INTRODUZIONE
6
Nel terzo capitolo le condizioni odierne del mercato del business to
business per le comunità economiche locali sono esaminate più da vicino, con
l'individuazione delle iniziative già in corso e degli ostacoli, sostanzialmente di
natura socio-culturale, che si interpongono allo sviluppo del settore. Un ruolo
importante risulta essere quello dei primi progetti di mercati digitali, primo
passo per la creazione di vere e proprie comunità economiche on-line.
Nel quarto e ultimo capitolo viene preso in considerazione un caso
specifico, relativo alla società Infracom S.p.A., operante nel settore
dell'intermediazione tecnologica nell'area del nord-est Italia, ed intende dare al
problema il punto di vista di una società reale e operativa. Abbiamo scelto
questo progetto per diversi motivi: anzitutto perchè si rivolge ad un mercato di
piccole e medie imprese, caratterizzato da aspetti economico-sociali
strettamente legati alla specifica area di appartenenza; un altro motivo è dato
dall'idea cardine che muove il gruppo, e cioè quella di creare una comunità
economica virtuale, parallela a quella fisica, coesa e sinergica per lo sviluppo e
la valorizzazione delle specificità locali. Un'analisi della composizione del
gruppo e dei servizi offerti, quindi, è fornita a supporto degli argomenti trattati
nei capitoli precedenti.
Questo lavoro senza pretese di esaustività fornisce un approccio al
mondo della comunicazione applicata al settore dell'economia, e offre lo spunto
per riflessioni e approfondimenti su un argomento estremamente interessante ed
attuale.
PARTE PRIMA
CAPITOLO I
PMI, DISTRETTI INDUSTRIALI E GRANDE
INDUSTRIA
CAPITOLO I 8
1.0 Cenni sul concetto di Sistema Produttivo Locale
Nello studio delle strutture produttive organizzate su ambiti geografici
relativamente ristretti molte definizioni e concetti sono stati proposti, cercando
di chiarire il soggetto di riferimento in maniera non ambigua, per quanto
possibile.
Praticamente tutte le riflessioni sul nesso sviluppo economico-territorio
hanno individuato come punto qualificante la stretta interazione tra modello
organizzativo della produzione e variabili ambientali-territoriali, (inseparabili
dalla località d'origine).
In questo lavoro useremo l'idea che di sistema produttivo locale ha dato
Gioacchino Garofoli [1994], sulla base della combinazione di diverse proposte,
in particolare quella di Frank Wilkinson sul concetto di "sistema produttivo", e
quella dello stesso Garofoli di sistema produttivo locale.
Wilkinson pone l'accento sul ruolo delle istituzioni sullo sviluppo
economico e l'intreccio inestricabile tra forze politiche, economiche e sociali
[Wilkinson 1993]. Nella definizione di sistema produttivo data da questo autore,
gli elementi costitutivi presenti al suo interno risultano essere un prodotto
sociale delle stesso processo produttivo, e non ad esso preesistenti. Gli elementi
sono: la forza lavoro, i mezzi di produzione, i metodi di organizzazione della
produzione, la struttura della proprietà e del controllo dell'attività produttiva, e il
contesto socio politico. Il legame tra queste componenti rende l'intero sistema
non considerabile se non nella sua globalità: gli elementi citati si sostengono a
vicenda e mutano gli uni in rapporto agli altri; questa interazione rende ogni
organizzazione produttiva unica nella sua storia e nella sua forma attuale.
Garofoli [1983], per evidenziare l'interazione tra sistema produttivo e
sistema socio-istituzionale, introduce il concetto di sistema produttivo locale.
Con questa definizione l'autore ha voluto sottolineare l'esistenza di interessi
comuni per le diverse imprese appartenenti ad un sistema di PMI riunite su un
medesimo territorio, e di forme di regolazione sociale a livello locale per la
risoluzione di problemi comuni alle imprese stesse. Possiamo dire, allora, che
questo concetto è utilizzato dallo stesso Garofoli come sinonimo di sistema di
piccole imprese con una forte identità locale.
