5
INTRODUZIONE
Con un piede nella storia e l’altro nell’amata professione del giornalista, la narrativa di
Enzo Biagi è ricca di nomi illustri ed episodi che hanno segnato il ‘900. Sebbene abbia
disseminato la sua carriera, soprattutto la seconda parte, di saggi, romanzi e storiografie,
in questa tesi si è scelto di prendere in esame due testi molto simili tra loro, ma scritti e
pubblicati in due epoche molto distanti. Il primo, uscito nel 1975, è Disonora il padre,
romanzo che ripercorre il periodo dall’infanzia degli anni ’20 e ’30, all’immediato
dopoguerra. Il secondo è invece I quattordici mesi, in edicola dal 2009, che è stato
completato dal collega e amico Loris Mazzetti subito dopo la morte dell’autore. Nel
libro, come si evince dal titolo e dal sottotitolo “La mia Resistenza”, la trama è
incentrata sui mesi del Biagi partigiano. Una storia tra le montagne di cui si è parlato
molto poco nell’altra pubblicazione del 1975. Si tratta quindi di due opere a tratti
complementari, che aiutano a comprendere in pieno l’universo dal quale Biagi è partito
per diventare uno dei giornalisti e degli scrittori più famosi e influenti dell’ultimo
secolo. Nonostante siano stati scritti in due periodi differenti della storia moderna e
della vita di Enzo Biagi, in entrambi i libri lo stile rimane lo stesso, con il racconto in
prima persona che pagina dopo pagina trascina il lettore nelle sensazioni del
protagonista, evidenziando un forte radicamento a due temi ben precisi della sua
narrativa: la storia e il giornalismo. La storia non è solo uno sfondo da cui prendere
spunto per non far perdere il filo al lettore, ma viene assorbita nelle vicende raccontate
dall’autore. In Disonora il padre il fascismo, ad esempio, non è vissuto solo come una
corrente che ha cambiato il ventennio, ma viene trattato come un pensiero fisso nella
mente di Biagi, con la sua metamorfosi da balilla a partigiano. Stessa cosa ne I
quattordici mesi con il tema della Resistenza, divenuto un suo personale ‘movimento’
interiore giustificato di capitolo in capitolo. Inoltre, in entrambi i casi, le date più
importanti, come quella dell’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio firmato da
Badoglio, non vengono solo inserite per fare da contesto alla narrazione, ma diventano
parte fondante della stessa, raccontando esattamente quanto gli accade in quelle ore
tanto importanti per l’intero paese. Tutto rigorosamente in prima persona, mai per
citazioni o in maniera enciclopedica, ma parlando, anche in questo caso, di come
l’autore ha vissuto con precisione quei momenti.
Il tema del giornalismo emerge ancora con più chiarezza. Se la storia la fa da padrone
nelle varie parti del libro, il giornalismo è quella passione di cui Biagi va fiero e con cui
6
riesce a colmare il resto della narrazione. Nei due libri il suo mestiere viene fuori in
maniera evidente, ma in due modi diversi. Nel romanzo Disonora il padre non si parla
tanto delle sue produzioni giornalistiche, quanto proprio della professione da lui
esercitata, con la vita di redazione che a un certo punto è l’unica realtà descritta nei
minimi particolari. Dagli esordi all’«Avvenire» al «Resto del Carlino», Biagi ci tiene a
far sapere al lettore perché ha scelto di fare il giornalista, quali sono i suoi modelli e
qual è la routine di questo lavoro. Ne I quattordici mesi invece il giornalismo diventa
una missione. In brigata il suo ruolo non sarà quello di combattere il nemico, ma di
redigere un giornale clandestino. E qui la narrazione si sviluppa proprio attraverso le
pagine di questa pubblicazione, riportando non solo le immagini delle prime pagine dei
tre numeri usciti, ma anche i singoli articoli. Il lettore quindi si ritrova catapultato in
racconti e resoconti pubblicati all’epoca che vanno a intrecciarsi con la narrazione del
libro. Parafrasando possiamo dire che Biagi sostituisce pagine di romanzo con pagine di
giornale. Il tutto senza rovinare l’enfasi del testo, anzi aumentandola con storie
raccontate in prima persona da suoi compagni di brigata. Analizzare questi due testi
permette la comprensione dell’intero universo di Biagi, dagli altri romanzi ai singoli
articoli di giornale scritti negli anni della sua lunga carriera.
