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INTRODUZIONE
L’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di “stepchild adoption” omogenitoriale,
ha messo in evidenza i processi che hanno condotto ad un approdo informale
all’omogenitorialità.
La presente analisi pone, infatti, l’attenzione sulle argomentazioni e sugli strumenti adottati
dalla giurisprudenza italiana e comunitaria, volti a superare le lacune e le incongruenze che
tuttora permeano il diritto interno.
Sebbene con l’introduzione della legge n. 76/2016 siano stati mossi i primi passi verso il
riconoscimento di “nuovi” diritti in capo alle coppie omoaffettive, restano infatti molteplici
questioni ancora prive di opportuna disciplina.
Tra queste emerge in special modo la problematica inerente alla “stepchild adoption”,
termine inglese con cui si intende indicare “l’adozione del figlio del partner” da parte del
“genitore sociale”, il quale esercita una genitorialità “di fatto”, pur in assenza di legami
biologici con il minore.
L’estensione per via giurisprudenziale della regola di stepchild adoption anche alle coppie
same sex, unite civilmente o semplicemente conviventi, tende a tutelare il “superiore
interesse del minore” sotto due fondamentali aspetti: in primo luogo perseguendo la
tendenziale conservazione degli status e garantendo la stabilità dei legami affettivi
consolidati; in secondo luogo evitando il verificarsi di un ingiustificato stato di abbandono
(con conseguente dichiarazione di adottabilità) di quei minori in realtà dotati di una seconda
figura genitoriale, in caso di decesso dell’unico genitore biologico esercitante legalmente la
responsabilità genitoriale.
Al fine di indagare sul fenomeno, nella stesura dell’elaborato, è stata condotta una
preliminare analisi della legislazione vigente, per poi soffermarsi sullo studio degli
orientamenti giurisprudenziali prevalenti e sull’esame delle soluzioni adottate in alcune
emblematiche fattispecie concrete.
La tesi si articola in tre capitoli: il primo capitolo muove da un’analisi dell’evoluzione storica
dei modelli familiari, per poi procedere all’esame delle novità legislative recentemente
introdotte, in ordine al riconoscimento di maggiori prerogative e tutele per le nuove
organizzazioni familiari; nel secondo capitolo si focalizza l’attenzione sugli orientamenti
giurisprudenziali dominanti, posti a superamento delle lacune normative in tema di stepchild
adoption, per poi proseguire con un’ accurata indagine sui principi di matrice sovranazionale
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che guidano l’azione dell’interprete; nel terzo capitolo segue una sintetica disamina delle
principali controversie di natura etico-sociale sollevate dall’approdo (sancito per via
giurisprudenziale) all’omogenitorialità, che si conclude con un accenno alle problematiche
questioni di diritto internazionale privato.
Il risultato che si intenderà raggiungere sussisterà nella conferma dell’ipotesi iniziale, volta
a sottolineare il ruolo attivo esercitato dall’interprete italiano nel dare copertura giuridica a
quelle “situazioni di fatto” tralasciate dal diritto, benché meritevoli di tutela.
È in ogni caso auspicabile un futuro intervento legislativo, teso ad introdurre
nell’ordinamento interno, e a garantire anche formalmente, nuovi diritti per le coppie
omoaffettive. Soltanto in tal guisa, si potranno scongiurare le persistenti resistenze
ideologiche caratterizzanti il contesto culturale italiano e si potranno compiere ulteriori passi
lungo la strada dell’uguaglianza sostanziale.
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CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE STORICA E NORMATIVA DEI MODELLI FAMILIARI:
DALLA CRISI DELLA FAMIGLIA ALLA C.D. “RIFORMA CIRINNA’”
1.1 Crisi del modello famigliare tradizionale e riconoscimento giuridico delle nuove
“famiglie di fatto”. La necessità dell’interpretazione evolutiva della legge.
Nel mutato scenario contemporaneo, la sostanziale identità tra i concetti di “famiglia” e di
“matrimonio”, ereditata dalla tradizionale impostazione codicistica, cessa di esistere, per
lasciare spazio a nuovi e molteplici modelli famigliari, tutti meritevoli di tutela.