In questo lavoro useremo allo stesso modo definizioni come sistema
produttivo locale, sistema locale di PMI, distretto industriale, e comunità
economica locale, intendendo "tutti i processi di sviluppo locale in cui il
territorio gioca un ruolo attivo e in cui il sistema produttivo locale gode di una
forte identità e di specifiche caratteristiche che si ritiene opportuno,
nell'interesse della collettività locale, difendere e riprodurre" [Garofolo 1994], e
PMI, LOCALISMO E GRANDE INDUSTRIA 9
dove la stretta interrelazione tra sistema produttivo e sistema socio-istituzionale
locale ha forti "implicazioni in termini di economie esterne, conseguenti sia al
fitto interscambio di merci e informazioni nell'ambito del sistema produttivo
che alla continua produzione e riproduzione di conoscenze specifiche, di
professionalità e di forme di regolazione locale che caratterizzano il territorio e
che non sono facilmente esportabili altrove" [Ibidem, pp. 16-17].
CAPITOLO I 10
1.1 Il vantaggio competitivo nella PMI. I sistemi economici locali.
Nei prossimi paragrafi forniremo una breve sintesi di quei fattori che
hanno determinato lo sviluppo di una struttura di gestione peculiare nelle
imprese di dimensioni ridotte, rivelatosi vincente sui mercati interni e non. In
particolare guarderemo alla realtà italiana, essendo questa una delle più
esemplari al mondo, e all'evoluzione che la ha caratterizzata, in relazione alla
realtà della grande industria di matrice fordista.
Gli elementi sui quali si poggia la competitività delle piccole-medie
imprese (PMI) italiane sono molteplici. Anzitutto la specializzazione in una, o
comunque pochissime fasi del processo produttivo, delegando all'esterno gran
parte della catena produttiva; questo permette di focalizzare le risorse su aspetti
singoli, ad alto valore aggiunto, spesso concernenti processi manifatturieri,
consentendo una specializzazione elevata che garantisce altrettanto elevati
livelli di qualità.
Questa specializzazione, come abbiamo accennato, necessita di
esternalizzare gran parte dei processi necessari alla creazione del prodotto
finale. Tale possibilità è stata creata attraverso la concentrazione in aree
geografiche relativamente ristrette di una moltitudine di piccole, a volte
piccolissime, imprese capaci di distribuire al loro interno competenze diverse
anche se appartenenti allo stesso settore. Si è venuto così a creare un sistema
reticolare di imprese cooperanti all'interno di uno stesso ambiente con la
creazione spontanea di quelli che vengono ormai comunemente chiamati
"distretti industriali" (DI).
L'organizzazione dei distretti industriali si muove tra cooperazione e
concorrenza: quelle imprese impegnate nella stessa fase del processo produttivo
vengono a trovarsi in diretta concorrenza, con la necessità di ricercare sempre
nuovi vantaggi competitivi, pena l'esclusione dal mercato; cooperano, invece, le
imprese appartenenti allo stesso settore ma con una core competency in fasi
differenti della catena.
Lo studio dei distretti industriali rappresenta, secondo Becattini/Rullani
[1993], un caso molto speciale, inserito nell'ambito degli studi sui sistemi locali
e l'importanza che la localizzazione riveste nell'organizzazione industriale.
L'attenzione alla capacità dei sistemi locali di generare
vantaggi/svantaggi competitivi è stata posta in maniera crescente in risposta al
declino della concezione fordista dell'impresa. Fondamentali, per la
conprensione di tali fenomeni sono state le esperienze delle PMI italiane
concentrate nei distretti industriali, nonché quelle legate al "capitalismo
giapponese".
PMI, LOCALISMO E GRANDE INDUSTRIA 11
Secondo questi studi particolare attenzione dovrebbe essere rivolta agli
aspetti sociologici del sistema economico locale
1
.
Ogni singolo individuo che agisce in un medesimo spazio geografico
contribuisce alla creazione, modifica e perpetuazione di quel sistema di valori,
conoscenze e istituzioni prevalenti in quegli stessi luoghi; elementi questi che,
in una sorta di moto circolare (a spirale, sarebbe più opportuno dire) hanno
contribuito alla creazione stessa della individualità del soggetto agente.
Nonostante ciò l'analisi dovrebbe considerare non i singoli individui ma l'
interazione tra il gruppo di agenti e il luogo in cui quel gruppo agisce.
