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Introduzione
Jean-Dominique Bauby (2005) nel suo libro: “La farfalla e lo scafandro” descrisse così il suo
risveglio presso l’ospedale di Berk: “È una mattina come tutte le altre, alle sette la campana della
cappella ricomincia a suonare il fuggire del tempo, quarto d’ora dopo quarto d’ora. Dopo la
tregua della notte, i miei bronchi intasati si rimettono a brontolare rumorosamente. Contratte sul
lenzuolo giallo, le mani mi fanno soffrire senza che io arrivi a capire se sono bollenti o gelate.
Per lottare contro l’anchilosi faccio scattare un movimento riflesso di stiramento che fa muovere
braccia e gambe di qualche millimetro. Talvolta basta a dare sollievo ad un arto indolenzito. Lo
scafandro si fa meno opprimente, e il pensiero può vagabondare come una farfalla. C’è tanto da
fare”.
Questi sono i pensieri di chi visse per 2 anni prigioniero del proprio corpo, incapace di muoversi,
incapace di parlare, incapace di esprimere emozioni tramite un sorriso o un’espressione. La
chiamano Locked-in, ovvero la sindrome dell’uomo “incarcerato”. Questi pazienti sono
tetraplegici e muti, tuttavia ancora completamente vigili e con una variabile preservazione dei
movimenti oculari attraverso la quale sono in grado di comunicare (Feldman, 1971). Si tratta di
una condizione molto rara con un’incidenza >1/1.000.000. Kohnen et al. (2013) hanno stabilito
per la prima volta una prevalenza di Locked-in Syndrome (LIS) di 0,7/10.000 pazienti ricoverati
presso le case di cura olandesi mentre, secondo l’Association du Locked-in Syndrome (ALIS)
sono 500 le persone affette da questa condizione in Francia. Tuttavia essa può essere anche
conseguenza di altre patologie come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Infatti, all’interno del
Percorso Diagnostico e Terapeutico riguardante questa patologia neurodegenerativa approvato
dalla regione Lazio (2016) si legge che: “se il paziente non è in grado di effettuare alcun
movimento volontario, si sviluppa la così detta “Total Locked-in Syndrome”.
Per quanto si tratti di una patologia rara alcune descrizioni si trovano già all’interno della
letteratura dei primi anni dell’Ottocento probabilmente perché la condizione Locked-in funge da
forte metafora filosofica per l’esistenza umana. È il caso di Noirtier ne: “Il Conte di Monte
Cristo” di Alexandre Dumas e di Madame Raquin in: “Thérèse Raquin” di Émile Zola. È proprio
il personaggio di Noirtier ad essere considerato il primo caso di LIS descritto in letteratura
(Haan, 2013).
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Il volume in cui Plum e Postner descrissero per la prima volta i pazienti con LIS è intitolato:
“Diagnosis of Stupor and Coma” ed è uno studio ravvicinato di pazienti visti in maniera
routinaria nei pronti soccorsi (Casper, 2020). Il tutto è nato dalle richieste di cura dei pazienti
stessi che hanno costretto i due ricercatori a sviluppare un approccio sistematico nella diagnosi
del coma (Plum, Postner, 1966).
Jennett e Plum (1977) offrirono delle solide definizioni per diverse sindromi associate a disturbi
della coscienza. In particolare affrontarono le sfumature della morte cerebrale, del mutismo
acinetico, della Locked-in Syndrome e della sindrome apallica. L'obiettivo era di distinguere lo
stato vegetativo persistente da questi altri elencati sopra. Tecniche diagnostiche come
l'elettrofisiologia, la tomografia ad emissione di positroni di fluorodeossiglucosio e la risonanza
magnetica funzionale hanno dimostrato quasi lo stesso livello di coscienza nei pazienti Locked-in
come in volontari sani e hanno contribuito a distinguerli dai pazienti vegetativi. Nella LIS i
pazienti risultano avere piena consapevolezza di sé mentre nello stato vegetativo, sebbene le
persone risultino sveglie, sono inconsapevoli di se stesse e del loro ambiente (Roquet et al.,
2016). Il paziente con LIS può dimostrare, attraverso i movimenti oculari, diverse caratteristiche
fondamentali dello stato di coscienza tra cui la consapevolezza, la volontà e la comunicazione.
