2 INTRODUZIONE
La vite (Vitis vinifera L.) da un punto di vista economico è la coltura arborea da frutto
più importante al mondo.
Fattori, quali le differenze fisiologiche e genetiche presenti tra le cultivar, la facilità di
propagazione per talea ed un'avanzata conoscenza del genoma, rendono questa specie
una pianta modello per studi molecolari e fisiologici (Vandeleur et al., 2009; Jaillon et
al., 2007). Ad esempio, già dagli anni 70 la vite è stata impiegata come pianta modello
in studi riguardanti le risposte allo stress idrico (Lovisolo et al., 2010).
La necessità di portainnesti resistenti allo stress idrico
L'ampia superficie attualmente coltivata a vite include le regioni aride e semiaride del
pianeta, nelle quali i rischi legati alla prolungata esposizione alla carenza idrica sono più
frequenti e di notevole impatto sulla produzione (Lovisolo et al., 2010). La crescita e lo
sviluppo della vite richiedono temperature minime di 10°C tipiche delle piante
macroterme e, con differenze tra le cultivar, viene considerata resistente allo stress
idrico; pertanto, specialmente in Europa, la sua coltivazione in alcune zone è
tradizionalmente non irrigata e si basa solo sulle irrigazioni di emergenza (Chaves et al.,
2010; Lovisolo et al., 2010).
La vite, in quanto pianta perenne, è esposta inevitabilmente a periodi stagionali di
carenza idrica nel suolo e nell'atmosfera; quando queste situazioni non possono essere
tenute sotto controllo, comportano la riduzione della produzione e della qualità dei
grappoli; ciò avviene in particolare quando lo stress idrico si manifesta negli stadi
compresi tra la chiusura del grappolo e l'invaiatura (Cramer et al., 2007; Chaves et al.,
2010; Lovisolo et al., 2010). Ad incrementare il rischio di queste situazioni, si
aggiungono molte delle tecniche colturali applicate nella viticoltura; tali tecniche
sottopongono le piante a periodi di deficit idrico controllato con lo scopo di limitare lo
sviluppo vegetativo della parte epigea ed equilibrarlo a quello delle radici, migliorare
l'efficienza d'uso dell'acqua (WUE) e incrementare la qualità della bacca in termini di
grado zuccherino, contenuto in polifenoli, flavonoidi e aromi (Lovisolo et al., 2010).
Ad aggravare l'insufficienza degli apporti idrici, nei climi in cui la vite è attualmente
coltivata, si aggiungono le previsioni sui cambiamenti climatici e sulla disponibilità di
risorse idriche per l'agricoltura. Secondo l'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel
3 on Climate Change nei prossimi due decenni si assisterà ad un riscaldamento climatico
di circa 0,2°C per decennio. Si prevede anche una variazione nel volume e nella
distribuzione delle precipitazioni, che tenderanno ad aumentare alle latitudini più
estreme e nei periodi invernali, mentre diminuiranno nella maggior parte delle regioni
subtropicali e nei periodi estivi, aumentando il rischio di lunghi periodi di siccità
(Schultz, 2000; Kiparsky et al., 2012). Queste variazioni climatiche produrranno
l'aumento dell'evapotraspirazione e la conseguente diminuzione del contenuto idrico del
suolo, aggravando l'incidenza del deficit idrico quale fattore limitante della produzione,
in particolare nelle regioni in cui la siccità costituisce già un problema per la viticoltura.
A questo andamento climatico si aggiunge la crescita della popolazione umana che
comporterà nei prossimi anni il progressivo aumento delle emissioni di CO2
nell'atmosfera, i cui effetti sul riscaldamento globale e sulla maggiore richiesta di acqua
a scopo non agricolo diminuiranno ulteriormente l'acqua disponibile per l'agricoltura
(Schultz, 2000; Postel et al., 1996; Strzepek & Boehlert, 2010).
L'incidenza del deficit idrico nel suolo sullo stato idrico della pianta può essere ridotta
tramite l'adozione di pratiche agronomiche che migliorano la conservazione dell'acqua
nel suolo o la capacità della pianta di assorbirla e utilizzarla.
Escludendo l'irrigazione, l'innesto è tra le pratiche agronomiche quella che conferisce
alla pianta un maggiore grado di tolleranza alla siccità e quindi rappresenta una valida
risposta alternativa alla prevista riduzione delle risorse idriche destinate all'agricoltura
(Marguerit et al., 2012). L'innesto conferisce al nesto, selezionato per le qualità del
frutto, le caratteristiche che dipendono dall'apparato radicale del portainnesto, senza
alterare quelle della parte aerea, agevolando i tempi e l'applicazione del miglioramento
genetico (Marguerit et al., 2012). Nel caso specifico della vite, la caratteristica
principale richiesta da lungo tempo al portainnesto è la resistenza dell'apparato radicale
all'attività galligena della fillossera. Questo afide, rinvenuto nei vitigni europei dalla
seconda metà del XIX secolo, quando attacca le radici ne compromette l'attività
portando la pianta alla morte. La resistenza della vite americana (V. rupestris, V. riparia
e V. berlandieri) alla fillossera e la possibilità di utilizzare queste specie come
portainnesti per le viti europee hanno reso l'innesto una pratica agronomica obbligata
nella viticoltura moderna (Granett et al., 2001; Benheim et al., 2012; Marguerit et al.,
2012).
