3
A queste due scelte di fondo se ne aggiunge una terza, presente in quella che ho chiamato
definizione generale dell’indagine topologica di un’ontologia: il valore sistemico e, soprattutto,
quantitativo di un’ontologia. Il richiamo alla quantità è centrale, e senza di essa, non potrebbe
sussistere un’indagine topologica genericamente intesa; qui quantità non è inteso né come
categoria né come quantificazione universale o particolare, bensì come discrezione.
Tale tipo di indagine non è un raffronto tra due ontologie storicamente formulate; in
quanto ispezione, analisi e mappamento, l’indagine topologica ha il senso di un collocamento
delle assunzioni ontologiche, ossia di uno studio dei luoghi e degli spazi di queste assunzioni; in
questo senso è utile distinguere tra una indagine topologica interna ed una indagine topologica
esterna.
L’indagine topologica interna è rivolta alla complessità di un dato sistema ontologico,
quindi al collocamento preciso delle sue assunzioni in quel sistema. In quanto tale essa è ferma
alla definizione stessa dell’indagine dell’ontologia;
l’indagine topologica esterna è invece rivolta ai limiti di sistemi comparati, e quindi alla
reciproca riducibilità di tali sistemi.
Da quanto detto finora, alcuni concetti risultano poco chiari, vaghi o aleatori. Questo vale
per i concetti di assunzione ontologica, di principio, di proprietà, di decostruzione, di finitezza
del sistema, di corrispondenza costante e biunivoca. Altri argomenti sono solo accennati; le
catalogazioni, le comparazioni di sistemi, lo stesso modo dell’ispezione, dell’analisi e del
mappamento. Bisogna inoltre interrogarsi circa la configurazione del sistema ontologico, e
distinguere anche i due concetti di configurazione e sistema.
1.b Topologia e ontologia analitica
L’indagine topologica non è ontologia analitica, ma ricade pur sempre nell’ontologia
genericamente intesa. Tuttavia vi ricade in un modo nel quale si sospende qualsiasi ulteriore
assunzione ontologica.
La tradizione analitica presenta almeno tre concetti fondamentali che possiamo utilmente
avvicinare a quello dell’indagine topologica:
I. La distinzione tra questioni “interne” e questioni “esterne” ad una data teoria,
teorizzata da Carnap. Da un punto di vista topologico, l’interno di un sistema
ontologico è il complesso delle sue assunzioni. L’esterno è invece rappresentato
da: 1. un altro sistema ontologico; 2. una metaontologia adeguata; 3. l’indagine
4
topologica stessa. Riferito alla topologia, invece, possiamo con sufficiente
esaustività, richiamare la distinzione tra indagine topologica interna ed esterna.
II. La mereologia, della quale ci limiteremo a presentare alcuni problemi
fondamentali: “la teoria delle relazioni parte-tutto: le relazioni che sussistono tra
un’entità x e le sue parti, e tra le diverse parti di un’entità x, indipendentemente
dalla natura di x […] vi sono dei requisiti minimali che una relazione deve
presentare affinché la si possa considerare una relazione di parte … Ma queste
accezioni ristrette del termine dipendono dal particolare dominio di discorso al
quale ci si rivolge ed esulano quindi dall’interesse della mereologia intesa come
teoria formale, cioè valida quali che siano le entità di cui si assume l’esistenza”3.
Questa teoria gode di una notevole quantità di proprietà, a loro volta dipendenti
dalla formulazione che viene presa in considerazione4. Da un punto di vista
topologico, possiamo analizzare a vari livelli o gradi un sistema ontologico, o
anche più sistemi ontologici, considerandoli come entità, quindi scomponendoli in
parti e verificandone le relazioni.
