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perciò conservati e riparati, se danneggiati, allungandone così il
periodo di utilizzo. Il «problema rifiuti» esisteva anche all‟epoca,
ma unicamente nei termini di un problema igienico-sanitario.
Con i progressi della tecnologia e della scienza, l'uomo ha avuto
mezzi sempre più potenti per sfruttare a fondo l'ambiente
intaccando così le risorse e il delicato equilibrio per cui ogni
sottoprodotto di un processo è materia prima per un altro. A
partire dal XIX secolo, in particolare, si è moltiplicata la
produzione di beni di consumo con conseguente incremento di
rifiuti non smaltibili. Il sistema di produzione capitalistico -
consumistico ha comportato l‟emissione sul mercato di prodotti
con cicli di vita sempre più brevi, generando un incremento
vertiginoso di scarti e rifiuti, con conseguenti problemi di
inquinamento e malattie per l'uomo.
La natura dei rifiuti varia considerevolmente a seconda del livello
di sviluppo dei singoli paesi. Più un paese è ricco, maggiore è la
presenza di imballaggi e di prodotti sofisticati e minore quella di
scarti alimentari, e quindi di rifiuti organici e putrescibili. Questi
ultimi, nei paesi poveri, costituiscono dal 50 all‟ 80% della
composizione dei rifiuti. Inoltre, nella misura in cui gran parte dei
rifiuti viene «setacciata» in modo sistematico dalla raccolta «non
convenzionale», attiva su tutte le discariche selvagge delle
megalopoli dei paesi in via di sviluppo, quello che rimane è in fin
dei conti abbastanza omogeneo da prestarsi a una valorizzazione
energetica o biologica. Nei paesi ricchi, invece, la percentuale di
carta e cartone nei rifiuti urbani può arrivare fino al 50%, a cui
bisogna aggiungere una buona dose di materie plastiche, metalli e
vetro. La raccolta differenziata e il riciclaggio hanno qui una loro
logica.
In linea generale, la vasta gamma dei rifiuti solidi attualmente
prodotti comprende:
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materiali decomponibili (scarti organici in genere, residui
vegetali, carta, legno, tessili, avanzi di cibo, carogne di
animali);
materiali non decomponibili (metalli, vetro, ceramica,
materiali ferrosi e plastici);
ceneri e polveri;
rifiuti ingombranti (materiali provenienti da demolizioni,
macchinari, elettrodomestici, vecchie auto e parti
meccaniche);
contenitori e imballaggi (in vetro, alluminio, materiale
plastico, materiale cellulosico);
rifiuti urbani pericolosi (pile, batterie, farmaci, i prodotti
tossici e infiammabili, come candeggina, vernici, colle,
insetticidi, oli minerali usati, residui ospedalieri, lampade a
vapore di gas, tubi catodici);
residui solidi risultanti dal processo di trattamento dei
liquami (materiali trattenuti dalle griglie degli impianti di
depurazione, materiali solidi stabilizzati, fanghi biologici);
rifiuti industriali (sostanze chimiche di varia natura, tinture e
simili, sabbie, cascami di lavorazione, oli e grassi);
rifiuti derivati da attività minerarie (scorie di vario genere,
polveri e residui di carbone);
rifiuti derivati da attività agricole (letame e rifiuti zootecnici
vari, scarti vegetali).
Per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti e la loro gestione,
sotto il profilo normativo si possono individuare invece tre
categorie principali: rifiuti urbani, industriali e pericolosi.
I rifiuti urbani sono quelli derivanti da attività domestiche,
commerciali e dei servizi locali (verde pubblico, pulizia delle
strade). In Italia, in base al Decreto Legislativo n. 22 del 1997
detto Decreto Ronchi, sono rifiuti urbani:
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rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e
luoghi adibiti ad uso di civile abitazione;
rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad
usi diversi dalla civile abitazione, assimilati ai rifiuti urbani
per qualità e quantità;
rifiuti provenienti dalla pulizia delle strade;
rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle
strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private
comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge
marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;
rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini,
parchi e aree cimiteriali, o rifiuti provenienti da attività
cimiteriale.
I rifiuti industriali sono generati nell‟ambito di processi di
trasformazione e trasportati e gestiti da soggetti autorizzati dallo
stesso produttore o smaltiti in situ. Di tali rifiuti è difficile misurare
la produzione a livello mondiale in quanto i dati raccolti dai diversi
paesi sono spesso incompleti, eterogenei e poco affidabili.
Comunque, secondo il Panorama mondiale dei rifiuti 2009 la loro
raccolta, relativa all‟anno scorso, si aggira su 1,2 miliardi di
tonnellate (cifra da considerarsi come un ordine di grandezza).
I rifiuti pericolosi sono quelli cui è associato un preciso rischio
per la salute umana o per l‟ambiente. Pur essendo una categoria
in teoria facilmente classificabile, non esiste una definizione
comune. A livello internazionale, la Convenzione di Basilea del
marzo 1989 ha fissato controlli sui flussi di rifiuti pericolosi.
