La trattazione continua prendendo in esame l’evoluzione del
Costituzionalismo siciliano e catalano durante la formazione dello Stato Nazione. In
particolare, riguardo la Catalogna, ho dato rilievo al costante rifiuto dello Stato
centralista ed alle continue rivolte, al ruolo della borghesia catalana, che nel periodo
che va dal 1844 al 1868, accettò le misure legislative che distrussero, quasi sempre
senza necessità, le istituzioni o le caratteristiche specifiche della Catalogna. Ho
anche tracciato i processi storici che portarono all’elaborazione di ben 4 progetti di
Statuto. Il primo è quello di Valenti Almirall, del 1868, di stampo chiaramente
federalista, relativo al periodo rivoluzionario del 1868-1873, da considerare come
preludio della costruzione di uno Stato nuovissimo, di segno democratico e
maggiormente disposto a portare a termine le trasformazioni sociali e politiche
necessarie per la soluzione delle contraddizioni menzionate, con il quale si inizia un
nuovo capitolo delle relazioni tra il Governo centrale spagnolo e i Catalani. Il
secondo relativo al periodo della prima Repubblica Spagnola, del 1883,
contemporaneo all’approvazione di un progetto di Costituzione federale spagnola
che in pratica comprendeva il progetto di Statuto catalano e allo stesso s’ispirava
concretamente, come simbolo della forza centripeta del federalismo catalano sulla
futura organizzazione federale e democratica della Nazione spagnola. Il terzo,
successivo alla costituzione della Mancomunitat catalana, l’associazione delle
quattro province Catalane, rappresentata da un presidente e governata da
un’Assemblea deliberante ed un Consiglio Permanente, fu elaborato nel 1919 e
constava essenzialmente di due progetti diversi, uno del Governo nazionale e l’altro
elaborato dall’assemblea della stessa Mancomunitat. Lo Statuto elaborato dai
Catalani esprimeva la volontà d’autonomia politica, mentre lo Statuto spagnolo
permetteva solo una più ampia decentralizzazione amministrativa. L’ultimo,
elaborato ed approvato a Nuria, alla fine della dittatura di Primo de Rivera, nel 1932,
6
aveva il fine dichiarato di dare alla Catalogna le caratteristiche di Stato sovrano. Lo
Statuto affermava infatti «Catalunya es un Estado autonomo dentro la Republica
Espanola». Dopo numerosi dibattiti ed interventi anche da parte del capo del
governo Azana, si arrivò alla sua approvazione il 12 settembre del 1932. La formula
dell’articolo 1 fu sostituita con «Catalunya se constituye en regiòn autonoma dentro
del Estado espanol». La Catalogna rimase Repubblicana fino al febbraio del 1939,
quando l’esercito Franchista occupò la quasi totalità del territorio catalano. Il 5 aprile
del 1938, Francisco Franco firmò a Burgos la legge che comportò l’abrogazione
dello Statuto catalano.
Nel corso dell’indagine, ci si è soffermati sulle teorie autonomiste, federaliste
e regionaliste sviluppatesi soprattutto ad opera di politici come Pi I Margall, Valenti
Almirall, Roca i Farreras, Francesc Macia, la cui influenza non si poté non notare
nell’esperienza politica della Lliga Regionalista, come anche nell’Uniò Federal
Nacionalista Republicana (1910), punto di partenza del catalanismo di sinistra del
secolo seguente.
Riguardo la Sicilia, particolare attenzione è stata rivolta alla Costituzione del
1848, alla nascente concezione federalistica connessa alla consapevolezza del
collegamento con gli altri Stati italiani. Era evidente infatti la volontà del Governo
rivoluzionario siciliano di condurre un’azione di unione federativa. La Sicilia,
rispetto agli altri Stati Italiani, si trovò in grado di elaborare da sé, liberamente e con
piena consapevolezza, la propria Costituzione. Infatti il Parlamento siciliano ebbe
carattere costituente. Così a differenza del Piemonte o di Napoli, l’isola ebbe non
uno Statuto concesso dall’alto, «Octroyè», ma liberamente formulato e discusso da
un’assemblea liberamente eletta dal popolo. La Carta Costituzionale Siciliana
possedeva sicuramente un carattere democratico, non solo per le modalità della sua
elaborazione ed approvazione, ma anche per il suo contenuto, basato sulla sovranità
7
popolare, il cui esercizio era delegato ai tre poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e
giudiziario, che si consideravano distinti secondo le norme dello Statuto. La guerra
però portò alla vittoria dei Borbone, e la vita del Parlamento siciliano terminò il 17
aprile del 1849.
