opera il fascismo dovette operare un
capillare processo di controllo della
popolazione. Il Regime dovette quindi
chiudere in una morsa l’intera cittadinanza
per dare il via all’inarrestabile «macchina
del consenso» che si sarebbe messa in moto di
lì a poco
2
. Non a caso l’Ufficio Stampa
Propaganda sorge appunto nel 1926; nel 1927
il giornalismo diventa una materia
d’insegnamento universitario nella Facoltà di
scienze politiche. Più tardi, tra la fine del
1929 e l’inizio del 1930, si accentua la
diffusione del «giornale radio» e del
«cinegiornale».
La meta che il Regime si prefissò fu
dunque quella di organizzare un quadro di
intervento capillare all’interno della
popolazione attraverso qualunque mezzo che
fosse funzionale alla riorganizzazione della
società in chiave prettamente fascista. Per
II
poter compiere questo progetto, ai vertici
del partito si assunse la necessità di avere
un resoconto continuo del comportamento e
degli avvicendamenti della popolazione.
L’O.V.R.A. fu un’organizzazione che, avvolta
dal mistero per la maggior parte dei
cittadini, doveva, all’inizio, occuparsi di
debellare la propaganda e le organizzazioni
antifasciste. Tuttavia, nel corso degli anni,
la rete dei suoi inquadrati cominciò ad
occuparsi sempre più dello «spirito
pubblico». Oltre all’O.V.R.A. la principale
fonte di informazioni per il Regime era
rappresentata dai rapporti che periodicamente
venivano spediti al Ministero degli Interni
dai prefetti di tutte le province d’Italia.
Spessissimo in tali rapporti compariva il
paragrafo intitolato «Spirito Pubblico» che
rappresentava, per il Governo,una fonte
maggiore di interesse. Le relazioni da noi
III
prese in esame per la provincia di Cagliari
constano, normalmente di tre parti: la prima
intitolata «situazione politica della
provincia»; la seconda descriveva
«l’andamento economico della provincia»,
mentre la terza riguardava «le opere compiute
dal Regime nella provincia». Le parti più
dense di interesse per noi sono le prime due:
infatti, all’interno della voce «politica» il
prefetto, a propria discrezione, spaziava
ampiamente dall’operato dei suoi
collaboratori, dei datori di lavoro e dei
loro dipendenti e non mancava spesso di
segnalare le inadempienze dei funzionari che
lo avevano preceduto, specie nel caso non
fossero stati fascisti. Quest’ultimo aspetto
rispecchia perfettamente il modus operandi
dei fascisti in sede di campagna elettorale:
nei manifesti, nei comizi, negli slogan, il
compito primo della propaganda fascista era
IV
stato sempre quello di denunciare
violentemente alla massa gli errori della
parte avversaria. Il tutto si tramutava in un
dichiarare apertamente ciò che il fascismo
non avrebbe mai fatto e che invece la
controparte aveva permesso che accadesse:
scioperi, manifestazioni, disordini e
decadenza della Nazione.
L’organizzazione piramidale del Regime
fascista e tutto l’immenso apparato
burocratico che ne determinò il funzionamento
erano inevitabilmente basati su favori,
simpatie, antipatie e rivalità varie
piuttosto che su effettivi meriti dei
singoli. Ciò considerato venne chiaramente
alla luce che, pur di apparire al Governo
centrale come fautore esemplare dell’ordine
pubblico e divulgatore devoto del consenso al
Regime, ogni prefetto, ogni fiduciario
tendeva dipingere con tinte meno fosche la
V
realtà che in alcuni centri si palesava.
Questa prassi divenne però assolutamente
impraticabile quando, causa la guerra, la
popolazione cominciò, sempre più apertamente,
a criticare le basi del Regime.
Il 5 maggio del 1942 un fiduciario
scrisse sconsolato al proprio prefetto:
«ormai è troppo tardi: l’Europa è troppo
malandata. La miseria e la fame regneranno a
lungo, i nemici sono troppo forti, ormai è
tardi per vincerli»
3
. È stata rilevata come
dato interessante anche la frequenza con la
quale i prefetti spedivano le loro relazioni:
quelle datate tra il 1926 e il 1932 avevano
scadenza trimestrale, per quelle collocate
tra il 1933 ed il 1940, a seguito di una
circolare del Ministero degli Interni, la
scadenza era mensile. Questo fatto ci porta
anche ad una conclusione meno immediata che
riguarda i contenuti delle relazioni relative
VI
a questi due periodi: i rapporti redatti con
data compresa tra il 1933 ed il 1940 erano
«sostanzialmente buoni» in quasi tutti i
casi, mentre noi sappiamo da altre fonti che
il consenso al Regime toccò il suo apogeo
solo sino al 1936, poi iniziò un declino
progressivo ed inarrestabile che esplose nei
fatti del 25 luglio 1943. In aggiunta di ciò
si noti che le relazioni prefettizie con
scadenza mensile possiedono contenuti molto
meno esaurienti e corposi rispetto alle
relazioni del primo periodo trattato: alcune
constano di soli due fogli contro la media
del periodo 1926/’32, che era di poco
inferiore ai venti fogli. Questo può
significare che il Regime avesse operato
un’intensificazione dei controlli mediante
rapporti prefettizi proprio nel periodo in
cui si rese palese un allentamento del
consenso da parte della popolazione: non
VII
dimentichiamoci che anche l’O.V.R.A. inviava
le sue relazioni che erano notevolmente più
dettagliate, soprattutto in quest’ultimo
periodo. Finora si è parlato esclusivamente
di relazioni prefettizie. Il nostro esame si
è tuttavia spinto anche alla ricerca dei
rapporti che i fiduciari delle altre
organizzazioni stilavano affinché poi, a sua
volta, il prefetto mandasse al Ministero una
sintesi di tutto ciò che aveva esaminato.
