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Il primo segno del nostro essere vivi è un suono. Quel primo vagito riflesso
dalle pareti della sala parto. Poi vengono le parole, il suono di cui siamo più
orgogliosi. Anche quelle che state leggendo ora sono un suono debole,
sfumato e indistinto, sullo sfondo dei vostri pensieri.
Sarei molto curioso di sentirlo, per capire se è simile a quello che ascolto io
scrivendo.
Sono come suono è un tentativo di riappropriarci della potenza non solo
espressiva, ma anche comunicativa del suono. L’obbiettivo: creare le basi
per una professione.
La tesi è che il suono, al pari della parola scritta e dell’immagine, sia un
efficace strumento per comunicare personalità. Ecco spiegato il gioco di
parole del titolo.
Il secondo passaggio è che la personalità in questione sia quella di un
brand, di un prodotto o di un evento.
Il nome di questa professione è acoustic branding, un servizio che all’estero
sta iniziando ad attirare l’attenzione di parecchi operatori della
comunicazione e del mercato. Non esiste ancora una bibliografia
sull’argomento, se escludiamo qualche articolo su internet e un libro scritto
dal fondatore della prima agenzia inglese nel 2003.
Chi vuole occuparsi di questa professione si trova innanzitutto di fronte al
bisogno di fissare punti di riferimento, di individuare un orizzonte culturale
entro cui muoversi e in cui trovare conferme alle proprie intuizioni.
L’acoustic branding in Italia non esiste ancora. O meglio: non esisteva fino
a qualche mese fa. Il frutto principale di Sono come suono è stata infatti la
costituzione della prima agenzia italiana che svolge questa attività. Il
lavoro di razionalizzazione di un’intuizione creativa, di confronto con realtà
estere, la ricerca di modelli culturali solidi e riscontri scientifici mi ha
permesso di strutturare e fondare quello che sarà il lavoro della mia vita:
l’acoustic branding.
È con questo spirito che vi invito alla lettura di Sono come suono.
PROGETTARE L’ ACOUSTIC BRANDING IN ITALIA
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Leggere Sono come suono.
L’etimologia del verbo progettare ci ricorda che questa è un’attività
costantemente in bilico tra il presente e futuro. Si tratta di gettare un
ponte tra un’idea, una visione che vive soltanto nella nostra mente, e la sua
realizzazione. Il progetto altro non è che quella materia in continua
evoluzione, plasmata tra i due estremi del processo. Progettare significa
considerare, confrontare, gestire e connettere una quantità elevata di input
oscillando costantemente tra pensiero e realtà, tra idee e fatti per arrivare
a un punto di totale sovrapposizione dei due piani che nel nostro caso si
chiama acoustic branding. In questo senso sono come suono è una tesi
progettuale.
Mi è parso subito chiaro che una trattazione lineare si sarebbe adattata a
fatica a un simile argomento. Avrebbe generato forzature e in alcuni casi
addirittura fraintendimenti. Nel lavoro di progettazione, una delle prime
cose che si perde è quella struttura di pensiero cronologicamente ordinata
e rigidamente causale. Ci si trova così a portare avanti intuizioni dai primi
momenti ideativi fino alla realizzazione, a vederne cadere alcune durante il
lavoro e sorgerne di nuove quasi a progetto concluso che saranno una
valida premessa dell’intero processo. Una simile dinamica, in cui tanto
labile è la definizione di un ‘prima’ e di un ‘poi’, non si può descrivere come
si descriverebbe lo svolgersi, passaggio dopo passaggio, secondo su
secondo, di un’azione in una partita di calcio. Dovrebbe piuttosto potersi
dare alla nostra percezione come un quadro d’arte moderna: un tutto, un
sistema, in cui individuare le parti e riconoscere le forme solo in un
secondo momento.
È evidente che le parole stampate su carta, pagina dopo pagina, sono molto
più funzionali per un’esposizione del primo tipo. Ho cercato pertanto di
sopperire a questo ‘limite’ del mezzo adottando una struttura modulare per
il mio lavoro.
Sono come suono si compone cioè di tre sezioni complementari l’una
all’altra, ma che dovrebbero poter scorrere nelle vostre menti come i righi
dei diversi strumenti, sullo spartito di un’ouverture. Concettualmente una
non è propedeutica alla successiva, o meglio tutte lo sono per tutte, ma non
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secondo una logica causale: sentitevi cioè liberi di iniziare la lettura dalla
sezione che preferite e di compiere balzi avanti o indietro secondo il vostro
interesse, fin da ora.