Una particolare attenzione dovrà essere posta ai processi di produzione e
circolazione della conoscenza. Infatti è proprio la gestione di questo aspetto,
cruciale nello sviluppo dell'economia contemporanea, a generare nei sistemi
economici locali un vantaggio competitivo nei confronti della grande industria,
ed è proprio sulla conoscenza e i suoi processi di gestione che, prendendo
spunto dall'esperienza dei sistemi economici locali, la grande impresa ha
strutturato la sua "rivoluzione", (come vedremo meglio in seguito), per
adeguarsi alle nuove esigenze di flessibilità, grazie all'uso delle nuove
tecnologie della comunicazione-informazione.
La sinergia data dell'equilibrio tra rapporti sociali e rapporti economici
permette ai DI un'alta flessibilità e una capacità di rinnovamento costante; la
concentrazione geografica di diverse imprese appartenenti allo stesso settore ha
generato anche un elevato ricambio di attività imprenditoriali: chi è stato
coinvolto in questo sistema economico acquista spesso una competenza tale da
rendergli possibile intraprendere proprie attività, contando anche su una
disponibilità di risorse specializzate relativamente a portata di mano. Inoltre la
contiguità fisica fra diverse aziende dello stesso ramo agevola il nascere di
nuove attività ad essa relative.
Queste capacità hanno avuto riflessi positivi nella velocità di
adattamento ai mutamenti della domanda, caratteristica tipica dei distretti
industriali. Tale abilità si è trasformata in un vantaggio competitivo nei
confronti della grande industria di matrice fordista. Infatti, mentre le grandi
imprese cercavano di abbattere i costi giocando su economie di scala molto
grandi, offrendo un prodotto altamente standardizzato, pur a costi sempre più
contenuti, le PMI dei distretti industriali sono state capaci di fornire alta
specializzazione per porzioni di mercato molto più ristrette e con esigenze
particolari.
1
Con questo termine indichiamo non solamente i distretti industriali, che rappresentano una sola
forma, anche se molto complessa e interessante, di organizzazione economica sul territorio
geograficamente ristretto, ma anche i cosiddetti "poli industriali" e cioè l'organizzazione attorno ad
una o a poche imprese leader di un sistema locale che coinvolge soggetti diversi creando ambienti
culturalmente omogenei; cfr. anche par 1.0.
CAPITOLO I 12
Dopo questa breve overview delle caratteristiche del sistema di PMI
vediamo ora un po' più approfonditamente i diversi aspetti toccati.
1.1.1 Territorio e creazione/gestione della conoscenza
Le discipline manageriali, già da qualche tempo, hanno cominciato a
focalizzare la loro attenzione sui vari aspetti e implicazioni del processo
cognitivo. Esiste ormai l'idea che ogni organizzazione sia permeata da una
"intelligenza", e che comprendere questa intelligenza permette di creare più
efficaci e efficienti architetture gestionali.
La "learning organization" [Senge 1990; Hayes, Wheelwright e Clark
1988] le imprese intelligenti di Quinn [1992] e quelle virtuali di Davidov e
Malone [1992], Ettighoffer [1992], Pilotti [1993]; la "knowledge society" [Bell
1973; Toffler 1990; Peters 1992]; le smart machines di Zuboff [1988], sono
tutti validi esempi di questa linea di pensiero. L'impresa, così, diviene una
complessa somma di conoscenze, perde rilevanza la sua materialità, o meglio, la
sua struttura fisica è interpretata come sistema di saperi [Di Bernardo 1992]; e
solo attraverso queste conoscenze si può raggiungere un vantaggio nei confronti
della concorrenza [Prahalad e Hamel 1990]. La distribuzione di sapere
aziendale in un network di imprese [Lorenzoni 1992; Albertini 1991] diviene
elemento possibile e, come vedremo meglio in seguito, auspicabile [Rullani
1994].
Nelle parole di Rullani "l'informazione, come premessa necessaria,
diventa la materia prima dell'agire economico, la condizione onnipresente delle
scelte non appena queste superano la soglia del meccanicismo e della banalità".