Sempre riguardo alla Sicilia, si continua col prendere in esame il successivo,
difficile, inserimento della regione nello Stato Italiano. Com’è noto, il Governo
Sabaudo scelse la via dell’annessione come la più conveniente per scongiurare
l’ipotesi Repubblicana, con la sola richiesta da parte dei Siciliani di avere lo Statuto
di Regione con proprio luogotenente e consiglio deliberante, competenze in materia
di lavori pubblici, istruzione, amministrazione comunale e provinciale, e soprattutto
ampio potere doganale. L’evoluzione delle istituzioni nazionali ed i cambiamenti dei
partiti politici e dei loro leader, partendo da Cavour, passando per Crispi, ed
arrivando a Giolitti, si occuparono poco della originaria arretratezza dell’isola
rispetto al paese, causando il malcontento che sfociò in aperte ribellioni, note come i
Fasci Siciliani, e nell’elaborazione di numerose trattazioni al riguardo, come le teorie
regionaliste di Sturzo e Salvemini, e quelle meridionalistiche di Dorso e Gramsci.
Questa parte si conclude con la crisi dello Stato liberale e l’avvento delle dittature.
L’ultima parte del testo è dedicata all’analisi del rapporto tra le dittature
Fascista e Franchista e le spinte autonomiste siciliane e catalane. In Sicilia
l’opposizione al regime fu causata sia dalla sua tendenza all’accentramento che
soprattutto dall’imposizione di una guerra non voluta. Le istanze separatistiche si
manifestarono in maniera più forte solo in seguito allo sbarco alleato, incarnate
dall’M.S.I, Movimento per l’Indipendenza siciliana, il cui leader era Finocchiaro
Aprile. In Catalogna invece, probabilmente anche per la maggiore durata della
dittatura e per l’altrettanto maggiore intensità dell’oppressione esercitata dal regime,
l’opposizione non cessò mai, pur rimanendo ai margini della politica. In tempi e
8
circostanze diverse furono comunque riconosciute dall’ordinamento statale le
autonomie particolari delle due realtà, attraverso l’elaborazione e approvazione di
due Statuti. Il Governo Italiano, nel 1944, istituì una Giunta Consultiva, col compito
di discutere ed approvare lo Statuto, e una Commissione al fine di redigere una
bozza dello stesso da sottoporre alla Consulta Regionale Siciliana. La Commissione
prese spunto da quattro testi, politicamente diversi, tra i quali il più apprezzato fu
quello elaborato dal Prof. Giovanni Salemi, che rispecchiava le posizioni della
Democrazia Cristiana relative al concetto di autonomia ristretta. Lo Statuto della
Regione Siciliana fu promulgato con decreto legislativo luogotenenziale del 15
maggio 1946 n. 455, e il 20 aprile 1947 in Sicilia si tennero le elezioni previste dallo
stesso. Il primo presidente del governo regionale fu il democristiano Giuseppe Alessi
e il 26 febbraio 1948 lo Statuto della Regione Siciliana divenne legge costituzionale
dello Stato italiano. Il progetto approvato dalla Consulta Regionale Siciliana era
sicuramente rivoluzionario, perché collocava la Sicilia in una posizione primaria
all’interno dello Stato, proprio per le sue competenze esclusive. Veniva riconosciuta
cosi la personalità giuridica dell’isola, per rafforzare l’unità col resto d’Italia
conquistata con il Risorgimento. L’iter di elaborazione e approvazione dello Statuto
Catalano fu più lungo e complesso. L’inizio dei lavori fu discusso a Madrid il 15
giugno del 1978, e si procedette anche qui con la designazione della Comisiòn de
veinte. Il 10 novembre cominciò il dibattito all’interno del Parlamento di Barcellona,
riunito in seduta plenaria, che terminò il 16 dicembre. Il progetto di Statuto, detto di
Sau, venne presentato alle Cortes subito dopo la pubblicazione della Costituzione,
prima della dissoluzione delle stesse, il 29 dicembre del 1978, in modo che ai nuovi
parlamentari spettasse non l’elaborazione di un progetto di Statuto, bensì la
discussione su un progetto già presentato. Il testo venne presentato il 13 agosto 1979
alla Commissione mista e fu votato positivamente quasi all’unanimità, cosicché si
9
poteva procedere al referendum per l’approvazione definitiva. Con il Regio Decreto
del 14 settembre 1979 si stabilì la convocazione della consultazione referendaria per
il 25 ottobre seguente, che diede risultato favorevole. Il 29 novembre il congresso ne
ratificò il risultato, ed il 12 dicembre si procedette alla votazione al Senato. Il 18
dicembre lo Statuto ricevette la sanzione reale ed il suo testo fu pubblicato il 22.
Questo Statuto rappresentava sicuramente un progresso rispetto al precedente,
soprattutto grazie al riconoscimento della Catalogna come Nacionalitat e non come
una regione.
