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INTRODUZIONE
Negli ultimi anni, in Italia e anche in Alto Adige, la presenza numerosa di
alunni stranieri nelle scuole italiane e le difficoltà che spesso incontrano nel
processo di apprendimento scolastico sono in progressivo aumento.
Questa realtà costituisce, per i Servizi di riabilitazione e per le Istituzioni
scolastiche un vero e proprio problema, accentuato dal fatto che le difficoltà
scolastiche degli studenti stranieri appaiono spesso complesse e
difficilmente interpretabili.
Questa situazione può talora indurre erroneamente l’idea che lo studente
straniero presenti un disturbo specifico di apprendimento, quando invece la
causa può essere un’insufficiente alfabetizzazione nella lingua della società
di accoglienza.
Il presente lavoro tenterà di comprendere come variabili di tipo linguistico
(lingua parlata in famiglia, ampiezza del vocabolario), scolastico (anni di
frequenza della scuola dell’infanzia e primaria in Italia) e sociale (anni di
permanenza in Italia) possano influenzare le prestazioni di lettura di un
alunno straniero.
Se è vero che gli alunni stranieri, più di quelli italiani, hanno maggiori
difficoltà negli apprendimenti scolastici, la causa è sempre un disturbo
specifico o ci sono altri fattori che intervengono?
La risposta a questi quesiti permetterà quindi di porre particolare cautela e
di considerare attentamente il rischio, durante la valutazione, di attribuire ai
soggetti in esame sia dei falsi positivi (soggetti a cui viene diagnosticato un
DSA meglio spiegabile con la condizione etnico culturale), sia dei falsi
negativi (soggetti ai quali in virtù della loro condizione etnico-culturale non
viene diagnosticato un DSA) e poter quindi intervenire in modo mirato e
specifico.
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CAPITOLO 1
Il Plurilinguismo
1.1. Introduzione
Più della metà della popolazione mondiale è plurilingue.
Nel mondo vengono utilizzate circa 7000 lingue in appena 160 Paesi
(Turker, 1998).
Se ne può dedurre che la maggior parte della popolazione mondiale può
essere considerata plurilingue, ossia usa due o più codici linguistici per
comunicare nelle quotidiane interazioni comunicative (Grosjean, 1994;
1982).
Se a questa prima osservazione si aggiunge il fatto che il numero delle
lingue utilizzate in numerosi Paesi è in costante aumento a causa di
massici fenomeni migratori, il problema connesso alla rappresentazione del
linguaggio e al suo uso, perdita e riabilitazione in persone plurilingui
emerge in tutta la sua importanza (Fabbro F., Marini A. 2009).
Lo studio neurolinguistico del bilinguismo e del plurilinguismo è un
approccio multidisciplinare al problema della rappresentazione e del
funzionamento di più lingue in un unico cervello.
1.2. Studi di neuroimaging
Da circa vent’anni un contributo essenziale sia alla comprensione delle basi
neurologiche e funzionali del processo di apprendimento e di elaborazione
di L2, che delle relazioni di L1, deriva dall’applicazione, su soggetti normali
di tecniche di neuroimaging funzionale, quali PET e RMf.
Il vantaggio di tali metodologie, rispetto a quella clinica, consiste
essenzialmente nella possibilità di tenere in considerazione, nel valutare
eventuali differenze nell’elaborazione di L2 rispetto a L1, il peso di variabili
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indipendenti, quali età di acquisizione, competenza linguistica, esposizione
e familiarità alle diverse lingue.
Dai compiti di comprensione uditiva di testi, presentati in L1 o in L2 per via
uditiva ed eseguiti da soggetti con alta competenza linguistica nelle due
lingue, è stata evidenziata un’identica attivazione bilaterale dei poli
temporali, della circonvoluzione temporale media e del polo superiore
temporale sinistro.
Si è inoltre osservato che l’età di acquisizione di L2 non ha nessun ruolo
nel determinare eventuali differenze nella rappresentazione neurale di L2
rispetto a L1.
Di contro, nelle persone con minor competenza in L2 rispetto a L1 si è
riscontrata una maggior variabilità delle aree attivate.
Altri studi, invece, hanno indagato se a un diverso grado di somiglianza fra
le due lingue parlate possa corrispondere una maggior variabilità di
rappresentazione anatomica.
Chee e coll. (1999) hanno condotto uno studio RMf in soggetti bilingui sulle
capacità di decisione semantica per parole singole da cui è stato riscontrato
un pattern di attivazione in regione frontale sinistra comune alle due lingue,
suggestivo per l’esistenza di un magazzino semantico comune accessibile
da esse.
