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«Quando le persone cominciano a scrivere pensano di dover scrivere qualcosa di
definito […]. Credo che ciò sia fatale. Lo stato d’animo con cui mettersi a scrivere
è : “Devo proprio raccontare una storia interessante. Spero che interessi
qualcuno. Comunque è il meglio che posso fare per ora.” Se si adotta questa
linea di condotta, si comincia a lavorare e non ci si pensa più».
(Bowlby,citato in Hunter,1991)
INTRODUZIONE
William James, uno dei padri della psicologia, affermava “Agisci come se
quel che fai facesse la differenza. La fa.” Il presente lavoro nasce con l’obiettivo di
farla questa differenza puntando a lasciare un’impronta positiva nei soggetti
coinvolti e in chi deciderà di addentrarsi pagina dopo pagina nel viaggio di lettura e
di scoperta. Si tratta di un progetto di ricerca intervento che inizia a prender forma
nelle ore di tirocinio universitario in una Scuola Materna per poi concretizzarsi in
una e vera e propria esperienza diretta. Il fine principale è quello di analizzare la
serenità del bambino rispetto all’ attaccamento con i suoi punti di riferimento
maggiori, i quali dovrebbero essere per lui fonti principali di sostegno, accoglienza
e risposta ai bisogni in modo tale da garantire un percorso di crescita che un giorno
lo farà essere autonomo e forte così da riuscire a camminare con le proprie gambe
facendo il suo ingresso nel mondo con fiducia. Addentrarsi poi nel comprendere
come il piccolo si sente nella propria casa, rifugio per eccellenza, per poi osservare
e capire l’influenza che ciò ha sui comportamenti all’interno delle mura scolastiche.
Come uno “specchio riflesso” esaminare anche la visione del careviger rispetto alle
impressioni del proprio figlio per coglierne le similarità o le eventuali discordanze.
Ciò permesso attraverso due strumenti che tendono a completarsi a vicenda per
diventare poi un’unica informazione fondamentale per la comprensione della realtà
di ogni singolo soggetto : il disegno come forma espressiva libera e naturale, come
mezzo di comunicazione senza limiti del proprio mondo interiore complesso e
pieno di sfaccettature e l’intervista come dialogo più strutturato e guidato, ma se
ben utilizzato, in grado di abbattere meccanismi difensivi facendo emergere bisogni
o problematiche relazionali attuando riflessioni sulle proprie storie personali. In
questa prospettiva sottolineare il ruolo chiave assunto dall’insegnante come ponte
indispensabile soprattutto tra genitori fragili e bambini smarriti. L’intento è quello
di superare i confini per costruire un triangolo educativo vincente dove il dialogo
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non è più un limite bensì un punto di forza in cui il genitore, o chi ne fa le veci, si
senta in diritto di aprirsi verso chi passa con loro buona parte della giornata ed è in
dovere perciò di conoscere il vissuto degli alunni poiché quando questi fanno
ingresso nella scuola lo fanno portando,oltre a tanta voglia di apprendere, anche le
loro poche ma intense esperienze provate fino a quel momento. L’insegnante deve
perciò comprendere tutto ciò, alleandosi con il genitore, per diventare anche essa
un porto sicuro e una base sicura per il bambino il quale un giorno, quando
risplenderà di luce propria, sarà grato di tale cura.
Il medesimo panorama di ricerca si modella partendo da John Bowlby
pioniere della Teoria dell’Attaccamento, sviluppatasi negli anni ’60 del “secolo
breve”, ma ancora oggi molto discussa soprattutto dalle neuroscienze. La Teoria
dell’Attaccamento focalizza con estrema attenzione le prime relazioni instaurate
dal bambino con chi si assume il compito di crescerlo ed educarlo, per poi
considerare le conseguenze che tali legami hanno nella sua vita arrivando ad
influenzare il suo sviluppo e le sue competenze sociali e relazionali. Oggi gli studi
hanno avvalorato l’importanza delle prime esperienze vissute nell’infanzia
spiegando quanto queste determinino i sistemi dei neurotrasmettitori finalizzati a
mediare aspetti sociali e relazionali all’interno del nostro cervello, permettendone
quindi lo sviluppo più o meno funzionale. E’ chiaro quindi che l’attaccamento del
bambino nei confronti del careviger nei primi anni di vita è un prerequisito
fondamentale e soprattutto assolutamente non trascurabile poiché ogni rapporto
futuro, soprattutto quello coniugale, sarà influenzato dal contesto emotivo di cura e
protezione in cui si è stabilito tale attaccamento.