Si procede con l’analisi delle caratteristiche di entrambi gli Statuti, simili nelle
competenze attribuite, nei rapporti tra gli stessi e le Costituzioni di riferimento, ed in
particolare anche nella continua difesa delle proprie prerogative contro il tentativo di
ingerenza statale. L’entrata nell’Unione Europea e l’ampliarsi delle richieste della
società ha portato, negli ultimi tempi, alla necessità di una revisione degli statuti
stessi, compiuta definitivamente dalla Catalogna nel 2006, e non ancora
integralmente dalla Sicilia.
10
Capitolo Primo
1812, LE COSTITUZIONI DI SICILIA E DI CADICE
Nonostante la radice latina, il termine-concetto Costituzione sembrerebbe
sostanzialmente entrato nel lessico giuridico - politico europeo mutuato
dall’esperienza anglosassone, indicando un complesso organico e relativamente
stabile di regole convenzionalmente accettate nel tempo e, di fatto, fondanti uno
Stato moderato.
1
Il ricorso a tale nozione si inseriva in quel più ampio movimento di idee che
andava sotto il nome di “costituzionalismo”e che aveva origine nella seconda metà
del XVIII secolo in Europa per espandersi successivamente in ogni parte del mondo.
Benché infatti la parola italiana “Costituzione”, analogamente ai corrispondenti
termini propri di altre lingue moderne, traesse origine dal latino “constitutio”, il
significato di questa espressione non corrispondeva affatto a quello della parola
moderna, perché la constitutio era bensì una legge, ma non la legge fondamentale
contenente i principi fondanti l’organizzazione di uno Stato. Infatti la stessa idea di
Stato era una nozione moderna, il cui uso era divenuto comune soltanto negli ultimi
quattro - cinque secoli, tanto che si suole indicare in Machiavelli colui che per primo
ebbe ad impiegare la corrispondente parola in questo significato. Indubbiamente
situazioni utilmente paragonabili a quelle moderne possono trovarsi anche in talune
fasi storiche anteriori ed in nozioni utilizzate con riferimento ad esse (come ad
esempio quella di polis che fu riferita alla città-stato dell’antica Grecia o quella di
res publica impiegata nell’età romana), ma sembra incontestabile la mancanza di
una continuità storica fra queste diverse esperienze.
1
A. ROMANO, Costituzione politica della Monarchia Spagnuola, Messina, Rubettino, 2000, p. IX.
11
Per contro, a partire dalle rivoluzioni americana e francese del XVIII secolo e
dal movimento di pensiero che le preparò, non soltanto si era assistito alla redazione
di testi tendenti a realizzare l’idea moderna di Costituzione, ma si era attribuito a tale
nozione un significato politico specifico, modellato sulla forma di governo
corrispondente ai principi dell’ ideologia liberale. La prova di ciò era offerta dal
famoso Art. 16° della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino adottata
dall’Assemblea costituente francese il 26 agosto 1789, secondo il quale “la società,
nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri
determinata, non ha Costituzione”. Questa nozione ideologica di Costituzione, che
ebbe un ruolo importante nella storia del XIX secolo, non era in realtà quella che finì
per affermarsi, quanto meno come nozione giuridica. Quest’ultima era infatti
essenzialmente una nozione avalutativa, in base alla quale si poteva parlare di
Costituzione con riferimento al complesso dei principi fondamentali in base ai quali
era organizzato uno Stato, anche se essi non coincidevano con il modello individuato
dai teorici del liberalismo e della democrazia (ad esempio la Costituzione dell’
ancient régime o la costituzione di un regime autoritario). Si doveva anche notare
che la nozione di Costituzione non corrispondeva necessariamente neppure ad un
documento dotato delle caratteristiche tradizionalmente proprie di questo genere di
testi, potendosi ricostruire la Costituzione di uno Stato come compendio di regole
risultanti, in tutto o in parte, da convenzioni, da usi o da una pluralità di testi
variamente congegnati (da qui il significato “materiale” del termine Costituzione,
impiegato in contrapposizione al suo significato “formale”, che indicava appunto il
documento ufficialmente dotato di questo rango).
Riflessi di questa evoluzione sulla storia italiana si ebbero per la prima volta
durante le guerre che seguirono la rivoluzione francese, quando Costituzioni che
riproducevano i modelli d’Oltr’alpe furono adottate nelle repubbliche “giacobine”
12
del 1797-99 e poi nei regni napoleonici, mentre l’ordinamento britannico costituiva
la fonte d’ispirazione della Costituzione siciliana del 1812. «Nell’Europa che
cercava di affrancarsi dall’assolutismo prendeva cosi consistenza un mito, ovvero
un modello, che si affermava più come metodo di organizzazione politica che per gli
specifici contenuti (necessariamente connessi all’esperienza storica), in un contesto
geopolitico ove l’unità aggregante era ancora da individuarsi più nella Monarchia
che nella Nazione.»