Meno uniformi sono invece i risultati ottenuti attraverso gli studi di
neuroimaging rivolti al processo di produzione di parole: in un compito di
ripetizione e produzione (rime, sinonimi, traduzione da una lingua all’altra)
di parole singole da parte di soggetti bilingui (francese e inglese, con
apprendimento di quest’ultima lingua in età scolare) è stato trovato un
identico pattern di attivazione, ad eccezione di una maggior attivazione a
livello del putamen sinistro durante la produzione di parole in L2 (Klein e
coll. 1994, 1995).
Nessuna differenza emerge, invece, da un compito di generazione di
parole, anche controllando l’età di acquisizione di L2 (acquisizione precoce
o tardiva).
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Di contro, Kim e coll. (1997), in uno studio RMf rivolto all’elaborazione di
parole singole in soggetti bilingui di madrelingua diversa (inglese, coreano,
spagnolo) e che avevano appreso una seconda lingua tardivamente, hanno
riscontrato un’attivazione differenziale di L1 rispetto a L2 nell’area di Broca;
tali differenze tuttavia non erano evidenti in soggetti divenuti precocemente
bilingui.
Il fattore età di apprendimento è stato indagato da Wartenburger e coll.
(2003) che, in uno studio RMf hanno sottoposto soggetti bilingui (italiano-
tedesco) a compiti di elaborazione sintattica e semantica.
Il primo gruppo era composto da soggetti bilingui dalla nascita; il secondo
da soggetti con uguale competenza linguistica, ma in cui l’acquisizione di
L2 era avvenuta dopo sei anni.
Un terzo gruppo, infine, era composto da soggetti con apprendimento di L2
tardivo e con minore competenza linguistica.
Fattori critici si sono dimostrati sia il grado di competenza linguistica, sia
l’età di acquisizione.
Nei compiti sintattici, un’attivazione sovrapponibile delle aree cerebrali
deputate all’elaborazione sintattica (area di Broca e gangli della base) si è
evidenziata solo nei bilingui precoci mentre, pur a parità di competenza
linguistica, nei soggetti che avevano acquisito L2 più tardivamente e in
quelli che possedevano una minor competenza linguistica si è evidenziata
una maggior estensione nell’attivazione in quanto, oltre alle aree suddette,
venivano attivate aree contigue, suggerendo che il compito sintattico
necessitasse in tali soggetti di maggiori risorse cognitivo-neurali.
Nessuna differenza significativa fra i tre gruppi è invece emersa nei compiti
lessicali semantici, in cui l’attivazione delle aree perisilviane dell’emisfero
sinistro era simile, indipendentemente dall’età di acquisizione o dalla
competenza linguistica.
In conclusione si può quindi affermare che la maggioranza degli studi di
neuroimaging ha evidenziato l’attivazione di arre omologhe
indipendentemente dalle lingue parlate dai soggetti poliglotti: sia gli aspetti
sintattici, che fonologici e lessicali di L2 sono elaborati dagli stessi
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meccanismi neurali, localizzati nelle aree perisilviane dell’emisfero sinistro,
funzionalmente deputati all’elaborazione di L1.
Il grado di sovrapposizione è direttamente proporzionale al livello di
competenza linguistica, ma con apprendimento più tardivo, necessita
dell’attivazione di ulteriori risorse neurali, specie per i compiti sintattici.
Quest’ultimo dato conferma che, se alcune strutture cerebrali non sono più
attive per l’apprendimento del linguaggio dopo il periodo critico, è la
componente sintattica che abbisogna di ulteriori risorse neurali
necessitando di un apprendimento per via esplicita, piuttosto che
procedurale come avviene per L1.
1.3. Teorie e modelli del cervello plurilingue
Grazie a numerosi studi clinici e sperimentali sull’organizzazione del
cervello bilingue si è giunti alla conclusione che le lingue sono localizzate
parzialmente in aree comuni e parzialmente in aree specifiche e separate.
Sono state così formulate diverse ipotesi a riguardo.
La prima, avanzata da molti neurologi del passato come Pitres (1895) e
Minkowski (1891), propone che tutte le lingue conosciute da un bilingue o
da un poliglotta siano localizzate nelle stesse aree del cervello.
L’ipotesi diametralmente opposta, e cioè che ogni lingua fosse localizzata
in aree differenti del cervello (Scoresby-Jackson,1867) sostiene che se
l’area di Broca è responsabile dell’acquisizione della lingua madre, ogni
lingua appresa avrebbe implicato la formazione di un nuovo centro che si
sarebbe sviluppato per adattamento funzionale nelle aree frontali anteriori
alla suddetta area.
