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Tali evidenze hanno posto le basi per un vero e proprio movimento pro-deregulation, che ha
trovato le proprie radici negli Stati Uniti e che ha portato alla nascita di modelli di teoria
economica orientati all’abbattimento dei sistemi di regolazione (la Teoria dei Mercati
Contendibili).
Sulla base di quanto accaduto negli Stati Uniti, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta
(1987), in Europa si è avviato un programma di progressiva liberalizzazione del traffico aereo
intracomunitario.
Tale processo di liberalizzazione è stato attuato in maniera graduale e con una successione di tre
fasi, denominate “Primo”, “Secondo” e “Terzo Pacchetto” ( i cosiddetti Three Packages). Il
“Primo Pacchetto” ha ridotto parzialmente le restrizioni tariffarie, ha stabilito l’applicabilità al
settore del trasporto aereo degli articoli del Trattato in materia di concorrenza ed ha modificato
in parte i criteri che regolavano la ripartizione della capacità offerta. Il “Secondo Pacchetto”,
entrato in vigore nel 1990, ha comportato un’ulteriore riduzione delle restrizioni in materia di
tariffe, di ripartizione della capacità e di accesso al mercato di nuovi vettori. È stata così aperta la
concorrenza a più operatori sulle rotte con maggiore densità e si è trasferito agli Stati membri il
potere di autorizzare l’ingresso al mercato delle nuove compagnie, nel rispetto di determinati
requisiti economici e tecnici. Con il terzo ed ultimo pacchetto si è completato il processo di
liberalizzazione europeo: tale pacchetto ha introdotto in maniera graduale la libertà di fornire
servizi entro l’Unione Europea ed ha fatto strada, nell’aprile del 1997, alla libertà di cabotaggio,
ovvero il diritto per ogni compagnia aerea di uno Stato membro di effettuare trasporti tra due
località di un altro Stato membro.
La spinta prodotta dai provvedimenti in tema di liberalizzazione aveva l’obiettivo di suscitare
una crescita del clima competitivo all’interno del settore, favorendo l’ingresso di nuove
compagnie. E, in effetti, i risultati sono stati quelli auspicati: questa nuova legislazione ha favorito la
nascita delle compagnie aeree low-cost e una maggior competitività nel settore aereo europeo dando, così,
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uno scossone alla posizione dominante delle compagnie di bandiera. Tali vettori, come si vedrà, hanno
messo in discussione l’organizzazione hub and spoke delle compagnie tradizionali facendo
ricorso ad un sistema di organizzazione industriale alternativo basato sul modello point-to-point.
Tali eventi hanno, dunque, provocato una forte intensificazione delle dinamiche competitive,
favorendo la crescita del numero dei concorrenti, un aumento dell’offerta proposta su numerose
rotte e una conseguente riduzione delle tariffe.
Il principale beneficiario di questa situazione è risultato senza dubbio il passeggero.
Tuttavia, il processo di apertura al mercato del trasporto aereo presenta ancora oggi molteplici
criticità che evidenziano la presenza di una liberalizzazione compiuta solo “a metà”: di fatto,
l’affermazione di un pieno paradigma concorrenziale risulta essere ancora ostacolata da alcuni
elementi sostanzialmente di carattere strutturale e regolamentare che hanno continuato a
sopravvivere nonostante la liberalizzazione, ma anche da altre barriere di natura strategica che
sono state create dagli incumbents all’indomani dell’inizio del processo di liberalizzazione allo
scopo di mantenere la propria posizione sul mercato.
Se l’attenzione si focalizza, poi, sulle infrastrutture aeroportuali, le criticità che emergono,
soprattutto in ambito domestico, appaiono tutt’altro che irrilevanti.
Date queste premesse, l’obiettivo del presente lavoro è quello di compiere un’analisi del settore del
trasporto aereo al fine di offrire un quadro aggiornato delle problematiche che ancora permangono
nonostante la liberalizzazione e che necessitano di una tempestiva soluzione.
La tesi in oggetto consta di quattro capitoli. Il primo illustra il processo di liberalizzazione del trasporto
aereo che, come si è accennato, ha interessato prima gli Stati Uniti e successivamente l’Europa, la stretta
regolamentazione che ha caratterizzato buona parte del secolo scorso e il recupero dei meccanismi di libero
mercato cui si è assistito nel corso degli ultimi decenni fino ad arrivare al recente accordo “Open Sky”.