2
Ma soprattutto dopo la restaurazione dei monarchi assoluti, la
rivendicazione di una Costituzione liberale assumeva il valore di simbolo del
programma politico di quanti si battevano per la libertà dei cittadini e per
l’indipendenza della Nazione italiana. In occasione dei moti risorgimentali,
soprattutto la Costituzione spagnola (cioè la “Costituzione di Cadice” del 1812)
divenne l’oggetto di tali rivendicazioni (e di corrispondenti concessioni dei sovrani,
poi revocate una volta passato il pericolo) e la parola “Costituzione” e l’aggettivo
“costituzionale” assunsero sempre più il carattere di un simbolo dell’adesione al
progetto rivoluzionario dei liberali.
3
« Era cosi che due Costituzioni, quella Gaditana
e quella Palermitana, di fatto estrema sintesi del costituzionalismo storico europeo,
finivano per assurgere a mito –modello, quantunque con valenze diverse, in
un’Europa agitata dalle rivoluzioni borghesi e nazionali che si opponevano, prima,
all’imperialismo militare e politico- culturale napoleonico e, poi, all’ordine
restauratore imposto dal Congresso di Vienna.»
2
ROMANO, Costituzione politica…, cit., p. X
3
A. PIZZORUSSO, Le stagioni della costituzione, www.politicainsieme.it.
13
Parte Prima: La Costituzione siciliana del 1812
1: La Costituzione del 1812 in Sicilia e la presenza inglese
Dopo l’esperienza della dominazione napoleonica e delle costituzioni
giacobine, l’Europa in generale e l’Italia in particolare vivevano un’intensa stagione
costituzionale. La Sicilia, la Spagna liberata dalla rivolta sanfedista e la Sardegna,
dove erano rifugiati i Savoia, diventavano i baluardi dell’antibonapartismo inglese.
Non era una presenza solo militare ma anche politica, volta a contrastare il dilagare
dei principi costituzionali e dell’esperienza codicistica francese. In particolare
l’azione politica inglese in Sicilia si proponeva di favorire la nascita di un
movimento liberale che portasse ad un rinnovamento delle istituzioni e della società
siciliana, in modo da rappresentare una valida contrapposizione anche ideologica al
regime napoleonico. Tale rinnovamento si sarebbe potuto realizzare favorendo la
formazione di un governo di siciliani e isolando l’entourage napoletano.
Protagonista inglese delle vicende siciliane fu un personaggio di notevole levatura
diplomatica, l’ambasciatore del regno unito Sir William Bentinck.
4
«Il quinquennio
1810-1815 rappresenta uno snodo fondamentale nella storia istituzionale e politica
siciliana, risultando caratterizzato dall’avvio di un doppio processo di
costituzionalizzazione e di codificazione che avrebbe portato, nel 1812,
all’elaborazione di una carta costituzionale e, contestualmente, alla redazione dei
progetti dei codici penale e di procedura civile. Redatta in un peculiare contesto
4
J. ROSSELLI, Lord Bentinck e l’occupazione britannica in Sicilia 1811-1814, a cura e con
introduzione di Michela D’Angelo, Sellerio, Palermo, 2002. Alla missione di Lord Bentinck in Sicilia,
ma anche ai rapporti politico-diplomatici tra Sicilia e Gran Bretagna nel periodo napoleonico, John
Rosselli ha dedicato questo saggio, delineando il contesto nel quale, durante il “decennio inglese” si
determina quel particolare rapporto tra “occupante” e “occupato”.
14
caratterizzato dallo scontro militare ed ideologico tra Francia ed Inghilterra nel
Mediterraneo, la costituzione palermitana del 1812 venne a rappresentare
probabilmente, date le dimensioni e la posizione strategica della Sicilia, il prodotto
più importante di uno dei “laboratori di ingegneria costituzionale”…»
5
La presenza
Inglese fece circolare nell’area mediterranea modelli costituzionali alternativi a
quelli francesi, comportando l’elaborazione di carte costituzionali come quella del
Regno anglo-corso (1794), i progetti di costituzione per Malta (1802 e 1810), la
carta palermitana del 1812 e la carta degli Stati Uniti delle isole Ionie (1818). La
Costituzione Palermitana in particolare aveva lo scopo di rafforzare la presenza
inglese nel Mediterraneo. Lord Bentinck, a tal proposito, scriveva che «l’Isola
avrebbe potuto contribuire con estremo vigore alla conquista dell’Italia non con le
armi, ma con l’esempio della sua felicità. … Se, per volere del Principe, si darà alla
Sicilia una Costituzione che garantirà una libertà moderata e ragionevole al suo
popolo, e ne incoraggerà la felicità e la prosperità, allora riterrò la conquista
dell’Italia e la restaurazione di Napoli conseguiti per metà”.
