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CAPITOLO PRIMO
CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E CONTROLLO
DEL TERRITORIO
Sommario:1.1Criminalità organizzata e governi locali;1.2Ieri,oggi,domani:la
mafia e il controllo del territorio;1.3Lo scioglimento degli organi elettivi per
infiltrazioni o condizionamento mafioso:excursus storico- normativo;1.4Il Decreto
Legge 31 maggio 1991 n.164 convertito con modificazioni,in Legge 22 luglio 1991
n.221;1.5Il ripristino della legalità;1.6La natura giuridica dell’istituto;1.7La
compatibilità costituzionale dell’articolo 15 bis del 1990:la sentenza della Corte
Costituzionale del 1993 n.103.
1.1 CRIMINALITA’ ORGANIZZATA E GOVERNI LOCALI
La Costituzione della Repubblica Italiana, all’articolo 5, fonda
l’articolazione istituzionale dello Stato, da un punto di vista
amministrativo e organizzativo, sugli Enti locali. Si può dire, in
generale, che l’Italia sia uno Stato-Nazione fortemente caratterizzato
dalla preminenza storica dell’istituzione comunale, che in molti casi
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non solo preesiste, ma è molto più antica dello Stato attuale e delle
istituzioni statuali che l’hanno preceduto (gli Stati preunitari).
In un certo senso, anzi, lo Stato si è affermato contro le autonomie
locali, feudali e sociali (si consideri quanto diceva Mario Nigro nel suo
“Il governo locale”, Bologna,1980)
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, attraverso un lungo e tormentato
percorso storico che si è andato evidenziando soprattutto nei secoli
dell’assolutismo regio (in Italia, peraltro, incarnato nei deboli Stati
preunitari, con la sola importante eccezione del Regno delle due Sicilie
e, naturalmente, del Lombardo- Veneto austriaco).
È allora chiaro come il rapporto fra il centro e la periferia, in Italia,
assuma un rilievo centrale e fondamentale nel disegno dei poteri
pubblici, come e più che in altre Nazioni.
Un rapporto che, nel corso della non lunghissima vita dello Stato
unitario, è andato conoscendo un’alternanza fra centralismo e
autonomismo, fino alla fase attuale caratterizzata dalla riforma del
Titolo V della Costituzione.
Lo Stato Italiano si trasforma da Stato unitario a Stato ad autonomie
regionali e locali. La Repubblica, che corrisponde all’ordinamento
17
M. NIGRO, Il Governo locale, Bologna, 1980.
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generale sovrano, riconosce al proprio interno minori ordinamenti
territoriali a carattere derivativo e autonomo.
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Si può così constatare come il principio di autonomia si affermi sul
piano dei rapporti fra ordinamenti, facendo dell’ordinamento della
Repubblica “un ordinamento composto di una pluralità di ordinamenti
territoriali minori”.
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Al termine autonomia possono essere attribuiti due significati
principali. Il primo è quello di autonomia normativa intesa come
capacità di enti autonomi ma non sovrani di emanare norme giuridiche
che la Repubblica riconosce come parte del proprio ordinamento
20
.
L’altro significato è quello di autonomia organizzativa che deve essere
intesa come capacità di autodeterminarsi e di auto-organizzarsi secondo
proprie norme. Quando l’autonomia organizzativa viene riferita agli
Enti Locali, essa deve essere intesa soprattutto come autonomia di
indirizzo politico-amministrativo. Infatti, poiché Comuni e Provincie,
18
F. BENVENUTI, L’Ordinamento Repubblicano, Padova, Cedam, 1996.
19
E. BALBONI e G. PASTORI, Il Governo Regionale e Locale, in Manuale di Diritto Pubblico, a
cura di G. AMATO e A. BARBERA, Bologna 1994.
20
M. S GIANNINI, Autonomia Pubblica, in Enciclopedia di Diritto, Varese, 1953.
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sono enti esponenziali di una collettività locale, devono darsi carico
anche delle esigenze della propria comunità.
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L’influenza della criminalità organizzata, specie di tipo mafioso, sulle
amministrazioni locali è un dato incontestabilmente presente in Italia e,
in alcune parti del territorio, assume i connotati della endemicità nonché
quelli di un vero e proprio fenomeno culturale, sociale ed economico.
I dati acquisiti dall’esperienza storica dimostrano che la mafia, pur
senza porsi finalità eversive dell’ordinamento democratico costituito,
tende a sottrarre allo Stato il controllo del territorio, radicandosi nel
tessuto sociale e nelle sue strutture nonché nelle attività economiche e
produttive.