Le nuove tecnologie di alimentazione e aspirazione hanno portato queste persone ad una
maggiore sopravvivenza e ad una maggiore consapevolezza da parte dei medici negli anni
Ottanta e Novanta, dei problemi etici, sociali, istituzionali e morali posti da tali pazienti. La
persona con LIS possedeva una coscienza che fuggiva dal corpo e più di un operatore sanitario si
è trovato a riflettere sul confinamento di una mente sensibile all’ambiente ma priva di un sistema
motorio (Casper, 2020).
La base per la presa in carico del paziente con LIS è triplice: la prima esigenza è quella di
stabilire una respirazione efficace, la seconda è assicurare la nutrizione e la terza è stabilire dei
mezzi di comunicazione. Devono essere fatte valutazioni della saturazione di O2, dello stato
nutrizionale, della capacità comunicativa e cognitiva (Schjolberg, Sunnerhagen, 2012). Il livello
di assistenza rimane intensivo anche nella LIS cronica. Su 50 pazienti intervistati nello studio di
Laureys et al., (2005), 16 ricevevano assistenza infermieristica una volta al giorno, 28 due volte
al giorno e 6 tre volte al giorno. Mentre l’assistenza fisioterapica era eseguita 5 volte a settimana
nel 66% dei pazienti e l’assistenza dell’ortofonista 3 volte alla settimana nel 55% dei pazienti.
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Ciò dimostra come l’approccio a questa patologia sia multidisciplinare e la necessità di
un’assistenza infermieristica sia continua anche al domicilio.
Dato che le capacità intellettuali delle persone affette da LIS sono intatte, è fondamentale fornire
loro quanto prima mezzi di comunicazione compensativi per consentire loro di esprimere i propri
bisogni (Söderholm et al., 2001). Una comunicazione efficace fa parte di una pratica
infermieristica di qualità (Hemsley et al., 2001). Per questi pazienti sono state utilizzate strategie
di Augmentative and Alternative Communication (AAC) come la lettura delle labbra, le lavagne
di comunicazione, la scrittura, i gesti, computer e dispositivi elettronici (Carrol, 2004).
Per lo sviluppo di questo elaborato mi sono concentrato in particolare sull’utilizzo e
sull’integrazione nella pratica infermieristica, delle lavagne di comunicazione, per meglio
comprendere i bisogni delle persone con LIS. Una lavagna di comunicazione trasparente di
plastica infatti aiuta il paziente a formulare i messaggi muovendo il suo/i suoi occhi da una
lettera all'altra (Söderholm et al., 2001).
La mia esperienza di tirocinio presso il reparto di rianimazione dell’ospedale Sant’Anna di Como
mi ha permesso di assistere pazienti vittime di incidenti cerebro-vascolari, quali emorragie
cerebrali e ictus ischemici nella loro fase più critica e nel successivo risveglio dalla sedazione
profonda. Tra questi ben 3 persone su un totale di 12 pazienti presentavano disartria, che
impediva loro di comunicare con il personale sanitario, unita a quadri di emiplegia o
quadriplegia. Ho visto e percepito la difficoltà da parte degli infermieri di approcciarsi a questi
pazienti nonché l’impossibilità iniziale di comprendere i bisogni e le necessità della persona,
quali ad esempio la presenza di dolore, la necessità di cambiare posizione o il coinvolgimento
negli atti diagnostici e terapeutici. Assistendo una donna vittima di emorragia cerebrale ho
percepito una richiesta di aiuto ma, a causa della sua disartria, non era in grado di comunicarla
con la parola. Vederla piangere dopo numerosi sforzi e tentativi mi ha fatto molto riflettere su
cosa potevo fare come professionista infermiere per poter dare voce alla signora instaurando un
canale comunicativo efficace. La stessa situazione si è ripetuta con un altro paziente vittima di
ictus, egli era sveglio, cosciente, orientato e ventilato meccanicamente ma incapace di
comunicare a causa del danno cerebrale e dell’intubazione. L’unico movimento che era
preservato era quello della mano ed è stato proprio in quell’occasione che ho visto un’infermiera
preparare una lavagna con scritte le lettere dell’alfabeto (Fig. A). Il paziente non doveva far altro
che portare il dito sulla lettera desiderata e così facendo comporre delle parole e delle frasi.
