Nella pubblicità e nell’analisi dei suoi messaggi abbiamo individuato uno specifico
campo applicativo, utile per poter verificare con mano la reale efficacia cognitiva di una
scienza dei segni.
Il marketing infine, di cui la pubblicità non è che una singola espressione, ci
fornisce un punto di vista più dinamico, un contesto più profondo e più prolifico entro il
quale considerare ed interpretare i risultati dell’analisi semiotica, evitando così di
lasciare quest’ultima a un livello statico e dalle ristrette conseguenze pratiche.
Ecco così che arriviamo a definire il tema generale di questa tesi e a dare una
sistemazione alle idee che ne stanno alla base: servirsi della prospettiva semiotica per
esaminare dei filmati pubblicitari contestualizzati in un più ampio e fecondo discorso di
marketing, capace di andare oltre la mera analisi descrittiva. In termini più pratici e
diretti, analizzare con strumenti semiotici alcuni spot per comprenderne i sensi veicolati
e studiarne l’apporto alla creazione dell’immagine complessiva della marca.
Volendo essere più specifici, crediamo di riuscire, grazie all’approccio semiotico, a
verificare e valutare il successo della comunicazione dell’identità attraverso lo spot
televisivo; e proprio in tale convinzione sta la tesi che tenteremo di dimostrare nello
svolgimento di questo lavoro. Lo faremo ovviamente analizzando diverse pubblicità di
due marche e cercando di tracciare anche il percorso storico dell’attività promozionale
di queste, fino a pervenire a delle conclusioni favorite dal confronto dei due studi.
Nel fare ciò abbiamo ritenuto opportuno suddividere l’elaborato in tre parti, ognuna
delle quali riconducibile a una specifica fase del lavoro analitico; le prime due
preparatorie e introduttive alla terza di carattere prettamente pratico.
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Nel primo capitolo, concernente la preparazione del terreno d’azione, ci
occuperemo principalmente dell’incontro tra la disciplina semiotica e il mondo del
marketing, sia per quanto riguarda i contributi teorici già esistenti sul tema sia per
definire quale punto di vista prediligiamo nello svolgimento della tesi. Ripercorreremo
quindi per grandi linee quella che è la ‘storia’ dell’approccio semiotico al marketing, dai
primi tentativi degli anni Sessanta del semiologo francese Roland Barthes e di Umberto
Eco ai più recenti sviluppi sociosemiotici, e cercheremo di approfondire in maniera più
tecnica alcune delle premesse fatte in questa introduzione e riguardanti l’idea di
partenza da cui scaturisce il resto del lavoro.
Ma in che modo abbiamo intenzione di portare avanti un discorso sui temi esposti
nel primo capitolo, e perché proprio in tale modo? A questo rispondiamo nel secondo
capitolo, al quale spetta la presentazione dell’oggetto di studio e dei mezzi che
intendiamo adoperare; è qui che spiegheremo il perché dell’analisi di un testo
pubblicitario ed è qui pertanto che focalizzeremo l’attenzione sui contenuti selezionati e
sul metodo adoperato, motivandone naturalmente la scelta.
Per quanto riguarda i primi illustreremo anzitutto la forma spot e le sue peculiarità;
quindi la scelta di operare su esempi di uno specifico prodotto, la birra, e di
conseguenza sulle strategie di marketing inerenti il mercato birraio italiano; infine
circoscriveremo ulteriormente i confini del nostro sguardo a due determinati case
history, facendo cadere la scelta sulle due realtà più rilevanti e probabilmente più
famose di questo mercato, vale a dire l’italiana Peroni e l’olandese Heineken. Questo ci
consente di operare con un corpus compatto e ben preciso, non eccessivamente vago e
ampio da risultare dispersivo ma neanche tanto ristretto dal finire col perdere di
significato.
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In quanto agli strumenti invece mostreremo le ragioni che ci hanno indotto a
elaborare un nostro schema di analisi, con l’obiettivo di racchiudere in un solo metodo
ben calibrato tutti gli aspetti salienti e i concetti più validi incontrati nelle ricerche
bibliografiche sul tema; vedremo quindi quali autori e quali teorie hanno maggiormente
contribuito ad uno studio semiotico dello spot e, di questi, quali elementi abbiamo
deciso di prendere in considerazione nel mettere a punto, a vantaggio di una trattazione
più completa, una metodologia personale in grado di comprendere i meccanismi di
produzione del senso alla base dei messaggi esaminati.