6
» La missione di
Bentinck trovava terreno fertile in una Sicilia stanca della dipendenza dalla Corte
napoletana e con un retroterra culturale tradizionalmente aperto all’influsso inglese
sin dai sec. XVII e XVIII, grazie alla circolazione degli scritti di Locke a
Blackstone. Altro elemento di comunione era rappresentato dalla secolare presenza
di un Parlamento del regno, rimasto integro per Sette secoli. Un Parlamento feudale,
egemonizzato dall’aristocrazia e dalla sempre più forte borghesia rurale, e diviso in
tre bracci, autonomi l’uno dall’altro: militare, ecclesiastico e demaniale. Dal
Parlamento dipendeva il finanziamento del governo con la concessione del donativo
periodicamente richiesto all’assemblea, che aveva anche il potere di negarlo o
5
D. NOVARESE, Fra Common law e Civil law. Il jury nell’esperienza costituzionale siciliana (1810-
1815). Rivista di Historia Costitucional, n°3, 2002
6
NOVARESE, Fra Common law e Civil law. Il jury ….., cit., p. 2.
15
modificarlo. Proprio questa prerogativa parlamentare fu all’origine del conflitto tra
potere regio e aristocrazia.
7
2: Generale straordinario Parlamento
La nascita di uno Stato costituzionale siciliano si fondava sulla convergenza
d’interessi tra la Gran Bretagna e l’aristocrazia siciliana, la prima desiderosa di
mantenere la propria supremazia nel Mediterraneo e la seconda interessata a
mantenere intatto il proprio ruolo di ceto dominante.
8
L’esperimento costituzionale,
che nacque da questo connubio, era anche influenzato dalla diffusione della
7
E. PELLERITI, 1812-1848: la Sicilia tra due costituzioni, Milano, Giuffrè, 2000, p. XII. La crisi del
1810, fu generata dalla richiesta da parte del re Ferdinando IV di un donativo di 360.000 onze, per
finanziare una spedizione volta a riconquistare i territori regi in mano a Napoleone. Tale richiesta era
abbinata ad un progetto di riforma fiscale, elaborato dal ministro napoletano delle finanze Luigi De
Medici, che proponeva la distribuzione dei gravami fiscali tra i contribuenti eliminando la distinzione
per classi...sopprimendo quindi i privilegi dei ceti più alti, aristocrazia, alto clero e borghesia terriera.
Il Medici aveva però sottovalutato la capacità di manovra dell’aristocrazia siciliana, che si
organizzava in un partito autodefinito costituzionale e guidato dai principi di Belmonte e Castelnuovo,
rappresentanti del blocco aristocratico e dell’alto clero. Riunito in separata sede, concordò la
riduzione dell’ammontare del donativo e contrappose alla riforma tributaria governativa un progetto
dell’abate balsamo che salvaguardava gli interessi dei ceti privilegiati. La corte non accettò
quell’atteggiamento di sfida e, con un atto d’autorità, emanò tre decreti, con i quali disponeva
l’alienazione dei beni dei comuni e degli enti ecclesiastici di regio patronato e imponeva una tassa
dell’1% su ogni pagamento. I baroni non insorsero contro l’arbitrio del re, ma preferirono mantenersi
nell’ambito della legalità, contestando la legittimità dell’atto con un ricorso alla Deputazione del
Regno, firmato da 43 baroni parlamentari, che costituivano la parte più importante del braccio
militare. Tale Deputazione, che per procura del parlamento doveva difendere gli interessi della
‘Nazione Siciliana’, dichiarò l’imposta non lesiva dei privilegi siciliani, invocando a giustificazione di
tale decisione un capitolo di Giacomo D’Aragona, che autorizzava la Corona, in caso di guerra, a
riscuotere imposte senza convocare il parlamento. Inoltre la frattura tra i Baroni e la Monarchia si
spingeva al punto tale da provocare, con il decreto del 19 luglio 1810, l’arresto di 5 baroni firmatari
della protesta: i principi di Belmonte, di Castelnuovo, di Villafranca, da Aci e il duca d’Angiò. A
difesa dei costituzionalisti intervennero direttamente gli Inglesi che, grazie all’opera di Bentinck,
ministro plenipotenziario inglese presso la corte siciliana, liberarono i cinque baroni e allontanarono il
sovrano sostituendolo con il principe ereditario Francesco in qualità di vicario. Fu inoltre costituito un
governo filo britannico con Belmonte agli esteri, Castelnuovo alle finanze e Aci alla guerra. Prendeva
cosi il via quel processo di trasformazione politico istituzionale dell’isola dal profilo decisamente
separatista, anti bonapartista e anti borbonico.
