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INTRODUZIONE
Posizionata tra gli Appennini, le Alpi Apuane e il Mar Ligure, la
Lunigiana vide nei secoli numerose popolazioni, eserciti e dominatori. In
questa valle del fiume Magra si dice che passò Annibale diretto a Roma
con i suoi elefanti, qui abitarono popoli di cui poco si sa, se non che si
chiamassero Liguri. Sappiamo per certo, invece, del lucchese Castruccio
Castracani e del suo muro di Cazzaguerra, posto a Pontremoli nel
medioevo per impedire gli scontri tra la parte alta del borgo, guelfa, e
quella bassa di orientamento ghibellino. Sempre qui, sul finire del XV
secolo, il re di Francia Carlo VIII, offeso perchØ mentre si recava a
Roma non gli era stata concessa l’entrata in città, per ripicca aveva fatto
incendiare Pontremoli, mandando in fumo secoli di storia presenti negli
archivi bruciati.
Non solo Pontremoli, la Lunigiana intera nella storia moderna conosce
diverse dominazioni: Firenze, i genovesi Brignole-Sale, gli Este di
Modena, i Borbone di Parma. Eppure, a differenza di regioni che portano
il segno di ogni singolo padrone, in Lunigiana tutto sembra essere scorso
lasciando poche e silenziose tracce. Certo, soprattutto a Pontremoli,
Bagnone e Fivizzano le vestigia di un rigoglioso passato sono visibili,
ma il fatto che il simbolo di questa terra siano le Statue Stele
1
, menhir
degli antichi Liguri, e il nome Lunigiana derivi da Luni, città romana
1
A Pontremoli esiste un museo delle Statue Stele pr esso il Castello del Piagnaro.
2
presso Sarzana distrutta nel IX secolo dai Vichinghi, porta a pensare che
i tanti dominatori che ebbe lasciarono poche tracce del loro passaggio.
Terra di tutti e di nessuno, la Lunigiana si trovò all’indomani della
nascita dello Stato Italiano senza una precisa identità, in balìa di politici
che non avevano le idee chiare su dove inserirla nel nuovo scacchiere
amministrativo. E fu così che fu inclusa nella provincia che meno di tutte
preferiva, quella città di Massa che non era nemmeno facile da
raggiungere per la mancanza di collegamenti.
La Lunigiana non è terra fortunata. Qui i vigneti non producono il vino
di qualità come in Toscana, la terra coltivabile è poca per via delle
montagne e per giunta non sempre ha una buona fertilità. Altro la natura
non offre, se non le castagne, che hanno permesso la vita a generazioni
di lunigianesi.
Forse il motivo per cui i dominatori lasciarono così poco sta proprio
nella scarsa importanza che diedero ad una terra che aveva ottime
caratteristiche geografiche, essendo al confine tra tre regioni, ma poco si
offriva allo sfruttamento economico. La regione crebbe così in apatia e
pur conoscendo periodi di prosperità dovuti al commercio, rimase
arretrata rispetto a chi aveva intorno. Nel 1861, sebbene ormai da
qualche decennio il feudalesimo era terminato, la Val di Magra rimaneva
ancorata alla vita feudale, i cui prodromi erano visibili nel mantenimento
di un sistema mezzadrile basato non sul patto colonico, ma sulle
consuetudini.
La ricerca storica che affronteremo in queste pagine ha come
localizzazione il territorio piø a nord della Val di Magra, quella parte
geografica che fino alla soppressione della struttura burocratica nel 1927
3
prendeva il nome di Circondario di Pontremoli. Tale unità
amministrativa era stata istituita nel Regno d’Italia nel 1859 con la legge
Rattazzi (Regio Decreto 3702 del 23 ottobre 1859) ed aveva come
caratteristica principale la presenza nelle città capoluogo dei Circondari
di sottoprefettura, tribunale, catasto e uffici finanziari. I Circondari erano
a loro volta divisi in Mandamenti che avevano funzioni amministrative e
giudiziarie.
Il Circondario di Pontremoli aveva un’estensione di 469,06 km² e si
divideva in tre mandamenti: Bagnone, comprendente Bagnone, Filattiera
e Villafranca; Mulazzo, comprendente solo questo Comune; Pontremoli
comprendente Pontremoli e Zeri.
Il periodo di nostro interesse è la seconda metà dell’ottocento, epoca di
grandi cambiamenti non sempre positivi, come vedremo. Ma possiamo
parlare davvero di cambiamenti? Cosa, nella Lunigiana di allora, cambiò
e cosa la temperie dei tempi non riuscì a modificare?
