta rapida ai
mutevoli orientamenti della domanda è in primo luogo funzionale alla creazione
di nuovi prodotti di tendenza e, secondariamente, come vedremo, induce i
consumatori a visitare il punto vendita con una frequenza che non ha
precedenti. Gli aspetti strategici di tale modello sono l’integrazione di tutte le
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attività della catena del valore, il punto vendita come fulcro degli affari e canale
privilegiato di comunicazione e l’implementazione del just in time
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come base
dei processi industriali e logistici. Nel fast fashion i capi di abbigliamento sono
generalmente monouso (usa e getta), appositamente disegnati per essere
venduti sui mercati di massa a prezzi molto bassi. I capi sono prodotti
velocemente (quickly) con materiali a basso costo (cheaply) per consentire ai
consumatori di acquistare capi fashion con un discreto vantaggio di prezzo. La
filosofia della manifattura rapida ed economica è alla base di retailer come
H&M, Zara, Topshop.
Il retail marketing basato sul fast fashion è caratterizzato da capi di
abbigliamento originali nati per rispondere ad esigenze di lusso. L’idea di basa
era dare la possibilità a molti di poter comprare con una certa frequenza abiti di
discreta fattura che fossero al passo con lo stile del momento e che
riproponessero le tendenze delle grandi griffe viste nelle sfilate. Spesso gli stock
sono composti di pochi pezzi lasciando al cliente finale poco tempo per decidere
se acquistare o meno il capo. Anche l'ambientazione dei punti vendita è ben
curato per sottolineare il forte legame del retailer con la moda. Nel fast fashion i
prezzi di vendita sono generalmente bassi e accessibili a tutti. Essendo dei
prodotti fortemente legati alla moda del momento i capi sono acquistati e
consumati rapidamente. Da questa caratteristica deriva il nome “fast fashion”.
Il fast fashion nasce nei primi anni Novanta e uno dei primi marchi che in
Italia ha fatto da apripista a questo fenomeno, legandolo ad un abbigliamento
basico di molti colori, è stato Benetton. Benetton può essere considerato infatti
un precursore della capacità di realizzare prodotti in modo veloce e ritardato
rispetto ai tempi canonici delle collezioni: la rivoluzione del “tinto in capo” ha
infatti consentito di realizzare prodotti che venivano colorati non a partire dal
filo, ma solo una volta che il prodotto era ultimato, sfruttando in questo modo i
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Il just in time (JIT) è una filosofia industriale che si colloca all’interno del sistema detto pull
per il quale occorre produrre solo ciò che è stato venduto o si stima di vendere in tempi brevi.
Può essere considerata una politica delle scorte tesa a migliorare il processo produttivo,
cercando di ottimizzare le fasi a monte, di alleggerire le scorte di materie prime e di
semilavorati necessari alla produzione.
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dati di vendita provenienti dai negozi e adattando l’offerta alle tendenze del
momento. I tempi ridotti di produzione, un sistema logistico impeccabile, il
giusto bilanciamento tra integrazione verticale e ampio utilizzo di terzisti esterni,
organizzazione centralizzata delle vendite e un sistema di franchising flessibile,
sono stati gli elementi di successo di Benetton che all’inizio del 1995 contava
circa 8.000 negozi in 110 Paesi di cui solo un quarto in Italia. Una sorta di
McDonald’s dell’abbigliamento. Ma la vera genesi del fast fashion è da ascriversi
alla fine degli anni Novanta e primi anni Duemila. In questi anni iniziarono il loro
sviluppo insegne che sarebbero diventate ben presto capisaldi di una strategia
di successo nel settore dell’abbigliamento. Sono infatti gli anni dell’ascesa di
Zara e H&M, insegne che con la loro politica di contrazione dei tempi abbinata
alla capacità di inseguire i dettami della moda a un prezzo accessibile, hanno
saputo creare un movimento rivitalizzante in un settore che rischiava la
decelerazione. Negli stessi anni del boom di Benetton, Zara aveva solamente
500 punti vendita ma più di tre quarti di questi erano localizzati in Spagna;
l’azienda iberica era dunque all’epoca un distributore poco più che nazionale.
Oggi i negozi del Gruppo Inditex sono presenti in 87 nazioni e sono quasi 5.587
(dati al 12 dicembre 2012) di cui quasi il 60% oltre i confini nazionali; più di 360
aperture negli ultimi sei mesi per sette insegne differenziate per target di
mercato e per settore (abbigliamento, accessori, casa). Nel 2007 il fatturato di
Zara aveva già raggiunto quasi i 10 miliardi di euro, due terzi dei quali realizzati
all’estero.
Contemporaneamente il management di Benetton ha intrapreso un
processo di razionalizzazione della localizzazione dei punti vendita e di revisione
della rete di approvvigionamento e logistica.
Il successo di Zara, soprattutto se paragonato al diverso andamento di
Benetton, caso aziendale largamente studiato e di successo degli anni Ottanta e
Novanta, è rappresentativo di una tendenza che ha coinvolto in modo più o
meno significativo molti Paesi europei.
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Le similitudini tra Zara e Benetton e i loro diversi risultati imprenditoriali
degli ultimi anni rivelano che gran parte del successo del modello fast fashion
non risiede nelle usuali analisi economiche rispetto alle caratteristiche delle
filiere di produzione e dei sistemi di distribuzione. Zara come Benetton utilizza
un mix molto ben studiato di produzione interna ed esterna e un network
distributivo di cui sfrutta non solo la potenzialità commerciale, ma i feedback su
come vanno le vendite e su quali siano i prodotti più venduti. Questi aspetti
verranno trattati meglio in seguito nell’ultimo capitolo.
Per ora quello che ci interessa è focalizzarci sul settore di riferimento e
capire che per il successo del fast fashion non possiamo indicare la velocità, pur
essendo una componente essenziale di questo modello, come quella
caratteristica che ne ha determinato l’ascesa. Piuttosto potremmo riassumere
come suggerisce Enrico Cietta
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l’affermazione di tale modello nella risoluzione di
tre problemi chiave per l’impresa di moda:
il problema del rischio connesso con la produzione di prodotti
materiali/immateriali, rischio legato all’imprevedibilità della domanda. La
moda è un settore molto rischioso anche perché ci sono dei costi fissi
che vanno sostenuti indipendentemente dal volume di produzione e dei
costi non recuperabili, cioè spese non compensate nel caso in cui la
produzione non giunga alla fase finale della vendita .
la gestione del sistema creativo. La crescita della quota della
produzione immateriale nella catena del valore del prodotto moda, ma
anche la sua diffusione lungo tutte le fasi produttive, implicano la
definizione di un sistema creativo che sappia operare in modo duplice:
innovando ma contemporaneamente interpretando le ultime tendenze
di consumo.
la gestione della filiera produttiva che va dalle prime fasi
industriali fino alla vendita nel negozio.
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Enrico Cietta, La rivoluzione del fast fashion, 2009.