8
PELLERITI, 1812-1848: la Sicilia…, cit., p. XV.
16
pubblicistica europea, in special modo francese, oltre che dai classici del pensiero
liberale britannico. La maturazione della classe politica siciliana andava rintracciata
nel diffondersi nell’isola delle opere di molti teorici del costituzionalismo inglese.
Si cominciava quindi a parlare insistentemente della necessità di dare un
nuovo ordinamento organico alla Sicilia. Nella sessione parlamentare dell’agosto del
1810, veniva fissata dal luogotenente generale principe ereditario Francesco
Gennaro la convocazione di un Parlamento straordinario, volto a discutere le Basi
elaborate dall’Abate Balsamo ma soprattutto destinato a redigere un testo
costituzionale, come suggerito dai principi di Belmonte e Castelnuovo.
Il vicario generale del regno, Francesco, invitava il Parlamento a provvedere
anche al miglioramento della legislazione. Si cercava di realizzare il passaggio da
una monarchia assoluta ad una costituzionale, legittimata dall’opera di un Parla-
mento sempre più dominato dalla leadership del braccio aristocratico e fondata sulle
basi dell’antica costituzione storica siciliana, che riportava gli assetti istituzionali e
la produzione normativa ad un originario patto tra monarchia e baroni.
Al Parlamento spettava quindi il compito di redigere un moderno testo
costituzionale, ma l’idea non soddisfaceva il principe di Castelnuovo, che riteneva,
forse a ragione, il disegno di una nuova costituzione opera di pochi, proprio per la
necessità di creare un corpo organico di leggi. Il Castelnuovo mostrò una certa
lungimiranza nel prevedere che il dibattito assembleare avrebbe potuto produrre un
corpus legislativo confuso e ambiguo, frutto di troppi compromessi. Ad insistere per
una “costituzione di tutti” fu proprio il Bentinck, anche se in realtà le linee essenziali
erano state già decise nel corso dei frequenti incontri tra il Principe vicario e i nuovi
ministri, con l’assistenza del ministro inglese, e soprattutto dall’Abate Balsamo, che
dopo la rottura con la corte e il governo e l’adesione al gruppo dei baroni anglofili e
costituzionali, era diventato a tutti gli effetti, l’ideologo del partito. La redazione
17
delle Basi
9
della Costituzione era da attribuire a lui, che teneva conto della
tradizionale cultura giuridica e dei vecchi Capitula Regni, riadattandoli alle esigenze
del momento e alla luce delle teorie di Blackstone, e avendo come guida la
costituzione d’Inghilterra
10
con la conseguente esclusione dei modelli costituzionali
più democratici o anche detti “rivoluzionari”
11
: come le Costituzioni francesi.
12
9
Le Basi dell’Abate Balsamo contavano 14 articoli. Ci si occupava di definire i doveri e i limiti dei
tre poteri, legislativo al Parlamento, esecutivo alla Corona e giudiziario alla Magistratura. Fu superata
l’antica divisione del Parlamento nei tre bracci per sostituirla con quella in due camere: dei Comuni,
elettiva di 155 deputati; e dei Pari, di nomina regia, della quale avrebbero fatto parte 185 membri
appartenenti al braccio militare e nominati dal re. I sussidi alla corona, ex donativi, dovevano essere
votati dalla camera dei comuni. L’impianto giuridico, chiaramente ispirato al modello inglese, portava
all’indipendenza del potere giudiziario, anche se la scelta dei magistrati spettava alla corona.
Sicuramente l’articolo più innovativo in questa situazione era quello riguardante l’abolizione della
feudalità,condizionata dal contrappeso della trasformazione del feudo in allodio,ovvero proprietà
assoluta, libera da ogni feudale prestazione. Principio finalizzato in teoria alla protezione dei sudditi,
ma in realtà diretto al rafforzamento della grande proprietà aristocratica, ecclesiastica e alto borghese.
Cfr. in proposito PELLERITI, 1812-1848: la Sicilia…,cit.
