5
Innanzi tutto partendo da un’analisi etimologica del termine possiamo
subito dire che “to Splatter” è un verbo onomatopeico inglese la cui
traduzione è “schizzare”.
Indica lo schizzare del sangue.
Nel cinema, nei romanzi e nei fumetti naturalmente.
Nella cinematografia, con tale termine, si indica tutta una serie di
pellicole che hanno come filo conduttore, come elemento sine qua non,
la presenza esagerata, quasi sempre gratuita, di gore ed effettacci
speciali, mirati a provocare disgusto nello spettatore.
Un sociologo olandese di cui feci la conoscenza durante il mio primo
anno di università, scorrendo i titoli della mia misera videoteca e
notando la presenza massiccia di pellicole di questo genere, mi disse che
in quanto amante di questi film appartenevo ad una substratificazione
sociale. Come i “punk” e i “figli dei fiori” per intenderci.
All’epoca ci rimasi male a sentirmi parte di una categoria, di una sub-
cultura di cui non conoscevo altri esponenti all’infuori di me. Oggi posso
dire, in tutta tranquillità, che effettivamente quel ragazzone biondo che
puzzava di birra aveva ragione. Essere cultore di un tale genere
cinematografico equivale a prendere atto di appartenere ad una cultura a
sé. Significa rendersi conto di avere un gusto settoriale, probabilmente
6
diverso da quello della stragrande maggioranza di appassionati di cinema
(figurarsi lo spettatore occasionale).
Chi ama lo splatter ne apprezza soprattutto la forza d’impatto delle
immagini, la grossolanità degli effetti speciali, la fantasia e le scarse
giustificazioni di trama che consentono di poter svolgere un discorso
basato essenzialmente sulla destrutturazione dello stesso discorso
cinematografico in sè. Ed è questo che fa di alcune pellicole tipici
esempi di film splatter. Ed è sempre questo che a mio avviso giustifica il
termine “Genere”. Nel corso di questo mio lavoro quindi cercherò di
dimostrare che lo splatter è un genere vero e proprio, anzi un macro
genere, se vogliamo, che ingloba in sé diversi filoni derivati. Filoni e
sottogeneri che si sono aggiunti alle prime pellicole dalle ambientazioni
tipicamente horror alla ricerca di altre strade che permettessero di
valorizzare l’effetto grandguignolesco. Perché è innegabile che ogni
esempio di pellicola gore si possa da sempre considerare un piccolo
regalo con dedica ai cultori del genere. E che nel corso del tempo le,
sempre più tristemente scarse, pellicole di questo tipo abbiano finito col
rappresentare per i registi una vera e propria sfida-gioco per
l’appagamento di un pubblico sempre più abituato a tutto.
7
Lo splatter è un genere diffuso e trattato in tutto il mondo, ma è proprio
nel nostro paese che si trovano gli esempi migliori di questo tipo di
cinematografia nonché gli esponenti più brillanti tra i registi che ad essa
si sono dedicati.
L’Italia è stata da sempre patria di grandi registi (quelli storicizzati ed
osannati dalla critica) ma anche madre di un certo tipo di cinema
(definito “di genere”) che spopolò tra gli anni ’60 ed ’80 in tutto il
mondo. La non originalità dei soggetti, per lo più imitati da quelli
americani su cui poi venivano imbastiti interi filoni, e la scarsità di
mezzi, non sono che alcune delle caratteristiche che accomunano le
pellicole di genere. Pecche, se vogliamo, di un cinema che adesso non
c’è più e che comunque merita a mio avviso di essere rivalutato. Una
rivalutazione che dovrebbe partire proprio dall’analisi di questi problemi
strutturali e dal fatto che spesso, in queste condizioni, era proprio
l’originalità nell’uso della macchina da presa, per assurdo, a rendere
questi prodotti validi anche all’estero se non addirittura superiori ai
capostipiti d’oltreoceano che il più delle volte li avevano generati.
Partirò dunque nel primo capitolo da alcune mie considerazioni,
cercando di ricostruire, spero il più brevemente ma esaustivamente
possibile, una storia mondiale del cinema splatter, per evidenziarne gli
8
attuali sviluppi e le future tendenze. Proseguirò poi affrontando nel
secondo capitolo una più dettagliata storia del genere nel nostro paese,
parlando di tre registi che meglio di chiunque altro hanno saputo
distinguersi nella realizzazione di pellicole a carattere splatter. Dedicherò
inoltre una piccola scheda di approfondimento ad uno dei sotto-filoni del
genere meglio sfruttati: quello dei film sui cannibali. Nel terzo capitolo
cercherò di dare una definizione soddisfacente di che cosa può essere
considerato un film splatter. Per poi finire nel quarto e nel quinto
capitolo parlando ed esaminando lo strettissimo legame che intercorre tra
pellicole splatter ed effetti speciali, e tra pellicole splatter e pubblico.
