2
disposizione di cui all’art. 2103 del c.c., così come modificato
dall’art.13 dello Statuto.
Nei successivi paragrafi, si illustrano invece, le varie ipotesi di
dequalificazione professionale così come individuate dalla
giurisprudenza e si tratta il problema del risarcimento dei danni da
demansionamento, illustrando le diverse posizioni che la
giurisprudenza assume al riguardo, specialmente in tema di natura del
danno, responsabilità, prova e quantificazione.
Il metodo utilizzato nell’esposizione della tematica, è stato quindi,
quello di partire da un inquadramento generale del tema, facendo
riferimento alla normativa che lo disciplina, per poi passare ad illustrare
i casi in cui questa normativa viene violata da comportamenti scorretti
del datore di lavoro, fino ad arrivare ad esporre i rimedi giudiziali, dal
risarcimento dei danni alla reintegrazione nella propria posizione
lavorativa, che la giurisprudenza appresta a tutela del lavoratore.
Tale metodo è stato utilizzato anche nella trattazione della tematica di
cui al capitolo terzo, intitolato alla dignità ed alla riservatezza nel
rapporto di lavoro, considerando che i due concetti sono strettamente
collegati tra di loro.
Molteplici, sono, infatti, i casi ricavabili da un’analisi del panorama
giurisprudenziale esistente in materia, in cui il lavoratore viene leso
nella sua dignità a causa di un’attività di controllo del datore che
travalica i limiti imposti dallo Statuto.
Trattandosi di una tematica molto ampia, è stato necessario distinguere
ed affrontare separatamente il tema dei controlli sull’attività lavorativa,
la cui regolamentazione è contenuta negli artt. 2/4 dello Statuto,
rispetto a quello dei controlli sul lavoratore, che si esplicano mediante
gli accertamenti sanitari e le visite personali di controllo (artt.5/6 dello
Statuto) ed a quello della riservatezza, il cui riferimento normativo è
nell’art.8 dello Statuto.
3
Nel capitolo l’accento è posto prevalentemente sulla questione,
affrontata ampiamente dalla giurisprudenza, dei controlli occulti o
esercitati in forme subdole, per es. attraverso l’utilizzazione di
investigatori privati, dal datore di lavoro, nonché sulla liceità di quelle
tecniche di indagine sulla personalità del lavoratore basate su test
psico-attitudinali, analisi grafologiche o elementi astrologici, ed ancora
sul problema dei rapporti tra tutela della riservatezza ed utilizzazione
delle moderne tecnologie che consentono l’acquisizione, nonché
l’elaborazione di un enorme numero di dati personali in modo
potenzialmente lesivo del diritto alla privacy riconosciuto dalle legge
n.675/’96 ad ogni individuo.
Nel quarto ed ultimo capitolo, vengono infine trattate in modo più
sintetico delle precedenti, ulteriori tematiche che rappresentano
sostanzialmente ulteriori fattispecie di comportamenti datoriali lesivi
della dignità e della personalità morale del lavoratore.
Nel primo paragrafo, si tratta del licenziamento ingiurioso, che è tale
quando offenda il decoro, la reputazione e la dignità del lavoratore.
Si esamina in particolare la posizione della giurisprudenza circa la
natura e la tipologia dei danni risarcibili a seguito dell’atto di recesso
ingiurioso, e si descrivono gli sviluppi delle posizioni giurisprudenziali,
attestati dal riconoscimento della risarcibilità dei danni morali, a
prescindere dai riferimenti all’art.2059 c.c.
Il secondo paragrafo, è invece dedicato alla tematica delle molestie
sessuali, che rappresentano, purtroppo, una pratica spesso messa in atto
non solo dal datore di lavoro, ma anche da colleghi, magari
sovraordinati rispetto alla lavoratrice vittima della molestia, all’interno
del luogo di lavoro.
