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I – LA LEGISLAZIONE ITALIANA SUI BENI CULTURALI IN PROSPETTIVA
DIACRONICA
1 – I precedenti remoti; 1.1 – Esperienze legislative dell’Età Moderna negli Stati preunitari; 1.2 - Il ritardo
dell’unificazione legislativa in materia di cose d’arte e d’antichità rispetto all’unificazione nazionale; 1.3 -
Caratteri fondamentali della legislazione sulle cose d’arte agli albori del secolo XX; 2 – La “legge
Bottai”: finalità e caratteri generali; 2.1 – L’area protetta; 2.2 – La disciplina di tutela: in particolare, le
disposizioni sulla conservazione, integrità e sicurezza; 2.3 (segue): le disposizioni sulle alienazioni e gli
altri modi di trasmissione delle cose; 2.4 (segue): le disposizioni sull’esportazione e sull’importazione;
2.5 (segue): la disciplina dei ritrovamenti e delle scoperte; 2.6 – La disciplina delle riproduzioni e del
godimento pubblico; 2.7 – La disciplina delle espropriazioni; 2.8 – Le altre disposizioni della l. n.
1089/1939; 2.9 – Alcune considerazioni generali sulla disciplina della “legge Bottai”; 3 – Il codice civile;
4 – La Costituzione repubblicana; 5 – La legislazione ordinaria della Repubblica fino al Codice dei beni
culturali e ambientali; 5.1 (segue): in particolare, l’ordinamento dei beni culturali nel d. lg. n. 490/ 1999;
6 – Le origini del Codice dei beni culturali e ambientali.
1 – I precedenti remoti. Nelle trattazioni giuridiche in materia di cose d’arte o beni
culturali, da intendersi provvisoriamente come sinonimi, non di rado si assume che sin
da epoche antichissime l’esigenza di protezione sia stata avvertita dagli ordinamenti
giuridici delle comunità politiche succedutosi sul territorio italiano.
La «disciplina rudimentale» contenuta nella legge delle XII Tavole, che proibiva di
rimuovere dagli edifici pubblici le statue e le colonne che li ornavano
12
avrebbe
rappresentato l’antecedente più antico della legislazione introdotta da Giulio Cesare e
poi sviluppata da molti imperatori, rivolta soprattutto ad assicurare il decoro
dell’edilizia urbana; ad essa si sarebbe accompagnata la creazione di biblioteche e
pinacoteche ad uso pubblico, mentre i giureconsulti edificavano l’istituto del legatum ad
patriam, atto di destinazione all’uso o all’ornamento pubblico di un oggetto artistico da
parte del suo dominus, che così si privava del potere di disporne diversamente
13
. La
protezione dei beni artistici fu particolarmente a cuore al grande legislatore d’Oriente,
Giustiniano.
La caduta dell’Impero d’Occidente e la sua dissoluzione nei regni barbarici
significarono un grave arretramento della civiltà: dapprima gli invasori, poi le fazioni
locali si abbandonarono alla spogliazione dei monumenti antichi, proseguita nei secoli
non solo in Italia, ma in gran parte dei territori dapprima soggetti a Roma. Eppure non
12
GRISOLIA, op. cit., p. 20.
13
GRISOLIA, op. cit., p. 22 ss. Cfr. anche NIVARRA, op. cit., p. 387.
10
sarebbero mancate manifestazioni di una rinnovata cura dei monumenti del passato: nel
1162 il Senato dell’Urbe vietò che la Colonna Traiana fosse danneggiata o abbattuta,
consapevole che essa rappresentava l’onore del popolo romano
14
, decisione vista come
un preludio alla rinascita delle Humanae Litterae che avrebbe ridestato l’interesse verso
la protezione giuridica delle cose d’arte, intesa come «difesa sociale di quel contenuto
etico ed intellettuale» che esse racchiudono
15
.
1.1 – Esperienze legislative dell’Età Moderna negli Stati preunitari. Grande importanza
è stata comunemente attribuita alla legislazione dei Pontefici romani, reggitori della
città che ospitava il maggior numero di capolavori d’arte e testimonianze di un glorioso
passato: un importante autore del secolo XX scrisse che quella legislazione «sorpassa
tutte le altre per la decisa affermazione dell’intervento dello Stato»
16
. Le origini di
quella legislazione sono rintracciate nella bolla Cum almam nostram urbem emanata da
Pio II nel 1462, mirante ad evitare il danneggiamento di edifici monumentali, e nella
bolla Cum provida emanata da Sisto IV nel 1474, che vietava lo spoglio dei marmi dalle
chiese
17
; nei secoli successivi numerosi editti cardinalizi intervennero nella materia, ma
il culmine della legislazione emanata nello Stato della Chiesa fu raggiunto dagli editti
del cardinale Doria-Pamphilj del 2 ottobre 1802 e del cardinale Pacca del 7 aprile 1820,
che «costituirono la piattaforma su cui si formarono le leggi di quasi tutti gli altri ex
Stati italiani» e, in qualche misura, il modello della legislazione unitaria
18
. In
particolare, l’editto del cardinale Pacca invocava, quali motivazioni dell’intervento
legislativo a protezione dei monumenti e delle opere d’arte:
1) l’attrazione che spinge gli “stranieri ad ammirarle”;
2) la ”erudita curiosità degli antiquari”;
3) lo stimolo alla “nobile emulazione di tanti artisti”,
14
NANNIPIERI, op. cit., p. 16.