Per raggiungere questo scopo la mafia utilizza, in prima istanza, tutte le
forme lecite per produrre ricchezza e per acquisire potere; poi mette in
atto forme di intimidazione, più o meno esplicite e, come estrema ratio,
21
T. MARTINES, Studio sulla autonomia politica delle Regioni, in Rivista trimestrale di Diritto
Pubblico, 1956, p.100 ss.
M. NIGRO, Il Governo Locale, storie e problemi. Lezioni di Diritto Amministrativo, Roma, 1980
che individua l’essenza dell’autonoma proprio nella capacità di darsi un indirizzo politico-
amministrativo e cioè, individuare e di soddisfare gli interessi comunitari ritenuti meritevoli di tutela.
A. PABUSA, Sovranità popolare e autonomie locali nell’ordinamento italiano.
Milano 1983, il quale sottolinea che la cura degli interessi locali deve avvenire secondo finalità
predeterminate dalle stesse comunità locali,sulla base del fatto che esse sono dotate di autonomie di
indirizzo politico.
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ricorre a forme di violenza diretta o a forme “militari” di
organizzazione e di intervento contro specifici obiettivi istituzionali o
rappresentativi dell’agire democratico.
Il continuo tendere della mafia a “legalizzarsi” fa sì che essa acquisisca
il controllo delle istituzioni democratiche dissimulando i suoi reali
intenti e favorendo, di fatto, l’assetto di interessi ritenuto, di volta in
volta, più congeniale alla consorteria criminale.
In particolare, la mafia cerca di incidere sull’organo politico delle
amministrazioni locali poiché questo detiene il monopolio degli
obiettivi dell’Ente e lo fa, tendenzialmente, dall’esterno cioè senza
prendervi parte ma esercitando forme di pressione o di vera e propria
coazione. Laddove l’incidenza sull’organo elettivo non produca gli
effetti sperati vengono “inseriti” uno o più candidati “sicuri” nelle liste
per le elezioni.
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Per altro verso, l’intervenuta modifica dell’ordinamento degli Enti
locali, che ha di fatto separato la gestione amministrativa dall’indirizzo
politico, ha comportato, come corollario diretto, la possibilità di
22
“Un tempo la mafia uccideva i candidati,oggi si infiltra”. Intervista concessa dal Procuratore
Nazionale Antimafia,Piero Grasso,al quotidiano Avvenire del 24 maggio 2006.
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infiltrazioni e condizionamenti anche a carico della compagine
amministrativa degli enti.
La mafia, dunque, si atteggia a contropotere locale e impone allo Stato
di attivare poteri e strumenti che gli consentano di riappropriarsi della
sua “sovranità” violata.
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1.2 IERI,OGGI,DOMANI:LA MAFIA E IL CONTROLLO DEL
TERRITORIO
È noto che le norme che disciplinano l’intervento antimafia negli Enti
Locali sono relativamente recenti. Fu, infatti, il Decreto Legge 31
maggio 1991 n.164, ad aggiungere l’articolo 15- bis alla Legge n.55 del
1990
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introducendo un’ipotesi di scioglimento nuova rispetto a quelle
previste dalla Legge sulle autonomie locali promulgata nel 1990.
Prima di allora, la Legge 8 giugno 1990 n.142, sull’ordinamento delle
autonomie locali, consentiva lo scioglimento dei Consigli comunali in
caso di atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni
di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico.
Il Decreto Legge n.164, convertito nella Legge 22 luglio n.221,
modificato ed integrato con la Legge n.108 del 1994 di conversione del
Decreto Legge 529/1993, disponeva che i Consigli comunali e
provinciali potessero essere sciolti quando, in seguito all’esercizio dei
poteri ispettivi del Prefetto, fossero accertati elementi su collegamenti
diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o
23
Recante “Nuove disposizioni per la prevenzione alla delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi
forme di manifestazione di pericolosità sociale”.
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forme di condizionamento degli amministratori tali da compromettere la
libera determinazione degli organi elettivi
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ed il buon andamento delle
amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare
funzionamento dei servizi ad essi affidati, ovvero che risultino essere
tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della
sicurezza pubblica.