Anche in relazione a questa tematica, vengono prese in considerazione
alcune significative pronunce giurisprudenziali, che, solo recentemente
hanno riconosciuto alla lavoratrice il pieno risarcimento dei danni
4
fisici, psichici e morali subiti, a testimonianza delle progressive
aperture cui i giudici lavoristici sono giunti nel tempo.
Infine, nell’ultimo paragrafo, si tratta, seppur in modo abbastanza
conciso, del fenomeno, di grande attualità, perché impostosi
all’attenzione degli studiosi solo recentemente, del c.d. “mobbing”, che
in senso ampio vuol dire “terrorismo psicologico sul posto di lavoro”.
Per documentarmi al riguardo, ho dovuto attingere il materiale
bibliografico dalle biblioteche delle facoltà di psicologia e del
dipartimento di scienze dell’educazione, essendo il mobbing un
fenomeno che rientra in quella branca della psicologia, che è la
psicologia del lavoro.
Nel paragrafo che ho dedicato all’argomento, ho cercato prima, di
descrivere il fenomeno dal punto di vista medico-psichiatrico, così
come descritto e studiato dagli psicologi europei, e successivamente di
fornire alcuni esempi di comportamenti “mobizzanti”, ricavandoli dal
materiale giurisprudenziale raccolto.
Questo, in estrema sintesi, è il lavoro di ricerca da me svolto, lavoro,
che mi ha permesso di approfondire aspetti estremamente importanti ed
interessanti di questa disciplina e di arricchire il mio bagaglio culturale
nell’ambito lavoristico.
Per la possibilità offertami, desidero ringraziare vivamente il dott.
Focareta, che mi ha lasciato ampia libertà nella decisione
dell’argomento da trattare e che mi ha mostrato ampia fiducia
nell’affidarmi un lavoro serio ed impegnativo, e che soprattutto si è
sempre reso estremamente disponibile nel dare suggerimenti e nel
risolvere dubbi o incertezze.
Ed ancora di più desidero ringraziare in questa sede il prof.Carinci, che
durante le sue lezioni, al secondo anno di università, è riuscito a farmi
appassionare a questa disciplina, per la capacità di rendere
estremamente semplice e piacevole una materia pur difficile e
5
complessa, e per la grande comunicativa con gli studenti, che ricordo
come sua dote straordinaria.
Capitolo I
Tutela normativa della sfera morale del lavoratore
e sua lesione a seguito di comportamenti datoriali
illegittimi
Capitolo I
7
1. Principi costituzionali a tutela del lavoro e della dignità umana
del lavoratore
La nostra Costituzione, uniformandosi ad una tendenza caratteristica
dell’evoluzione del diritto costituzionale nel nostro secolo, attribuisce
uno spiccato rilievo al lavoro, che dichiara “fondamento della
repubblica” (art. 1) e alla cui tutela dedica numerose e importanti
disposizioni.
Le norme costituzionali dedicate al lavoro e ai lavoratori sono, oltre il
già citato art. 1, l’art. 3 comma II, che pone alla Repubblica il compito
di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale i quali,
limitando in fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
l’art. 4, che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e proclama il
dovere di ogni cittadino di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso
materiale o spirituale della società;
l’art. 35, comma I, che afferma il principio della tutela del lavoro in
tutte le sue forme ed applicazioni e che costituisce il criterio ispiratore
delle successive disposizioni contenute nel tit. III, parte I della
Cost.(rapporti economici-sociali).