Il secondo capitolo si concentra sull’ analisi dell’assetto competitivo del settore oggetto di studio. Si parte da
una rapida rassegna degli aspetti salienti del modello organizzativo dei vettori tradizionali e dei vettori low
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cost. Si mostra come il ricorso al modello hub and spoke da parte dei vettori tradizionali abbia influito in
maniera consistente sugli assetti concorrenziali e abbia condotto all’affermazione dei vettori low cost che
hanno preferito focalizzarsi sull’alternativo modello point to point. Successivamente, si tenta di dimostrare
come, nonostante la forte pressione concorrenziale esercitata dalle compagnie low cost, l’affermazione di un
pieno paradigma concorrenziale risulti essere in concreto ancora ostacolata da molteplici fattori.
Il terzo capitolo propone un’analisi delle politiche tariffarie dei vettori tradizionali e dei vettori low cost.
L’osservazione di partenza è che le compagnie aeree ricorrono alla discriminazione del prezzo al fine di
massimizzare la propria redditività, facendo leva sulle differenti caratteristiche dei diversi segmenti di
domanda. Si cerca, quindi, di comprendere il motivo per cui su uno stesso volo servito dal medesimo vettore
risulta possibile pagare tariffe estremamente diverse tra loro, per poi mostrare come molti vettori abbiano
sfruttato la complessità intrinseca del prezzo del servizio del trasporto aereo per ridurne la significatività
quale strumento volto ad orientare le preferenze dei consumatori, rendendo quasi impossibile per il
passeggero percepire l’entità affettiva dell’esborso necessario per usufruire del servizio e deviando le scelte
dello stesso attraverso la proposta di tariffe scomposte in due parti: una, particolarmente appetibile,
indicativa della tariffa “netta”, l’altra, comprensiva di una serie di voci aggiuntive, sovente non precisate
perché soggette a variazioni. Viene delineato, quindi, l’approccio adottato dall’Autorità nei confronti della
suddetta opacità tariffaria.
Successivamente l’attenzione si focalizza sull’efficacia dell’yield management quale tecnica volta a
consentire ad una compagnia aerea di impostare una politica tariffaria di successo. Si parte dalle origini
dell’YM nel settore del trasporto aereo a seguito della deregulation, quando l’abbattimento delle barriere
alla concorrenza e la rimozione dei controlli sulle tariffe provocarono l’ingresso di numerose nuove
compagnie e l’esigenza per i grandi vettori di individuare una tecnica che consentisse di incrementare i
propri ricavi, intervenendo sia sul load factor che sul prezzo. Vengono delineati, successivamente, la
ratio dell’YM, gli aspetti funzionali dello stesso e il diverso ruolo svolto nel caso dei vettori tradizionali e
low cost.
Il quarto capitolo, infine, si focalizza sulle infrastrutture aeroportuali: la considerazione di
partenza è che gli aeroporti sono caratterizzati dalla presenza di pronunciati elementi di
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monopolio naturale che hanno storicamente comportato l’affidamento della gestione degli stessi
ad un unico concessionario, di norma coincidente con enti pubblici proprio per la caratteristica
di servizio di interesse pubblico degli scali. Tali circostanze hanno reso, dunque, indispensabile
interventi di regolamentazione volti a prevenire forme di abuso di posizione dominante da parte
dei gestori. Interventi che, per la verità, nel contesto italiano sono risultati frammentari,
sporadici e formulati in assenza di un chiaro disegno di politica industriale e regolatoria. Si
porrà, quindi particolare attenzione sulle problematiche che allo stato attuale si presentano per
l’accesso al mercato della gestione aeroportuale e per l’accesso all’infrastruttura aeroportuale
stessa.
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CAPITOLO I
LA LIBERALIZZAZIONE DEL TRASPORTO AEREO
1.1 Le Convenzioni di Parigi e di Chicago
Le origini della regolamentazione del trasporto aereo possono farsi risalire agli inizi del 1900, quando
fu siglata la prima Convenzione internazionale per la navigazione aerea: la Convenzione di Parigi del
1919. Essa, nell’intento di regolamentare la neonata pratica del volo, stabiliva la piena ed esclusiva
sovranità di ogni Stato sullo spazio aereo sovrastante il proprio territorio, consentendo la libertà di
passaggio non offensivo per i velivoli civili di uno Stato partecipante alla Convenzione dietro
consenso degli Stati da sorvolare.
