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Fenomeno, questo della modernizzazione, che segna, a livello mondiale, un nuovo
assetto, quello della globalizzazione e della sua conseguenza fondamentale, il
multiculturalismo. Vengono, quindi, evidenziati quegli effetti che portano ad
un’esperienza più diretta e quotidiana della differenza indebolendo le fonti tipiche
di riconoscimento e solidarietà, come nel mondo occidentale, lo stato – nazione.
Nasce, così, un nuovo tipo di società, quella multiculturale che rispetto alle società
precedenti si mostra più incapace nell’assicurare coesione sociale. Si crea, quindi,
frammentazione e diventa più difficile rintracciare elementi comuni su cui fondare
capitale sociale, se non basandoli sulla difesa di interessi individuali o di gruppo.
Pertanto, vengono meno i centri di potere e si sviluppano, invece, nuovi spazi per
nuovi conflitti: si ridefiniscono le relazioni riproponendo, così, questioni
sociologicamente importanti come le forme adatte per l’ordine sociale, la
solidarietà e la distribuzione del potere. E, se da una parte «la valorizzazione
positiva della differenza consente di dar voce e spazio maggiori al dissenso e di
favorire il necessario passaggio verso una ridefinizione delle relazioni di potere che
passa inevitabilmente attraverso il conflitto» (Colombo, 2002, pag. 8), dall’altra
l’impegno comune per una coesistenza pacifica è fortemente ostacolato
dall’accento e dalla sottolineatura posta proprio sulla specificità e la differenza.
Questa espressione del contrasto tra localismo e globalizzazione è nettamente
presente nel caso concreto della Bosnia Erzegovina, dove, la guerra che ha
devastato i Balcani dal 1991 al 1995, proseguita poi fino al 2001, ha messo in luce
le enormi e profonde fratture createsi all’interno della società attuale. È stato
sollevato il nodo della sovranità dello Stato, così come è stato messo in discussione
il significato della democrazia, «ponendola al bivio tra cittadinanza e appartenenza
etnica; legandola ai valori della differenza o al loro rifiuto; rapportandola alla
unicità o alla molteplicità dei soggetti di genere, di generazione o di natura
ideologica, culturale, etnica, religiosa che concorrono alla definizione del bene
pubblico» (Bianchini, 2003, pag. 186). È stato riproposto, quindi, «il dualismo fra
società aperta o autarchia; accentrata o decentrata; urbana o rurale; ad economia
nazionalizzata o fondata sulla pluralità delle proprietà» (Bianchini, 2003, pag. 186).
Davanti a ciò, è evidente come la Bosnia Erzegovina, sia la spia di insoluti
problemi moderni ed europei avendone offerto una così drammatica espressione.
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Ecco quindi il senso di questa tesi, che si vuole interrogare su temi tanto complessi.
Nell’epoca dell’Europa Unita, delle guerre presunte esportatrici di democrazia, dei
“plebisciti” a favore dei partiti più xenofobi, dell’immigrazione, appare necessario
chiedersi quali spazi di convivenza sono possibili ed a tutt’oggi esistono; quali sono
i nodi da risolvere e come si presentano, e quali sono le prospettive per il futuro
delle giovani generazioni.
Dunque, sarà affrontato, innanzitutto, il tema dei rapporti tra stati multietnici e
forme di potere, per essere in grado di comprendere in che modo la differenza possa
essere intesa come valore positivo e fondante della coesistenza pacifica e del
progresso umano, approfondendo il concetto di multiculturalismo, secondo il
pensiero di alcuni autori, evidenziandone i problemi e sondandone le possibili
soluzioni proposte. Si passerà, poi, ad una breve analisi del caso della Bosnia
Erzegovina. Questo perché è inquietante pensare che ciò che è successo in quelle
terre, sia accaduto sull’altra sponda dell’Adriatico, a poche centinaia di chilometri
dall’Italia; in quelle terre che per motivi storici, culturali e geografici potremmo
definire il cuore dell’Europa; di quell’Europa che ora, davanti ad una costituzione si
interroga su quale svolta dare alla storia sua e del resto del mondo; di un’Europa,
che solo dieci anni fa è stata incapace di agire concorde e con forza per fermare un
massacro definito come pulizia etnica. La prospettiva che si privilegerà sarà, perciò,
quella di rivedere la visione teorica della società multiculturale calata nella
concretezza di un caso più che mai attuale e contemporaneo.