III. Il relativismo ontologico e la connessa teoria della reciproca traducibilità dei
sistemi ontologici, nella formulazione di Quine. Da un punto di vista topologico, è
implicita l’idea che un’indagine topologica deve adottare l’alfabeto ontologico di
riferimento; diversamente da Quine, l’attenzione non è però incentrata sugli
impegni ontologici della teoria, sulla valutazione della validità di certi asserti e
sulla catalogazione degli enti come esistenti o non esistenti. La topologia traduce e
confronta l’organizzazione del sistema ontologico, considerandolo dall’esterno.
Con riferimento al concetto quineano di traducibilità, possiamo anche considerare l’idea
di una meta-ontologia come “dispositivo per la valutazione delle ontologie”5 (con riferimento
diretto alla interpretazione metaontologica che van Inwagen propone delle teorie di Quine).
Parlando in termini molto generali, da un punto di vista topologico la meta-ontologia, appunto
in quanto dispositivo per la valutazione, rimane ancora un sistema ontologicamente connotato
(cfr. par. 3.b). Possiamo ad esempio pensare ad un’indagine topologica di una meta-ontologia,
3
A. Varzi, Ontologia, 2005, Laterza, pagg. 104 – 106.
4
Varzi (Varzi [2005]) enuncia, quali principi basilari della mereologia, quelli di: riflessività, transitività, antisimmetria.
Specifica poi che non tutti sono unanimemente condivisi, sia in senso difettivo, in quanto alcuni di essi sarebbero
esclusi o diversamente formulati (in particolare quello di antisimmetria), sia in senso perfettivo, attraverso cioè
l’introduzione di nuovi principi come quello di spazialità. Runggaldier e Kanzian (Runggaldier, Kanzian [2002]) legano
la teoria mereologica soprattutto al problema dell’identità, delle proprietà degli enti genericamente intesi (teoria dei
fasci) ed alle rispettive connessioni con la problematica temporale.
5
F. D’Agostini, Ontologia ermeneutica e ontologie analitiche, in “Teoria”, 2002, 2, pag. 81.
5
ma non ad un’indagine metaontologica di una topologia; quest’ultimo tipo di indagine sarebbe
propriamente meta-topologico, e potrebbe usare soltanto principi e strumenti propri della
topologia. Sarebbe cioè ancora una topologia. Ciò dipende dal fatto che in un’indagine
topologica, come già detto, si sospende qualsiasi ulteriore assunzione ontologica. Si consideri lo
schema seguente:
Per quanto riguarda le possibili topologie avremo che ciascuna di esse potrà agire su: 1.
una o tutte le altre topologie (tenendo conto dell’ordine delle precedenti); 2. una o tutte le
metaontologie (anche senza ordine); 3. una o tutte le ontologie (anche senza ordine). Più
ristretto è invece il campo di indagine delle metaontologie, che possono agire su: 1. una o tutte
le altre metaontologie (tenendo conto dell’ordine delle precedenti); 2. sulla propria ontologia di
riferimento. Ci potrà quindi essere un confronto tra due metaontologie, ma non tra una
metaontologia e l’ontologia di una metaontologia diversa dalla data. Le topologie invece sono
sempre confrontabili.
2. Heidegger e la filosofia analitica: alcune letture
I tentativi di leggere Heidegger, ed in particolare la sua ontologia, da un punto di vista
analitico nel senso lato del termine, si sono finora mossi sostanzialmente in tre direzioni, spesso
tra loro intrecciate: 1. evidenziare le comuni radici della filosofia analitica e di quella
continentale; 2. con maggiore riferimento ad Heidegger, mostrare come alcuni principi
Metaontologia3
Metaontologia2
Metaontologia1
Topologia3
Topologia2
Topologia1
Ontologia1
Ontologia2
Ontologia3
6
fondamentali e sviluppi della sua filosofia siano affini a principi e sviluppi di alcuni settori della
filosofia analitica; 3. mostrare come alcuni principi fondamentali e sviluppi della sua filosofia
siano analiticamente interpretabili.