Giornalismo e storia non si fondono però solo nella narrativa di Biagi. E’ chiaro che
Disonora il padre e I quattordici mesi possono essere considerati dei modelli, data la
rilevanza dell’autore e delle due pubblicazioni, ma anche altri colleghi hanno scelto
questa via nei loro scritti. Prendiamo come esempio un altro illustre giornalista coetaneo
di Biagi, ovvero Giorgio Bocca
1
. Nato nello stesso anno di Biagi, anche lui ha fin da
subito abbracciato la carriera del giornalista, interrotta poi a causa dello scoppio della
guerra. Prima viene chiamato alle armi nel regio esercito nel corpo degli Alpini, poi alla
firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 si reca in montagna con i partigiani. Essendo
originario di Cuneo, la Resistenza di Bocca è ben diversa da quella di Biagi. Siamo
infatti in un altro territorio, quello delle Alpi, condiviso con le brigate francesi. Questo
periodo della sua vita Bocca decide di metterlo subito nero su bianco. Appena finita la
1
Giorgio Bocca (1920-2011) è stato uno scrittore e giornalista italiano. Originario di Cuneo, ha scritto per
diversi importanti giornali come ad esempio «L’Espresso» ed è stato tra i fondatori de «la Repubblica».
Ha lavorato anche in tv per alcuni programmi Mediaset. Nel 2008 ha ricevuto il premio alla carriera Ilaria
Alpi, lo stesso consegnato tre anni prima anche a Enzo Biagi. Da giovane ha partecipato attivamente alla
Seconda Guerra Mondiale con gli Alpini, ma poi si è unito alla Resistenza in seguito alla firma
dell’armistizio dell’8 settembre del ’43. Per questo ha anche ottenuto la Medaglia d’argento al valor
militare. Alle elezioni politiche del 1979 si presentò per il Senato tra le fila del PSI, non venendo eletto.
Morì a Milano nel 2011 in seguito a una breve malattia.
7
guerra infatti realizza un saggio dal titolo Partigiani della montagna, con il sottotitolo
“Vita delle divisioni Giustizia e Libertà del Cuneese”. La prima edizione è pubblicata
dall’Istituto Grafico Bertello di Borgo San Dalmazzo, proprio nell’ottobre del ’45. Si
tratta di un testo scritto a caldo come testimonianza di quei quasi due anni passati sulle
Alpi, che a tratti assume i contorni stilistici di un diario. I capitoli in tutto sono tre ed
ordinati cronologicamente dalla salita in montagna alla liberazione di Cuneo.
All’interno di questi capitoli ci sono tanti paragrafi che servono a suddividere le varie
porzioni di testo spesso non collegate direttamente tra loro. Intuitivamente si potrebbe
collegare il libro a I quattordici mesi di Enzo Biagi, ma si tratta di due opere
diametralmente opposte. Mentre il libro di Biagi è a tutti gli effetti un romanzo in prima
persona, Partigiani della montagna di Bocca è un saggio molto più storico che prende
in esame le operazioni militari e la cronaca vera e propria di quanto successo in quella
zona del cuneese tra il ’43 e il ’45. In Bocca i personaggi e le loro sensazioni passano in
secondo piano; l’esatto opposto di quello che succede in entrambi i testi di Biagi.
Nonostante queste enormi differenze di stile e anche un po’ di contenuto, i temi di
fondo affrontati nelle due opere si toccano spesso. E’ inevitabile parlando della
Resistenza, ma se prendiamo in considerazione anche il romanzo Disonora il padre che
di quel periodo storico parla pochissimo, possiamo notare che Bocca e Biagi a livello
tematico scelgono la stessa strada. Probabilmente l’età e il mestiere di giornalista in
comune hanno fatto sì che le loro opere in un certo senso si assomigliassero. Dalle
pagine di Partigiani della montagna emerge infatti il tema della storia, così come, un
po’ più in secondo piano, quello del giornalismo. C’è la volontà dell’autore di parlare
dei fatti avvenuti in quel periodo, contestualizzando la trama con gli avvenimenti
storici, ma anche con riferimenti al panorama giornalistico della Resistenza.
Bocca esordisce in Partigiani della montagna con la data del 25 luglio 1943. Analizza il
colpo di stato e la caduta del fascismo in maniera critica, evidenziando un’Italia allo
sbaraglio in cui comunque ai vertici delle varie istituzioni c’erano ancora i fascisti.