Il terzo e ultimo capitolo, come già accennato, è quello relativo all’analisi concreta
e vi si procederà quindi con l’applicazione degli strumenti descritti alla lettura dei testi
pubblicitari prima della birra Peroni e poi della Heineken, seguendo l’evoluzione della
comunicazione pubblicitaria portata avanti da ognuna delle due aziende nel corso degli
anni, con le eventuali incongruenze, i cambiamenti di rotta, gli assestamenti e le
conferme. Naturalmente si tenterà di tracciare anche un quadro comparativo per trarre le
più interessanti conclusioni dal confronto dei due casi.
Proprio le conclusioni finali saranno il punto d’arrivo dell’intero lavoro, non a
semplice carattere riassuntivo o di commento ma in funzione di chiusura del discorso
che qui abbiamo cominciato con i relativi presupposti, quesiti e propositi. Cercheremo
così di spiegare in che modo gli spot comunicano l’immagine del brand e perché gli
strumenti di un approccio semiotico al marketing si sono dimostrati indispensabili alla
nostra peculiare analisi sulle strategie di comunicazione dell’identità di marca.
Dedico questo lavoro ai miei genitori per avermi sostenuto, anche
inconsapevolmente, in ogni singolo giorno di questo mio percorso universitario.
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CAPITOLO PRIMO
UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
1.1. Perché la semiotica applicata al marketing
Cominciamo subito col presentare meglio i due mondi che in questa tesi vogliamo
far incontrare, cercando di capire in che modo questa collaborazione può rivelarsi
proficua.
Il marketing, termine traducibile alla lettera come “fare mercato”, può essere
descritto come quel ramo della scienza economica che si occupa di tutto quanto
concerne il commercio, dalla creazione di un marchio o un prodotto alla vendita di
questo, passando per le più svariate operazioni come la decisione del prezzo, la
distribuzione ai punti vendita, la selezione del target di riferimento, la comunicazione e
la promozione verso questo target e tutto quant’altro riguarda le azioni aziendali
destinate al piazzamento dei prodotti sul mercato. L’American Marketing Association
nel 1985 ne dava la seguente definizione
1
: “Il marketing è il processo di pianificazione e
realizzazione della concezione, della definizione del prezzo, della promozione e della
distribuzione di idee, beni e servizi al fine di creare scambi che consentano di
conseguire gli obiettivi di individui e organizzazioni”. È certamente interessante per la
1
Cfr. il sito internet http://it.wikipedia.org/wiki/Marketing per questa e per la successiva definizione
della AMA.
8
nostra esposizione riportare la definizione più recente che la stessa AMA dà del
marketing: “Una funzione organizzativa e un insieme di processi volti a creare,
comunicare e trasmettere un valore ai clienti, ed a gestire i rapporti con essi in modo che
diano benefici all’impresa ed ai suoi proprietari”. Notiamo facilmente, e teniamo
presente per il seguito, come l’attenzione si sia spostata su un concetto nuovo, quello di
‘valore’, che è andato a sostituire il precedente trittico ‘idee, beni e servizi’; ma prima di
approfondire quest’aspetto vogliamo dare un’ultima definizione stavolta di colui che è
ritenuto il padre del marketing moderno, Philip Kotler, e che lui stesso chiama
“definizione manageriale”:
«Il marketing è stato spesso descritto come “l’arte di vendere i prodotti”, ma […] la
vendita è solo la punta dell’iceberg del marketing. […] Lo scopo del marketing è
quello di conoscere e comprendere il cliente a tal punto che il prodotto o servizio è
talmente adatto alle sue esigenze da vendersi da solo» (2004, trad. it. pp. 12-3).
Dunque ciò che possiamo desumere è che il marketing agisce con mezzi e in modi
tali da convincere un individuo a ‘comprare’ sul piano concreto un determinato bene o
servizio, su un piano più astratto un determinato valore, perché a lui particolarmente
adatto; ma per poter comprare un valore la persona deve condividerlo o identificarvisi e
quindi possiamo concludere, in questa prima istanza, che per conseguire i propri
obiettivi il marketing deve produrre e comunicare adeguatamente valori condivisibili
dal cliente.