Anche per capire come i sistemi locali, in particolare i distretti
industriali, siano stati capaci di affrontare la competizione del mercato è
necessario individuare le logiche e i processi di creazione/accumulazione e
diffusione delle conoscenze [Becattini, Rullani 1993]. Nonostante questo i
saperi locali maturati nella pratica degli specifici contesti lavorativi sono stati a
lungo percepiti come marginali, irrilevanti per l'efficienza del sistema. Questa
esclusione è imputabile al processo di "razionalizzazione" della produzione e
del lavoro, iniziato con gli studi di Taylor sull'organizzazione produttiva,
condotti nei primi decenni del XX secolo. Tali orientamenti hanno teso alla
creazione di una riduzione del peso della libera iniziativa da parte del
lavoratore, privilegiando l'idea che un processo di produzione concettualmente e
materialmente frammentato, specializzato, altamente standardizzato potesse
garantire il raggiungimento di economie di scala in grado di rendere la
produzione economicamente più vantaggiosa e, non meno importante, portare
PMI, LOCALISMO E GRANDE INDUSTRIA 13
ad una sostanziale riduzione dell'errore imputabile all'intervento individuale non
previsto.
Questa linea di gestione, riconducibile al cosiddetto "fordismo", lega
fortemente la scientificità del processo al principio di accentramento e
razionalizzazione "dall'alto".
Nonostante gli sforzi di codificare ogni singolo elemento della catena
produttiva, una simile concezione dell'impresa è, però, irraggiungibile: non può
esistere una descrizione, per quanto precisa, che consideri tutte le possibili
occorrenze e circostanze; questo per il fatto che il lavoro non è una semplice
somma di prescrizioni. Ogni intervento codificato necessita di una
interpretazione e un adattamento peculiari in base allo specifico contesto nel
quale è attuato.
Ecco allora come gran parte della conoscenza circolante delle PMI
italiane sia stata sistematicamente esclusa dall'analisi, a causa della sua "non
codificabilità" e quindi "non scientificità".
Fortunatamente, in tempi più recenti, ha assunto sempre più importanza
l'aspetto sociologico che lega l'agire dell'individuo al sistema organizzativo.
Studi come quelli di Crozier e Friedberg [1997], condotti tra gli anni sessanta e
settanta, hanno messo in luce il rapporto tra esperienze contestuali, necessarie
all'acquisizione del know how relativo al funzionamento del processo
produttivo, e le dinamiche di potere interne all'organizzazione. Nonostante
questi studi avessero inquadrato i saperi contestuali non come risorsa
economica ma come vincolo sociale all'azione manageriale, hanno avuto il
merito di portare l'attenzione sulle dinamiche sociali e comunicative interne ad
una organizzazione economica.
L'adozione di processi innovativi ad esempio potrebbe implicare notevoli
problemi legati all' "assorbimento" a livello sociale del nuovo. Proprio per
l'adozione di innovazioni in un sistema, come è quello industriale, è importante
allora considerare la sociologia: "senza una comprensione del sociale
l'innovazione non passa" [Micelli 2000].
Queste considerazioni hanno portato ad una concezione del territorio che
sottolinea i flussi relazionali che in esso prendono forma. Grazie anche ai già
citati studi sui distretti industriali, l'importanza degli aspetti socio economici e
culturali legati al territorio entro il quale l'impresa opera ha cominciato ad
assumere una rilevanza crescente.
Oggi si è giunti al riscontro empirico di quanto sia importante il ruolo del
contesto per l'acquisizione di competitività da parte degli operatori economici. Il
territorio diventa una infrastruttura comunicazionale indispensabile per la
circolazione della conoscenza e delle innovazioni, per l'apprendimento
collettivo e per la riduzione dell'incertezza complessiva del sistema. In questo
ambiente si sviluppa un peculiare linguaggio e una specifica semantica
CAPITOLO I 14
relazionale, interiorizzata dai soggetti che vi vivono e lavorano, che rende
possibile una circolazione della conoscenza tale da rendere ogni innovazione
una innovazione collettiva.
Becattini considera l'impresa, ossia l'impresa immersa in un contesto
ambientale specifico, una sorta di "contenitore" della società: gli aspetti storici,
culturali, politici, istituzionali sono compresenti generando una modalità
produttiva del tutto unica, del tutto relazionata allo specifico contesto. Diversi
contesti, allora, significano imprese diverse.
Questa struttura contribuisce alla generazione di vantaggi competitivi
specifici e alla preservazione stessa della differenziazione. Nelle parole di
Vaccà [1993] il substrato socio culturale può "dare luogo a temibili differenziali
di competitività dovuti a fattori irriducibili o assai difficilmente riducibili, in
quanto non esportabili da un paese ad un altro, rappresentando un'espressione
della vita culturale del sistema paese".