Certo so che anche semplicemente tracciare una breve storia dello
splatter equivale per forza a compiere una selezione. A tralasciare dei
film e ad includerne altri. Una selezione che probabilmente farebbe
storcere il naso a qualsiasi appassionato del genere. D’altra parte una
scelta deve essere fatta ed i criteri da me adottati spero risultino alla fine
i più imparziali ed obbiettivi. Chè sono scelti da un appassionato ed un
cultore. Questo mio lavoro non vuole essere l’ennesimo elenco di titoli e
registi, ma solo un omaggio, un atto d’amore verso un genere, troppo
spesso bistrattato, che appartiene, a mio avviso, più di ogni altro al
nostro paese.
9
Definizione
1.1 Cosa si intende per “Splatter”?
Il cinema “Splatter” nasce casualmente nei primi anni Sessanta ma fu
solo verso la metà degli anni Ottanta che il critico americano John Mc
Carthy coniò la definizione che lo contrassegnerà fino ad oggi,
riferendosi al termine onomatopeico “to Splatter” che in inglese significa
“spruzzare” e che indica appunto lo schizzare del sangue.
Nel corso del tempo si sono avute diverse definizioni di “Cinema
Splatter”: da “segnale della crisi di valori, di certezze o di mancanza di
autorità nella società occidentale” (G. & G. Castoldi 1997) a
“sottogenere specifico dell’horror” o ancora semplicemente “cinema
estremo”(Ibidem 1997). La complessità di una definizione univoca di
Genere Splatter, inteso come insieme di codici ben definiti e di stilemi
compositivi identificabili, risulta alquanto complessa. La pellicola
Splatter è identificabile per un fattore visivo, per la brutalità di alcune
10
immagini (nonché di alcune particolari atmosfere) volte a suscitare il
disgusto nello spettatore che vi è posto davanti, al continuo
perseguimento di un appagamento di estetica dell’estremo e del gore a
tutti i costi (Idem 1997).
Possiamo affermare che in effetti il cinema splatter sia figlio del cinema
horror, almeno per quanto riguarda le tematiche trattate nelle prime
pellicole del genere, ma non possiamo non considerare anche la sua
vicinanza al porno. “Lo splatter è identificabile solo per un fattore
visivo: la ferita, lo squarcio che dilania le carni, il sangue”…“la morte
più graficamente ripugnante” (G. Ristretta & L. Palmerini, 1994). Da
questo punto di vista, l’unico genere che si avvicina allo splatter è
appunto il “porno” con il quale condivide la predilezione per l’immagine
trasgressiva, scioccante e comunque non adatta a tutti i tipi di pubblico.
Il fine ultimo di un film splatter è sconvolgere il fruitore del medesimo
mostrandogli l’immostrabile, conducendolo e trascinandolo in una
“danze macabre” all’insegna dell’iperbolicità di un linguaggio che è al
tempo stesso creazione e destrutturazione. Il singolo effetto visivo più
della sequenza quindi, ma anche più della trama, del cast, della
sceneggiatura etc…
11
1.2 Un po’ di storia
Rispettabile precursore di questo genere cinematografico è il mitico
“Grand Guignol” Parigino. Teatro nel quale si tenevano spettacoli che
utilizzavano spesso la formula del raccapricciante e dell’effetto shock
per aumentare la suspense nella platea e per dare particolare risalto alle
scene più significative. Ma è solo grazie al cinema nudie che si arriva
alla vera e propria genesi dello Splatter (Cfr. Bruschini e Castoldi in
“Amarcord, il lato oscuro del cinema” n.17/18, 1996).