Tra queste, si riferiscono esplicitamente alla tutela del lavoro e dei
lavoratori, l’art. 35, commi 2, 3 e 4, che riguardano la formazione ed
elevazione professionale dei lavoratori e la regolamentazione
internazionale dei diritti del lavoro; l’art. 36, che tutela il lavoratore
sotto il profilo economico , riconoscendogli il diritto ad una giusta ed
equa retribuzione; l’art. 37, che pone alla Repubblica il compito di
tutelare il lavoro delle donne e dei minori, in quanto soggetti
notoriamente più deboli nel mercato del lavoro; l’art. 38, commi 1 e 2,
Capitolo I
8
che riconosce forme di tutela previdenziale nei confronti dei soggetti
inabili al lavoro ed infine l’art. 41 che, dopo aver riconosciuto la libertà
dell’ iniziativa economica privata, dispone, al 2 comma, che questa non
può svolgersi in contrasto con l’unità sociale o in modo da arrecare
danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
La frequente ricorrenza con cui il termine “lavoro” compare in vari
articoli della prima parte della Costituzione e le numerose disposizioni
poste a tutela del lavoratore sono manifestazione della volontà del
Costituente di conferire centralità al lavoro e alla classe dei lavoratori,
vera forza motrice del nostro Paese.
L’aver elevato il lavoro a nucleo fondamentale della struttura dello
Stato è segno inequivocabile del massimo rilievo che la Costituzione
attribuisce al lavoro nella sua accezione più generica ed ampia di
attività socialmente utile;
è in questa accezione, infatti, che il termine “lavoro” viene inteso
nell’art.1, laddove si fa riferimento a tutte quelle attività artistiche,
scientifiche, religiose e filosofiche che, pur non avendo, se non
indirettamente, un'utilità economica, costituiscono tuttavia la massima
manifestazione della grandezza e della nobiltà degli individui e dei
popoli.
Diverso è il concetto di lavoro che si desume invece dall’art.4 comma I:
tale norma riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e stabilisce che
la Repubblica deve promuovere le condizioni atte a rendere effettivo il
diritto stesso.
In questo contesto per “diritto al lavoro” deve intendersi il diritto allo
svolgimento di una qualsiasi attività diretta allo scambio di beni e di
servizi, ossia di un’attività avente un fine ed un contenuto economico.
Riconoscere e impegnarsi a garantire il diritto al lavoro vuol dire
riconoscere a ciascuno il diritto a poter essere pienamente se stesso, a
potersi esprimere al meglio, secondo un principio che porta ad
Capitolo I
9
identificare lavoro e persona, a porre il lavoro come principio di
individuazione della persona.
1
Il diritto al lavoro non si rivolge tanto o soltanto ad assicurare i mezzi
di sussistenza , quanto a tutelare l’esigenza della libertà e dignità
umana, consentendo il pieno sviluppo della persona umana e delle sue
capacità.
Un terzo significato di lavoro, che identifica questo con una attività
personale, autonoma o dipendente che sia, è fatto proprio,invece, da
quelle norme costituzionali che più specificamente tutelano il lavoro e
la persona del lavoratore e che sono inserite nel titolo III, intitolato ai
rapporti economici.
Nell’ art. 35 è sancito il dovere della Repubblica di tutelare il lavoro in
tutte le sue forme ed applicazioni: si tratta di una norma programmatica
destinata a trovare attuazione in norme di legge specifiche dei singoli
rapporti di lavoro oltre che nelle disposizioni dello Statuto dei
lavoratori e nel cod. civ.(artt. 2060e 2087).
Secondo la Corte Costituzionale
2
, l’art. 35 costituisce il criterio
generale ispiratore di tutto il titolo III: ne sono una specificazione il
comma II, posto a tutela della formazione ed elevazione professionale
dei lavoratori e l’ultimo comma dello stesso articolo, nella parte in cui
si riconosce alla Repubblica il compito di tutelare il lavoro italiano
all’estero.
Forme dirette di tutela del lavoro si rinvengono anche nell’ art. 36, che
afferma il principio per cui la retribuzione deve essere commisurata alla
qualità e quantità di lavoro svolto e deve in ogni caso consentire
un’esistenza libera e dignitosa: si tratta di una norma alla quale la
giurisprudenza ha attribuito efficacia immediatamente precettiva,
1
Mortati C., “Il diritto al lavoro secondo la Costituzione della Repubblica”, in
“Disoccupazione in Italia”, vol.IV, t.1, pagg.80 e ss.;
2
Cfr.C.Cost.9 marzo 1967, n.22, in Giur. Cost., 1967, 164; C.Cost. 14 luglio 1971,
n.174, in Sent. Ord., 1971, I, 610.