Come ricorda Micelli [2000, p.25] "ciò che più ha interessato gli studiosi
è stata la natura tacita della conoscenza"; questo tipo di conoscenza non è solo
patrimonio dei singoli individui ma anche dell'organizzazione. "Queste
conoscenze sia a livello individuale che collettivo, costituiscono ciò che appare
più difficile da acquisire o da riprodurre all'interno di una organizzazione
complessa, e per questo rappresentano il presupposto per un vantaggio
competitivo e durevole a livello di strategia d'impresa" [ibidem p.26].
Per la comprensione dei fenomeni e delle problematiche relative alla
conoscenza, fondamentale è stato lo studio dell'esperienza giapponese, in
particolare del caso Toyota [Ohno 1993], nell'uso strategico di sapere generati
nell'ambito del contesto lavorativo.
Innovazioni sia nel prodotto che nel processo vengono basate sul
coinvolgimento diretto di una pluralità di soggetti che operano a stretto contatto
con la produzione. In questo modo le esperienze/competenze personali, che in
una logica fordista venivano rigorosamente isolate e non considerate, sono
invece valorizzate divenendo materia prima per quel processo di miglioramento
continuo che in Giappone è chiamato "kaizen" [Imai 1991, cfr. anche Adler e
Cole 1993, Bonaccorsi e Pammolli 1991].
La "circolazione" del patrimonio conoscitivo dell'azienda è resa possibile
dalla codificazione dei saperi; questo rende i vari contributi elaborabili e
integrabili nel "data base" di idee sviluppato raccogliendo le varie proposte.
Sempre dal Giappone giungono i primi e più solidi contributi riguardo
allo studio della conoscenza in ambito locale. Sicuramente il primo autore da
citare è Nonaka il quale, rifacendosi agli studi di Michael Polanyi del 1967,
fornisce una valida concettualizzazione della natura e del modo di diffondersi
della conoscenza in un contesto.
PMI, LOCALISMO E GRANDE INDUSTRIA 15
Secondo Nonaka [1993, cfr. anche Polanyi 1967] ogni sistema locale
integra due differenti tipi di conoscenza: la conoscenza esplicita (o codificata),
e la conoscenza tacita (o contestuale). La prima, quella codificata è
rappresentata dal sapere scientifico e tecnologico che, applicato alla risoluzione
dei problemi dell'industria contribuisce notevolmente alla creazione del suo
vantaggio competitivo; la seconda, la conoscenza contestuale, rappresenta
quella legata all'esperienza personale, alla memoria, a quell'insieme complesso
di sapere essenzialmente tacito che può essere codificato solamente dopo
processi lunghi e costosi di condivisione del contesto e delle esperienze.
L'interazione tra conoscenza codificata e contestuale, (ci riferiamo qui a
quello che Rullani prendendo spunto da Nonaka, definisce "ciclo di
conversione"); rappresenta un processo molto importante e delicato per la vita
dell'azienda. Infatti da un lato adattare conoscenze globali o comunque a-
territoriali, come ad esempio il sapere scientifico tecnico, a contesti con
caratteristiche particolari, spesso uniche, e dall'altro espandere la dimensione
locale ad una inter-locale fino ad arrivare ad una dimensione globale, devono
considerarsi processi fondamentali per la competitività dell'azienda [Brusco
1994].
Tale interazione è possibile grazie all'elaborazione di codici che fungono
da veicoli per la conoscenza. Esistono tre diversi tipi di codici: tecnologici,
organizzativi e comunicativi. Tutti veicolano conoscenze: i codici tecnologici lo
fanno attraverso le merci stesse; i codici organizzativi attraverso la
strutturazione di una gerarchia e di una dirigenza; i codici comunicativi tramite
interazione più o meno diretta, mediata da linguaggi condivisi.
La conoscenza così veicolata ha bisogno di essere "assorbita"
dall'impresa e, (successivamente dall'ambiente in cui essa è inserita); questo
processo di assorbimento, può essere esperito solamente da soggetti con
competenze e capacità non traducibili in un codice standardizzato; questo
perché solamente l'esperienza diretta, l'esercizio individuale e collettivo
possono rendere possibile questa codifica/decodifica. Ci saranno, quindi, un
certo numero di "integratori versatili", rappresentati da singoli individui, a
costituire i "ponti" tra sistema locale e realtà globali.