Ecco allora che questa ricerca si prefigge l’obiettivo di descrivere la
società locale sia dal punto di vista amministrativo che rurale. Poche e di
scarso valore erano le industrie del Circondario, mentre le cariche
amministrative erano mantenute dalle stesse famiglie che fornivano al
territorio quei pochi Avvocati, Ingegneri e Medici di cui necessitava. La
società lunigianese era rurale, legata alla terra che coltivava con scarsi
risultati da secoli, diffidente verso le novità a causa dell’atavico
isolamento.
Quello che descriveremo è dunque un mondo povero, composto da
contadini che lavoravano duramente una terra che li privava di altri
stimoli che non fossero la fame.
4
La cultura lunigianese è una cultura quasi totalmente contadina. Negli
ultimi anni le ricerche etnografiche hanno riscoperto un mondo che molti
avevano preferito dimenticare, retaggio di un’epoca di stenti e fatiche.
Nel paese di Villafranca Lunigiana esiste un Museo Etnografico dove il
visitatore può osservare gli antichi strumenti di lavorazione della terra.
Potrebbe comunque bastare una passeggiata nei borghi di questi Comuni
per rimembrare il tempo che fu: pensiamo ai faciòn, rozze sculture di
pastori in alpeggio rappresentanti volti umani e fissate ai muri delle case
in alcune frazioni, alle tante maestà sparse per il territorio, oppure
osserviamo le case, le cui architetture tradiscono un passato di
coabitazione con gli animali da allevamento. Forse proprio i contadini,
gli abitanti di questa valle scarsamente pianeggiante, sono coloro ad aver
lasciato le impronte maggiori: la cucina, le tradizioni orali, le usanze
2
riportano alla luce un universo che, nel bene e nel male, non è mai stato
sommerso.
Per affrontare questa ricerca mi sono servito della vasta mole
bibliografica sulla Lunigiana del periodo e di materiale inedito
proveniente dall’Archivio di Stato di Pontremoli, dall’Archivio
comunale di Pontremoli e dall’Archivio di Stato di Massa. Alcune
notizie provengono infine dal quindicinale socialista “La terra”, stampato
prima nel 1898 e poi dal 1906.
In questo periodo l’Italia affronta la difficile impresa, per certi versi piø
ardua ancora del processo unitario, di conoscersi, scoprire le tante realtà
che la compongono per creare una nazione vera, unita non solamente nei
2
Notevole è la bibliografia a riguardo. Si citano a lmeno MARIA MARCHETTI , GIAN BATTISTA MARTINELLI , La
cucina del mezzadro, Ponticello, Associazione culturale estate a Pontice llo, 1998; CATERINA RAPETTI (a
cura di), Storie e filastrocche di Lunigiana, Padova, Muzzio, 1985.
5
confini, ma anche nei programmi e nelle idee. Il nuovo Stato e la sua
classe dirigente si affidano alla statistica, figlia della filosofia positivista
allora in auge e che tanti risultati aveva dato nei paesi presi allora a
modello, Francia ed Inghilterra. Dai Ministeri di Torino prima e di Roma
poi, partono numerose richieste di notizie statistiche, relazioni
conoscitive, questionari mirati all’approfondimento della situazione
economica e sociale dei diversi territori. Non ultime, negli anni
postunitari alcune inchieste tentano di far luce su alcune problematiche.
Non è compito di questa ricerca analizzare i risultati generali di queste
iniziative, nØ giudicare il conseguente operato della classe politica
italiana, ma piuttosto utilizzare questa miniera di informazioni per la
disamina del territorio pontremolese.
Nell’Archivio di Pontremoli ho trovato numerosi documenti di questo
tipo, di grande interesse per la ricostruzione dell’universo lunigianese del
secondo ottocento. Ciò che non ho trovato, purtroppo, sono i documenti
riguardanti le Inchieste Jacini e Bertani
3
, ovvero questionari inviati a
Sindaci e Medici condotti del Circondario perchØ li compilassero e
inviassero indietro ai mittenti. Rovistando negli archivi ho potuto
ripercorre il cammino di tali questionari, dalle difficoltà del
Rappresentante del Comitato per l’Inchiesta agraria Vaccà per riottenerli
compilati alla creazione di un sottocomitato per meglio gestire
l’Inchiesta nel Circondario pontremolese.
4
In data 9 ottobre 1880 i
questionari vengono inviati dal Sottoprefetto di Pontremoli al Prefetto di
Massa, poi non se ne ha piø notizia. E’ probabile che da Massa siano
3
Di queste due importantissime inchieste si parlerà più diffusamente nel secondo capitolo.
