1
Introduzione
La mitologia startup racconta di ragazzi pronti ad abbandonare gli studi per realizzare il loro
sogno, per dedicarsi a ciò in cui credono, alla loro idea così grande e rivoluzionaria che potrà
un giorno cambiare la loro vita. Un sogno difficile, sofferto in cui nessuno crede ma a cui tutti
crederanno, quando quell’idea così ambiziosa lascerà il garage dove tutto è cominciato per
propagarsi finalmente all’intero globo. È una storia affascinante e carica d’ispirazione che
alimenta le narrazioni e l’immaginario collettivo del mondo occidentale e che scatena
entusiasmi, invitando ad agire, emulare, costruire da sé il proprio piccolo grande regno.
È la stessa storia di Jeff Besoz, Bill Gates, Mark Zuckerberg, Larry Page,
uomini miliardari fra i dieci più ricchi al mondo (Forbes, 2019) che devono la loro fortuna alla
fondazione di startup oggi divenute colossi del sistema economico globale (Ferrara, 2017).
Alla luce della desiderabilità sociale del fenomeno startup, frutto di questa narrazione dorata,
così bella e spensierata, così facile e appagante, e a partire da un interesse personale
nel campo di riferimento, scopo del presente elaborato è studiare la
comunicazione digitale delle startup nel nostro Paese, a livello teorico prima
e nella pratica poi, attraverso l’analisi di cinque startup italiane di successo.
La scelta della centralità dell’elemento comunicativo fra i tanti disponibili nel
mondo delle startup ha trovato giustificazione alla luce della sua importanza per
l’esistenza stessa e la crescita di questo modello di business. La comunicazione
è divenuta infatti una delle principali leve del marketing impiegata dalle aziende
in generale al fine di costruire un brand solido, riconoscibile e di successo.
Per le startup tuttavia essa assume una rilevanza ancora maggiore, come desumibile a partire
dalla teoria di diffusione delle innovazioni elaborata da Everett Rogers (1983).
Egli, definendo la diffusione delle idee innovative come un processo in cui un’innovazione (1)
viene comunicata attraverso determinati canali (2) nel corso del tempo (3) e fra i membri di un
sistema sociale (4), consente di focalizzare l’attenzione proprio sull’elemento
della comunicazione, senza il quale l’intero processo non potrebbe aver luogo.
Le startup, portando sul mercato idee innovative o inaugurando addirittura nuovi mercati, fin
dalle prime fasi di vita necessitano infatti di comunicare il proprio mondo ad un’audience
differenziata affinché la nuova idea venga adottata all’interno del corpo sociale.
Se così non fosse, se nessuna iniziativa venisse messa in atto, quell’idea resterebbe d’altronde
confinata nella mente dello startupper e fallirebbe dunque insieme a tutto il progetto.
A partire da queste premesse, nel corso del primo capitolo si cercherà innanzitutto di
destrutturare la mitologia dominante e semplificatrice sulle startup definendo l’oggetto di
studio e raccontandolo in modo alternativo, nella sua interezza ma anche nelle sue
contraddizioni. Per farlo si seguirà passo dopo passo l’insidioso percorso dello startupper,
promotore di un “viaggio dell’eroe” fatto di incertezze, costanti cambiamenti e iterazioni in
cui risulteranno fondamentali un’adeguata cultura del fallimento, un capitale disposto
a reggere il rischio insito nei progetti innovativi e il supporto di un intero
ecosistema per la nascita, lo sviluppo e consolidamento di una startup.
Con il secondo capitolo ci si addentrerà poi nell’ambito delle strategie di comunicazione a
disposizione delle startup per raccontare al cliente potenziale il proprio prodotto, servizio,
2
visione innovativa al fine di stimolare la diffusione dell’innovazione all’interno del corpo
sociale. Lo studio condotto in questa fase ha portato in particolare all’elaborazione compilativa
del modello chiamato StartupTelling, nato dalla consapevolezza del ruolo predominante e
unificante dello storytelling all’interno di un contesto postmoderno sempre più frammentato e
sfuggente, in cui l’attenzione del cliente diviene risorsa tanto preziosa quanto scarsa.