10
G. BIANCO, La Sicilia durante l’occupazione inglese (1806-1815),Palermo 1902, p. 123: Il
principe Vicario, diffidando di una Costituzione fondata sulle leggi fondamentali siciliane, ovvero sui
Capitula regni, fondanti dei privilegi baronali, chiedeva al ministro Castelnuovo di effettuare una
riforma al fine di rendere il progetto uguale alla Carta Britannica, che dichiarava di voler recepire in
toto. Cfr: A. ROMANO, Costituzione politica della Monarchia Spagnuola, Messina. La scelta inglese
era strumentale all’acquisizione di un’efficace protezione britannica, sia dell’isola che della
monarchia. Si configurava cosi un Parlamento fornito solo di poteri di proposta. Maturava cosi la
scelta inglese che rispondeva agli interessi sia della monarchia che dell’èlite baronale. La scelta però
non risultava particolarmente gradita a Lord Bentinck, che riteneva la Costituzione inglese non
sufficientemente nota per essere recepita letteralmente. Era evidente l’intenzione di non legare
eccessivamente l’immagine delle istituzioni d’Inghilterra all’incerta sorte della Sicilia costituzionale.
11
P. BALSAMO,, Segrete memorie della istoria moderna del Regno di Sicilia, p. 95.« Ai primi di
febbraio ne discorsero i principi di Belmonte e Castelnuovo con l’Abate Balsamo segretamente, e
d’accordo risolsero di occuparsene….con rigettare i principi della Costituzione francese e spagnuola,
che sono troppo democratiche e perciò tendenti all’anarchia.» Il brano evidenziava l’ostilità degli
ambienti aristocratici siciliani nei confronti del modello costituzionale monocamerale spagnolo.
Inoltre, l’adesione al modello britannico non contemplava i principi liberali. Era anzi un modo per
spostare gli equilibri della legislazione vigente a favore dei Baroni ed a discapito della monarchia e
del ceto borghese. Cfr: A. ROMANO, Costituzione politica della Monarchia Spagnuola, cit.,
Messina, Nota 78. Inoltre, considerando che la Costituzione Spagnola era stata promulgata il 19
marzo e questi discorsi risalivano invece al mese di febbraio, si doveva supporre che il Proyecto
gaditano fosse conosciuto a Palermo già poco dopo che Augustin Arguelles ne aveva illustrato i
contenuti alle Cortes.
12
M. GANCI, 150’ anniversario della rivoluzione del 1848 in Sicilia, Convegno di studi, Palermo
25,26,27 marzo 1998, p. 9. Il Principe vicario Francesco, con dispaccio regio del 1 maggio del 1812,
convocava il Parlamento costituente di Palermo che dal 19 luglio al 4 novembre avrebbe svolto il suo
mandato sulla falsariga delle Basi prefissate dall’Abate Balsamo. Il ministro inglese, Lord Bentinck,
ricopriva un ruolo di primo piano nell’iter dei lavori. Era stato proprio lui, insieme ai Principi di
Belmonte e Castelnuovo, a dare l’incarico all’Abate Balsamo di redigere il piano della Costituzione,
con la direttiva che fosse il più possibile vicino ai vecchi statuti del regno di Sicilia. Inoltre ritenne
opportuno il confronto assembleare durante la redazione del testo, con la conseguenza che, a causa
delle continue mediazioni politiche, il piano della Costituzione fu sfigurato. Il clima era viziato da
sospetti e invidie, le scelte fondamentali erano state fatte in conferenze dal carattere privato, cosicché
le alterazioni apportate al testo erano sempre dirette a tutelare interessi e privilegi dei baroni.
18
2.1: Elaborazione ed approvazione del testo
La prima fase dell’attività del Parlamento
13
si concludeva il 19 luglio, con la
votazione e approvazione congiunta, da parte dei tre bracci, dei 15 articoli delle Basi
della costituzione. Il testo era differente da quello originariamente predisposto dal
Balsamo. Solo 12 articoli su 15 ottenevano la sanzione Regia (Placet) dopo essere
stati sottoposti al Consiglio di Stato. Le modifiche riguardavano la sottrazione al
sovrano della nomina dei giudici, l’introduzione di un indennizzo ai proprietari per
l’abolizione dei diritti angarici sui fondi e l’attribuzione al Parlamento
dell’amministrazione della rendita pubblica in sostituzione del Re. La maggioranza
13
Considerato il clima d’opposizione alla riforma del regno, il Principe di Castelnuovo e gli altri
esponenti del partito costituzionale si trovavano ad affrontare i problemi riguardanti l’elezione dei
membri del Parlamento costituente. L’obiettivo che si prefissavano era quello di far eleggere il
maggior numero possibile di rappresentanti favorevoli alla riforma ma si scontrarono con un gruppo
di baroni provinciali. Costoro, costituenti un’organizzazione segreta ostile ai cambiamenti
istituzionali, si procurarono le prove di un illecito acquisto di procure parlamentari da parte del
principe di Ventimiglia, il quale, data la fermezza dei Baroni, dovette rinunciare a sei procure. Per
quanto riguarda il braccio militare, l’influenza dei principi di Belmonte e Castelnuovo riuscì a far
ottenere al partito costituzionale il maggior numero di mandati. I problemi maggiori si riscontrarono
nel braccio demaniale, poiché i membri erano nominati dalle città aventi diritto di rappresentanza in
parlamento. Messina dava la sua procura al principe di Castelnuovo il quale la conferiva al
Ventimiglia, rappresentante anche della città di Catania. Le altre città e terre demaniali conferivano le
proprie procure a sostenitori delle riforme costituzionali. Palermo negava la procura al suo pretore,
conte di san marco, nobile, ben visto alla corte Borbonica, e conseguentemente non entusiasta della
riforma costituzionale in atto. Lo stesso fu costretto a dimettersi da una sommossa popolare e fu
sostituito dal Principe di Lampedusa. Il 18 giugno 1812 si assisteva all’apertura del “Parlamento
costituente”che si riuniva alla presenza del Principe vicario nella sala del trono del palazzo reale.