La Convenzione di Chicago del 1944 ha rappresentato una tappa decisiva nella creazione di un diritto
aeronautico comune grazie al suo intento di uniformare gli ordinamenti nazionali in relazione al
riconoscimento dei diritti di traffico, al controllo delle tariffe, al controllo delle frequenze e delle
capacità che i singoli vettori potevano offrire ai propri utenti. L’ostacolo maggiore che si prospettava
era la divergenza degli interessi dei Paesi partecipanti: da un lato, gli Stati Uniti, economicamente forti
e favorevoli ad una totale liberalizzazione dei cieli, dall’altro, i Paesi Europei, che ancora
sopportavano il peso subìto dalla propria aviazione a causa della guerra e che continuavano a sostenere
la totale sovranità del proprio spazio aereo. La Convenzione di Chicago, analogamente a quella di
Parigi, riconosceva ad ogni Stato il completo ed esclusivo dominio sul cielo sovrastante il proprio
territorio, le modalità di sorvolo di questo territorio da parte degli aeromobili di altri Stati contraenti e
l’obbligo di una preventiva autorizzazione per lo svolgimento dei servizi aerei internazionali e di
cabotaggio. In linea generale, tale Convenzione conteneva una disciplina incentrata maggiormente su
questioni di natura tecnica che economica.
In particolare, la determinazione dei criteri per la concessione delle autorizzazioni di volo fu affidata a
due accordi: il primo, l’International Air Service Transit Agreement, ancora in vigore, riconosceva a
11
tutte le compagnie aeree il diritto di sorvolare il territorio degli altri Stati membri (1
a
libertà) e di farvi
scalo per ragioni non commerciali (2
a
libertà); il secondo, l’International Air Transport Agreement (o
Five Freedoms Agreement), che a differenza del primo non ebbe successo, fissava altre tre libertà
dell’aria a scopi commerciali, e subordinava il servizio di trasporto aereo internazionale alla
sottoscrizione di numerosi accordi bilaterali per la determinazione delle rotte, dei diritti di traffico,
delle capacità e delle tariffe da applicare e per stabilire quali aerolinee potevano operare su ogni
singola tratta.
Dal punto di vista tecnico, quindi, la Convenzione di Chicago riconobbe agli Stati la facoltà di fissare
le condizioni d’esercizio dei movimenti dei velivoli di altri Stati membri al di sopra ed entro il proprio
territorio.1
Dal punto di vista economico, sul versante tariffario, durante la Conferenza i delegati espressero la
necessità di voler evitare guerre tariffarie e di consentire ai vettori aerei di applicare tariffe
remunerative. Nonostante ciò, non vennero date indicazioni relative ai metodi da applicare per il
raggiungimento di tali obiettivi, non essendovi un orientamento condiviso da tutti gli Stati: alcuni
ritenevano opportuno un intervento pubblico in campo tariffario, altri invece erano favorevoli ad una
libera fissazione dei prezzi da parte delle compagnie. Ciò portò alla conclusione, negli anni successivi,
di una serie di accordi bilaterali per la gestione del traffico aereo, incentrati su questioni relative alla
capacità, alle frequenze e alle tariffe. Sotto questo aspetto gli accordi si basavano sul principio della
“doppia approvazione”: le associazioni dei vettori aerei (ad esempio la IATA, International Air
Transport Association) predisponevano le tariffe, che per entrare in vigore dovevano essere approvate
entro trenta giorni da entrambe le Autorità competenti dei due Stati interessati.
1.2 Gli accordi delle Bermuda
Un posto rilevante, tra i vari accordi conclusi dopo la Conferenza di Chicago, è stato occupato dai
cosiddetti “Accordi delle Bermuda” firmati nel 1946 e nel 1977 tra Stati Uniti e Regno Unito e aventi
ad oggetto la regolamentazione della concorrenza, la ripartizione delle capacità e la fissazione delle
1
Cfr. Valdani E., Jarach D. Compagnie aeree & deregulation: strategie di marketing nei cieli senza frontiere. EGEA, Milano,1997.