Partendo dal presupposto che non esiste conoscenza se non in un
contesto Nonaka propone un modello rappresentativo del ciclo cognitivo
suddiviso in due zone: quella della conoscenza tacita e quella della conoscenza
esplicita.
CAPITOLO I 16
Figura 1 – Il ciclo cognitivo
Per comprendere il processo che la conoscenza subisce secondo l'idea di
Nonaka possiamo far riferimento alla spiegazione fornita da Rullani: "La
conoscenza tacita, in possesso dei singoli individui, deve essere innanzitutto
socializzata: senza cambiare qualità, viene condivisa da più persone della
squadra o gruppo d'origine. Essa può essere poi trasformata in esplicita
(esternalizzazione). Infine, le conoscenze esterne hanno bisogno di essere
ricontestualizzate, attraverso la loro interiorizzazione nelle squadre e negli
individui che devono operare" [1994, p.54].
PMI, LOCALISMO E GRANDE INDUSTRIA 17
Si hanno così 4 fasi nel processo di knowledge conversion:
a. socializzazione: è la prima fase del processo. Qui la conoscenza si
diffonde tra i vari soggetti presenti fisicamente nel contesto grazie alla
condivisione dell'esperienza, alla comunione del "campo di interazione".
La socializzazione della conoscenza avviene attraverso il
coinvolgimento di meccanismi appartenenti allo strato più profondo
dell'organizzazione intesa come sistema. Solo grazie all'utilizzo delle
"strutture profonde", [cfr. Senge 1990; Senge, Sterman 1992], di un
sistema organizzativo la conoscenza può diffondersi in maniera più che
superficiale, venendo interiorizzata dai suoi membri, e può così
influenzare le prestazioni dell'ambiente organizzato.
b. Esternalizzazione: in questa fase le conoscenze interiorizzate in un
detrmonato settore cercano una esplicitazione: attraverso l'utilizzo delle
forme di codificazione citate prima, (codici tecnologici, organizzativi,
comunicativi), il sapere si rende disponibile ad una lettura dall'esterno
del contesto specifico dove è stato generato
2
. In questa fase della
knowledge conversion è utile specificare i caratteri dell'ambiente che più
hanno influenzato l'esperienza in esame, distinguendo tra fattori causali
"forti", (ossia strettamente rilevanti per la "storia" del sapere veicolato),
da quelli più "deboli" come accadimenti extra-ordinari, legami
accidentali e strutturali.
c. La combinazione: questa componente del ciclo cognitivo è quella
relativa allo scambio di esperienze già codificate (fase di
esternalizzazione) tra soggetti appartenenti a diversi contesti. Come
vedremo meglio nel secondo capitolo risiedono qui gran parte delle
opportunità offerte dall'ICT: la creazione di network di matrice
tecnologica tra diverse realtà, infatti, è una delle tecniche di scambio
delle conoscenze potenzialmente più utili oggi disponibili.
d. Internalizzazione: è l'ultimo stadio della spirale cognitiva; si tratta della
ri-contestualizzazione delle esperienze condivise nei diversi luoghi
d'azione facendo, così, tornare la conoscenza a carattere tacito. Questo
processo segue un percorso ogni volta diverso, in base non solo ai
diversi contesti di applicazione ma anche ai diversi soggetti coinvolti;
dopo la de-codifica dei saperi veicolati , bisognerà integrare queste
esperienze nel proprio mondo attraverso un processo essenzialmente
guidato dal learning by doing , passando per esperienze dirette di trial
and error. Questo essenzialmente perché la conoscenza, quando riportata
2
L'utilizzo in particolare di codici comunicativi sotto forma dialogica, caratterizzati da un forte uso
di metafore, tende a sviluppare dei "linguaggi formali" in grado di generalizzare le nozioni
fondamentali che costituiscono l'esperienza veicolata.
CAPITOLO I 18
al suo stato originario, strettamente contestuale, mostra tutta la sua non-
linearità e cioè il fatto che essa non è una sequenza di componenti
logico-razionali ordinabili, ma un insieme dialettico di n elementi che
danno vita ad un complesso sistema non riducibile a modello in quanto
spesso caotico e vissuto con strumenti dialettici ambigui
semanticamente. È sulla base di queste considerazioni che Nonaka
sottolinea la cruciale rilevanza dell'organizzazione come produttrice di
conoscenza: dando forma a questo ciclo di conversione cognitiva
"l'organizzazione appare come un insieme di competenze che devono
essere identificate, coltivate, distribuite in funzione dei problemi da
risolvere" [Rullani 1994].