Essendo un componente del Regio Esercito nel corpo degli Alpini, il focus si sposta
sull’incertezza vissuta in quei mesi da parte delle truppe italiane, abbandonate a loro
stesse. In questo contesto, nel mentre della sua decisione di andare in montagna per
unirsi alle brigate partigiane, riporta una lettera di un altro militare, che era stato invitato
anch’esso a raggiungere i ribelli sulle Alpi. In quelle parole c’è tutto lo scetticismo di un
uomo d’armi nei confronti del movimento partigiano. Uno scetticismo che
8
probabilmente ha pervaso anche la mente di Bocca che, nonostante tutto, raggiunge
quelli che inizialmente erano dei semplici gruppi di persone nascoste in montagna.
Mancava ancora quell’organizzazione che poi andò a formarsi nei mesi successivi e
verrà descritta più in là nel libro.
«L’atmosfera spirituale in cui i partigiani vivevano non era ancora ben definita, ma il risultato piuttosto di
un complesso di sentimenti, di pensieri, di speranze che si intersecavano, si fondevano formando un
insieme fluido e inafferrabile. L’aver ritrovata la libertà dava la gioia; il senso dell’avventura
l’effervescenza; i legami di amicizia l’intimità; la solitudine, alcunché di eroico»
2
.
Si parla poi delle prime operazioni militari, in cui spesso non veniva nemmeno sparato
un colpo. Tante azioni di disturbo e soprattutto di ricerca di armi e viveri. La vera
battaglia è con l’inverno alpino, arrivato inesorabile con la neve. Dopo il primo Natale
in montagna, Bocca parla dell’evoluzione partigiana da gruppi a bande. I tedeschi,
preoccupati per questo crescente fenomeno della Resistenza, iniziano a incutere terrore
nella popolazione con rastrellamenti e esecuzioni. E’ una mossa sbagliata, perché
sempre più giovani si uniscono alla lotta partigiana, sospinti anche dalla chiamata alle
armi da parte dei fascisti. E’ qui che iniziano a formarsi delle vere e proprie bande
composte da centinaia di persone. Bocca alterna la cronaca quasi giornalistica delle
varie operazioni e delle formazioni dei nuovi settori, a descrizioni minuziose di luoghi
quasi fantastici immersi tra le Alpi e ora sede dei partigiani.
«Questo è il paese che immaginavo, bambino, quando ascoltavo favole di fate e di gnomi. Un villaggio
abbandonato, posto in una valletta stretta ed incassata, vicino alla neve, sotto la punta del Tibert. Tra le
case diroccate, scende un corso d’acqua, gonfio e ribollente. La polvere minuta di gocce che si solleva
dalle pietre bianche di spuma crea una luminosità diffusa, quasi un’aureola attorno alla macchia grigia
delle grange. Il cielo appare, solo di squarcio, chiuso dalle rocce e dai pini»
3
.
Sono scelte stilistiche adottate per far immergere il lettore in quei luoghi a cui Bocca è
legato, tra la Valgrana, Valle Stura, Valle Maira e le Langhe. Un metodo che, come
vedremo in seguito, sarà uno dei preferiti anche di Biagi. E’ da queste zone che le bande
entrano in contatto con i ‘colleghi’ della Resistenza francese. Ed è sempre da queste
zone che le bande in pochi mesi si trasformeranno in un vero e proprio esercito
partigiano. Si ha la sensazione, pagina dopo pagina, che ormai esistano due realtà divise
in Italia: quella filo tedesca e quella filo partigiana, ognuna con le sue leggi, i suoi
2
Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, Borgo San Dalmazzo, Istituto Grafico Bertello, 1945, p. 35.
3
Ivi, p. 80.
9
luoghi e le sue ideologie. La battaglia non è solo quella armata, con i nazifascisti in
ritirata, ma anche a livello di propaganda. Ognuno vuole portare i civili dalla sua parte. I
repubblichini con la radio e la stampa regolare, i partigiani con i giornali clandestini. E’
in questo periodo che prendono sempre più piede fogli in cui si narrano le imprese e le
direttive di quelle che ormai non sono più bande, ma vere e proprie divisioni dotate
addirittura di uffici stampa. Bocca analizza questo fenomeno attentamente, dai primi
manifesti ai giornali veri e propri.