Capitolo I
10
riconoscendo al giudice il potere di determinare direttamente tale
retribuzione sulla base dei criteri stabiliti dalla Costituzione.
Nell’ambito stesso della classe lavoratrice, la Costituzione garantisce
una speciale tutela agli elementi più deboli e quindi più bisognosi di
protezione, cioè alle donne e ai minori.
Le donne hanno diritto, a parità di lavoro, alle stesse retribuzioni che
spettano ai lavoratori ed inoltre le condizioni di lavoro devono
consentire loro di adempiere alla loro funzione familiare, assicurando
alla madre e ai bambini una speciale ed adeguata protezione.
Per quanto riguarda, invece, il lavoro minorile , la Costituzione affida
la regolamentazione e la tutela di questo a norme speciali,limitandosi a
fissare il principio della parità di retribuzione .
Infine come disposizione a tutela dei lavoratori può citarsi l’art. 38
della cost., che mira a porre i lavoratori al riparo da rischi che, attesa la
loro situazione sociale, appaiono per loro di particolare gravità,
riconoscendo ad essi il diritto a che siano previsti e assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita, in caso di infortunio, malattia,
invalidità, vecchiaia e disoccupazione.
Accanto alle disposizioni costituzionali a tutela del lavoro si pongono
alcune disposizioni che fanno riferimento alla dignità umana: si tratta
dell’art. 3, nel quale è disposto che “tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale”;
dell’art. 41, a norma del quale “l’iniziativa economica privata è libera,
ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da
arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana” e
dell’art. 36, nel quale è sancito il diritto del lavoratore ad una
retribuzione equa e sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia
una esistenza libera e dignitosa.
In realtà sono molte di più le disposizioni della Costituzione nelle quali
si fa riferimento alla dignità umana, sebbene in modo implicito e
riguardo a situazioni che fuoriescono dalle nostre tematiche: in dottrina
Capitolo I
11
è stato osservato come, se da un lato nelle libertà costituzionalmente
protette si può ravvisare la tutela della dignità dell’uomo, dall’altro lato
tali libertà incontrano un limite proprio nell’idea di dignità umana
3
; in
altri termini, la dignità dell’uomo rappresenta il confine delle libertà
costituzionalmente protette in quanto costituisce l’unico vero fine che
possono e devono perseguire.
Si può anche dire che la dignità umana rappresenta un valore
supercostituzionale nei confronti delle libertà positivamente protette e
degli stessi diritti inviolabili dell’uomo; tuttavia la Corte Costituzionale
italiana ha fatto un uso oltremodo accorto e prudente del concetto
isolato di dignità umana, quale autonomo valore o supervalore
costituzionale, in grado da solo di consentire l’invalidazione di precetti
legislativi.
4
L’uso prevalente del concetto di dignità umana è stato fatto dalla Corte:
a)quale limite generale all’ iniziativa economica privata(art. 41);
b)quale condizione necessaria particolare del lavoratore e della sua
famiglia(art.36);
c)quale elemento rafforzativo di altro contiguo valore
costituzionalmente protetto.
L’ art. 41, prevede al comma 2 che l’organizzazione con cui i privati
sviluppano l’iniziale atto di destinazione produttiva dei loro beni-
capitali non possa esplicarsi secondo tipi od atti che rechino danno alla
sicurezza , alla libertà, alla dignità umana; in particolare, la previsione
del limite della libertà e della dignità umana mira a tutelare la
personalità umana, intesa nel suo significato più proprio, comprensivo
dei valori direttamente costitutivi della soggettività umana.