Becattini e Rullani [1993], come abbiamo accennato, definiscono questo
processo "integrazione versatile", fatta da persone che saranno quindi i portatori
di tali nuove conoscenze nel loro specifico contesto.Questa integrazione riporta
la conoscenza al primo dei quattro stadi distinti. Nonaka individua in questa
spirale la knowledge creation , poiché una volta interiorizzati i nuovi saperi il
ciclo può ricominciare in modo nuovo, dando vita a nuove conoscenze.
1.1.2 Flessibilità e consuetudine
Un'importante caratteristica dei sistemi locali di produzione è la loro
grande capacità di adattamento ai repentini cambiamenti del mercato.
Abbiamo visto come la gestione della conoscenza possa portare a un
aumento di competitività delle PMI (1.1.1). Vedremo ora, molto sinteticamente,
cosa rende le comunità economiche locali così adatte al cambiamento rapido in
risposta alle mutazioni del mercato
I sistemi territoriali di PMI possiedono, fondamentalmente, tre
caratteristiche comuni: 1. La piccola dimensione delle imprese che lo
compongono; 2. Il grande numero di queste imprese; 3. Il fatto di condividere
uno stesso ambito geografico
3
.
3
Queste tre caratteristiche, così come le implicazioni che ne conseguono, fanno parte della struttura
"storica" dei distretti industriali, studiata da Alfred Marshall [1923]. È sulla base delle sue
considerazioni che gran parte dei successivi studi hanno potuto prendere il via.
PMI, LOCALISMO E GRANDE INDUSTRIA 19
1.1.2.1 Il frazionamento del processo produttivo
Per quanto riguarda il primo punto bisogna considerare che la
dimensione di un'impresa è strettamente collegata al numero di funzioni e fasi
del processo produttivo che questa deve svolgere. Vale quindi la relazione
inversa tra dimensione e specializzazione: più un'impresa risulta piccola, più la
sua specializzazione su alcune fasi produttive sarà elevata, [Tani 1976; Brusco
1975; Dei Ottati 1995]. Questo implica anche che i fattori produttivi utilizzati al
suo interno, (macchinari come manodopera), saranno tendenzialmente pochi e
probabilmente l'azienda si impegnerà perchè siano i migliori disponibili sul
mercato; tenderanno ad essere, così, i più produttivi e i più specializzati
4
.
Anche la loro struttura organizzativa sarà ridotta: non è raro trovare
aziende condotte da un ristretto gruppo quale può essere ad esempio quello
familiare. Inoltre la dimensione limitata delle imprese favorisce la nascita di
nuove attività, dando modo a soggetti anche con limitati capitali e abilità, di
mettersi in proprio; anche la riconversione da un settore ad un altro è agevolata,
in quanto le fasi su cui l'azienda si focalizza sono poche e quindi anche le
risorse necessarie, (sia umane che non), sono contenute. La facilità di
circolazione e riciclaggio di questi beni, poi, contribuisce alla elevata
natalità/mortalità delle imprese del sistema locale.
Nel considerare i successivi punti, (elevato numero di attività e loro
prossimità geografica), è importante guardare ai rapporti che si stabiliscono tra
le diverse imprese. Questo perché, come già osservava Marshall, è il gran
numero di imprese e la distribuzione dei compiti al loro interno che permette
una produzione su larga scala, quale risulta essere quella dei sistemi locali di
produzione.
Nei rapporti che si instaurano in questi sistemi ci sono molti fattori che
ne determinano le caratteristiche. Il ruolo della concorrenza e della
cooperazione; le "regole" vigenti nelle transazioni, come la consuetudine, il
limitato opportunismo e il processo di riduzione dell'incertezza e dell'ambiguità;
la natura di capitale assunta dalla fiducia e dalla reputazione; i meccanismi di
reperimento delle risorse finanziarie; la sostanziale trasparenza informativa.
Consideriamo brevemente ognuno di questi punti.
4
Ovviamente questo richiede che il processo sia scomponibile.