15
GRISOLIA, op. cit., p. 24.
16
GRISOLIA, op. cit., p. 24.
17
SCIULLO, op. cit., p. 54; cfr. anche GRISOLIA, op. loc. cit.
18
GRISOLIA, op. cit., p. 27. A questo proposito, si deve osservare come solo la l. 12 giugno 1902, n. 185, pose fine alla vigenza
della legislazione pontificia nella provincia romana.
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mostrando così attenzione non solo alle esigenze scientifiche ed artistiche, ma anche
allo sviluppo di un turismo culturale in embrione. L’editto si preoccupò inoltre di
istituire un’amministrazione degli scavi, monumenti e cose d’arte, dotata di poteri
ispettivi e titolare del potere di rilascio delle licenze di scavo e di esportazione, e
dispose che tutti i «pubblici stabilimenti … tanto ecclesiastici che secolari … ove si
conservano raccolte di statue e di pitture, musei di antichità sacre e profane, e anche uno
o più oggetti preziosi di belle arti» ne fornissero l’elenco esatto a tale amministrazione.
Pur ponendo limiti alla proprietà privata e vietando comportamenti che potessero porre
a repentaglio la conservazione delle cose d’arte e di antichità, tale legislazione si
astenne peraltro dall’affermare un diritto dello Stato sui beni rinvenuti in seguito a
scavi, fatta eccezione per le prime testimonianze cristiane
19
.
Nel Regno delle due Sicilie Ferdinando I emanò il 13 ed il 14 maggio 1822 due decreti,
il primo inteso alla disciplina degli oggetti e monumenti storici o d’arte ed il secondo a
quella degli scavi, ispirandosi all’editto del cardinale Pacca ma migliorandone la
formulazione
20
; anche il Granducato di Toscana si sarebbe segnalato per
un’apprezzabile legislazione, preoccupata soprattutto di proteggere le opere d’arte e le
memorie storiche esposte alla pubblica vista, meno della tutela degli edifici antichi
21
.
La protezione e la conservazione degli oggetti d’arte e delle antichità, nonché l’interesse
agli scavi archeologici, furono condivisi da tutti gli Stati preunitari, seguendo il modello
dell’imposizione di limiti alla proprietà privata: in particolare, rimase estranea alla
cultura dell’epoca l’idea dell’appartenenza allo Stato dei beni archeologici, fondata sul
carattere demaniale del sottosuolo
22
.
Nel Lombardo-Veneto, la legislazione Imperial-Regia dei secoli XVIII e XIX impose
severe restrizioni al traffico ed all’importazione delle opere d’arte e introdusse la
prelazione del Governo sugli oggetti d’antichità e d’arte che il proprietario intendesse
esportare.
19
G RISOLIA, op. loc. cit. In particolare, l’editto del cardinale Pacca poneva restrizioni all’esportazione delle raccolte artistiche,
dettava misure per la conservazione ed il restauro degli oggetti d’arte e per la catalogazione di quelle site nelle chiese e negli edifici
assimilati: SCIULLO, op. loc. cit. NIVARRA, op. cit., p. 387, sostiene che la legislazione pontificia tendesse a «coniugare le esigenze
della protezione delle cose d’arte con la fruizione collettiva», favorendo la ricerca scientifica e la conoscenza delle stesse.
20
GRISOLIA, op. cit., p. 28.
21
GRISOLIA, op. cit., p. 29.
22
GRISOLIA, op. cit., p. 31.
12
1.2 – Il ritardo dell’unificazione legislativa in materia di cose d’arte e d’antichità
rispetto all’unificazione nazionale. Le campagne militari degli anni tra il 1858 ed il
1861 condussero alla proclamazione del Regno d’Italia il cui governo, ancorché il
Triveneto ed il Lazio fossero tuttora sottoposti ad altri sovrani, intraprese di buona lena
un’opera legislativa che in pochi anni portò all’unificazione del diritto privato, con
l’emanazione nel 1865 del codice civile, ed alla contemporanea edificazione del diritto
amministrativo del nuovo Stato
23
; la struttura costituzionale rimase, peraltro, quella
delineata dallo Statuto fondamentale del Regno, promulgato il 4 marzo 1848 da Carlo
Alberto.
La materia delle cose d’arte e d’antichità, per contro, non fu oggetto di una disciplina
legislativa unitaria per tutto lo scorcio del secolo: il legislatore
24
si limitò ad emanare
leggi di diritto amministrativo, contenenti disposizioni concernenti cose d’arte ed
antiche, biblioteche ed archivi
25
e, dopo la presa di Roma, ad emanare norme che
estendevano al Lazio alcune disposizioni del codice civile, disponendo in maniera
espressa il temporaneo mantenimento in vigore delle leggi ed i regolamenti speciali
riguardanti i monumenti e gli oggetti d’arte
26
.