L’educatore o l’insegnante è una delle prime figure, dopo il genitore, che si
affaccia nella vita dell’infante e che diventerà poi per lui un ulteriore punto di
ancoraggio soprattutto nei nostri giorni in cui,prima dell’ingresso alla Scuola
Primaria, la maggior parte dei bambini ha vissuto esperienze di scolarizzazione. Il
ruolo dell’insegnante tende ad acquisire importanza quando il bambino ha avuto
esperienze negative con il genitore perché la relazione può diventare per lui uno
strumento per ri-acquisire fiducia nel mondo degli adulti.
Il lavoro si articola in tre capitoli.
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Il primo capitolo esamina la Teoria dell’Attaccamento dalla formulazione del
1969 fino ad addentrarsi nei successivi lavori dei collaboratori accennando le
sfumature attuate oggi dalle neuroscienze. Partendo dagli studi etologici e
psicoanalitici si sottolinea ogni step necessario per la costruzione del legame e del
sistema di attaccamento, con i relativi comportamenti ad essi correlati,
soffermandosi maggiormente sui possibili fattori di disagio. E’ definita come
teoria spaziale, in cui il benessere dell’individuo deriva dalla vicinanza di chi si
ama, mentre l’ansia si origina proprio quando si è soli (Holmes,1993).
L’attaccamento inizia a svilupparsi nell’individuo fin da subito dopo la nascita,
periodo in cui si cominciano a differenziare le persone a cui si fa maggior
riferimento, anche se sarà poi effettivamente al sesto mese che il bambino diventa
protagonista di quei comportamenti di attaccamento che condizioneranno tutta la
sua vita, “…dalla culla,alla tomba” (Bowlby, 1988). Vengono poi descritti i
principali pattern di attaccamento attraverso la procedura della Strange Situation
studiata e messa in pratica dall’allieva Mary Ainsworth osservando il legame
esistente tra la madre ed il proprio figlio e il concetto quindi di careviger come
base sicura. Si passa poi a parlare dei Modelli Operativi Interni che
corrispondono in altri termini alla rappresentazione interna che ognuno ha di se
stesso, delle proprie figure di attaccamento, del mondo esterno e delle relazioni
che intercorrono tra queste rappresentazioni, una sorta di mappa interna utilizzata
dal bambino per avere delle previsioni o delle aspettative sulla propria vita
relazionale. Infine sempre nel primo capitolo viene analizzato il disegno
considerato come una delle migliori possibilità di espressione emotiva e personale
di un individuo (Ferrraris, 2006), con particolar attenzione a quello della famiglia
che soprattutto nei primi anni è per il bambino il contenitore ed il contenuto di
ogni prima esperienza, e perciò attraverso di esso esprimerà il suo amore se è stato
destinatario di cure attente o il bisogno di aiuto se è vittima di trascuratezza e
accudimento errato. L’insegnante potrà utilizzare ciò come guida per il percorso
di conoscenza delle emozioni e dei sentimenti del bambino.
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Il secondo capitolo vede protagoniste due grandi istituzioni educative la
famiglia e la scuola il cui punto comune principale è la sacra responsabilità di
crescita dei bambini per aiutarli a diventare persone capaci di vivere nel mondo.
Dato il loro immenso compito non può non sussistere fra di loro un’alleanza che
implichi dialogo, ascolto e collaborazione. Spesso ciò manca in nome di una
difficoltà di comunicazione, di pregiudizi e sentimenti concorrenziali in cui si tende
a responsabilizzare l’altro : ciò deve essere necessariamente superato in nome di
una partnership funzionale dove non ci sono né vincitori né vinti quanto piuttosto
protagonisti alleati in quello che Bronfenbrenner (1986) definisce “mesosistema”.
Come una lente di ingrandimento si analizza poi da una parte la relazione genitore-
bambino e l’indispensabile stabilità affettiva che deve essere presente come
sinonimo di sicurezza,riparo e affetto e dall’altra la relazione insegnante-bambino,
tracciando un excursus sugli attaccamenti multipli e quindi il superamento del
concetto di monotropismo bowbliano,grazie soprattutto agli studi di Van Ijzendoor
(1997), Pianta (1999), Cassibba (2003), concentrandosi su quello
dell’educatore/insegnante candidato perfetto, per diventare punto di riferimento
principale, se posto ovviamente in maniera presente e disponibile, investendo
emotivamente ed accogliendo il bambino nel suo nuovo mondo sociale.