12
tariffe aeree
2
. I primi accordi vennero conclusi nel 1946 (Bermuda I): sotto il profilo tariffario, questi
seguivano il principio, già accennato, della doppia approvazione, secondo il quale le tariffe dovevano
essere fissate dalle associazioni dei vettori aerei attraverso la IATA e approvate entro trenta giorni
dalle Autorità pubbliche dei due Stati capolinea interessati. Queste restavano in vigore per uno o due
anni e la IATA si impegnava a proporne delle nuove prima della scadenza del termine, per fare in
modo che le Autorità avessero il tempo di esaminarle e approvarle. Dunque, le associazioni dei vettori
e le Autorità pubbliche avevano due ruoli distinti: alle prime spettava la determinazione delle tariffe e
alle seconde la regolamentazione e il controllo. Lo scopo di questo meccanismo era quello di garantire
che i prezzi del servizio di trasporto, anche se stabiliti dagli operatori, rispondessero all’interesse del
pubblico. A questa finalità, anche la IATA, ente di natura privatistica, era tenuta a rispettare dei
parametri nella fissazione delle tariffe. Infatti, gli accordi prevedevano che il prezzo dovesse essere
fissato ad un livello ragionevole, che consentisse la copertura dei costi operativi e un adeguato
margine di profitto. Nonostante una concreta difficoltà nel fissare i parametri per il calcolo delle
tariffe, il criterio della doppia approvazione costituiva una soluzione intermedia tra la fissazione dei
prezzi da parte dell’autorità statale e la libera determinazione delle stesse da parte dei vettori.
Le ragioni del successo degli accordi delle Bermuda (I) dipesero dal fatto che contenevano clausole
redatte in termini vaghi e generici, quindi adattabili con flessibilità alle diverse circostanze; inoltre,
attraverso la IATA, ai vettori era assicurato un ampio margine di autonomia nella determinazione delle
tariffe. Gli accordi del 1946 si applicarono fino agli anni Settanta, quando, a causa della grave
recessione mondiale, si ridusse in misura rilevante il numero di persone che facevano ricorso al mezzo
di trasporto aereo, soprattutto per fini turistici. Ma non solo. Ad aggravare la situazione economica dei
vettori aerei si aggiunse un inaspettato aumento del costo del petrolio.
A questi shock esterni le compagnie aeree reagirono, in un primo tempo, riducendo le tariffe per
incentivare la domanda, ma presto si accorsero che tale strategia non produceva gli effetti desiderati e
quindi tornarono ad aumentare il prezzo del trasporto aereo.
Un’altra misura necessaria fu quella di rivedere gli accordi delle Bermuda I al fine di limitare, in
ambito tariffario, il potere dei vettori aerei. Così, il 23 luglio 1977, Stati Uniti e Regno Unito
2
Cfr. Cossutta D., Grillo M., Concorrenza, monopolio e regolamentazione, Il Mulino, Bologna, 1987.
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firmarono gli accordi delle Bermuda II con i quali venne riconosciuto un maggior potere alle Autorità
pubbliche derivante da una partecipazione più diretta al procedimento di formazione delle tariffe, che
si aggiunse al potere di approvazione di cui già godevano. Inoltre, venne ridotto il potere della IATA,
in modo tale che la fissazione delle tariffe non derivasse solo da contrattazioni con la stessa, ma anche
da quelle con altre associazioni di aerolinee. Diversamente dai precedenti accordi, non ottennero un
rilevante successo né rappresentarono un modello di riferimento per la stipulazione di successivi
accordi bilaterali: stavano, di fatto, sorgendo le condizioni per una politica di totale
deregolamentazione del trasporto aereo.