La scarsa chiarezza di quelle disposizioni avrebbe determinato una situazione caotica,
posto che alcuni interpreti ritennero che esse avessero conservato in vigore solo la
legislazione pontificia e non anche quella degli altri Stati pre-unitari: tale incertezza,
benché in seguito risolta dalla giurisprudenza che affermò la sopravvivenza, in ciascun
territorio, della legislazione anteriore, avrebbe «incoraggiato» attentati al patrimonio
artistico e storico, fonte di grande scalpore
27
.
23
Il primo codice penale unitario, redatto sotto la guida del ministro Zanardelli, fu promulgato nel 1889. In precedenza, il codice
sardo, vigente nel Piemonte, era stato esteso al Regno d’Italia, ma non alla Toscana, dove fu mantenuto temporaneamente in vigore
il codice granducale, che non prevedeva la pena capitale.
24
Si deve osservare che, secondo l’art. 3 dello Statuto albertino, il potere legislativo era «collettivamente esercitato» dal Re e dalle
Camere.
25
Particolarmente importanti le disposizioni che assegnavano a biblioteche o musei dei beni appartenenti alle corporazioni religiose
sciolte dalla legge 7 agosto 1866, n. 3036.
26
Cfr. GRISOLIA, op. cit., p. 34 ss.: la disposizione rilevante è l’art. 5 della l. 28 giugno 1871, n. 286.
27
G RISOLIA, op. cit., p. 36 ss., riferisce dell’esportazione di opere d’arte comprese nella Galleria Sciarra, tra le quali anche un
Violinista di Raffaello, compiuta dal principe Maffeo Barberini Colonna di Sciarra negli anni 1891 e 1892, e quella di una Madonna
del Botticelli da parte del principe Mario Chigi Albani.
13
Non mancarono proposte di leggi che sottoponessero le cose d’arte e di antichità ad una
disciplina unificata, ma il Parlamento oppose una lunga resistenza all’idea di una legge
che violasse «quei sacri diritti soggettivi, come la proprietà privata, che la concezione
giuridica e politica del tempo attribuiva all’individuo per diritto naturale»
28
: in effetti, i
modelli di protezione legale delle opere d’arte ereditati dagli Stati pre-unitari si
discostavano in maniera netta dalla disciplina legislativa della proprietà privata,
manifestando un precoce favore per l’idea di una sua funzionalizzazione a finalità
sociali
29
. Solo dopo molti anni fu promulgata la legge 12 giugno 1902, n. 185, che,
peraltro, sarebbe ben presto riconosciuta insufficiente
30
, tanto che già nel 1906 fu
costituta una Commissione ministeriale incaricata di redigere un nuovo testo che
diventò poi la legge 20 giugno 1909, n. 364, che abrogò la legge precedente,
sostituendola.
1.3 – Caratteri fondamentali della legislazione sulle cose d’arte agli albori del secolo
XX. Le leggi citate, in realtà, non si pongono in netto contrasto tra loro, apparendo anzi
lo sviluppo di un modello unitario. Le caratteristiche essenziali di questo modello sono
rappresentate dalla tutela pubblica di quei beni che, per usare un linguaggio
contemporaneo, presentano interesse culturale, benché la loro identificazione avvenga
mediante formule diverse: la legge n. 185 del 1902 intese applicarsi ai monumenti, agli
immobili ed agli oggetti mobili «che abbiano pregio di antichità o d’arte» (art. 1) ma
anche «ai codici, agli antichi manoscritti, agli incunaboli, alle stampe ed incisioni rare e
di pregio, alle collezioni numismatiche» (art. 32), mentre l’art. 1 della legge n. 364 del
1909 sottopose alla sua tutela «le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico,
archeologico, paletnologico o artistico» ed altresì le cose che la legge precedente
elencava nell’art. 32. Una differenza tra i due testi è evidente: mentre quello più antico
concerneva unicamente oggetti d’arte e di antichità, quello più recente allargava la sua
28
GRISOLIA, op. cit., p. 34 e anche SCIULLO, op. loc. cit. In effetti, l’art. 29 dello Statuto albertino proclamava l’inviolabilità di tutte
le proprietà, pur ammettendone l’espropriazione «quando l’interesse pubblico legalmente accertato lo esiga», principi svolti poi
dagli articoli 436 ss. del codice civile.
29
GRISOLIA, op. cit., p. 40.
30
GRISOLIA, op. cit., p. 39. Secondo NIVARRA, op. cit., p. 388, la legge n. 185 del 1902 avrebbe presentato «significative deficienze
riguardanti il controllo e la disciplina delle esportazioni dei beni oggetto di tutela», peraltro ristretta a quelli aventi sommo pregio.