I nudie film nascono in America attorno agli anni 50. Si tratta di pellicole
la cui trama è spesso solo un pretesto per poter mostrare scene di nudo
integrali, corpi spesso debordanti e sovrabbondanti, che finiscono col
contaminare un po’ tutti i generi cinematografici, compreso quello horror
(idem, 1996). Fu allora che il regista Herschell Gordon Lewis, assieme al
produttore David F. Friedman, ebbero l’idea di applicare il principio del
“mostra tutto”, proprio del cinema nudie, all’horror, dando vita così ad
un nuovo filone basato su violenze e sadiche uccisioni, realizzate tutte in
modo palese ed iper realistico. Vide così la luce “Blood Feast” (1963)
che può essere definito senz’altro il primo film Splatter in assoluto
(Ibidem, 1996). Il successo della pellicola spinse lo stesso team creativo
12
a ripetersi, un anno più tardi, con “2000 maniacs” (1964), e sempre lo
stesso anno, con “Color me blood red”. Tutti e tre i film, (ancora
godibilissimi), sono caratterizzati da trame pretestuose al fine di
mostrare massacri sempre più efferati, nonchè dalla grossolanità degli
effetti speciali, ideati dallo stesso Lewis, che ne hanno fatto dei piccoli
capolavori assurti a rango di veri e propri cult per gli appassionati di
opere “gore”; inizialmente le pellicole horror iper violente erano
chiamate così. Molto del successo che riscossero questi film è dovuto
anche al particolare target a cui Lewis si rivolgeva. Questi “prodotti”
dell’industria cinematografica riscontravano il loro maggior successo
nell’america rurale e “rozza” del sud, dove venivano proiettati nel
circuito dei “drive-in”, spesso in doppi spettacoli chiamati “double-bill”
(Ibidem, 1996). Ma è solo l’inizio. Negli anni successivi sempre in
America si moltiplicheranno le pellicole di questo genere e si darà vita
alle principali, classiche tendenze.
Nel 1967 con “The undertaker and his pals”, di David Graham, si
inaugura il filone dei meat movie, che comprende tutti quei film che
hanno una relazione con le macellerie (Ibidem, 1996). Per intenderci,
questo è il primo film di una lunga serie, ancora sfruttata soprattutto in
13
America, in cui le innocenti vittime di turno vengono massacrate per
fungere da portata principale in un ristorante o in una tavola calda.
Ma è con “Night of the Bloody horror” (1968) di Joy N. Houck jr.,
pallida rivisitazione dello “Psyco” di Hitchcock, che “il cinema Splatter
inizia a manifestare una delle sue peculiarità più evidenti, quella cioè di
potersi adattare a qualsiasi genere cinematografico”(ibidem, 1996), tanto
che si può iniziare a parlare per la prima volta oltre che di
contaminazioni manifeste (come nel caso dello Splatter Western
“Navajo Joe”, dello Splatter Arti Marziali “Cinque dita di violenza” o
ancora dello Splatter Mafia “Il padrino” “Scarface” etc…) anche di veri
e propri sottogeneri dello Splatter.
Il 1969 vedrà l’apparire sulla scena, di un regista che può essere
considerato uno dei creatori del genere insieme a Lewis e più avanti ad
Al Admason. Stiamo parlando di Andy Milligan. Se nelle pellicole di
Lewis i massacratori di turno sono tutte persone apparentemente normali
che nascondono inquietanti segreti o che sono attratti da strani gusti
alimentari, con Millighan si ha una riscoperta del mostro classico e del
gotico di stampo inglese che molto strizza l’occhio, a nostro avviso, al
classico horror britannico della Hammer. Ecco quindi film come “La
camera della tortura” (1970), ispirato al Riccardo III di Shakespeare ;
14
“L’invasione degli ultratopi” (ancora 1970), storia assurda che innesta
mostri classici quali i Lupi Mannari alla minaccia di un’invasione di ratti
assassini etc…
Concludiamo questo excursus sugli albori dello Splatter introducendo il
terzo regista storico di questo genere: il già citato Al Adamson.
Il suo film più importante è “Il castello di Dracula” (Blood of Dracula’s
castle 1967) con il quale si ultima il lavoro di congiungimento tra
Splatter e classico già iniziato da Millighan.
15
1.3 I sanguinolenti anni ‘70-‘80
Che gli anni ‘70 avrebbero rappresentato un punto di non ritorno per lo
Splatter, nel senso di sfruttamento di nuove tematiche e utilizzo di nuovi
e più efficaci effetti speciali (per la prima volta affidati a veri e propri
professionisti), era evidente a tutti grazie alla pellicola di un giovane
autore che rivoluzionerà per sempre il cinema e che investirà per la
prima volta questo genere di torbide, ma decise, motivazioni sociali (è
lui il primo che parlerà di deturpazione fisica come simbolo di
deturpazione morale e crollo di valori nella società consumistica
moderna). Ci riferiamo naturalmente a Gorge A. Romero e al suo
classico “Night of the living dead” (1968). Pur se diretto in bianco e nero
(il colore è una delle caratteristiche quasi indispensabili per un film
Splatter), il film è pieno di scene violentissime e i morsi dei morti viventi
(mostri classici del cinema americano fin dai primi anni ’30 qui ripresi e
svuotati di tutte le interferenze esotiche e caraibiche che li avevano
caratterizzati agli albori del cinema horror) risultano ancora oggi
raccapriccianti, soprattutto se paragonati ai film successivi di questo
filone (Bruschini e Castoldi, 1996).