Io ho deciso di presentare le sezioni nell’ordine che trovate stampato in
queste pagine perché nella mia mente così le organizzo: la prima sezione e
la seconda, acoustic e branding, delineano l’orizzonte di conoscenze, il
quadro culturale, utile per affrontare la terza ed ultima parte che tratta
invece della vera e propria attività di acoustic branding.
Data la totale assenza di una letteratura sull’argomento, le prime due
sezioni di Sono come suono hanno lo scopo di mettere in contatto
competenze, intuizioni, professionalità, ricerche condotte in campi diversi e
con obiettivi diversi che trovano nell’acoustic branding un terreno comune.
Acoustic è dedicata all’universo dei suoni e dei suoi professionisti, branding
al marketing e alla comunicazione. La terza sezione spiega concretamente,
seguendo il più classico modello di marketing, la condizione di un’agenzia
di acoustic branding nel mercato italiano e le sue chance di avere successo.
I singoli capitoli delle tre sezioni godono di una certa autonomia rispetto a
quelli che precedono o seguono, potrete quindi scegliere con facilità di
considerarli come moduli di un’opera tendenzialmente aperta: più ne
vorrete leggere più vi addentrerete nella materia, ma lasciarne da parte
qualcuno non vi impedirà di farvi un’idea più o meno precisa
dell’argomento.
È ovviamente mia presunzione credere che chi vorrà leggere ogni capitolo
di ogni sezione arriverà a conoscere con completezza l’attività di acoustic
branding e le competenze professionali e culturali che questa richiede.
Buona lettura.
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Babele.
Accostarsi al discorso sui suoni e il nostro modo di percepirli è come
trovarsi in una città sconosciuta, di fronte a una di quelle mappe turistiche
molto dettagliate che ci descrive con precisione le strade del quartiere, la
posizione esatta dei luoghi di interesse culturale da visitare, in cui nessuno
si è però ricordato di sistemare il rassicurante bollo rosso Voi siete qui.
Ecco uno stimolante paradosso: abbiamo a disposizione informazione utile,
completa ed efficace, ma ci è impossibile riferirla alla nostra condizione,
trovare un orientamento, considerarla un testo organico e accessibile.
A proposito del suono, materia tanto impalpabile, sono stati versati fiumi di
inchiostro e dai punti di vista più disparati. Pare che il pensiero umano,
forse perché fatto della sua stessa sostanza, vi abbia trovato un argomento
tanto interessante quanto sfuggente. Molti sono gli studiosi che all’interno
della propria disciplina hanno dedicato al suono importanti ricerche e
considerazioni, molti gli artisti che ne hanno colto la potenza e il fascino,
miliardi le persone che ne sono state incantate nel corso dei secoli. E
malgrado ciò, non esiste ancora un approccio veramente interdisciplinare
alla materia.
Di fronte a questa situazione mi sembra impossibile tentare qui un
riepilogo esaustivo delle teorie prodotte fino a oggi, né tanto meno una
sistematizzazione organica dei vari studi.
Non ci resta allora che gironzolare per le vie del quartiere, disposti a
perderci, con lo spirito critico e aperto del viaggiatore, per provare a
segnare il nostro Voi siete qui.
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Perché non accettare
che la musica possa
diventare la
confezione, un modo
interessante di
presentare una serie
di acconciature
moderne, per
esempio?
Brian Eno.
PROGETTARE L’ ACOUSTIC BRANDING IN ITALIA
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Lavorare fuori.
Lavorare dentro è avere a che fare con le condizioni interne dell’opera:
melodie, ritmi, trame, trame, testi, immagini; ciò che ci si immagina faccia
un artista. Lavorare fuori è avere a che fare con il mondo che circonda
l’opera, fatto di pensieri, aspettative, storie, critiche; con la cornice.
Brian Eno è un artista completo, in grado di lavorare dentro o fuori
dall’opera. In un certo senso la sua attività e il suo pensiero ci portano oltre
le scelte istintive di Morricone, le legittimano da un punto di vista artistico
o filosofico. In uno dei suoi tanti saggi, Sull’essere artisti, descrive uno
scenario interessante per chi ha intenzione di lavorare a cavallo tra arte,
comunicazione e impresa.
Immagina di presentare una scultura composta soltanto da una linea di filo
angolato. Fatto questo potrebbe raccontare una storia abbastanza
interessante da creare intorno a essa un mondo che le dia un significato. “È
l’esatta traiettoria della pallottola che ha ucciso il presidente Kennedy”;
oppure: “è un grafico tridimensionale della relazione tra i mutamenti del
prezzo dei dipinti nel XX secolo, i profitti del settore della difesa e la
lunghezza della settimana lavorativa media”. Una cornice è un modo di
creare un piccolo mondo intorno a qualcosa. E questo piccolo mondo
diventa fondamentale per l’arte contemporanea, di fronte alla quale il
pubblico si chiede: “dove finisce?”.
