manovella posta al lato dell’apparecchio dove la pellicola a 35 mm scorreva
grazie a particolari rulli. La manovella laterale era azionata dallo stesso spettatore,
che era l’unico fruitore dell’opera. Liggeri attribuisce ad una delle opere realizzate
per il kinetoscopio la definizione di “prototipo del primo videoclip”3. L’opera in
questione è Experimental sound film, datata 1894, accreditata come regia a
William Kennedy Laurie Dickson. Il cortometraggio, di durata inferiore al minuto,
mostra lo stesso Dickson intento a suonare il violino, mentre nello spazio scenico
si vedono altri due uomini che danzano sulle note prodotte dallo strumento
musicale. Liggeri fa notare come lo scopo principale di questo filmato non sia
promuovere un brano musicale o andare ad esaltare l’immagine del suo esecutore,
ma sostiene anche come sia innegabile pensare la prominenza e la centralità del
musicista nell’atto della performance, supportato da una coreografia, allo stesso
modo come avviene in gran parte dei videoclip contemporanei4.
Rimanendo ancora in ambito prettamente cinematografico, Guido
Michelone nel libro Il jazz film5 afferma che il videoclip non è altro che
un’evoluzione di questa particolare declinazione del cinema musicale. I jazz-film
sono opere cinematografiche prodotte tra la fine degli anni ‘20 e la metà degli
anni ’40. Michelone considera queste opere non dei semplici “progenitori” ma
delle vere e proprie “forme” di videoclip. Inoltre, asserisce come la nascita del
jazz-film sia una conseguenza dello sviluppo tecnologico. L’implementazione del
sonoro nelle pellicole cinematografiche portò con se notevoli risorse espressive.
Come sostiene Michelone, il suono permette di potenziare l’evocatività delle
immagini, contribuendo in modo sostanziale all’incremento della verosimiglianza
e dell'illusione di realtà, integrandosi così nei modi di produzione e
rappresentazione e offrendo nuove possibilità al linguaggio del cinema. Le novità
non riguardano solo il piano estetico, ma anche quello ideologico. In sintesi,
secondo le parole di Michelone possiamo considerare il videoclip come una delle
tante incarnazioni del matrimonio tra musica e cinema. L’autore afferma poi, che i
3
D. LIGGERI, Musica per i nostri occhi. Storie e segreti dei videoclip, Bompiani, Milano, 2007,
p. 55.
4
Ibid.
5
G. MICHELONE. Il jazz film, Pendragon, Bologna, 1997, p. 137.
5
jazz-film avevano una durata abbastanza variabile: potevano durare esattamente i
tre minuti circa della canzone oppure, in alcuni casi, oltre all’esibizione canora
avevano un prologo o un epilogo di tipo narrativo. I protagonisti principali di
queste opere erano grandi nomi di spicco del genere musicale jazzistico, i quali
mimavano la parte cantata in playback, prodigandosi in alcune occasioni in brevi
sequenze coreografate. I jazz-film venivano proiettati nelle sale cinematografiche
durante l’intervallo degli spettacoli con lo scopo di intrattenere il pubblico
presente in sala e di agevolare i proiezionisti nelle operazioni di cambio dei rulli,
in quanto queste ultime non erano di immediata realizzazione ed il rischio di
spazientire gli spettatori per il protrarsi dell’attesa era forte6.
Il vero precursore del genere jazz-film, secondo Michelone, è St. Louis
Blues, interpretato da Bessie Smith, diretto da Dudley Murphy e datato 19297.
Quest’opera, della durata complessiva di 16 minuti, ha inizio con un prologo
narrativo di 9 minuti. La protagonista è una disperata e barcollante Bessie Smith
intenta a cantare il dolore per l’abbandono dell’amato davanti ad un boccale di
birra. La scena si svolge in un fumoso locale, dove alcuni clienti supportano la
protagonista aiutandola nei cori. I jazz-film potevano anche avere una variante
realizzata interamente con la tecnica dei disegni animati, chiamata jazz-toon.
Proprio riferendosi al jazz-toon Minnie the Mooncher realizzato da Dave Flesher
del 19328, Liggeri fa notare come avviene la fusione degli elementi di promozione
e di linguaggio estetico. Minnie the Mooncher ha una durata di sette minuti e
prende il nome dal brano di Cab Calloway contenuto al suo interno. L’opera, dopo
brevi titoli introduttivi nei quali vengono citati i nomi del compositore del brano
musicale e dei protagonisti della storia, mostra una Betty Boop in lacrime per le
rigide regole imposte dal proprio padre. Le continue ammonizioni genitoriali la
spingeranno a fuggire via di casa con l’amico fidato Bimbo. Dopo questo prologo
narrativo ha inizio il brano di Cab Calloway che ritma la fuga dei due personaggi,
durante la quale si imbatteranno in un tricheco incredibilmente somigliante allo
stesso Calloway. Liggeri sottolinea che l’opera audiovisiva costruita
6
Ivi, p. 127
7
Ivi, p. 140.