Il terzo capitolo è la conclusione di questo percorso ma anche un ipotetico
punto di partenza per esplorare la realtà dei bambini, comprenderne la personalità
e lo stato emotivo. Questo capitolo presenta il mio lavoro di ricerca sul campo, il
quale è stato articolato come segue : l’osservazione, concentrata soprattutto nelle
20/30 ore iniziali, è stata la prima operazione che ha permesso di entrare in
contatto con i bambini protagonisti. Inizialmente ci si è limitati a guardare le
attività dei piccoli per fare un quadro generale, in un secondo momento si è
cominciato ad osservare più specificatamente i legami instaurati tra pari e con le
maestre di riferimento, con attenzione particolare ai comportamenti che
risultavano più problematici, cercando di constatare quanto questi comportamenti
fossero isolati o ripetuti nel tempo. I segnali sul tipo di relazione familiare del
bambino erano colti maggiormente al momento del saluto dell’entrata o
all’incontro dell’uscita con i genitori, ma anche dai racconti della propria casa, dei
propri careviger, le parole utilizzate nel farlo e lo stato d’animo nel parlarne.
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L’osservazione e i dati raccolti hanno permesso poi di mettere in pratica
l’azione concreta del lavoro che ha visto due cicli di disegni per i bambini e uno
per i genitori. Il primo disegno dei bambini è stato finalizzato alla rilevazione delle
sensazioni legate alla propria casa, spazio teoricamente di unione e condivisione
affettiva e le emozioni correlate, permettendo una prima percezione di una
situazione più o meno serena. La richiesta della rappresentazione del “Come mi
sento a casa” è stata poi seguita, a distanza di giorni, dal disegno improntato più
specificatamente sulla famiglia. Le modalità di orario, stanza,materiale e divisione
in gruppi sono state identiche soltanto si è deciso di affrontare la tematica della
famiglia più strettamente legata ai ruoli dei careviger, al rapporto che intercorre fra
loro, con il proprio figlio ed eventuali fratelli. Il bambino rappresentava la propria
famiglia in estrema libertà collocandola dove meglio sentiva e preferiva. Tutto ciò
ha permesso di avere una panoramica più completa, potendo confermare o meno le
informazioni ricavate dal primo disegno. Concluso con i bambini si è fatta poi
medesima richiesta ai genitori di rappresentare l’idea di famiglia con particolare
attenzione sulle sensazioni legate alle proprie case. Tutto ciò è stato poi
successivamente raccontato attraverso delle interviste che hanno permesso di
delucidare e di cogliere sfumature soprattutto nei casi più disagevoli. Le due
interviste rivolte ai bambini sono state caratterizzate da domande flessibili ed
adattabili all’età e alla loro capacità colloquiale in modo da permettergli poi di
prendere autonomamente la piega del racconto esprimendosi liberamente e senza
freni. Entrambi le interviste son partite dal racconto della propria rappresentazione
per poi addentrarsi nei particolari della famiglia e dei rapporti instaurati in essa e
del clima vissuto nella propria casa. Durante l’intervista i genitori, invece, hanno
ripercorso, per quanto possibile, il loro passato legato agli aspetti più importanti del
rapporto con i propri careviger e gli attimi più significativi della propria infanzia,
per poi tornare con il pensiero sul presente, su ciò che hanno costruito e su quanto
questo sia stato influenzato o meno dagli eventi passati ed infine una prospettiva di
futuro per capire dove migliorare, dove intervenire ma anche dove chiedere aiuto.
“Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo che
percorriamo ci rendiamo conto di come era pericoloso rimanere fermi.”
Roberto Benigni
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Capitolo 1
L’attaccamento e il disegno della famiglia
“L’attaccamento intimo agli altri esseri umani costituisce il perno attorno a cui
ruota la vita di una persona, non solo nell’infanzia, nella pubertà,
nell’adolescenza, ma anche negli anni della maturità
e poi, ancora nella vecchiaia.”