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E veniamo adesso al secondo campo di studi. In estrema sintesi, la semiotica o
semiologia
2
è la scienza che studia i segni, intesi come “aliquid stat pro aliquo”,
qualcosa che rimanda a qualcos’altro, nonché la loro produzione, trasmissione e
interpretazione; più precisamente e volendo andare al di là di una semplice definizione,
il segno va pensato come “un evento che rende possibile una relazione di rinvio tra un
primo elemento di ordine sensoriale e un secondo di ordine intellettuale […] e l’oggetto
di studio della semiotica non è costituito né dagli elementi di tipo sensoriale
(espressioni) né dagli elementi di ordine intellettuale (contenuti), ma dalla loro relazione
di rinvio (significazione)” (Marrone, 2001, p. 11). La semiotica studia, quindi, il
fenomeno della significazione e nel momento in cui questo meccanismo viene attivato
in maniera intenzionale e utilizzato per le relazioni tra soggetti si ha la comunicazione.
Già a questo primo livello di riflessione possiamo individuare dei punti di contatto
tra gli studi semiotici e il discorso di marketing, delle ragioni in grado di giustificare
l’approccio dei primi verso il secondo. Studiando i fenomeni di significazione, e quindi
di comunicazione, la semiotica infatti non può escludere dal suo sguardo d’analisi molte
delle operazioni di marketing, che ha nella comunicazione, non solo al pubblico ma
anche agli stessi soggetti interni all’azienda, un aspetto cruciale per la realizzazione dei
suoi obiettivi. Questa affermazione, per quanto possa sembrare banale, è già di grossa
portata perché mostra come comunicare, produrre cioè un significato che dovrà poi
essere interpretato, sia a tutti i livelli, e tanto più a quello lavorativo, un’operazione
2
Una distinzione storica tra i due termini è dovuta ai modi in cui questa scienza ha mosso i primi passi:
semiotica fa riferimento a un ambito di studi più filosofico, che prende le mosse dai lavori di Charles
Peirce e Charles Morris, mentre semiologia a una linea più linguistica, i cui padri fondatori sono
Ferdinand de Saussure e Louis Hjelmslev. Sebbene questa differenza sia andata sfumando col tempo, è
rimasto un uso diverso per semiotica, che identifica le riflessioni generali teoriche sulla disciplina, e per
semiologia, che identifica le diverse applicazioni del metodo a particolari contesti o oggetti di ricerca,
come la semiologia della musica o del cinema.
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complessa e che necessita pertanto di un meticoloso controllo sia ex ante, cioè in fase di
produzione del discorso, sia ex post, come verifica del successo dello stesso.
Possiamo inoltre aggiungere un ulteriore motivo di interesse della semiotica per il
marketing, vale a dire la considerazione che la merce agisce come un segno. Il prodotto
può essere considerato come un oggetto semiotico in grado di esprimere uno specifico
significato e di affiancare quindi, al suo senso economico, anche un senso di natura
sociale e culturale. In realtà questa è una visione un po’ riduttiva dell’attività di
significazione delle merci; possiamo infatti dire che queste, più che rappresentare un
segno dalla struttura binaria significante/significato
3
, veicolano dei messaggi che,
stavolta sì, contengono al loro interno dei segni completi (Rossi-Landi, 1979). Il
marketing quindi ha spesso a che fare non direttamente con dei segni, ma con dei
sistemi di significazione.
Un sistema di significazione è una realtà complessa, un fenomeno sociale
dipendente dai sistemi culturali entro cui gli individui si trovano a vivere e a parlare, e
quindi ad interpretarsi. Esistono moltissimi sistemi di questo tipo: il sistema della moda,
l’organizzazione spaziale urbanistica, oltre che ovviamente la lingua naturale, e non
ultimo il sistema pubblicitario, che ci interessa particolarmente proprio nell’ambito del
marketing e come altro importante punto di contatto con la semiotica.
La pratica pubblicitaria è solo un aspetto del fare marketing, una delle operazioni
che devono concorrere a realizzare gli obiettivi finali dell’azienda. Come è noto infatti
3
Tra i tanti concetti di successo introdotti dal linguista e semiologo francese Ferdinand de Saussure,
questo è senz’altro uno dei più noti anche al di fuori dell’ambito accademico. Per Saussure il segno ha
una struttura binaria, ossia è la sintesi di due unità: il significante, inteso come immagine acustica del
suono che poi verrà successivamente prodotto, e il significato, inteso come il concetto di ciò a cui si vuole
rinviare. A questa visione diadica del segno viene generalmente contrapposta quella triadica del concetto
di semiosi di Peirce, in cui i tre elementi in gioco nella relazione segnica sono il Representamen, la parte
materiale del segno; un Oggetto, il referente a cui il segno fa riferimento; e un Interpretante, ciò che viene
generato dal segno. Per un approfondimento del tema e più in generale dei concetti basilari della
semiotica cfr. Gensini (2002).