4
Archivio di Stato di Pontremoli (d’ora innanzi A.S .P.), Prefettura Pontremoli, Agricoltura Industria
Commercio , Serie 1 Categoria 7, 1860-1880, b. 17, Fasc. Inchiesta agraria .
6
giunti a Genova, dove il Commissario per l’inchiesta agraria nella
regione ligure, Agostino Bertani, aveva la sua sede operativa, ma
nemmeno nell’Archivio di Stato di Genova si trova nulla a riguardo, così
come nel Fondo Bertani conservato nel “Museo e Biblioteca di Storia del
Risorgimento Milano”. Peccato, sarebbe stata una fonte di interessanti
informazioni. Rimane dell’Inchiesta Jacini una relazione del Bertani sul
Circondario di Pontremoli, che purtroppo non si basa sui questionari, ma,
a detta dello stesso autore, su relazioni pervenutegli da esperti della zona.
In ogni caso il materiale raccolto è piø che sufficiente per tentare un
affresco sulla Lunigiana ottocentesca.
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CAPITOLO PRIMO
L’Italia agricola dopo il 1861 L’Italia agricola dopo il 1861 L’Italia agricola dopo il 1861 L’Italia agricola dopo il 1861
1.1 Il ceto fondiario
Come ebbe a dire Massimo D’Azeglio in una frase rimasta nota e
purtroppo attuale, all’unità politica conseguita nel 1861 si dovette far
susseguire la creazione di una “nazione”, intesa come comunità
d’individui, tutt’altro che formata. L’italianità non era tuttavia il solo
problema da affrontare per la classe dirigente, che, superati i problemi
piø urgenti dell’unificazione statale, dovette mettere in atto iniziative
volte ad una modernizzazione amministrativa ed economica, presupposti
fondamentali per le incombenze del neonato stato: politica estera,
colonialismo ed espansione economica.
Nei suoi primi anni l’economia italiana si basava quasi totalmente
sull’agricoltura, settore che accomunava la gran parte dei lavoratori della
penisola, ma presentava notevoli differenze locali, “parecchie Italie
agricole differenti fra loro, non solo per la produzione”, ma soprattutto
per “gli ordini politici, amministrativi, sociali, da cui uscirono in altri
tempi, […] sebbene quegli ordini siano scomparsi”
1
.
1
STEFANO JACINI , I risultati della Inchiesta agraria (1884), Torino, Einaudi, 1976, pag. 78.
8
La maggioranza della popolazione viveva nelle campagne, l’agricoltura
occupava il 70% degli attivi e contribuiva per il 58% al prodotto lordo di
tutto il paese.
2
Elementi comuni erano l’arretratezza tecnica e strutturale dell’agricoltura
italiana, che portava con sØ la scarsa produttività delle campagne, nonchØ
il crescente carico demografico sulla terra, a breve causa, insieme alla
generale crisi agraria, di quell’insieme di malcontento e tumulti che
prenderanno il nome di questione sociale.
Le vendite dei beni demaniali ed ecclesiastici, se da una parte dovevano
sollevare “le finanze nazionali, prostrate dalle spese per l’indipendenza
ed i nuovi ordinamenti unitari”
3
, dall’altra avevano portato alla nascita di
un ceto fondiario che concentrava nelle proprie mani gran parte della
proprietà terriera. La classe dirigente, fedele alla propria impostazione
ideologica liberale, tentava di favorire il mercato agricolo attraverso la
concorrenza di tanti possidenti, che, attraverso investimenti sul fondo,
avrebbe migliorato il settore. Le terre che furono di nobili ed enti
assistenziali passarono ad affittuari medi e grandi a seconda delle zone,
che conducevano con mano d’opera salariata e bracciantile.
4
Si assiste,
dunque, alla nascita di una classe, borghese o aristocratica, di fondiari
uniti nell’interesse di vedere fruttare le recenti acquisizioni. E’ un
passaggio di grande importanza per gli avvenimenti a seguire, destinato
ad avere non poche ripercussioni sul piano politico.
2
Per informazioni di carattere statistico si rimand a a VALERIO CASTRONOVO , Storia economica d’Italia,
dall’ottocento ai giorni nostri, Torino, Einaudi, 1995; e ISTITUTO CENTRALE DI STATISTICA , Sommario di
statistiche storiche italiane 1861-1955, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1958.
3
CORRADO BARBERIS , Le campagne italiane dall’ottocento a oggi, Roma, Laterza, 1999, pag. 57.