Questa definizione di testo-contesto, di come uno condizioni o riverberi
sull’altro le proprie qualità, sarà di vitale importanza nel definire, nella
terza parte di questo lavoro, la produzione di un’agenzia di acoustic
branding.
Brian Eno è uno degli autori più loquaci del nostro tempo: saggi interviste,
articoli, racconti, libri, diari. Parlare di lui e della sua attività senza citarlo
esplicitamente è quasi impossibile. Ho quindi deciso di chiudere il suo
capitolo trascrivendo alcune righe scritte da lui alla fine degli anni
settanta. Si tratta del manifesto dell’Ambient Music. È forse la sua
invenzione più geniale, che va ben oltre la definizione di uno stile per
abbracciare l’ampiezza di implicazioni di un movimento, un’estetica
rivoluzionaria in campo musicale. È la geniale conseguenza del discorso su
testo e contesto che ho appena esposto. Prima di presentarvi il manifesto di
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questa nuova filosofia compositiva, mi sembra giusto citare il poetico
aneddoto che lo ha generato.
All’inizio del ‘75, immobilizzato da un incidente, Eno è confinato a letto.
Un’amica in visita porta con sé un disco di musica per arpa del XVII secolo.
Eno le chiede, prima di uscire, di mettere il disco sul piatto. Quando ormai
l’amica è andata via, Eno si accorge che lo stereo ha il volume troppo basso
e uno degli altoparlanti è rotto. Fuori piove a dirotto e la musica quasi non
si sente, coperta dal rumore della pioggia: “percepivo solo le note più forti,
come cristalli, iceberg sonori che si sollevavano oltre il suono della
tempesta”. Eno si lascia coinvolgere dall’inedita esperienza di ascolto:
“capii che era proprio così che volevo la musica, un luogo, un’emozione,
una tinteggiatura delicata e soffusa sul mio ambiente sonoro”.
Così nasce la musica d’ambiente e questo, di cui discuteremo i contenuti
nel prossimo paragrafo, è il suo manifesto.
“il concetto di una musica specificamente studiata come sfondo per
l’ambiente fu esplorato dalla Muzak Inc. negli anni cinquanta. […] motivi
noti, arrangiati e orchestrati in maniera leggera e per derivazione. Ciò ha
condotto la maggior parte degli ascoltatori (e dei compositori) dotati di
discernimento ad abbandonare l’idea che la musica ambientale possa
essere degna d’attenzione. […]
Per distinguere i miei esperimenti dai manufatti di vari produttori di
musica in scatola, ho cominciato a usare il termine musica d’ambiente.Un
ambiente si definisce come un’atmosfera o un’influenza che circonda. È
mia intenzione produrre pezzi originali, palesemente (ma non
esclusivamente) destinati a particolari momenti e situazioni.
Mentre le ditte produttrici di musica in scatola procedono sulla base di una
regolarizzazione degli ambienti, uniformando le specifiche idiosincrasie
acustiche e atmosferiche dei diversi luoghi, la musica d’ambiente si
propone di valorizzarne i caratteri. Mentre la musica di sottofondo è
costruita strappando ogni senso di dubbio incertezza (e quindi ogni
genuino interesse), la musica d’ambiente mantiene queste qualità. Mentre
PROGETTARE L’ ACOUSTIC BRANDING IN ITALIA
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quella intende ‘vivacizzare’ l’ambiente aggiungendovi stimoli, questa si
propone di introdurre calma e spazio per pensare.
La musica d’ambiente dev’essere in grado di accettare molti livelli di
attenzione nell’ascolto, senza forzarne uno in particolare; dev’essere
possibile ignorarla quanto interessarsene.”
Settembre 1978
PROGETTARE L’ ACOUSTIC BRANDING IN ITALIA
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Kurtz e le Merry Melodies.
Dal tenebroso cuore della foresta pluviale vietnamita emerge il volto
allucinato di Kurtz, il ribelle nichilista. Da una nera macchia di inchiostro
sulla pagina prende vita Bosko, l’irriverente e plastico primo protagonista
dei cartoon che parlano.
Due rivoluzioni a distanza di cinquant’anni tondi l’una dall’altra.
È il ’29, il sonoro è agli albori, e dalla fantasia degli animatori nasce il
mondo spensierato e un po’ folle dei Looney Tunes e delle Merry Melodies.