La terza ipotesi (Potzl) sostiene invece che gli individui bilingui sviluppano
dei centri specializzati nel loro cervello.
Egli sostiene che i bilingui hanno alcuni specifici comportamenti linguistici,
come la capacità di selezionare una lingua (sintonizzazione), di passare da
una lingua all’altra (commutazione), di tradurre ecc.
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Il controllo di questi comportamenti verbali si realizzerebbe nel giro
soprasegmentale sinistro.
Infine vi è un’ultima ipotesi (Gorlitzer von Mundy,1959), frutto di una fusione
delle precedenti, in base alla quale le lingue sarebbero organizzate in parte
in aree comuni e in parte in aree specifiche e separate del cervello.
Numerosi studiosi sono a favore di quest’ultima ipotesi, in quanto è in
accordo con la classica idea di spiegare in termini funzionali la maggior
parte dei fenomeni riscontrati nelle afasie dei bilingui, come alcune modalità
di recupero delle lingue, nonché con numerosi dati clinici e sperimentali e
con recenti osservazioni sull’organizzazione della memoria (Fabbro F.,
1996 Il cervello bilingue).
1.3.1. Un modello della mente plurilingue
Nel 1986 David Green ha proposto un modello generale per il controllo
dell’espressione verbale nei bilingui, nel quale sono stati inclusi dati e
ipotesi tratti dalla psicolinguistica e dalla neurolinguistica.
Il modello è basato su un principio modulare, e ipotizza l’esistenza di diversi
subsistemi indipendenti (subsistemi per l’analisi delle parole in L1 e in L2 e
per l’espressione delle parole in L1 e L2), che a loro volta sono formati da
un numero impreciso di moduli indipendenti, ma in costante interazione.
Secondo Green le relazioni fra i subsistemi sono di tre tipi: di attivazione,
d’inibizione ed energetiche.
Nel 1989 Paradis ha descritto in particolare le caratteristiche delle relazioni
di attivazione, sostenendo che ogni parola e ogni lingua hanno una
specifica soglia che dipende dalla frequenza d’uso e dall’intervallo di tempo
trascorso dall’ultima attivazione.
Generalmente la soglia di attivazione per la comprensione di una lingua è
più bassa di quella di attivazione dell’espressione.
Molto importanti sono anche le relazioni d’inibizione, presenti anche nei
monolingui.
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Quando viene scelta una parola vengono contemporaneamente inibite le
parole semanticamente e fonologicamente vicine.
Nei bilingui, durante la selezione di una lingua, le relazioni d’inibizione
permettono di inibire l’altra non attivata.
Quest’inibizione è in genere automatica e permette di evitare le interferenze
fra le due lingue; l’espressione verbale in una lingua permette di evitare
quelle fra le due; l’espressione verbale in una lingua inibisce quindi
automaticamente l’espressione nella seconda.
Così, ad esempio, l’attivazione della parola “mela” nella lingua A (italiano)
inibisce sia l’equivalente parola nella lingua B (apple), sia le parole
semanticamente e fonologicamente affini nella stessa e nelle altre lingue, e
inoltre inibisce anche il processo di traduzione della lingua A alla lingua B
della parola selezionata (mela apple).
Una lesione del cervello può compromettere la capacità di utilizzare una
lingua (A) non per un’insufficiente attivazione della stessa lingua, ma anche
e soprattutto per un’insufficiente inibizione dell’altra (B).
Green, inoltre, ha sottolineato l’importanza di un sistema da lui chiamato
“generatore di energia”.
Egli ha, infatti, richiamato l’attenzione sul fatto che tutti i sistemi meccanici e
viventi necessitano di energia per funzionare.
La quantità di energia non è illimitata, ma può esaurirsi e deve pertanto
essere riaccumulata.
Secondo quest’autore ogni lingua ha una certa quantità di energia
disponibile, che diminuisce via via che la lingua viene adoperata.
Una volta esaurita tutta l’energia a disposizione per l’espressione nella
lingua A un individuo avrà momentaneamente molte difficoltà a esprimersi
in questa lingua, mentre potrà esprimersi più facilmente in un’altra (B),
perché questa ha una maggiore quantità di energia ancora disponibile.
In questo ambito di studi si considerano bilingui, soggetti che conoscono,
comprendono e parlano: a) due lingue, oppure b) due dialetti, oppure c)
una lingua e un dialetto.