«Già nell’aprile del ’44 erano usciti al ciclostile alcuni numeri di un giornale detto notiziario dei
partigiani delle Alpi Cozie ed intitolato: “Giustizia e Libertà”. Fu accusato di aver scelto un titolo troppo
impegnativo: lo stesso giornale ufficiale del movimento, ma in realtà la scelta non fu errata […]
Nell’estate si riuscì a far salire dalla pianura la prima macchina da stampa. Un tipografo di Cuneo, uscito
dopo lunghi mesi dalle carceri di Torino, in cui era stato gettato per aver stampato materiale di
propaganda antifascista, portò, insieme alla sua capacità tecnica, i caratteri necessari. Uscì il primo
“Giustizia e Libertà” stampato. Poi ad esso si aggiunse “Quelli della Montagna”, notiziario dei partigiani
della I divisione, quindi “Il Cacasenno”, foglio polemico umoristico della II divisione. Oltre i giornali si
stamparono fogli di propaganda, raccolte di canzoni partigiane, opuscoli di educazione politica. […] Tre
volte le tipografie partigiane furono scoperte e distrutte dai tedeschi. Altrettante il comando della II
divisione riuscì a scovare in pianura una nuova macchina, nuova carta e nuovi caratteri sì che, pur con le
sospensioni necessarie ai lunghi e difficili trasporti, la pubblicazione dei giornali si mantenne costante
sino all’insurrezione»
4
.
E’ un aspetto importantissimo per la vita dei partigiani, ma lo è ancor di più per il
Giorgio Bocca giornalista, che si ritrova a contatto con l’ambiente in cui era cresciuto in
provincia, tra redazioni improvvisate e colleghi intenti nella stesura dei vari articoli. Più
volte l’autore si sofferma sulla stampa clandestina, testimoniandone l’influenza che
queste pubblicazioni avevano sia nelle divisioni che nelle città occupate. Come spiega
verso la fine del testo, quando ormai, a estate e autunno del ’44 sorpassati con
descrizioni di combattimenti, difficoltà e di uno scambio di ostaggi con i fascisti, la città
liberata di Pradleves diventa una sorta di capitale partigiana. Qui si sposta il Comando
di zona e Bocca ancora una volta specifica subito che è lì che è stata piazzata la terza e
ultima macchina da stampa, diventata ormai imprescindibile per i partigiani. Poche
pagine dopo Bocca annuncia che le varie divisioni sono pronte ad attaccare e liberare
anche Cuneo. La decisione viene presa proprio a Pradleves, in un momento in cui
ormai, come spiegato dall’autore, l’esercito tedesco era in ritirata ovunque e i fascisti
4
Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, Borgo San Dalmazzo, Istituto Grafico Bertello 1945, pp.
101-102.
10
erano allo sbaraglio. Dopo la discesa nelle Langhe raccontata precedentemente, anche il
capoluogo è libero. Il libro termina proprio con l’immagine delle cerimonie di
festeggiamento e delle sfilate, per Bocca «i funerali di lusso del partigianato armato»
5
. Il
testo però prosegue per altre circa 30 pagine in cui, dopo aver elencato i caduti delle
divisioni di Giustizia e Libertà, Bocca allega alcuni documenti fondamentali per la
piena comprensione della sua opera. Tra questi ci sono sei testate e stralci di alcuni dei
giornali clandestini citati nel testo. Ancora una volta primaria importanza al giornalismo
clandestino, con riportati articoli significativi e loghi di testata dei seguenti giornali:
«Quelli della Montagna», «il Cacasenno», «Giustizia e Libertà», «La Grana», «Lungo il
Tanaro» e «Bandengebiet».
Partigiani della montagna riassume in poche pagine alcuni dei temi presi in
considerazione in questa tesi molto più approfonditamente. Si tratta di un’opera
significativa e antecedente rispetto a quelle di Biagi. Nonostante l’epoca diversa di
stesura, le analogie non mancano, a dimostrazione di quanto il giornalismo e la storia
influenzarono più in generale l’intero XX secolo. Biagi metterà in luce questi due temi
nella sua narrativa attraverso uno stile inconfondibile, che farà della semplicità nel
linguaggio e del racconto in prima persona le due armi più potenti del suo metodo
comunicativo. Un marchio di fabbrica che renderà Enzo Biagi riconoscibile e credibile
sia come scrittore che come giornalista di carta stampata e televisione.
5
Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, Borgo San Dalmazzo, Istituto Grafico Bertello, 1945, p. 146.