I nomi sono abbastanza espliciti, è il trionfo di un mondo acustico mai
esplorato prima: musica a tutto spiano, effetti sonori, rumori, voci, il tutto
coadiuvato dall’irriverente e travolgente spinta creativa che il cartoon può
permettersi. È qui che viene esplorata tutta una nuova gamma espressiva
fatta di avanguardia e sperimentazione. I disegnatori hanno già un bel
bagaglio di esperienza, ma come suona questo mondo fantastico? I suoni
vanno inventati dal nulla, non c’è nessun precedente a cui riferirsi. Ciò che
oggi è classico è stato rivoluzionario.
Proprio come George Méliès in Le voyage dans la Lune sondava le
possibilità del nuovo mezzo, ne scopriva le potenzialità quasi magiche, e
gettava le basi per un vero e proprio linguaggio filmico, i rumoristi
fondavano una prassi del linguaggio sonoro al fianco dei cartoonist di fine
anni Venti. Scoprivano la forza
espressiva di alcuni suoni o timbri,
istituivano efficaci cliché e stereotipi che
sopravvivono ancora oggi. Tendevano
l’orecchio verso il vuoto e sognavano
suoni che nessuno aveva mai udito prima.
Che rumore fa una testa che si svita
lungo il collo arrivando a toccare il
soffitto? E il suono di un sassofono pieno
di acqua e sapone? Come suona il violino
questo essere fatto di inchiostro?
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È il ’79, Francis Ford Coppola ha finito di girare e montare Apocalypse
Now. Il lavoro è stato lungo, una delle produzioni più complicate e
controverse della storia del cinema. Durante le riprese non è stato
registrato nessun suono all’altezza di un montaggio definitivo e anche la
maggior parte dei dialoghi non è utilizzabile. L’intero ambiente sonoro del
film deve essere ricreato in post produzione elemento per elemento.
L’uomo che porterà a termine questo immane compito, oltre a essere un
genio, è Walter Murch. Sia lui che Coppola sono consapevoli
dell’importante ruolo del suono all’interno del linguaggio cinematografico e
nessuno dei due è disposto a sacrificare la qualità per tempi di lavorazione
più stretti. A complicare le cose si aggiunge la possibilità di realizzare il
montaggio sonoro in quadrifonia: le tecnologie hanno superato il concetto
di stereo e permettono la realizzazione di un suono ambientale avvolgente.
Ciò che Murch sta creando è qualcosa di mai tentato prima, un salto nel
vuoto.
Qualche tempo prima alla Zoetrope, l’illuminata casa di produzione fondata
dallo stesso Coppola, si discuteva della dignità del linguaggio sonoro; di
come questo dovesse essere considerato al pari di quello visivo fino a
ipotizzare la presenza di un sound director ad affiancare l’art director nella
realizzazione di ogni film. Ma nessuno immaginava di poter realizzare
qualcosa come il suono di Apocalypse Now. Con la decisione di realizzare il
primo film in quadrifonia e la necessità di creare ex-novo l’intero suono del
film, Murch si trova a costruire veri e propri ambienti sonori
tridimensionali.
A lavoro ultimato, la legittima domanda che Murch pone a se stesso è: che
cosa diavolo ho fatto? E si risponde così: “if an interior designer can go into
an architectural space and decorate it interestingly, that’s sort of what I am
doing in the theater. I’m taking the three-dimensional space of the theater
and decorating it with sound. I had to come up with an approach that
would make that work coherently. That was where sound designer the
word, came from.”
Nasce un nuovo lavoro, anzi: un lavoro vecchio di cinquant’anni acquista
una filosofia, una ‘visione’ nuova di zecca, conquista un’anima.
69
Manhattan.
Dopo aver percorso le caotiche e intricate strade di Babele, dovremo ora
muoverci in un ambiente completamente diverso.
A guardarla dall’alto, Manhattan è una griglia di strade perfettamente
ortogonali che sezionano la superficie dell’isola. Per rendere tutto ancora
più ordinato e razionale, le strade non hanno nomi, ma numeri e i numeri
sono assegnati con un’inflessibile logica di prossimità al centro.
Manhattan è il trionfo dei ‘voi siete qui’, delle mappe, degli schemi e dei
percorsi da seguire. L’orientamento qui è qualcosa di oggettivo. Niente
punti di riferimento relativi, mappe soggettive in continua ridefinizione.
Manhattan è come appare ai miei occhi il settore del marketing. Ogni
isolato è un argomento di analisi. Tanti sono gli approcci, i punti di vista, i
paradigmi che il marketing ha seguito e sviluppato nel corso degli anni.