S’inaugurarono i lavori parlamentari con la lettura da parte del principe di Valdina del discorso
redatto dal principe ereditario Francesco, improntato sulla necessità di migliorare le leggi del regno
sull’esempio della costituzione inglese. L’attività del Parlamento costituente si può dividere in due
fasi: una prima che va dall’apertura al 19 luglio, nella quale furono discusse e approvate le ‘Basi; la
seconda, che si conclude il 7 novembre con l’elaborazione e approvazione del testo costituzionale.
All’inaugurazione seguivano le adunanze dei tre bracci, separate e segrete. A capo del braccio
baronale c’era il principe di Butera, del braccio ecclesiastico Monsignor don Raffaele Mormile,
arcivescovo di Palermo, del braccio demaniale il principe di Lampedusa, nuovo pretore di Palermo. I
discorsi pronunziati all’interno dei bracci non erano riportati dal protonotario del Regno, il quale
verbalizzava solo le proposte votate e le proteste del braccio che, nelle sedute comuni, rimaneva in
minoranza. Le sedi delle riunioni erano diverse a seconda dei bracci. Quello ecclesiastico si riuniva
nel seminario Arcivescovile, il braccio demaniale nel palazzo senatorio e quello baronale nel collegio
dei gesuiti. Le sedute comuni avvennero inizialmente, e fino all’approvazione delle Basi, nel
seminario Arcivescovile. Dal 22 agosto si scelse come nuova sede del parlamento il collegio massimo
dei padri Gesuiti. Cfr. in proposito PELLERITI, 1812-1848: la Sicilia…,cit.
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dell’aristocrazia era stata indotta dalle notevoli difficoltà finanziarie ad accogliere un
generico programma di abolizione della feudalità. Mirava ovviamente ad una
soluzione che andasse a suo esclusivo vantaggio, liberando beni nobiliari da vincoli
e aggravi, ed aprendo la via ad una più facile usurpazione dei terreni destinati
all’esercizio di usi civici. In particolare all’Art 13° si deliberò che i diritti angarici ai
quali si rinunciava dovevano essere indennizzati dai vassalli con il « 5% sul fruttato
della gabella esistente o comunque calcolando gli interessi sui dati dei libri di
secrezia », il che rappresentava un indubbio vantaggio per i Baroni. Inoltre, sulla
base delle antiche prerogative della Deputazione del regno, si stabilì all’Art 10° che
al Parlamento venisse riservata l’amministrazione finanziaria del Regno. Tale
articolo, che violava apertamente il principio della divisione dei poteri, da un lato
dimostrava quanto la maggioranza dei Baroni fosse ancora lontana dal comprendere
il concetto di moderno ordinamento costituzionale, dall’altro evidenziava la
preoccupazione degli stessi di «non perdere quei favori relativi all’esazione di
tributi e donativi». Le divergenze maggiori si verificarono durante la discussione
sulla soppressione dei fedecommessi, proposta dal braccio demaniale. La
maggioranza della nobiltà, con alla testa il principe di Belmonte, si batteva per la
tutela giuridica della proprietà nobiliare, al fine di impedirne la dissoluzione. Il
proposito che l’aristocrazia si era prefissata, dando avvio alla riforma costituzionale,
era sempre più evidente. Si trattava di porre, su più salde basi, il dominio
esclusivistico della nobiltà; sul piano economico, grazie all’usurpazione delle
antiche terre demaniali, l’indennizzo dei diritti privativi e proibitivi, e la conquista di
maggiore libertà dei beni feudali, garantiti dalla conservazione del fedecommesso;
sul piano politico, mediante la creazione di un Parlamento dotato di più vasti poteri e
dominato dalla nobiltà. A tal proposito, era da notare il tentativo del Belmonte di
fissare un censo elevato per l’elezione della Camera dei comuni al fine di ridurne i
componenti. Questa politica finiva per svuotare di contenuto la stessa riforma
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