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Presso il nucleo Comi di Villa San Benedetto sono entrato in contatto con la fase cronica di
queste patologie assistendo pazienti in stato vegetativo, in stato di minima coscienza e affetti da
SLA. Anche qui mi sono accorto di come il personale sanitario fosse costantemente impegnato
nella ricerca di un canale comunicativo con questi pazienti allo scopo di capirne gli stati, le
esigenze e le intenzioni. Anche quando questi canali finalmente venivano instaurati erano gli
infermieri che costantemente assistevano i pazienti, li stimolavano e coinvolgevano nel percorso
di cura utilizzando la comunicazione con gli occhi piuttosto che le lavagne interattive.
Tutto ciò mi ha condotto alla creazione della mia domanda di tesi ovvero: “L’utilizzo delle
communication boards migliora la comprensione e l’espressone dei bisogni nella persona con
Locked-in Syndrome?
Il percorso metodologico che mi ha portato alla redazione dell’elaborato è stato così articolato:
dopo aver individuato l’argomento ovvero: “l’assistenza infermieristica alla persone con Locked-
in Syndrome “, ho eseguito una search all’interno della letteratura utilizzando la piattaforma:
“Pubmed”.
Ho utilizzato le parole chiave come “Locked-in Syndrome”, “Nurse communication”, “Nurse
assistance”, “Communication boards” e “Augmentative and Alternative Communication”. I
criteri di inclusione per gli articoli sono stati: il criterio linguistico, ovvero la lingua Francese,
Inglese e Italiana; il criterio temporale, che comprendeva articoli nell’arco 2000-2020 e che è
stato poi esteso in quanto molti studi sulla definizione della sindrome e sui casi risalivano agli
anni 70-80-90 ed erano ancora pienamente attendibili in quanto sono stati gli anni di maggior
studio per questa condizione clinica. Le parole chiave sono state collegate tramite l’utilizzo degli
operatori: “AND” e “IN” come in “Locked-in Syndrome and nurse communication”, “Locked-in
Syndrome and nurse”, “Locked-in Syndrome and communication boards”, “Communication
boards and nurse assistance” e “Locked-in Syndrome and life quality”.
“Locked-in Syndrome and nurse communication” ha prodotto un totale di 5 risultati, tra cui ho
selezionato 2 articoli; “Locked-in Syndrome and nurses” ha prodotto un totale di 28 risultati, tra
cui ho selezionato 1 articolo; “Locked-in Syndrome and communication boards” ha prodotto un
totale di 39 risultati, tra cui ho selezionati 2 articoli; “Communication board and nurse
assistance” ha prodotto un totale di 33 risultati, tra cui ho selezionati 2; “Locked-in Syndrome
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and life quality” ha prodotto 59 articoli, tra cui ho selezionato 7 articoli. Per un totale di 14 studi
per lo sviluppo del presente elaborato.
Gli studi sono stati scelti in quanto pertinenti alla mia domanda di tesi e perché sottolineano lo
stretto rapporto tra l’assistenza infermieristica e le persone con questa sindrome in stato
temporaneo o permanente, in ambito intensivo e in ambito cronico.
Per poter accedere anche agli articoli non “free full text” in Pubmed, ho utilizzato il portale delle
risorse bibliotecarie ed elettroniche dell’Università degli Studi dell’Insubria: Portale Insubre.