Scuole di pensiero si sono alternate per dare una spiegazione efficace dei
più disparati temi di ricerca. Ma orientarsi in questo mare di informazioni,
per quanto razionalmente organizzate, è tutt’altro che semplice e
altrettanto difficile è riuscire a conoscere qualcosa di più che il proprio
campo di analisi. Manhattan è d’altronde nota anche per i suoi ingorghi di
traffico e per la scarsa comunicazione tra i cittadini, per la sua affollata
solitudine.
Desidero portare un po’ di Babele in città. Con lo stesso spirito che ci ha
fatto orientare per i vicoli del suono, esploreremo le avenue del marketing.
Continuerò quindi a muovermi per analogie, per punti di contatto tra teorie
e campi di applicazione a prima vista lontani o secondari per tentare di
individuare il background strategico di chi vuole occuparsi di acoustic
branding.
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Un’ulteriore variabile da aggiungere al modello è stata individuata nella
teoria dell’attribuzione (Weiner 1985; DeSarbo 1988). La sua influenza
sulla soddisfazione è modesta, ma per completezza mi sembra giusto
presentarla. L’attribuzione è il risultato di un processo di analisi, compiuto
dal consumatore, del proprio comportamento d’acquisto; può essere di due
tipi: interna o esterna. Nel primo caso il consumatore rielabora il proprio
comportamento come autodeterminato, frutto cioè di impegno e abilità
proprie. Nel secondo caso il comportamento d’acquisto è valutato come la
conseguenza di diversi fattori estranei al consumatore: fortuna o difficoltà
del compito ad esempio.
Ciò che più mi interessa qui rilevare è che l’attribution theory mette in luce
un tipo di influenza sulla percezione finale di soddisfazione che non era
ancora stato considerato. L’attribuzione non influisce direttamente
modificando il risultato della sinergia delle altre variabili, ma è in grado di
enfatizzarlo o attenuarlo. Un consumatore soddisfatto sarà cioè più
soddisfatto se attribuirà il proprio comportamento d’acquisto a dinamiche
interne (internal outcomes).
Pur rimanendo nel campo delle teorie cognitive, il modello da cui siamo
partiti si è arricchito di nuove variabili che meglio spiegano i
comportamenti del consumatore nella sua relazione con il prodotto e il suo
acquisto. Ecco allora schematicamente come si presenta il modello.
Aspettative
Prestazione
Disconferma Soddisfazione
Equità
Attitudini
Attribuzione
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Struttura e processo.
Il nucleo dell’agenzia di acoustic branding è tripartito. Tre diverse
competenze e professionalità devono sovrintendere all’attività,
condividendo visione, missione e ‘poetica’ dell’azienda. Dalla cooperazione
virtuosa dei tre reparti dipendono la qualità del prodotto, la stabilità
dell’agenzia e la sua unicità. Perciò è auspicabile che i ruoli di responsabili
di questi reparti vengano affidati, se in possesso delle competenze adatte,
agli stessi soci fondatori. Direzione strategica, direzione creativa, direzione
di produzione.
Il primo reparto si dedica alla comprensione delle esigenze del cliente,
all’analisi della personalità del brand da comunicare, alla condivisione degli
obiettivi da raggiungere con l’intervento di acoustic branding. Qui si crea,
a diretto contatto con il cliente, la base per il funzionamento dell’intero
processo: vengono definiti il modo in cui la marca vuole essere percepita
dai propri consumatori e il modo in cui ottenere questo risultato. È un
lavoro molto simile allo strategic planning pubblicitario. Il background
valoriale della marca viene condiviso con l’agenzia, viene stabilita una
strategia di intervento mirata a confermare o modificare l’attuale
percezione della personalità del brand da parte del pubblico.
La direzione creativa ha il difficile compito di tradurre in identità sonora le
informazioni ricevute dal cliente ed elaborate dalla direzione strategica. Si
tratta di definire un universo sonoro coerente con i valori della marca,
funzionale agli obbiettivi da raggiungere e immediatamente riconoscibile,
cui attingere per le diverse realizzazioni pratiche. Responsabilità della
direzione creativa è anche tutelare lo stile dell’agenzia, qualcosa di molto
simile alla linea editoriale di un quotidiano, strumento fondamentale di
differenziazione.
Il terzo reparto si occupa di declinare le linee guida dettate dalla direzione
creativa nei vari interventi previsti dal piano strategico. Dall’universo
sonoro di quel brand prenderanno forma ad esempio la colonna sonora di
uno spot, oppure un logo acustico, o l’audio diffuso all’interno del punto
vendita. È responsabilità della direzione di produzione sovrintendere a
tutte le fasi della realizzazione materiale dei contenuti.