L’evoluzione socio-culturale degli ultimi decenni e il più recente progresso medico-scientifico
hanno determinato l’emergere di famiglie “ricostituite” e monoparentali, di convivenze more
uxorio e di unioni same sex.
E’ emersa allora con forza l’esigenza di fornire adeguata copertura giuridica a tali “situazioni
di fatto”, che esulano dalla tradizionale tipologia di famiglia, un tempo denominata
“legittima”, proprio ad indicare il disprezzo giuridico e sociale per tutte le altre formazioni
familiari.
A modificare il panorama normativo e disciplinare le nuove fattispecie concrete, è
intervenuto più volte il legislatore, con una progressiva opera di riforma del diritto di famiglia.
Quest’ultimo, infatti, ha subito una radicale trasformazione, soprattutto tra il 1970 ed il 1980,
per poi tornare ad essere totalmente rivisto, dopo una lunga fase di stazionamento, soltanto
nell’ultimo decennio
1
.
Se in un passato non troppo lontano erano l’unità familiare e la stabilità dell’istituto
matrimoniale ad avere assoluta priorità e rilevanza all’interno dell’ordinamento giuridico
italiano, nella società contemporanea anche il diritto tende ad adeguarsi al crescente
individualismo, dando sempre maggior peso all’ esigenza di tutela dei diritti individuali anche
all’interno della famiglia
2
.
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Sul tema sull’evoluzione della famiglia v. F. GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983;
SCALISI, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità ad oggi, in Riv. dir. civ., 2013, pp. 1043 e 1287; ZATTI,
Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in Ferrando-Fortino-Ruscello (a cura di), Milano, 2011, p.22;
MARELLA-MARINI, Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia. Le relazioni familiari nella globalizzazione del
diritto, Roma-Bari, 2014, p.41ss.
2
Michele SESTA, La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura
Civile, fasc. 2, 1 giugno 2017, pag.567.
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Si assiste quindi ad una generale riconsiderazione del “bisogno individuale ad avere una
famiglia”
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e, nel contempo, ad una maggiore attenzione verso la posizione dell’individuo in
quanto tale all’interno della famiglia che egli stesso ha contribuito a creare.
In altri termini, si è verificato nel corso degli anni un vero e proprio passaggio dalla “famiglia”
alla “persona”.
Se nella storia precedente, infatti, la compressione delle libertà individuali dei singoli membri
appariva giustificata dalla riconosciuta funzione sociale della famiglia come istituzione, ad
oggi, assume sempre maggiore centralità la tutela dell’individuo.
Nel corso dei secoli, e non soltanto in Italia, la funzione sociale della famiglia non è stata
mai messa in dubbio, rappresentando quest’ultima, secondo l’opinione generale, la prima
forma di società (tesa a soddisfare le primarie esigenze delle persone) e soprattutto l’unità
base della società più ampia. Già nel pensiero degli antichi giuristi romani, tra cui Cicerone,
la famiglia veniva ad assumere tale funzione sociale fondamentale all’interno della
compagine statale: compito principale e riconosciuto della famiglia era infatti (ed è) non
soltanto procreare, ma anche educare la prole e preparare le future generazioni a svolgere
i compiti richiesti dalla società
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. Era quindi considerato inscindibile il nesso tra famiglia e
Stato, i quali sembravano essere in un costante rapporto tra “parte” e “tutto”: la famiglia era
la cellula base dell’organismo vivente statale. In nome di questa imprescindibile funzione
sociale, la famiglia veniva a costituire un “interesse superiore”, da tutelare a tutti i costi,
anche attraverso il sacrificio dell’interesse dei singoli. Questa impostazione ha permeato il
diritto fino agli anni ’50 ed era quindi riscontrabile nel codice civile con marcati accenti
statalistici di matrice fascista, ma è tutt’ora visibile, per certi versi, nella Costituzione, seppur
con intenti diversi. La tutela di interessi superiori ed “ultraindividuali” emerge infatti
chiaramente dal comma 2° dell’articolo 29, ove l’equiparazione dei diritti dei coniugi risulta
pur sempre passibile di limitazioni in nome dell’“unità famigliare”. Anche l’articolo 144 del
codice civile sembra mantenere questa impostazione, nel precisare che, concordando
l’indirizzo della loro vita famigliare, i coniugi devono tenere in considerazione le esigenze di
entrambi, ma soprattutto quelle “preminenti” della famiglia stessa.