Nella prima direzione si è mosso particolarmente Dummett; contro la comune
interpretazione che pone l’origine dell’indagine analitica nei lavori di Russell e Moore,
Dummett dimostra come buona parte delle problematiche e delle soluzioni proposte sia già in
nuce nei lavori di alcuni filosofi continentali, tra i quali ad esempio Brentano, Husserl, oltre
ovviamente a Frege e Wittgenstein6. “L’Europa centrale … fu percorsa durante tutto l’Ottocento
da molte correnti filosofiche diverse, che non fluirono però lungo canali isolati, ma che
entrarono in contatto grazie agli scambi nelle università, fra i rappresentanti delle diverse
tendenze. Più di una di queste correnti contribuì, nel XX secolo, alla formazione della filosofia
analitica che, prima dell’ascesa al potere di Hitler, era da considerarsi più un fenomeno
dell’Europa centrale che un fenomeno britannico”7. Sebbene i problemi analitici ai quali
Dummett si riferisce non siano quasi mai affrontati da Heidegger in modo centralizzato,
possiamo comunque indurre una certa partecipazione del sistema heideggeriano al complesso
delle teorie in questione, sia in modo diretto (basti fare l’esempio de La dottrina del giudizio
nello psicologismo e de La dottrina del significato e delle categorie in Duns Scoto, chiare
testimonianze della partecipazione heideggeriana ai dibattiti sulla logica che, con complesse
diramazioni, riguardarono l’ambiente accademico tedesco tra la fine dell’800 e l’inizio del
‘900), sia in modo indiretto (riferendoci ovviamente alla collaborazione con Husserl ed alla
formazione in ambiente neo-kantiano).
Sulla scia di Dummett si muove anche Friedman. Prendendo in esame il momento di
rottura tra la filosofia analitica e quella continentale, Friedman evidenzia sfondi comuni ma
anche posizioni inconciliabili nei sistemi di Carnap, Heidegger e Cassirer. Lo sfondo è
identificato nel neo-kantismo, il dissidio (particolarmente tra Carnap e Heidegger) in differenti
considerazioni del ruolo giocato dalla metafisica e dalla logica. Continuità e rottura sono
comunque basate su una sostanziale concordanza di riferimento: “è chiaro, dunque, che tra
Heidegger e Carnap sussiste di fatto un notevole accordo. Il pensiero “metafisico” come quello
che Heidegger cerca di risvegliare è possibile soltanto sulla base di una preliminare rinuncia
all’autorità e al primato della logica e delle scienze esatte. La differenza è che Heidegger accetta
con entusiasmo siffatta rinuncia, mentre Carnap è determinato a resistervi ad ogni costo”8, “la
6
Cfr. anche A. Salice, Stati di cose, in Storia dell’Ontologia, M. Ferraris (a cura di), Bompiani, 2008, pagg. 187 – 209.
[per la chiara disamina geo-culturale della cosiddetta “scuola brentaniana”]
7
M. Dummett, Origini della filosofia analitica, Einaudi, 2001, pagg. 9-10.
8
M. Friedman, La filosofia al bivio. Carnap, Cassirer, Heidegger, M. Mugnai (tr. it.), Cortina, 2004, pag. 23.
7
controversia fra Carnap e Heidegger era fondata, in ultima analisi, su un profondo dissenso
riguardo alla natura e alla centralità della logica … Nel portare alla luce le radici di questo
dissenso fondamentale circa la centralità filosofica della logica, si rivela necessario tornare alle
discussioni sul neo-kantismo e lo “schematismo trascendentale dell’intelletto” sollevate nella
disputa di Davos del 1929 tra Cassirer e Heidegger”9.
Nella seconda direzione si muove Chiodi, con particolare riferimento al possibile parallelo
Heidegger-Wittgenstein relativamente alle teorie ontologiche e linguistiche. Sebbene l’ambito di
ricerca sia limitato soltanto all’analisi del Tractatus, è notevole “la messa in chiaro della
presenza di eventuali plessi concettuali comuni, l’identificazione degli orizzonti categoriali che
li sottendono ed il perseguimento delle conseguenze che determinano nella struttura dei
rispettivi campi problematici”10. Se diamo per buona la tesi di Dummett, la possibilità di un
confronto Heidegger-Wittgenstein implica la possibilità di un confronto Heidegger-filosofia
analitica.