Può apparire singolare che si siano dovuti attendere gli anni Novanta
per l’introduzione di una normativa specifica di forte contrasto alle
infiltrazioni criminali nelle istituzioni, in specie quelle su base locale e
territoriale. Per anni si è discusso della presenza della criminalità
organizzata all’interno dello Stato, e la sua forza corruttrice nella
gestione della cosa pubblica, ma la discussione rimaneva limitata ad un
ambito ristretto, mentre per lunghi anni molti politici e taluni sindaci
giungevano addirittura a negarne l’esistenza. Nei primi anni Ottanta lo
Stato decide di dotarsi di strumenti più incisivi per cercare di arginare la
“potenza” della criminalità organizzata, volti anche a colpirne gli
ingenti patrimoni illeciti; si inizia ad indagare, inquisire anche quegli
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La nuova formulazione dell’articolo 143 prevede che i condizionamenti e i collegamenti siano tali
da “determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed
amministrativi”.
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amministratori, quei funzionari, tutti quei politici, che per anni avevano
goduto di una sorta di regola generale di impunità, che risultavano
coinvolti in vicende giudiziarie di inaudita gravità e che di conseguenza
testimoniano la gravità del fenomeno. Ma si tratta ancora di procedure e
procedimenti che, sviluppati in ambito penalistico grazie alla novellata
fattispecie dell’associazione per delinquere di stampo mafioso
introdotta dalla Legge N.646 del 13.9.1982(c.d. legge Rognoni-La
Torre), si rivolgevano a singole responsabilità individuali, seppur con la
significativa integrazione sul versante patrimoniale che consente di
individuare e colpire i patrimoni illeciti.
Il 3 settembre del 1982 veniva assassinato a Palermo, insieme alla
moglie e all’autista, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato
pochi mesi prima Prefetto di Palermo con l’incarico di coordinare la
lotta alla mafia in tutta la Sicilia. Qualche giorno dopo, il 13 settembre,
la Legge 646 introduce il reato di associazione mafiosa (articolo
416/bis) e incisive misure di prevenzione patrimoniale ed interdittive
tese a scardinare i patrimoni mafiosi.
Se, poi, la Legge N.55 del 19 marzo 1990 ha cercato di migliorare gli
strumenti di contrasto alla mafia con specifico rifermento alla
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trasparenza delle amministrazioni locali, è la riforma delle autonomie
locali (Legge N.142 dell’8 giugno 1990) che, nell’attribuire autonomia
statutaria e potestà regolamentare agli Enti locali, introduce in maniera
organica ed incisiva, la possibilità di intervenire, oltre che nei confronti
di singoli amministratori, anche nei confronti di intere Amministrazioni
elettive; l’articolo 39 prevede, infatti , che i Consigli comunali e
provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica,
su proposta del Ministro dell’Interno, quando compiano “atti contrari
alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché
per gravi motivi di ordine pubblico”.
Ancora non si parla di criminalità organizzata, ma il riferimento
all’illegalità diffusa ed all’ordine pubblico prefigura la presa d’atto
della problematica.
Il 31 maggio 1991 si perviene ad una normativa specifica che consente
lo scioglimenti di interi consessi elettivi, in relazione alla specifica
causa di infiltrazione e/o condizionamento da parte della criminalità
organizzata.
Ma perché attendere il 1991? Se nel 1982, l’assassinio del Prefetto di
Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, aveva indotto il
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legislatore a rompere gli indugi ed approvare quella Legge (in
discussione da tempo in Parlamento senza esito) che consentiva di
intervenire nei confronti dei patrimoni illeciti accumulati in virtù delle
attività criminose e dalla forza intimidatrice derivante dal vincolo di
associazione mafiosa, i “fatti di Taurianova” inorridirono al tal punto
l’opinione pubblica da indurre l’effetto, pressoché immediato,
dell’introduzione rivolta nello specifico agli enti locali inquinati dalla
mafia.
La sera del 3 maggio 1991 i telegiornali aprirono con la notizia
dell’uccisone a Taurianova di quattro persone, una delle quali con
modalità tali da far inorridire l’opinione pubblica nazionale e tale da
essere ripresa anche dalla stampa estera. Infatti dopo l’agguato a colpi
di kalashnikov, una delle vittime venne decapitata e la sua testa lanciata
in aria per essere bersaglio di ulteriori colpi d’arma da fuoco. Era il
segno del disprezzo che si voleva dimostrare nei confronti dei nemici.
Il giorno successivo i figli di una delle vittime riuscirono
miracolosamente a salvare la vita, pur rimanendo gravemente feriti da
killer travestiti da carabinieri che con ogni probabilità avevano l’ordine
di annientare l’intera famiglia.