Bisogna però considerare la grande disuguaglianza delle
definizioni da un paese all‟altro, anche all‟interno dell‟Unione
Europa. Sulla base delle statistiche, si può stimare in circa 300
milioni di tonnellate la raccolta mondiale di questa tipologia di
rifiuti. Si tratta di una raccolta notevolmente inferiore alla
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produzione e variabile in funzione del reddito dei paesi.
Un‟applicazione sempre più rigorosa del principio di cautela e la
crescente complessità dei prodotti manifatturieri hanno provocato
in certi paesi una vera presa di consapevolezza dell‟importanza dei
rifiuti pericolosi, mentre in altri il fenomeno rimane sottovalutato.
La produzione nei paesi in via di sviluppo, in particolare, è
inferiore a quella dei paesi avanzati, ma pone seri problemi perché
la loro gestione è praticamente inesistente.
In Italia il Decreto Ronchi classifica tra i rifiuti pericolosi:
rifiuti provenienti da produzione, trattamento e preparazione
di alimenti in agricoltura, orticoltura, caccia, pesca ed
acquicoltura;
rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di carta,
polpa cartone, pannelli e mobili;
rifiuti della produzione conciaria e tessile;
rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas
naturale e trattamento pirolitico del carbone;
rifiuti da processi chimici inorganici soluzioni acide di scarto;
rifiuti da processi chimici organici;
rifiuti da produzione, formulazione, fornitura ed uso (pffu) di
prodotti chimici;
rifiuti da produzione, formulazione, fornitura ed uso (pffu) di
rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), sigillanti e
inchiostri per stampa;
rifiuti dell'industria fotografica;
rifiuti inorganici provenienti da processi termici;
rifiuti inorganici contenenti metalli provenienti dal
trattamento e ricopertura di metalli; idrometallurgia non
ferrosa;
rifiuti di lavorazione e di trattamento superficiale di metalli e
plastica;
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oli esauriti;
rifiuti di sostanze organiche utilizzate come solventi;
rifiuti di costruzioni e demolizioni (compresa la costruzione
di strade);
rifiuti di ricerca medica e veterinaria (tranne i rifiuti di
cucina e di ristorazione che non derivino direttamente da
luoghi di cura);
rifiuti da impianti di trattamento rifiuti, impianti di
trattamento acque reflue fuori sito e industrie dell'acqua;
rifiuti solidi urbani ed assimilabili da commercio, industria ed
istituzioni inclusi i rifiuti della raccolta differenziata;
Nel complesso, la quantità di rifiuti prodotti nel mondo
attualmente si aggira tra i 3,5 e i 4 miliardi di tonnellate all‟anno
(pari a 650 kg per abitante, con prevalenza dei paesi occidentali),
di cui 1,7-1,9 sono rifiuti urbani, 1,2-1,7 industriali, 0,5 rifiuti
industriali pericolosi1. La ripartizione della produzione dei soli
rifiuti urbani (calcolati in milioni di tonnellate) tra le principali aree
del mondo, con riferimento al 2009, può così essere
rappresentata2:
1
Cfr. P. Chalmin, C. Gaillochet, From waste to resource: world waste survey 2009.
2
Questo grafico e i successivi sono tratti da P. Chalmin, C. Gaillochet, From waste to resource:
world waste survey 2009.
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I paesi a più alto reddito, producono più di 500 kg di rifiuti urbani
per persona all‟anno.
Come era facilmente prevedibile la cifra più alta (760 kg) riguarda
gli Stati Uniti. In generale, i paesi emergenti più avanzati, si
situano tra 300 e 400 kg per abitante. Gli altri paesi emergenti tra
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cui la Cina sono tra i 200 e 300 kg pro capite. Quanto ai paesi in
via di sviluppo, laddove i dati sono disponibili, soprattutto nelle
zone urbane, si aggirano sui 150 kg.
In Italia la produzione di rifiuti urbani nel 2007 è stata di 32,5
milioni di tonnellate (550 chili pro capite), mentre i rifiuti
industriali hanno raggiunto i 36,4 milioni di tonnellate3. Nel giro di
soli 25 anni, dal 1980 al 2005, la quantità di rifiuti solidi urbani sul
territorio nazionale è più che raddoppiata.
Queste cifre, che aumentano di anno in anno, sono il segno di un
problema che coinvolge ormai l‟intero pianeta e preoccupa da
tempo la comunità internazionale. Il tema della sostenibilità è
entrato nel dibattito culturale e politico internazionale con il
Rapporto della Commissione Mondiale per l‟Ambiente e lo Sviluppo
delle Nazioni Unite (WCED 1987), noto anche come Rapporto
Brundtland. Nel documento compare per la prima volta la
definizione di «sviluppo sostenibile» (sustainable development),
3
Cfr. Ispra, Rapporto rifiuti 2008, marzo 2009.