Tali rapporti che giungevano al prefetto
appaiono di minore utilità rispetto alle
relazioni redatte dal capo della provincia. I
vari fiduciari ricoprivano la propria carica
in maniera troppo parziale e, spesso,
dimostrarono evidenti limiti culturali
determinati anche dal fatto che solevano
affidarsi ad informatori come domestici o
portieri d’albergo. Ne consegue che
l’informazione politica che questi rapporti
VIII
possono offrire risulta scarsa, se non altro,
comparata con quella prefettizia. Tutta la
documentazione da noi esaminata,
probabilmente proprio per la sua varietà, ha
sollevato non pochi problemi interpretativi
di cui si darà conto nel corso della seguente
trattazione.
IX
PREFAZIONE – NOTE
1
Simona Colarizi, L’opinione degli Italiani sotto il Regime,
Roma-Bari, Laterza 1991, pag.7.
2
V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media,
Roma-Bari 1975, pag. 34.
3
Relazione prefettizia in data Firenze 27 luglio 194: cit. da
Simona Colarizi, L’opinione degli Italiani sotto il Regime,
Roma-Bari, Laterza 1991, pag.7.
X
CAPITOLO I
1926 – 1929
1.1. LA SITUAZIONE POLITICA
Il 1926 si aprì col provvedimento che
decretò la «costituzione della Nuova
Provincia di Nuoro»
1
. Il capoluogo
barbaricino, dal marzo 1926, comprese anche
alcuni comuni del cagliaritano come Lanusei e
Blanargia. Le difficoltà di amministrare un
territorio troppo vasto stavano diventando
troppo pesanti per il capoluogo sardo, così
venne presa la decisione di sottrarre alcuni
comuni alla dipendenza di Cagliari e
costituire come provincia il circondario di
Nuoro. Secondo il prefetto la popolazione ha
accolto il provvedimento «con alto spirito di
disciplina rendendosi conto delle necessità
che hanno portato a tale scelta»
2
. Le
popolazioni di Cagliari e Nuoro non furono
però le uniche coinvolte in questa vicenda:
l’amministrazione di Oristano chiedeva da
11
tempo la costituzione di una quarta provincia
della quale si sarebbe candidata come
capoluogo. Oristano era stata, tra l’altro,
uno dei giudicati al tempo della liberazione
dell’isola, quindi alla sua richiesta si
accompagnò anche un fondamento storico non
trascurabile. Tuttavia, in questa occasione,
la petizione venne respinta e Oristano verrà
costituita provincia solo nel 1974.
Tra il 1926 e la fine del 1930 l’opera
che il P.N.F. portò avanti nella provincia di
Cagliari fu di assestamento politico. Il
mezzo, che avrebbe giustificato il fine,
utilizzato per il suddetto assestamento
politico fu l’epurazione. Lo stesso prefetto
nel dicembre del 1926 riteneva necessaria «la
sostituzione di qualche elemento che non ha
dato buona prova di devozione al Regime»
3
.
Nella stessa relazione si parla di un
«larvato dissidio» che «intercorre tra gli
12
onorevoli Putzolu e Pili». Dissidio del quale
noi oggi conosciamo l’epilogo, ma che in quei
mesi era ancora di proporzioni trascurabili.
Il 16 novembre 1926 fu emanato un decreto
prefettizio che sancì lo scioglimento
immediato del Partito Sardo D’Azione. Le
opposizioni stavano disperdendosi anche in
conseguenza dell’ «arresto, sotto
l’imputazione di omicidio, dell’avv. Emilio
Lussu, deputato decaduto». L’ordine pubblico
si stava lentamente «assestando», tuttavia si
verificarono spesso episodi di protesta
significativi, come quelli accaduti
nell’inverno del 1926, quando furono
arrestati alcuni minatori sorpresi a cantare
«in aperta campagna inni sovversivi»
4
. Sempre
nello stesso inverno fu arrestato «tal Cao
Antonio per offese a S. E. il Capo Del
Governo»
5
. Anche se sporadici e slegati tra
loro questi episodi costituiscono i sintomi
13
di una situazione diversa da quella che le
varie relazioni del prefetto preferivano
rappresentare; purtroppo però
«l’irresolutezza – ci spiega Salvatore Sechi
– e l’ambiguità di rapporti tra teoria e
prassi politica si univano al miraggio
dell’indipendenza sarda»
6
, quando ancora i
sardi non erano pronti ad interiorizzare tali
concetti politici. C’è inoltre da considerare
che non tutti coloro che manifestarono
apertamente il loro dissenso al Regime erano
mossi da un motivazione politica. Nel
novembre del 1926, ad esempio, «la
diminuzione dei salari non produsse
favorevole impressione nella massa [tanto
che] in tale occasione si verificò uno
sciopero nella miniera di Campo Pisano». I
manifestanti si disposero davanti
all’ingresso dello stabilimento industriale e
non entrarono a lavoro. La manifestazione
14