Con l’evolversi della società e l’adeguarsi ad essa dell’ordinamento giuridico, tramite vari
interventi legislativi ed orientamenti giurisprudenziali, è stato intrapreso, però, un percorso
inverso. Se in precedenza la famiglia era chiamata ad assolvere una fondamentale funzione
3
G.E. VACCARO, Il diritto individuale ad avere una famiglia tra il modello famigliare tradizionale e le diverse
unioni, in Diritto di Famiglia e delle Persone, fasc.2, 2015, pag. 759.
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Cicerone, De Officiis, libro 1.
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etico-sociale, garantita e valorizzata dallo Stato, anche a discapito dell’uguaglianza e dei
diritti dei singoli, si è scelto di percorrere la via della valorizzazione degli interessi individuali
dei singoli membri, con una sempre maggiore tutela dell’individuo rispetto all’istituzione.
Particolare riguardo viene riservato alla situazione dei “soggetti deboli”, quali potevano
essere, ad esempio, le donne, in una situazione di netta inferiorità giuridica e sociale rispetto
all’uomo, ed anche i minori, specialmente se nati al di fuori del matrimonio, in una società
patriarcale e contrassegnata dalla potestà patria e maritale.
A tal proposito, occorre evidenziare come anche e soprattutto gli interessi dei minori
vengano oggi a configurarsi come interessi individuali da tutelare, non suscettibili di
sacrificio in nome di un non ben identificato “interesse superiore” della famiglia.
Già l’entrata in vigore della Costituzione, nel 1948, ha messo a dura prova molti orientamenti
espressi dal codice civile, il quale risentiva di un’impostazione tendenzialmente fascista e
marcatamente patriarcale, di certo incompatibile con i nuovi precetti costituzionali.
Si è reso allora necessario l’intervento della Corte Costituzionale, che è andato di fatto a
modificare il tradizionale modello famigliare delineato nell’originale previsione codicistica,
dichiarando costituzionalmente illegittimi innanzitutto i reati di adulterio e di concubinato
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,
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Nel vecchio diritto italiano, l’infedeltà coniugale era punita penalmente. Nell’articolo 559 del codice penale
era infatti previsto il reato di “adulterio” per la moglie che avesse violato l’obbligo di fedeltà, punito con la
reclusione. La conseguenza penale era prevista anche per l’amante della moglie, considerato “correo” e la
sanzione prevista era maggiore nel caso in cui non si trattasse di infedeltà occasionale, ma di una vera e
propria relazione adulterina. Il diritto era punibile in seguito alla querela del marito. Letteralmente, l'art.559 del
Codice Penale del 1930 stabiliva che: «La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. Con la
stessa pena è punito il correo dell'adultera. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione
adulterina. Il delitto è punibile a querela del marito».
In passato, quindi, era considerata “adulterio” esclusivamente l’infedeltà della moglie nei confronti del marito
e non esistevano termini analoghi ad indicare l’esempio opposto, vale a dire l’infedeltà del marito nei confronti
della moglie. La legge stessa (art. 559 cod. pen., abrogato con le sentenze del 19 dicembre 1968, n. 126 e
del 3 dicembre 1969, n. 147 dalla Corte Costituzionale) sanzionava soltanto l’adulterio e la relazione adulterina
della donna. L’articolo 560 del vecchio codice penale prevedeva, invece, la fattispecie del “concubinato”. Se
l’infedeltà coniugale era messa in atto dal marito, essa era considerata reato, passibile di sanzione penale,
solo nel caso in cui egli avesse tenuto una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove. La Corte
Costituzionale ha più volte affrontato la questione dell’illegittima discriminazione tra moglie e marito e, con la
prima sentenza del 19 dicembre 1968, n. 126, ha dichiarato incostituzionali i commi primo e secondo dell'art.
559 c.p. (reato dell'adulterio semplice compiuto dalla moglie) , per poi tornare sull'argomento, con la sentenza
del 3 dicembre 1969, n. 147, che ha dichiarato incostituzionali sia i commi terzo e quarto dell'art 559 c.p.
(reato di relazione adulterina della moglie), sia l'art. 560 (concubinato del marito).