Proprio all’interno di un contesto come questo diventa fondamentale anche per una startup
mettere in atto l’uso strategico di uno storytelling che sappia raccontare
non solo il prodotto ma la startup tutta, le sue sfide, i suoi punti di forza ma anche
quelli di svolta con una storia che ispiri, attiri curiosità e voglia di approfondire,
aumentando il valore percepito del brand e agevolandone la memorizzazione.
A partire dal terzo capitolo si approfondirà invece con maggiore attenzione la realtà delle
startup in Italia, cominciando dalle caratteristiche e i limiti della normativa italiana sulle
“start-up innovative” (legge 221/2012) e procedendo con un quadro di dati che riassuma le
peculiarità del fenomeno nel nostro territorio: dalla distribuzione geografica ai principali
settori di attività, dal profilo delle startupper italiano all’entità dei finanziamenti, passando per
il livello di digitalizzazione e la mancanza di una cultura del fallimento nel nostro Paese.
Nel quarto ed ultimo capitolo si procederà infine con lo studio delle strategie di comunicazione
di cinque startup italiane di successo (Musixmatch, Greenrail, Solenica, VisLab, EryDel)
basato sulla comparazione di queste specifiche realtà con il modello ideale di StartupTelling
emerso dalla letteratura esistente sul fenomeno. Si andrà dunque a verificare se la strategia
risulta essere rispondente o meno al modello elaborato: la risultante concordanza o discordanza
potrà in ogni caso essere indice di determinate peculiarità dello scenario italiano e consentirà
di inquadrare in modo ravvicinato le caratteristiche del fenomeno startup in Italia nel suo
insieme.
3
Capitolo primo
RACCONTARE LE STARTUP
Stando ai dati statistici, il 95% delle startup non sopravvive ai primi cinque anni di vita
e meno dell’1% riesce a diventare un vero business (Pistono, 2017).
Cosa resta dunque resta dunque di quel 99% dimenticato da tutti, lasciato
per sempre nell’oblio e rinnegato dal mito stesso che lo ha generato?
Un mito facile e dorato che per forza di cose semplifica e ribalta la realtà,
che omette la complessità di un percorso molto più intricato e non alla portata
di tutti, un percorso che vale però la pena di chiarire e approfondire.
Quello che verrà proposto nel corso di questo capitolo è un modo alternativo all’immaginario
comune di raccontare le startup che, allontanandosi dalla mitologia semplificatrice, descriva il
fenomeno nella sua interezza ma anche nelle sue contraddizioni. Per farlo si farà piuttosto
riferimento ad un’altra mitologia ispiratrice, quella dell’archetipico “viaggio dell’eroe”: esso
compare nelle culture di tutto il mondo secondo uno schema ricorrente che inneggia a un eroe
leggendario considerato il fondatore di qualcosa, di una nuova era, di un nuovo modo di vivere,
che parte per un viaggio incerto, complicato, pieno di ostacoli (Campbell, 2004).
Questo schema ricorrente sembra potersi applicare in chiave metaforica anche al viaggio che
si ritrova a compiere il fondatore di una startup, eroe contemporaneo, fondatore di nuove
imprese, prodotti e servizi che affronta difficoltà, incertezze e potenziale insuccesso presenti
lungo il cammino. Raccontare le startup significa in fondo raccontare il suo percorso.
1.1. Cos’è una startup
Come per ogni lungo viaggio, prima di partire è bene portare con sé il necessario, il che
significa in questo caso capire innanzitutto cosa debba esattamente intendersi per startup.
Secondo la definizione più accreditata, una startup è un’organizzazione temporanea alla ricerca
di un business model ripetibile, scalabile e profittevole (Blank & Dorf, 2012).
Ripetibile sta ad indicare un modello di business che può essere ripetuto nel tempo, poiché non
legato a mode o bisogni passeggeri; scalabile, cioè applicabile in un tempo definito ad un
numero sempre più grande di clienti, con un aumento dei profitti per ogni nuovo cliente
acquisito; profittevole, in grado cioè di monetizzare, apportare nuovi capitali all’impresa
(Camera, 2017). Va fatto presente tuttavia che “startup” è un termine generico, comprendente
al suo interno diversi modelli organizzativi (Casoni, 2013). Esistono infatti startup che nascono
per rimanere piccole imprese, al confine con i cosiddetti lifestyle business.