4
Il Parlamento italiano, Vol. V, La Sinistra al potere , Milano, Nuova CEI, 1989, pag. 54.
9
Non tutti i possidenti dimostrarono particolare interesse verso la rendita
fondiaria, molti rimarranno a lungo ad una visione atavica della proprietà
terriera, vista come fonte di liquidità da investire altrove piuttosto che
nella terra stessa, impedendo così il necessario sviluppo del settore.
Tuttavia il ceto dei proprietari, o meglio parte di esso, non mancò di far
pesare il proprio peso, forte della consapevolezza di aver pagato,
attraverso gli acquisti ed il fisco, una parte considerevole dei costi
dell’unità.
5
Del resto la classe dirigente del paese era in gran parte
rappresentata da grandi proprietari fondiari, anche se non sempre
competenti in materia. Furono soprattutto i possidenti delle campagne
settentrionali a farsi promotori degli interessi del settore. In alcune zone
della penisola si era già tentato “di trasformare in senso capitalistico le
campagne intensificando la produzione, modernizzando le tecnologie e
le forme di conduzione.”
6
La caduta dei prezzi, la concorrenza delle piø
avanzate colture agricole estere, la scarsa competitività e produttività del
suolo italiano sono all’origine di un cambiamento complesso e
sfaccettato. Interessante a riguardo è la relazione
7
di Stefano Jacini,
senatore lombardo, Presidente della Giunta parlamentare per l’Inchiesta
agraria (di cui parleremo in seguito) e possidente di notevole conoscenza
settoriale. Polemico contro una proprietà troppo spesso “dedita al far
niente”
8
, piø attenta all’acquisto di beni demaniali che alla miglioria dei
5
C . BARBERIS , Le campagne italiane dall’ottocento ad oggi, cit., pag. 247.
6
CARLA CATOLFI , L’Inchiesta Jacini in Romagna, i materiali inediti del Riminese, Rimini, Maggioli, 1990,
pag. 11.
7
S. JACINI , I Risultati della Inchiesta agraria (1884), cit.
8
Ibidem, pag. 19.
10
fondi posseduti, Jacini rappresenta un ceto terriero moderno che vuole
un’agricoltura produttiva, dove investire e non solo speculare. L’Italia
politica, terminati i compiti di unificazione, avrebbe dovuto lasciare il
passo all’Italia “reale” dei ceti produttivi. Obiettivo del senatore
lombardo era raggiungere le altre potenze europee, un tempo al pari con
il nostro paese, ma successivamente progredite “piø di noi
nell’applicazione delle scienze naturali alla agricoltura.”
9
Il primo ventennio unitario non era stato per nulla negativo per la
produzione agricola e conscio di tali dati, Jacini parlava del decadimento
dell’agricoltura italiana come di una povertà “relativa”
10
, ovvero in
relazione con gli altri paesi.
Erano gli anni ottanta del XIX secolo, la crisi agraria era alle porte e il
“quarantotto” agricolo auspicato da Jacini sarà sacrificato per
l’industrializzazione. Rimane un interessante quadro di idee per uno
sviluppo dell’agricoltura italiana.
1.2 Una nuova sensibilità
Abbiamo accennato alle trasformazioni che subisce il settore agricolo
italiano negli anni sessanta del XIX secolo, con una proprietà potente ma
ancora divisa tra agricoltori illuminati e speculatori e una classe
9
Ibidem, pag. 27.
10
ALBERTO CARACCIOLO , L’Inchiesta agraria Jacini, Torino, Einaudi, 1958, pag. 92.
11
dirigente che preferisce dirottare fondi verso l’industria.
11
Vediamo nello
specifico come si muove la forza politica dei possidenti.
Nel corso degli anni sessanta si sviluppano organizzazioni di agricoltori,
“che proponevano con una forza finora inconsueta le proprie specifiche
istanze, chiedendo provvidenze allo Stato senza piø timore di essere
accusati di protezionismo o di socialismo, e con decisa volontà di farsi
ascoltare.”
12
Nel centro e nord Italia si formano sul finire del decennio
Comizi agrari, una Società degli agricoltori italiani, istituzioni di
coltivatori di produzioni specifiche, senza dimenticare la grande quantità
di opere agronomiche, bollettini e riviste settoriali. A tal riguardo sia di
esempio la biblioteca di testi agrari posseduti dal Comizio agrario di
Pontremoli e dal suo Presidente Girolamo Giuliani
13
, sebbene nØ uno nØ
l’altro brillassero per iniziativa.