Il richiamo di tali valori operato dall’ art. 41 comma 2, ha lo scopo di
tutelare la personalità umana, imponendone il rispetto non solo all’
3
Ruggeri A.e Spadaro A. “Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale (prime
notazioni), cit.p.347;
4
Vedi le sent.nn.37/1985 e 561/1987, in Giur. Cost. 1985, I t., pagg.145 e ss e
Giur.Cost.1987,I t., pagg.3542 e ss.;
Capitolo I
12
autorità pubblica, ma anche all’ autorità privata, che in tal caso è
ravvisabile nella figura dell’ imprenditore stesso.
“Libertà” e “dignità umana” concorrono a formare nel loro insieme la
garanzia unitaria della personalità umana, pur costituendo due distinti
criteri di legittimazione degli interventi pubblici.
Sulla base dell’una, infatti, si intende tutelare tutte le libertà
costituzionali riconosciute ai singoli; sulla base dell’altra, invece, si
mira a tutelare l’individuo umano sia nei confronti di tutti gli ostacoli
che lo pregiudichino, privandolo della possibilità di determinare la
propria personalità, sia proteggendolo in quegli specifici beni, quali il
mantenimento di un livello umano di sussistenza per sé e per la propria
famiglia o l’integrità della propria forza lavoro, che costituiscono la sua
personalità di lavoratore.
La Corte Costituzionale ha tutelato la dignità umana non in termini
astratti, ma sempre con riferimento ad un particolare status che la
persona si trova a ricoprire.
Notevole è il numero di casi in cui la Corte ha preso in considerazione
la dignità del lavoratore, in quanto si tratta dell’unica dignità di status
che sia stata costituzionalmente razionalizzata e azionata, sia attraverso
la tutela generale di cui all’ art.41, sia attraverso la tutela particolare di
cui all’art. 36.
Oltre che nella giurisprudenza costituzionale, anche nella
giurisprudenza pretorile è stata fatta autonoma applicazione del
principio costituzionale della dignità umana, ed emblematica in tal
senso è la sentenza del Pretore di Bologna del 20 novembre 1990.
Nel caso segnalato il pretore condannava l’impresa al risarcimento del
danno morale subito dalla salute e dignità del lavoratore, senza fare
però alcuna menzione della prima e indicando piuttosto soltanto il
prezzo della lesione della seconda.: ciò che appare rimarchevole è
quindi la mancata fruizione del principio di tutela della salute del
lavoratore, in luogo della privilegiata applicazione diretta del diverso
Capitolo I
13
principio di tutela della dignità umana come riportato nell’ art. 41, II
comma Cost., del quale viene sottolineata l’immediata precettività , in
conformità alla sua valorizzazione operata dalla recente giurisprudenza
lavoristica della Corte Costituzionale.
La tesi sostenuta nella motivazione della sentenza è quella secondo cui
l’ art. 41,II comma Cost., nella parte in cui oppone il limite della
dignità umana all’ iniziativa economica privata, è esso stesso la “legge”
richiesta dall’ art. 2059 c.c. per risarcire il danno non patrimoniale.; il
pretore, con questo preciso scopo, lo definisce una parte della legge di
base dell’ordinamento che determina appunto il valore immateriale
“dignità” la cui lesione genera un danno non patrimoniale.
La decisione pretorile, pur ampiamente discussa, si pone in linea con la
decisione della Corte Costituzionale n.561/1987, nella quale la Corte
sosteneva con assoluta chiarezza che “la libertà e la dignità della
persona hanno un autonomo rilievo sia rispetto alle sofferenze ed ai
perturbamenti psichici, sia rispetto ad eventuali danni patrimoniali
conseguenti; e doverosa ne è la riparazione, in quanto i suddetti valori
sono oggetti di diretta protezione costituzionale”.
Tuttavia nella decisione pretorile non vi è alcun diretto richiamo alla
decisione “creativa”n.561/1987 della Corte: anche per questo motivo è
stato osservato che il giudice avrebbe potuto seguire altre strade.