8
Ivi, p. 87.
6
appositamente sul brano dell’artista aveva lo scopo di commercializzare il pezzo
musicale9.
Un approccio decisamente più svincolato dalle logiche cinematografiche
viene fornito da Paolo Peverini in Il videoclip. Strategie figurative di una forma
breve10. Lo studioso riconduce la nascita del videoclip ai soundies. Nel 1939
un’azienda di Chicago inventò il Panoram soundies. Questo innovativo
macchinario era stato considerato dagli stessi produttori come un “Juke-box
visivo”, in grado di bissare (se non addirittura duplicare) il successo del ben più
conosciuto Juke-box. Il Panoram soundies permetteva la visione di brevi filmati
definiti appunto soundies, ovvero pellicole in bianco e nero contenenti delle
performance musicali eseguite da alcuni cantanti in voga all’epoca. I forti limiti
tecnologici del Panoram emersero poco dopo la sua diffusione: lo schermo era
troppo piccolo per una fruizione allargata e la simultaneità fra le immagini e la
musica era spesso fuori sincrono, la visione agli utenti risultava nella maggior
parte dei casi difficoltosa; inoltre, l’intenzione originaria dei produttori consisteva
nell’andare a sostituire totalmente il Juke-box, cosa che non si verificò in alcun
modo; infine la gente preferiva poter ballare il brano piuttosto che guardare
l’autore mimare l’esecuzione dello stesso. Queste problematiche portarono ad una
forte diminuzione della produzione e, di conseguenza, anche i soundies ebbero
vita breve. Come afferma Peverini11 molte di queste opere erano decisamente
ironiche nei riguardi della realtà socioeconomica e politica del tempo. L’erotismo
più o meno esplicito e l’abbattimento dei tabù sessuali erano elementi
predominanti, perché i soundies erano oggetto di controllo meno ferreo da parte
degli organi di censura e spesso si dimostravano più irriverenti e maliziosi delle
pellicole cinematografiche e dei programmi televisivi12.
Molto diversa è la posizione teorica di Linda Berton in Videoclip e di
Andrew Goodwin in Dancing in the distraction factory. Entrambi collocano la
nascita del videoclip in concomitanza della messa in onda delle prime trasmissioni
9
Ivi, p. 88.
10
P. PEVERINI, Il videoclip. Strategie e figure di una forma breve. Meltemi, Roma, 2004, p. 14.
11
Ivi, p. 15.
12
Ibid.
7
televisive, in particolare attribuiscono a Elivis Presley la nascita del video
musicale13. Le sue apparizioni televisive all’Ed Sullivan Show (la prima il 9
settembre del ’56; la seconda il 28 ottobre dello stesso anno; la terza il 6 gennaio
del 1957) possono considerarsi come i primi video promozionali trasmessi dalla
TV14. Le esibizioni de “Il Re del Rock ‘n’ Roll” sul piccolo schermo avevano una
funzione simile a quella di un video musicale odierno, perché offrivano la
possibilità a milioni di telespettatori di venire a conoscenza delle sonorità, del
modo di vestire e dell’eccentricità dell’artista, fornendo in un’unica soluzione la
sua immagine completa. La stessa Berton sostiene poi che solo con Paperback
Writer e Rain (entrambi del 1966) dei Beatles si ha il mutamento della semplice
esibizione televisiva a “promo clip”, avvicinandoci sempre di più al videoclip
attuale. I “promo clip” avevano lo scopo di sostituire la performance live nei vari
programmi televisivi che richiedevano la presenza fisica del gruppo15.
L’espediente del “promo clip” fu accolto dalle emittenti televisive e dai fan con
particolare entusiasmo, tanto da far maturare una decisione definitiva ai Fab Four
il 29 agosto 1966 dopo il concerto al Candlestick Park di San Francisco:
concentrarsi totalmente sull’autoproduzione di video pre-registrati da inviare ai
programmi televisivi che ne facevano richiesta, sia per dedicarsi alla
composizione del nuovo album che per evitare lo stress causato dai mass media.
Tale decisione permise di abbandonare del tutto le esecuzioni del brano in
promozione nelle trasmissioni televisive. Le performance live in Tv, sino ad
allora, erano considerate l’unico mezzo, efficace ed immediato, per portare a
conoscenza la propria canzone ad un vasto pubblico (di conseguenza a dei
potenziali acquirenti del disco). L’importanza dei Beatles nella storia del videoclip
è condivisa anche da Bruno Di Marino, il quale afferma che il quartetto inglese ha
fornito un forte contributo all’aumento di interesse da parte delle reti televisive nei
confronti della musica sullo schermo. I Beatles sono stati senza dubbio i primi ad
13
L. BERTON, Videoclip. Storia del video musicale dal primo film sonoro all’era di YouTube.
Mondadori, Milano, 2007, p. 7.