Accomunati dagli interessi, cadeva il secolare isolamento dei proprietari
rurali e si faceva strada un senso di “classe” che avrebbe portato
cambiamenti nel modo di considerare il settore agricolo.
Il Ministero di agricoltura, industria e commercio, in precedenza
bersaglio degli strali dei proprietari (si arrivò piø volte a chiederne la
cessazione) divenne l’istituzione di riferimento, punto di raccolta dei
cahiers degli agricoltori. Saranno in particolare i Comizi agrari a
chiedere a gran forza un accordo piø stretto tra l’istituzione e i
11
C . BARBERIS , Le campagne italiane dall’ottocento ad oggi, cit., pag. 180.
12
A . CARACCIOLO , L’inchiesta agraria Jacini, cit., pag. 6.
13
Numerosi testi erano donazioni del Ministero, nell ’Archivio di Stato di Pontremoli è conservato un
elenco delle opere: A. S. P., Archivio Maraffi-Giuliani (1616-1940) , Avvocato Girolamo Giuliani,
Pubblicazioni 1863-1884 , b. 30 .
12
proprietari, fino a considerare nel 1878 la ricostituzione del
precedentemente disciolto Ministero come “rappresentante degli
interessi delle categorie”.
14
E’ da questa nuova alleanza tra Ministero e ceto fondiario che nascerà il
bisogno di conoscere meglio un’Italia agricola di cui poco si sapeva,
priva di studi e statistiche specifiche. Da questo ambiente, ma non solo
come vedremo in seguito, nascerà l’esigenza di un’inchiesta
sull’agricoltura italiana.
15
Giusta precisazione: per quanto possa
sembrare riduttivo, il ceto possidente non era ugualmente interessato a
chi la campagna la coltivava a forza di braccia, le condizioni della classe
agricola non erano motivo di loro preoccupazione, anzi, come vedremo,
un’inchiesta sui contadini era vista come pericolosa fonte di
rivendicazioni per il momento non attuabili. I tumulti del 1869 contro la
tassa sul macinato porteranno in auge quella questione sociale che, per
volere o per forza, dovrà essere considerata.
Le pressioni del partito agrario otterranno considerazione con il profilarsi
della crisi a fine anni settanta, che avrà il suo apice a metà del decennio
successivo. Crollavano i prezzi di mercato di colture fondamentali come
i cereali, le rendite calavano, le zone piø colpite erano proprio le piø
ricche dell’agricoltura italiana: Piemonte e Lombardia. La crisi portò al
“piø grande movimento di opinione da parte delle classi agricole che si
fosse mai registrato in Italia”
16
, una nuova conflittualità, gravida di
conseguenze, tra proprietari e braccianti. I primi nel 1884 si riunirono in
14
A . CARACCIOLO , L’inchiesta agraria Jacini, cit., pag. 40.
15
Ibidem, pag. 12.
16
A . CARACCIOLO , L’inchiesta agraria Jacini, cit., pag. 101.
13
una Lega agraria di orientamento conservatore, mentre i contadini, il
ceto piø colpito, dopo una prima fase di spontanea violenza inizieranno a
sperimentare le prime forme di associazionismo.
L’azione dello Stato, sotto la pressione dei grandi possidenti, subisce una
decisa virata rispetto alle convinzioni economiche di stampo liberale dei
primi decenni. Nel 1887 avviene la cosiddetta svolta protezionistica,
estesa al settore cerealicolo, i cui risultati nel breve periodo saranno
tutt’altro che positivi, portando a ritorsioni esercitate dagli altri paesi
sulle nostre esportazioni alimentari e ad un aumento del prezzo dei
cereali che colpirà le già prostrate classi meno abbienti.
17
1.3 I contadini
Nella maggior parte delle campagne italiane l’ottocento non portò
cambiamenti di rilievo nelle strutture sociali. La conduzione dei poderi
era diversificata a seconda della zona, nel settentrione prevalevano
piccole aziende e nascevano le prime aziende capitalistiche, al centro la
mezzadria, nel meridione i latifondi. Le condizioni di vita erano molto
dure, la dieta non variava mai e favoriva malattie della denutrizione
come la pellagra. L’analfabetismo sfiorava l’80%, con punte del 90% e
l’italiano era utilizzato da una percentuale scarsissima della popolazione.
Tralasciando la triste condizione dei braccianti nei latifondi del
mezzogiorno, concentriamo l’attenzione sulla manodopera salariata e i
mezzadri. Il lavoro avventizio era spesso organizzato da caporali e perciò
17
C . BARBERIS , Le campagne italiane dall’ottocento ad oggi, cit., pag. 182.