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1. Le società multiculturali.
1.1 Il multiculturalismo.
Il termine multiculturalismo viene introdotto nel dibattito sociologico, negli Stati
Uniti prima e in Europa poi, solo alla fine degli anni ottanta. È, quindi, un termine
giovane, di uso recente. Questo perché i fenomeni che descrive sono essi stessi
attuali e assolutamente nuovi, tanto da rendere necessaria la creazione di una nuova
parola che categorizzi qualcosa che prima non era contemplato nella visione del
mondo delle società occidentali. Infatti, in questi ultimi anni, ci si è trovati di fronte
ad una sorta di rivoluzione: un processo di cambiamento della società, secondo il
quale viene meno l’universalismo culturale e si affermano una molteplicità di
elementi spesso contraddittori tra loro che riguardano non solo le relazioni, ma
anche i modelli, i valori e i sistemi organizzativi esistenti. La nascita di un villaggio
globale, in cui tempo e spazio sono tanto contratti da essere annullati, ha portato
così all’incontro e ad una convivenza obbligata le diverse culture esistenti.
All’interno del dibattito sociologico, Melucci (2000) afferma che il
multiculturalismo è il risultato della consapevolezza di un unico spazio - tempo che
fa diventare visibili le differenze rendendole elementi necessari di qualunque
convivenza.
Colombo (2002) colloca la definizione di questo concetto in due dimensioni
fondamentali: da una parte, la dimensione politica che ridiscute gli equilibri di
potere e riflette al riguardo dell’autodeterminazione e dell’indipendenza. Dall’altra,
la dimensione simbolica che evidenzia il legame tra percezione della differenza e
formazione dell’identità sia individuale che collettiva e vengono individuati come
ambiti fondamentali di confronto il linguaggio, l’istruzione, le politiche pubbliche e
la libertà religiosa.
Kymlicka (1995) individua il multiculturalismo come una forma di pluralismo
culturale in cui sono presenti sfide legate al fatto di avere a che fare sempre di più
con gruppi minoritari che rivendicano la differenziazione dalla cultura dominante.
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Quindi, è possibile affermare che il multiculturalismo considera positivamente la
differenza di usi e costumi di gruppi che vivono a stretto contatto. Queste differenze
sono considerate come gli elementi costitutivi dell’identità individuale e collettiva,
venendo a formare la base fondamentale per lo sviluppo di un senso di
appartenenza e di identificazione dell’individuo. Si assiste, quindi, ad una netta
interruzione della continuità con le tipologie delle società precedenti. Questo per
via di fatti concreti, a livello politico, economico e culturale. Infatti, non si può non
considerare la conclusione della Guerra Fredda con la caduta del muro di Berlino e
il crollo dei regimi comunisti, l’importanza dell’informazione come risorsa primaria
che necessita lo svincolo dai bisogni della sussistenza e il fenomeno della
globalizzazione, cioè la coincidenza dello spazio sociale con l’intero pianeta.
Elementi tutti, che producono una «ipersocializzazione del mondo» (Melucci, 2000,
pag. 27), ovvero una dimensione simultanea e globale che annulla le frontiere
tradizionali a livello geopolitico come a livello relazionale.