Rientra in quest’ottica anche la ricerca della D’Agostini. Il confronto tra analitici e
continentali è spesso impostato come confronto tra ontologie ermeneutiche ed ontologie
analitiche: “emergerà anzitutto la fondamentale differenza che riguarda i termini “ontologia” e
“metafisica” nelle due tradizioni. In area analitica … con ontologia si intende l’insieme di tesi o
convinzioni preliminari che in una qualsiasi teoria riguardano le cose che “ci sono” … La
metafisica invece riguarda i principi o le ragioni per cui esistono le cose, o meglio: le ragioni per
cui si postulano come esistenti certe cose e non altre; dunque riguarda temi come l’identità, il
tempo, lo spazio, la causalità. In area ermeneutica … i due termini hanno un significato diverso,
e il loro rapporto è esattamente rovesciato. L’ontologia è caratterizzata (a partire da Heidegger)
come dottrina … dell’essere in generale, la metafisica come ontologia della presenza, appunto
delle cose che “ci sono”. In questo modo l’ontologia (e in special modo quella che Heidegger
chiamò ontologia fondamentale, poi occasionalmente “metaontologia” …) contiene la
metafisica”11. La presenza di precisi rapporti teorici e ben definite delimitazioni d’ambito,
consente una generale possibilità di confronto, soprattutto con riferimento alle strutture astratte
ed alle metodologie di lavoro. L’ontologia di Heidegger è spesso avvicinata a quella di Quine,
non solo per la somiglianza di alcune tematiche (la formulazione di un campo di indagine
definito “metaontologia”; le regionalità ontologiche; il ruolo dominante del linguaggio) ma
anche con riferimento alle premesse e agli esiti del percorso: “Heidegger è in un certo senso un
9
Ivi, pag. 37.
10
P. Chiodi, Essere e linguaggio in Heidegger e nel Tractatus di Wittgenstein, in “Rivista di filosofia”, 1955, XLVI, 2,
pag.171.
11
F. D’Agostini, Ontologia ermeneutica e ontologie analitiche, cit., pag. 45.
8
“ontologo”, perché ha formulato una teoria dell’essere – benché prevalentemente negativa
(l’essere non è l’ente) e con molti aspetti aperti e volutamente enigmatici (l’essere è evento) –;
Quine ha piuttosto e soprattutto presentato il problema dell’ontologia, o il posto dell’ontologia
in logica e filosofia del linguaggio … Quel che sicuramente è comune a entrambi è dunque una
riflessione sulle ragioni e le premesse di uno sguardo rinnovato sul problema dell’essere.
Restringeremo allora il campo, e parleremo di quella che può essere chiamata la
“metaontologia” dell’uno e dell’altro”12, “in entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una
tematizzazione del problema ontologico che si conclude con una parziale fuga dalle (o
trasvalutazione delle) questioni ontologiche. In Quine c’è un parziale rifiuto metodologico
dell’ontologia filosofica (genera petizioni di principio); Heidegger registra invece la difficoltà
metodologica di sviluppare l’ontologia”13.
Infine, all’ultima direzione è ascrivibile Ratcliffe, che inserisce uno studio degli assunti
heideggeriani in un esplicito quadro analitico-metafisico. Sebbene l’impostazione suggerisca
notevole libertà nei tentativi di indagine, Ratcliffe concentra la sua attenzione particolarmente
sui concetti di pre-comprensione, progettualità, mondo-ambiente: “I have drawn the following
set of interconnected claims from Heidegger in respect of teleological webs: a. Both teleological
and practical beings presuppose teleological webs for their sense. b. Teleological beings are not
themselves extant beings but are presupposed by the conceivability of beings. c. Teological
webs constitute the sense of the theoretical/practical distinction and so don’t entail pragmatism
(Theoretical beings are constituted by teleological webs as precisely theoretical and not
practical). d. It is easier to see the significance of teleological webs once we retract from the
historically sedimented dogma that theoretical beings are fundamental. e. In giving sense to
beings, teleological webs are partially constitutive of our understanding of Being”14.