16
Il senso di claustrofobia che pervade la pellicola, ambientata quasi tutta
in una casa assediata dai voracissimi cari estinti tornati misteriosamente
in vita, verrà ricercato successivamente in quasi tutte le altre produzioni
del genere zombie/cannibalesco ma raggiungerà il suo apice grazie ad un
regista italiano, Lucio Fulci, che saprà compiere un vero e proprio lavoro
di rivalutazione del potenziale iconografico del tema “minaccia esterna-
assedio in un luogo chiuso” riconducendolo, sempre senza travalicare i
limiti dell’horror-splatter, al genere principe da cui era stato partorito: il
western (cfr. M.Gomarasca & D. Pulici, p.11, in Nocturno Book 2,
Marzo 2001). Il suo film “Zombi 2” dal titolo chiaramente ispirato ad
un’altra pellicola dello stesso Romero “Zombi” (1979), merita un
discorso a sé su cui torneremo nel secondo capitolo che sarà dedicato al
solo cinema Italiano di genere.
Appresa la lezione di Romero, il cui film si rivelerà un successo in
America e all’estero, si moltiplicano le pellicole Splatter che sfruttano la
figura del mostro antropofago. Ecco quindi che nascono pellicole come:
“La rabbia dei morti viventi” (1971) di David Durston; “L’assedio dei
morti viventi” (1973) di Bob Clark; ma anche film incentrati sulla poco
sfruttata figura dello Yeti assassino (o Big Foot): “Shriek of the
mutilated” (1974) di Michael Friday; “Night of the demon” (1979) di
17
James C. Wasson dove il Big Foot squarta, sgozza ed evira a morsi
chiunque gli si ponga davanti.
Nasce intanto il filone dei “melting movies”, quei film dove si assiste alla
liquefazione dei corpi. Fanno parte del genere, o meglio del sottogenere,
film quali: “Il maligno” (1975) di Robert Fuest; “L’uomo di cera” (1978)
di William Sachs, incentrato sulla decomposizione del corpo di un
astronauta contaminato da raggi cosmici.
Opere fondamentali di questo primo periodo dello splatter vanno
considerate due pellicole, una distribuita dalla Troma film, casa di
produzione Americana specializzata negli splatter-movie semi
demenziali (basti pensare a tutti i titoli dedicati a “Toxic Avanger”),
l’altra dedicata ad un tema per l’epoca ancora nuovo, quello degli Snuff
movie. I due film in questione sono: “Bloodsucking freaks” (1976) di
Joel M. Reed e “Snuff” (1976) di Michail Findlay. Fin dai primi anni ’70
cominciarono a riscuotere successo anche pellicole dove l’elemento
soprannaturale è quasi del tutto assente, ma che sono assimilabili
all’horror per l’accumulo di particolari dall’alto tasso ematico volti a
creare un crescendo di tensione insostenibile. Precursori furono
“L’ultima casa a sinistra” (1972) di Wes Craven, dove compare per la
prima volta l’arma feticcio di tanti appassionati del cinema Splatter: la
18
motosega; ed il glorioso “Non aprite quella porta” (1974) di Tobe
Hooper, in cui lo strumento di cui sopra assurge a giusta sublimazione.
Dal 1978 nascono gli slasher movie, film basati su omicidi seriali per lo
più compiuti da assassini che si rivelano immortali nei seguiti, che non
tardano a venire, e che sono emblematici di un diverso approccio al
thriller classico. Non si indaga più su chi sia l’assassino o sulle
motivazioni che lo spingono a perpetrare le sue efferatezze, ciò che conta
è la dovizia di particolari filmati con cui gli omicidi vengono compiuti. Il
primo film, vero iniziatore del genere, è “Halloween” di John Carpenter
cui faranno seguito addirittura altri 7 capitoli. E’ a questo punto che gli
effetti speciali iniziano ad essere appannaggio di equipe di specialisti,
lasciando da parte l’effetto artigianale che tanto aggiungeva, a nostro
avviso, in termini di realismo. Frutto anche del nuovo interesse tutto
americano da parte di alcuni grossi produttori che, almeno in questo
periodo, spendono a più non posso nel genere, attratti soprattutto dagli
stupefacenti introiti legati alla distribuzione internazionale delle pellicole
(Bruschini & Castoldi, 1996). Cessano così gli storici sodalizi degli
albori dello Splatter, tutti incentrati sul rapporto tra produttori “poveri” e
registi/artigiani, che facevano proprio di quegli ambienti improvvisati e
di quegli “effettacci” da quattro soldi, spesso rimediati ed elaborati