In questo contesto, si possono, allora, considerare come fenomeni costitutivi del
multiculturalismo, in primo luogo, la presenza di minoranze marginalizzate interne
agli stati nazionali, poi, il problema di etnie e culture frammentate in più stati e, non
ultimo, la creazione di nuovi spazi sopranazionali. Importanti sono anche le grandi
migrazioni, da Sud verso Nord e su scala planetaria, di persone che non intendono
rinunciare alle loro tradizioni per assimilare quelle del paese ospite e allo stesso
tempo lo sfascio dei modelli culturali autoctoni, in virtù dei mezzi di informazioni
di massa che trasformano un mondo fino a poco tempo prima statico in qualcosa di
estremamente dinamico. Così, il multiculturalismo nasce a partire dal
riconoscimento della diversità dell’altro, eliminando l’idea di un'unica cultura e
l’idea di una cultura superiore o migliore di altre. E ciò che caratterizza, quindi, le
società multiculturali non viene dal fatto che per la prima volta nella storia ci si è
resi conto della diversità, ma piuttosto che, ora, vengono sottolineate ed amplificate
quelle differenze che prima erano minoritarie e non venivano valutate sia a livello
di gruppo etnico come il rapporto tra bianchi, neri ed ispanici, sia a livello di
genere, come l’affermazione dei movimenti femministi, sia a livello di movimenti
interni alla società come quelli omosessuali o ecologisti. Se prima la differenza era,
quindi, considerata come ostacolo per essere inclusi nella società e riconosciuti
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come individui, ora la differenza stessa viene considerata come un valore, di cui
andare fieri e da ricercare. Risulta evidente, allora, che una società multiculturale è
necessariamente una società aperta, cioè una società che non pone vincoli legati a
fattori culturali, ma più semplicemente a fattori di convivenza, in cui l’individuo
possa allo stesso tempo appartenere a dei gruppi, essere incluso nella cittadinanza,
che implica diritti e doveri verso una collettività e, comunque, tendere ad una
qualche forma di realizzazione di sé: dunque, è cominciato il tempo delle
valorizzazioni delle differenze. Il dialogo avviene non più nonostante, ma grazie ad
esse. Rinasce, perciò, lo spazio sociale e vengono a crearsi nuove regole.
Viene, quindi, da chiedersi, innanzitutto, quanto è positiva questa situazione.
Parlando di multiculturalismo, ci riferiamo ad una molteplicità di culture che
entrano in contatto e quindi ad una varietà di mappe per decifrare la realtà che si
confrontano. Infatti, la cultura «media tra individui ed ambiente avvolgendoli in
una rete di senso» (Mantovani, 1998, pag. 117). La trasmissione culturale di
generazione in generazione è un insieme di principi concretizzati, trasformati in
pratiche, che ci spiegano come e perché compiere un’azione piuttosto che un’altra.
Porsi di fronte l’uno all’altro e quindi confrontare il proprio bagaglio culturale,
richiede innanzitutto la consapevolezza della profondità delle differenze culturali. È
evidente che, l’incontro tra culture lontane e diversificate, come può offrire un
trampolino di lancio per far crescere la propria identità personale e sociale e
aumentare la comprensione della varietà umana, così deve mettere in conto un
costo quantificabile in confusione e disorientamento. Infatti, è in campo non solo
l’influenza tra individui, ma anche le conseguenze che il singolo sceglie per se
stesso. La cultura è uno spartiacque, una frontiera che scegliamo di attraversare nel
momento in cui decidiamo di porci di fronte all’altro rispettando la sua alterità. I
costi implicati dal multiculturalismo, perciò, non sono bassi. I rischi
dell’atomizzazione e dell’oblio, possono produrre l’effetto opposto di quella società
aperta per la quale è possibile il multiculturalismo; i nazionalismi, che pur sempre
appaiono anacronistici, sono costantemente alle porte e la recente guerra nei
Balcani, come anche molte altre sparse per il mondo, lo dimostrano in maniera
drammatica. Non ci si può illudere che la convivenza sia semplice o immediata.
Anzi, spesso, è facile assistere più ad uno scontro che ad un incontro di culture. È