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in quest’ambito disciplinare, il marketing mix indica la combinazione di variabili
controllabili, ovvero di decisioni strategiche, che l’impresa impiega per raggiungere tali
obiettivi. Queste variabili sono tradizionalmente considerate quattro, relative a quattro
diversi ambiti decisionali: il prodotto, il prezzo, la distribuzione e la promozione.
Proprio di quest’ultima, intesa come l’insieme di attività volte a far conoscere al
mercato un’azienda o un suo prodotto o servizio, fa parte la pubblicità.
Detto in questi termini sembrerebbe quasi che l’advertising non sia altro che una
sottocategoria, un ramo di un aspetto a sua volta facente capo ad un altro concetto più
ampio, utile alla sola informazione presso il pubblico dell’esistenza di un prodotto. In
realtà, come è ben comprensibile anche solo a livello intuitivo, la comunicazione
pubblicitaria è molto di più; per cominciare essa non svolge solo una funzione
informativa nel far conoscere il prodotto, ma è anche un potente strumento nel fornire
uno stimolo diretto al consumo e all’acquisto
4
, esercitando così una pressione sui
consumatori in grado di creare una domanda di proporzioni analoghe all’offerta, con
consumi adeguati ai ritmi produttivi delle aziende. In secondo luogo la pubblicità non è
la promozione del solo prodotto ma fornisce indicazioni anche, e talvolta soprattutto,
sulla marca in generale, sulla sua identità e sulla corporate image, ossia sull’immagine
dell’azienda cui la marca fa capo. Seguendo questa stessa linea di ragionamento
possiamo ‘elevare’ la pubblicità a strumento principe della comunicazione al pubblico
di un’impresa, sicuramente quello più in vista. Anche le restanti variabili che prima
abbiamo incluso nel mix di marketing, infatti, hanno bisogno di essere in qualche modo
comunicate; quali sono le caratteristiche del prodotto, quanto costa e dove possiamo
acquistarlo sono informazioni tutt’altro che estranee alla pratica pubblicitaria, sebbene
4
Questa funzione è ancora più centrale quando la pubblicità riguarda prodotti di genere alimentare, o
comunque ad acquisto impulsivo, nel cui caso la stimolazione può agire in maniera diretta sulla sfera
sensoriale del gusto.
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non presenti in tutti i casi. Possiamo pensare a questa, in definitiva, come a uno dei
vettori più attivi e funzionali nella trasmissione al pubblico di tutto quanto concerne la
marca e il prodotto.
Proviamo ora a rileggere, sotto questa prospettiva, quello che precedentemente
abbiamo esposto come il compito del marketing. Se questo prima era identificabile con
creare e comunicare dei valori condivisibili dal cliente, possiamo ora aggiungere che
questa creazione e comunicazione deve coinvolgere tutti gli elementi del marketing mix,
e ciò deve avvenire in maniera univoca e coerente anche in tutte le manifestazioni
espressive della marca e del prodotto, a maggior ragione nella pubblicità che tra queste
è quella che più direttamente si rivolge al pubblico. La marca, per concludere, deve
essere in grado di creare un proprio mondo simbolico, ricorrente in tutti i suoi aspetti
comunicativi, entro il quale far circolare dei valori e dei significati condivisibili e
apprezzabili dal cliente e che vadano a costituire l’identità complessiva del brand e
l’immagine che questo trasmette ai destinatari; e la semiotica, in quanto disciplina che
studia i sistemi e i processi della significazione, non può non prestare grande attenzione
alle marche e al modo in cui queste costruiscono, curano e comunicano i propri mondi
simbolici (Traini, 2005).
In questa prospettiva quindi possiamo allargare lo scopo dell’analisi semiotica del
marketing alla comprensione di quello che è il risultato finale di un sistema di
significazione, ossia la produzione di senso, e quindi del ruolo che assumono i singoli
segni nella costruzione del significato globale prodotto da una comunicazione aziendale.
Dobbiamo insomma porre una maggiore attenzione alla componente immateriale dei
beni del mercato, portando la semiotica ad affrontare il consumo del prodotto o la
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