Bowlby (1988)
1.1 La teoria dell’attaccamento : John Bowlby
L’attaccamento originario svolge una funzione fondamentale per la sicurezza
interiore di una persona tanto da andare a caratterizzare l’intera vita di
quest’ultima, perciò ben si comprende quanto dietro una semplice parola ci sia un
mondo da scoprire, da esplorare e soprattutto da conoscere, perché ciascuno deve
essere in grado di donare all’altro la fiducia necessaria per affrontare la vita con i
suoi numerosi ostacoli. Il percorso di esistenza di ognuno sarà un vortice di
incontri, di persone che lasceranno segni forti, alcune delle quali, vittime delle
proprie battaglie personali, feriranno colpendo come fulmini, altre sapranno donare
preziosamente saggi consigli, qualcuno rimarrà impresso in modo indelebile
mentre qualcun altro sarà così sordo davanti agli appelli e ai bisogni, da diventare
una vera fonte di dolore. Amore, amicizia, incroci casuali, passanti, sguardi
penetranti, sorrisi strappati, dolce malinconia, emozioni. Questa è la vita, questo è
ciò che deriva dai rapporti umani ma soprattutto questa è la risposta per cui è così
di fondamentale rilevanza focalizzarsi sull’attaccamento, sui primi momenti di
relazione del bambino poiché, altro non fanno, che gettare le basi sulle quali, poi, si
costruiranno le interazioni future e i comportamenti sociali. E le basi principali in
ogni costruzione che tenga, devono essere fissate saldamente dall’inizio, per poter
poi sorreggere l’immensa “impalcatura” della vita.
Il bisogno di essere nutrito, desiderato, coccolato, assistito, il contatto fisico e
i giochi, tutto questo è sperimentato dal bambino insieme alla madre o alla figura
che lo accudisce ed è essenziale che da ciò egli capisca di essere amato, per poi a
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sua volta imparare ad amare, ad acquisire il valore e la conoscenza del proprio Sé.
Non a caso Bowlby nel 1951 all’interno dell’opera intitolata“Maternal Care and
Mental Health
1
” in relazione alle sue prime ricerche affermava : nel bambino la
fame dell’amore e della presenza materna è non meno grande della fame di cibo.
“Tutto è iniziato negli anni ‘30, tra il 1936 e il 1940. Lavoravo come
psichiatra dell’infanzia a Londra mentre completavo il mio training in psicanalisi.
Uno dei concetti a cui mi interessai molto presto fu l’importanza delle prime
relazioni genitore-figlio e la misura in cui esperienze avverse, all’interno della
famiglia, avrebbero potuto avere un effetto negativo sulla salute fisica e mentale
del bambino.”
E’ così che John Bowlby, psicanalista e psichiatra inglese (n. Londra 1907 –
m.1990) divenuto famoso per una ricerca, redatta negli anni ’50, sulla salute
mentale dei bambini senza famiglia presso l’OMS
2
, esordisce in un’intervista con il
professor Leonardo Tondo
3
parlando dell’origine dei suoi studi sull’attaccamento.
Egli in questo lavoro si concentrò principalmente sulla privazione ossia
sull’assenza di qualcosa di cui si ha bisogno, di cui il bambino nel particolare ha
bisogno (Holmes,1994). In quel periodo tutti gli studiosi concordavano sull’assunto
che nei primi 12 mesi di vita il bambino sviluppa un forte legame con la figura
materna anche se, ciò, suscitava non poche divergenze e disaccordi sulla natura di
tale rapporto, sulle tempistiche e sulle funzioni. Considerando le quattro teorie
psicoanalitiche e psicologiche delineate sull’origine di questo discusso legame,
Bowlby in un primo momento sviluppò la teoria partendo proprio da una revisione
di quest’ultime, soprattutto basandosi su quella della suzione primaria dell’oggetto
4
1
“Cure materne ed igiene mentale del fanciullo”.
2
OMS : Organizzazione Mondiale della Sanità.
3
Tondo Leonardo (1990), “Intervista a John Bowlby. Londra 1990”, State of mind – il giornale
delle scienze psicologiche, Internet : http://www.stateofmind.it/2012/06/john-bowlby-intervista/
4
“Il bambino ha una tendenza innata a entrare in relazione con un seno umano, a succhiarlo, e
a possederlo oralmente. A suo tempo il bambino impara che, attaccata, al seno, c’è una madre, e
quindi stabilisce una relazione anche con lei.” Freud formula una descrizione di questa teoria,
definita “Teoria pulsionale classica”, in cui spiega come la madre fornisca il veicolo necessario per
la scarica della libido, in altre parole attraverso il seno il bambino soddisfa il suo bisogno di
nutrimento e manifesta la sua sessualità infantile. Bowlby J., Attaccamento e perdita,vol.1:
L’attaccamento alla madre,Torino,Boringhieri, 1972, pag. 180.