Si tratta di aziende che, pur continuando a crescere e realizzare profitti sul lungo periodo,
restano di piccole o medie dimensioni, non aggressive né dirompenti. Queste caratteristiche
fanno sì che esse risultino poco attraenti per gli investitori e si basino su un capitale
di partenza contenuto, fornito dagli stessi founder o amici e famigliari (Dusi, 2018).
Nel presente elaborato si farà tuttavia maggiore riferimento alle startup che puntano a diventare
scaleup secondo l’accezione di Paul Graham, co-fondatore dell’acceleratore di maggiore
successo degli stati Uniti, Y Combinator, (Cremades, 2018) e da molti considerato il filosofo
delle startup. Nella sua definizione, “a startup is a company designed to grow fast” (Graham,
4
2012), un’azienda che dopo aver ricercato e validato il proprio modello di business
punta ad una rapida crescita esponenziale e alla conquista di interi mercati.
Per sostenere e consentire scalabilità e rapidità richieste, le startup così intese necessitano per
loro natura dell’apporto di ingenti finanziamenti da parte di un bacino diversificato di
investitori. Essi si dimostrano pronti a fornire il capitale di rischio necessario al supporto e alla
diffusione delle idee innovative poiché queste rappresentano una preziosa possibilità di
attivare innovazioni di interruzione o disruptive (Casoni, 2013), capaci cioè di ristrutturare
interi mercati o di avviarne di nuovi. Lo scenario in cui lo startupper è chiamato a compiere il
suo viaggio è dunque ricco ti tensioni, ostacoli e difficoltà che determinano condizioni di
estrema incertezza. Condizioni, queste, in cui emerge l’importanza di una cultura interna
caratterizzata da apprendimento, ricerca, iterazione ma anche costanza, coraggio, passione.
Il filo conduttore che in letteratura lega l’intero percorso che ci apprestiamo ad approfondire è
una considerazione generalmente positiva del fallimento. Esso, lungi dall’essere stigmatizzato
come sconfitta e onta personale, nel mondo delle startup rappresenta un importante momento
di crescita e occasione di rilancio per l’inizio di un nuovo percorso in cui far tesoro degli errori
passati. Nell’insuccesso “non ci sono colpe da assegnare, ma solo errori da non ripetere”
(Dusi, 2018, p. 12).
1.2. Dall’imprenditore schumpeteriano allo startupper
Nonostante l’idea dell’imprenditore in grado di attivare innovazioni disruptive venga
comunemente associata a tendenze di recente sviluppo, esso compare già nella prima metà del
XX secolo nel pensiero del sociologo ed economista Schumpeter, nelle cui opere Teoria dello
sviluppo economico (1949) e Capitalismo, socialismo e democrazia (1976) si assiste ad un
tentativo organico di definizione dell’innovazione e del ruolo dell’imprenditore che ha riscosso
particolare successo (Śledzik, 2013). Egli considera il cambiamento essenza stessa del
capitalismo: lo sviluppo dell’intero sistema capitalistico è infatti da lui inteso come un
processo storico di cambiamenti strutturali guidati dall’innovazione. Questa, attraverso
l’introduzione di “nuove combinazioni” nel sistema sociale è in grado di determinare vere e
proprie ventate di “distruzione creatrice” che stanno alla base della crescita economica.
Il motore scatenante all’interno dello scenario descritto è proprio l’imprenditore, innovatore
intelligente, energico e determinato, l’unico a mettere in pratica e realizzare nuove
combinazioni per il desiderio di guadagnare, creare il proprio “regno” o per la voglia stessa di
creare. Per Schumpeter:
la funzione degli imprenditori è riformare o rivoluzionare il quadro produttivo sfruttando
un’invenzione o, più generalmente, una possibilità tecnica finora trascurata per produrre una nuova
merce o produrre in modo nuovo una merce vecchia, aprendo una nuova sorgente di rifornimento
di materie prime o un nuovo sbocco ai prodotti, riorganizzando un’industria e così via
(Schumpeter, 1976, p. 132).
Dalla lettura delle sue parole emerge un profilo dell’imprenditore-innovatore particolarmente
affine a quello dello startupper contemporaneo, al punto da poter forse far
supporre che il fenomeno delle startup non rappresenti nulla di nuovo.
Un confronto con l’analisi schumpeteriana nel suo complesso ci consente però di