4 Dei pochi portainnesti commerciali attualmente disponibili per la viticoltura, la maggior
parte sono ancora il risultato del miglioramento genetico e della selezione effettuati
prima del 1930 (Granett et al., 2001). Questi portainnesti, in particolare quelli destinati
alla produzione vinicola, sono stati ottenuti tramite un criterio di selezione superficiale e
che non considerava la resistenza alla siccità e/o l'efficienza d'uso dell'acqua. La carenza
idrica è stata presa in considerazione come un fattore limitante solamente di recente,
pertanto è richiesta l'individuazione di nuovi portainnesti con maggiore efficienza d'uso
dell'acqua e più elevata tolleranza alla siccità (Flexas et al., 2010). In un contesto di
questo tipo, al fine di fornire strumenti adeguati per la selezione assistita di nuovi
portainnesti, è fondamentale approfondire le conoscenze riguardanti gli aspetti
molecolari e fisiologici della pianta in risposta allo stress idrico (Chaves et al., 2003;
Chaves et al., 2010; Flexas et al., 2010).
L'acqua nel suolo e nella pianta
Il potenziale chimico dell'acqua o potenziale idrico ( Ψ ) è il parametro utilizzato in
fisiologia vegetale per descrivere le variazioni di energia libera dell'acqua, che
determinano lo stato idrico della pianta e la direzione del flusso dell'acqua nei tessuti
della pianta e nel terreno (Bray et al., 2000; Hopkins & Hüner, 2008). In una soluzione
libera di muoversi tra due punti, il flusso d'acqua osservabile è infatti direttamente
proporzionale alla differenza di Ψ e al coefficiente di conducibilità tra i due punti
considerati (Nobel, 2005).
Il valore di Ψ in un punto si ottiene dalla somma dei potenziali che lo compongono:
POTENZIALE DI SOLUTO (Ψs), definito anche potenziale osmotico, dipende
dall'attività dell'acqua e quindi dalla concentrazione dei soluti disciolti.
POTENZIALE DI PRESSIONE (Ψp), dipende dalla pressione idrostatica, valutata
senza considerare la pressione atmosferica; se questa è negativa, come nello xilema, si
definisce tensione.
POTENZIALE GRAVITAZIONALE (Ψg), dipende dall'altezza della colonna d'acqua
nel punto in cui viene misurato, tuttavia ad altezze inferiori ai 5-10 m il suo contributo
su Ψ viene considerato nullo.
POTENZIALE DI MATRICE (Ψm), dipende dalle forze di adesione e di coesione
dovute all'interazione tra l'acqua e i solidi, queste forze generano una pressione negativa
o tensione che ostacola il movimento dell'acqua.
5 In particolare, il suolo è un sistema costituito per circa la metà dalla fase solida organica
e inorganica, mentre l'altra metà, costituita da micropori e macropori, è occupata in
varie proporzioni dalle fasi liquida e gassosa. Le proporzioni con cui l'aria e l'acqua
occupano le porosità del terreno dipendono dallo stato idrico del suolo e dalle
interazioni tra l'acqua e le particelle solide (Violante, 2002).
In base al contenuto idrico del suolo si identificano tre costanti idrologiche:
CAPACITÀ IDRICA MASSIMA (Umax), definisce la quantità massima di acqua che il
suolo può contenere riempiendo sia i micropori sia i macropori.
CAPACITÀ DI CAMPO (Ucc), definisce il contenuto percentuale di acqua che il suolo
riesce a trattenere nel terreno dopo la percolazione per gravità dell'acqua in eccesso nei
macropori alla Umax.
PUNTO DI APPASSIMENTO (Upa), definisce l'umidità percentuale immobilizzata nel
terreno da forze di tensione molto elevate, quest'acqua occupa i micropori più piccoli o
costituisce un sottile velo d'acqua sulle superfici solide.
La permeabilità del suolo all'acqua dipende dalla geometria dei pori e dalla sua
tessitura; suoli con particelle di maggiori dimensioni come quelli sabbiosi hanno una
conducibilità idraulica maggiore e percolano più rapidamente rispetto a quelli limosi e
argillosi (Nobel, 2005), pertanto sono più suscettibili alla siccità.
Le caratteristiche del suolo ne influenzano le relazioni di scambio idrico con gli
organismi vegetali. Infatti, le radici delle piante non sono un grado di assorbire l'acqua
contenuta al Upa e possono assorbire solo una minima parte dell'acqua che percola
rapidamente alla Umax. Pertanto le radici sono in grado di intercettare e assorbire
potenzialmente solo i contenuti idrici del suolo compresi tra Ucc e Upa (Violante, 2002).
Ciò comporta che in condizioni di siccità, avvicinandosi a Upa, si abbiano forti
diminuzioni di Ψ nel suolo, dovuto alla riduzione della componente del potenziale
di matrice; in questi casi il contenuto idrico del suolo sotto al quale si ha l'appassimento
della pianta dipende dalla sua capacità di ridurre il gradiente del potenziale di soluto
all'interno delle radici e dei vasi, fino alla camera stomatica (Nobel, 2005).
Affinché l'acqua contenuta nel terreno venga assorbita dalle radici è necessario che sia
mantenuto un gradiente di Ψ all'interno del suolo e tra il suolo e le radici; la prima
condizione è garantita dalla diminuzione del contenuto idrico in prossimità delle radici e
induce la diffusione capillare dell'acqua verso di esse, la seconda condizione necessita
invece di una tensione interna alle radici, mantenuta dal flusso traspiratorio e