In ogni caso la decisione pretorile resta notevolmente importante e
chiaramente emblematica del potenziale di attuazione concreta del
principio costituzionale di dignità umana.
Capitolo I
14
2. L’art. 2087: una norma a tutela della personalità morale del
lavoratore
L’ art. 2087c.c., è una norma frequentemente utilizzata dalla
giurisprudenza lavoristica in tema di danno alla persona del lavoratore,
sia che si tratti di danno alla salute o “danno biologico”, sia che si tratti
di danno morale.
All’interno dei rapporti di lavoro il discorso sul danno biologico-danno
alla persona , assume una connotazione particolare, dal momento che è
la stessa condizione di subordinazione che implica costantemente il
pericolo pressante e reale di indebite pretese, lesive dei diritti della
persona del lavoratore.
In tal senso, i rapporti di lavoro offrono un punto di osservazione
privilegiato, configurandosi come un habitat che in “re ipsa” favorisce
tali lesioni ed anzi le occulta sotto le esigenze organizzative di gestione
della manodopera.
5
A fare da contraltare a questa situazione di insita pericolosità,
soccorre,però, una disposizione ad hoc, e cioè l’art.2087c.c., che
impone all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie per
tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
La rubrica della norma parla di “condizioni di lavoro”, espressione
generica con la quale si devono intendere non solo l’insieme degli atti e
dei comportamenti che costituiscono lo svolgimento del rapporto, ma
tutto ciò che è inerente all’attività di impresa cui partecipa il lavoratore,
dall’organizzazione all’ambiente.
6
La posizione soggettiva passiva descritta dall’art. 2087c.c., è una
specificazione del più generale dovere di correttezza e compendia
5
Cfr. Veneri L., “Il danno alla persona nel rapporto di lavoro”,in “Lavoro e
Previdenza oggi”, 1999, vol.6, pagg.1097 e ss.;
6
V. Magno P. “Integrità fisica e personalità morale del lavoratore”, in “Diritto del
lavoro”, 1994, pagg.419 e ss.;
Capitolo I
15
l’obbligo dell’imprenditore e, dunque, della stessa organizzazione del
lavoro di rispettare il diritto del prestatore alla conservazione della
propria integrità psico-fisica, nonché quello di salvaguardarne la
“personalità”, intesa nella sua più ampia e variegata accezione.
7
Secondo la lettera dell’art. 2087, l’imprenditore è responsabile ogni
qualvolta, nell’esercizio dell’impresa ponga in essere dei
comportamenti che vanno a ledere l’integrità fisica e la personalità
morale del lavoratore.
L’art.2087c.c., ha cosi’ riconfermato il principio di ordine pubblico-
privato, secondo il quale qualsiasi negozio o relazione obbligatoria non
può legittimare atti di disposizione del corpo del debitore, oltre che
compromissioni all’insieme dei diritti inalienabili della persona.
Tale disposizione, probabilmente è sorta per soddisfare l’esigenza che
il contratto ed il rapporto che ne scaturisce, non sia occasione di danni
alla persona del lavoratore, la cui integrità è condizione essenziale
all’adempimento della prestazione stessa.
Il lavoratore deve cedere energie e forza-lavoro, ma non i propri diritti
fondamentali, dal momento che lo scambio contrattuale non può avere
ad oggetto atti di disposizione dei diritti inalienabili della persona.
E’ stato osservato che l’art.2087c.c, costituirebbe una vera e propria
clausola generale dal valore onnicomprensivo, svolgendo una funzione
di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà
socio-economica.
8
7
V.Montuschi L. “Problemi di danno alla persona nel rapporto di lavoro”, in Riv. It.
Dir. lav., I t., 1994, pagg.317 e ss.;
8
V.Renzi T. “La responsabilità contrattuale nel rapporto di lavoro”, in “La
responsabilità civile”, Torino, 1998, pagg.3 e ss.;