14
A. GOODWIN, Dancing in the distraction factory: Music televison and popular culture,
Minneapolis, University of Minnesota Press, 1992.
15
Ivi, p. 126.
8
aver intuito le forti potenzialità del video come mezzo per promuovere un brano
musicale16.
Nel suo lavoro la Berton fa notare come sia proprio il Regno Unito a
trasmettere per la prima volta dei videoclip nel palinsesto televisivo, attribuendo
al programma Top of the Pops il primordiale impiego di queste rudimentali forme
di videoclip. Top of the Pops andò in onda per la prima volta il 1° gennaio del
1964 sulla Bbc e consisteva nel mostrare la Top Thirty britannica settimanale.
Come già accaduto con i Beatles, le case discografiche mandavano in onda alcune
registrazioni video delle band presenti in classifica, e tali video molto spesso
erano delle semplici esibizioni live del brano; in altri casi, invece, essi erano delle
opere più creative, dotate di forza espressiva autonoma.
Contrariamente alle teorie di Goodwin e Berton, in Le logiche della
televisione17 Bettetini, Braga e Fumagalli affermano che le esibizioni di Elvis non
possono essere considerate come i primi eventi storici della musica in TV. I tre
autori indicano come precursori del video musicale le trasmissioni televisive che
contenevano spazi musicali nel loro interno. In particolare, essi si riferiscono a
programmi televisivi come American Bandstand e Hit Parade (entrambi del
1952). Secondo la loro interpretazione, le trasmissioni televisive musicali hanno
favorito e, in qualche modo preparato, il terreno per la creazione e la diffusione
del video musicale18. Un aspetto quasi del tutto simile è fornito in Lo sguardo che
insegue19 da Cosetta Saba, la quale afferma: «tra la fine degli anni Cinquanta e i
primi anni Sessanta, le performance televisive o concertistiche registrate in
audiovisivo possono essere considerate delle forme precorritrici del videoclip. E
ciò anche per il tipo di operazione che le motiva sul piano culturale e
promozionale»20.
Un’ipotesi sull’origine del fenomeno legata ad un particolare filone
cinematografico è fornita da Alessandro Amaducci e Simone Arcagni nel libro
16
B. DI MARINO, Clip! 20 anni di musica in video, p. 29.
17
G. BETTETINI, P. BRAGA, A. FUMAGALLI, Le logiche della televisione, Franco Angeli,
Milano, 2004.
18
Ivi, 209
19
C.G. SABA, Lo sguardo che insegue, Lupetti, Milano, 2006
20
Ivi, p. 205.
9
Music Video nel quale essi affermano che è stato il rock film a contribuire alla
nascita del videoclip21. Il lavoro di Amaducci e Arcagni sostiene come l’incrocio
di cinema, musical e promozione discografica presente nel rock film abbia
consentito di spianare la strada al videoclip inteso così come lo conosciamo oggi.
Tra il 1970 e il 1980 vennero prodotte delle opere che rappresentavano la
trasposizione cinematografica di grandi album o di eventi live che avevano
sempre come elemento cardine il rock. Si possono citare come esempi di rock
film: The Wall del 1982, Tommy del 1975 e Woodstock del 1970. Amaducci e
Arcagni asseriscono, inoltre, che i rock film siano generatori di una prima
schematica divisione in generi del videoclip. Infatti queste opere hanno già in sé
mere sequenze di performance live oppure elementi narrativi, animazioni surreali
o concettuali in grado di rappresentare l’immaginario dell’artista. Secondo gli
autori questi elementi contribuiranno non poco ad influenzare successivamente
l’estetica dei videoclip22.
Un approccio orientato verso la collocazione della nascita del fenomeno in
un tempo relativamente recente è fornito da Nello Barile in Manuale di
comunicazione23. Barile dichiara che il linguaggio del videoclip giunge a piena
maturazione a partire dagli anni Ottanta con Video Killed The Radio Stars (1979).
Lo studioso lascia intendere che prima del video dei Buggles esistevano delle
forme “grezze” di videoclip. Queste erano dei prototipi prettamente promozionali,
consistentemente influenzati dal linguaggio del cinema e dalla pubblicità. Solo
con Video Killed The Radio Stars il video musicale è divenuto una forma d’arte
domestica che sfrutta tanto la mescolanza tra diversi codici quanto la serialità
della sua programmazione24.
Una considerazione sempre “modernista” del fenomeno è data da John
Walker in L’immagine pop25. Walker afferma che la nascita del videoclip è
21
A. AMADUCCI, S ARCAGNI, Music Video. Kaplan, Torino, 2007, p. 22.
22
Ivi, p. 29.
23
N. BARILE, Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda. Volume II, Meltemi,
Roma, 2007.
24
Ivi, p. 114.
25
J.A. WALKER, Cross-overs. Art into pop/ pop into art, Methuen & Co, Londra 1987; tr. it. di
M. Farano, L’immagine pop. Musica e arti visive da Andy Warhol alla realtà virtuale, EDT,
Torino, 1994.
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