Lungi dal voler essere esaustiva, la presentazione di queste differenti posizioni ha un
valore puramente esemplificativo, oltre che metodologico.
3.a Inizio dell’indagine: I problema
Lavorando a partire da ontologie già definite, risulta importante per l’indagine topologica
stabilire un punto di partenza all’interno del sistema di riferimento. L’incipit dell’indagine ne
determina la conformazione, influenzando la topologia nel suo iniziale svolgimento.
12
F. D’Agostini, Epistemologia e ontologia: Quine avrebbe potuto risolvere i problemi di Heidegger? Heidegger
avrebbe risolto i problemi di Quine?, www.dif.unige.it/epi/con/dag.pdf, pag. 2.
13
Ivi, pag. 16.
14
M. Ratcliffe, Heidegger. Analytic Metaphysics, and the Being of Beings, in “Inquiry”, 2002, XLV, 2, pag. 40.
9
L’eventualità che l’indagine topologica risulti invariata qualunque sia il suo punto di partenza
dipende però dalla configurazione o dal sistema ontologico in esame, e non è comunque
ascrivibile all’indagine topologica quale sua proprietà. (Nel caso di un’equivalenza tra ontologia
e topologia ontologica, sarà sempre possibile una nuova indagine topologica che abbia al
minimo il presupposto di un’ontologia equivalente alla sua topologia, e al massimo il
presupposto che l’equivalenza tra ontologia e topologia ontologica è emersa solo in seguito ad
un’indagine topologica. Evidentemente, si pone qui il problema fondamentale: se la topologia
ontologica, pur non essendo un’ontologia, può qualitativamente corrispondere ad essa. Ossia, in
che modo descrivere la differenza ontologica tra ontologia e sua topologia?) L’indagine parte
per così dire da zero; la costruzione del mappamento ontologico prosegue di pari passo alla
delineazione delle assunzioni della teoria. Ciò non significa, però, che la scelta di un
determinato punto di accesso sia arbitraria, o che non esistano punti di accesso privilegiati o
preminenti; anzi, l’esibizione di priorità ed equivalenze tra regioni di un’ontologia è
precisamente uno dei compiti fondamentali dell’indagine topologica. (cfr. I, 1.a)
Il nostro primo problema dovrà dunque essere quello di decidere quale punto di accesso
utilizzare per l’analisi dell’ontologia che vogliamo considerare (heideggeriana).
3.b Inizio dell’indagine: II problema
Ogni sistema ontologico è passibile di indagine topologica? Ciò equivale a chiedersi se
per ogni ontologia sia costruttivamente possibile individuare un mappamento o delineare una
conformazione. La questione è quindi: se la possibilità dell’indagine topologica dipenda dalle
proprietà contingenti dell’ontologia in esame, oppure dalle proprietà dell’indagine in quanto
tale. Per rispondere, però, dobbiamo quantomeno tentare di indagare topologicamente una
determinata ontologia. La risposta a questa questione richiederebbe una precisa delineazione dei
principi della topologia ontologica. In questa sede possiamo però assumere un secondo
problema: se l’ontologia di Heidegger possa essere indagata topologicamente. Ossia: se
l’ontologia di Heidegger presenti una conformazione spiegabile sulla base delle definizioni I e II
del paragrafo 1.a. (Irriducibilità della conformazione alle decostruzioni, valore quantitativo e
discreto, confrontabilità e traducibilità, possibilità di una proliferazione delle assunzioni).