1.3 La deregulation del trasporto aereo statunitense
Verso la fine degli anni Settanta gli Stati Uniti intrapresero un processo di deregulation3 del traffico
aereo di linea interno, che portò significativi cambiamenti nei comportamenti competitivi delle
imprese e nell’assetto strutturale del settore. Per capirne le ragioni è opportuno analizzare la situazione
esistente fino a questo periodo. Dal 1938 il trasporto aereo statunitense era stato rigidamente
regolamentato. Prima di questa data i vettori operavano, però, in un regime di libera concorrenza
definito “state of chaos”: in questo contesto la concorrenza, prevalentemente attuata sul piano
tariffario, aveva provocato non soltanto gravi problemi finanziari alle compagnie (tanto da portare
molte di loro sull’orlo del fallimento), ma anche una riduzione degli standard di sicurezza dei servizi
forniti. Di conseguenza iniziò a maturare l’esigenza di un intervento statale nel settore finalizzato a
combattere le forme di concorrenza distruttiva e a favorire lo sviluppo di un settore d’importanza
strategica. Così nel 1938, con l’entrata in vigore del Civil Aeronautic Act venne istituita la Civil
Aeronautics Agency, che nel 1940 divenne Civil Aeronautic Board (CAB). Il Comitato, che era un
Ente con funzioni di controllo sullo sviluppo del settore, oltre a rilasciare le autorizzazioni relative
all’accesso al mercato (al fine di contenere il numero dei vettori per evitare il sorgere di una
concorrenza rovinosa) e ad autorizzare l’entrata e l’uscita da singole rotte, approvava le tariffe, che
quindi non potevano essere fissate incondizionatamente dalle compagnie aeree. Al fine di incentivare
3
Cfr. Dempsey P.S., Goetz A.R., Airline Deregulation and Laissez-Fair Mythology, Londra, 1992.
14
lo sviluppo del trasporto aereo, il Comitato aveva la possibilità di erogare sovvenzioni a favore di
determinate imprese di trasporto. Grazie all’introduzione di questi provvedimenti e all’introduzione di
nuove tipologie di aeromobili, le compagnie riuscirono ad operare in base a strategie volte alla
riduzione dei costi. Inoltre, il CAB mantenne stabili le tariffe e, grazie ad un miglioramento delle
condizioni economiche della popolazione4, il servizio di trasporto aereo divenne gradualmente più
accessibile. Ma alla fine degli anni Settanta, con l’aumento del costo del carburante e dei costi del
lavoro, il CAB fu costretto ad aumentare le tariffe. Questa rigida regolamentazione, durata circa
quaranta anni, provocò una serie di conseguenze negative: innanzitutto, il prezzo del servizio aereo
risultava maggiore di quello che si sarebbe ottenuto dallo spontaneo incontro tra domanda ed offerta.
Inoltre a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta le compagnie, in clima di progressi tecnologici (che
si sarebbero potuti tradurre in un abbassamento dei costi operativi), non richiesero al CAB una
riduzione delle tariffe per timore di una riduzione generalizzata dei prezzi; sicchè per attirare più utenti
preferirono dar vita ad una “concorrenza non di prezzo” basata sulla diversificazione dei servizi,
offrendo così cibi raffinati, giornali, riviste e altre prestazioni alle quali la maggior parte dei passeggeri
avrebbe rinunciato pur di pagare un prezzo inferiore. Questi effetti negativi della regolamentazione
fecero sì che verso la seconda metà degli anni Settanta venisse posto in discussione il sistema allora
vigente. Infatti, sempre più diffusa era la convinzione che solo una deregolamentazione avrebbe creato
vantaggi per gli utenti, poiché avrebbe comportato una maggiore efficienza dei servizi. Nella prima
metà degli anni Settanta, però, qualcosa mutò nello scenario economico: dal 1972 al 1975 si assistette
ad un periodo di forte recessione, che non interessò solamente gli Stati Uniti, e gli aumenti del costo di
combustibile e manodopera furono tali che il CAB si vide costretto a concedere aumenti delle tariffe.
Come conseguenza, si verificò un cambiamento di rotta nella politica regolamentativa del CAB: fu
infatti concessa l'entrata nel comparto a nuovi operatori e si dispose l'assegnazione anche ad altri
vettori di quelle rotte già precedentemente servite, consentendo inoltre alle aerolinee di praticare
consistenti sconti tariffari.
Le compagnie, che fino a quel momento avevano goduto dello sfruttamento esclusivo di determinate
tratte, furono obbligate, ormai in regime di semiconcorrenza, ad abbassare i loro prezzi. Alcune
4
Cfr. Valdani E., Jarach D., op. cit.