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PREMESSA
L’obbiettivo che mi sono posta è stato quello di cercare di capire, attraverso
la lettura di vari testi e l’analisi di alcuni spettacoli teatrali, se il teatro, che
in antichità era fortemente legato al rito e alla sacralità, potesse avere, in
modi e forme diverse, dei caratteri che per certi aspetti richiamassero la
ritualità e la sacralità anche in epoca contemporanea.
Ho preso in considerazione in linee generali alcune epoche storiche, alcune
aree geografiche, (ed eventi) che mi son sembrate significative: il teatro
nell’antichità greca (in particolare la tragedia), alcuni elementi teatrali
presenti nelle feste tradizionali, brevemente alcuni aspetti del teatro
orientale (in particolare indiano e giapponese), il teatro di ricerca
contemporaneo.
Ho fatto accenno anche alle feste tradizionali perché pur non essendo degli
spettacoli teatrali propriamente detti contengono in sé sia per quanto
riguarda gli elementi formali che per proprio statuto essenziale fortissimi
legami con il teatro.
A questa parte più vasta e più generale è seguita un’altra parte in cui ho
cercato di mettere in luce gli aspetti rituali e legati al sacro di un artista
contemporaneo che ha la peculiarità di usare come mezzo espressivo e
come linguaggio i cavalli.
A mio avviso, nonostante questo avvenga in forme e modi molto diversi (e
con un impatto sociale del tutto differente) da quanto avvenisse in passato,
anche il teatro contemporaneo di Bartabas ha dei forti elementi, di
contenuto, stile e forma, che lo legano in qualche modo all’idea di sacralità
e ritualità.
Ho cercato di descrivere e mettere in risalto in particolare questi elementi,
evidenziando qualche volta i legami con alcuni autori che lo hanno
preceduto ( come per esempio Artaud, soprattutto per quanto riguarda
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l’idea del ruolo che avrebbe dovuto avere il teatro e la sua polemica contro
il linguaggio) e il fortissimo elemento di dialogo e di contaminazione
culturale presente negli spettacoli di Bartabas.
Nei suoi spettacoli è presente inoltre una forte vena lirica e di ricerca, mette
in correlazione e fa dialogare musica, colori, danza, provenienti da culture
diversissime tra loro, creando relazioni, significati e suggestioni.
Ci sono alcuni temi, come quello del viaggio, che ricorrono in diversi
spettacoli, molto caratterizzante la presenza degli elementi naturali (acqua,
terra , vento ecc…) e dell’istintualità rappresentata naturalmente da quelli
che sono i suoi alter-ego e i suoi mezzi principali di espressione cioè i
cavalli.
Anche un certo tipo di movimenti ricorre spesso, primo fra tutti quello
circolare degli uomini e dei cavalli attorno alla pista, questo movimento ha
forti significati simbolici, rappresenta il tempo stesso, che è un tempo
circolare, che non esisteva prima ma che è creato dal passare stesso dei
cavalli, che nasce contemporaneamente a loro, che ne è in qualche modo
l’incarnazione.
E’ tutto avvolto in uno scenario fiabesco e immaginifico, in alcuni
spettacoli compaiono poi dei personaggi e delle scene che staccano col
contesto, a volte son scene giullaresche che alleggeriscono il tono della
rappresentazione, e che comunque, allo stesso tempo costituscono dei punti
di snodo dello spettacolo, son degli stacchi, e proiettano per un breve
momento in un altro tempo e in un ‘altra dimensione.
Ho cercato di capire e di rintracciare gli aspetti che questo tipo di teatro
potesse avere in comune con altri tipi di teatro, per esempio quello delle
tragedie dell’antica Grecia appunto o alcuni tipi di teatro tradizionale
orientale, considerati, palesemente teatri sacri.
Il teatro, il rito e il mito
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Capitolo I
Il teatro, il rito e il mito
Ad eccezione delle marginali e sempre poco finanziate esperienze del
teatro di ricerca, che sembra forse l’unico ad aver conservato parte delle
istanze originarie del teatro, la maggior parte del teatro odierno appare
come qualcosa che appartiene prevalentemente alla sfera del
“divertissement” (riservato per di più ad una parte elitaria della società, e
con marginali ricadute sulla coscienza dei singoli).
Se ci si inoltra un po’ nella storia del teatro si vede immediatamente come
esso sia profondamente legato ad energie molto magmatiche, caotiche e
potenti, energie che son state sempre proiettate e obbiettivate anche, e forse
soprattutto, nella sfera del sacro.
Energie incanalate e mediate nei rituali, generalmente all’interno di
occasioni particolari come i riti d’iniziazione, le cerimonie festive, o ancora
in riti di possessione.
Ma nonostante il teatro e il sacro abbiano preso strade diverse, inizialmente
il teatro non era concepibile che nell’ambito della liturgia.
Inizialmente, ho preso brevemente in considerazione il mondo greco,
perchè è forse quello culturalmente più vicino a noi e su cui abbiamo più
informazioni e perché le rappresentazioni teatrali (in particolare tragiche)
avevano una complessità e un impatto sociale notevolissimo.
E la prima cosa che salta agli occhi è l’evidenza di un percorso, una strada
ben chiara che porta direttamente dal teatro al rito, al mito e agli archetipi
su cui esso si basa.
Il teatro, il rito e il mito
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1.1 Simboli, archetipi e mito.
“Archetipi” per Jung sono pure forme o funzioni trascendentali operanti sui
contenuti offerti dall’esperienza, dalla memoria e dall’inconscio personale,
queste strutture rappresentano le modalità fondamentali dell’esistenza
profonda di ogni individuo.
Dopo vari studi Jung giunge alla conclusione che la vita simbolica sia
autonoma, e che, come un tema mitologico, nonostante le immense
variazioni in cui si può trovare presso i popoli più diversi, altro non sia che
l’espressione concreta e sensibile, variabile ma, in fondo, sostanzialmente
unitaria , di una struttura intemporale dell’inconscio dell’uomo.
Mostra come nella natura puramente formale dell’inconscio si possano
reperire le matrici universali dei temi mitologici. Per Jung il Mito in sé non
è l’archetipo, è bensì il prodotto del suo operare
Se Kerènyi, da storico delle religioni, si chiede da dove derivi il mito, Jung
risponde che esso si trova nelle strutture archetipiche dell’inconscio, che
generano in realtà tutto il simbolismo dell’uomo.
<<Noi abbiamo perduto l’accesso immediato alle grandi realtà del mondo
spirituale, ed a queste appartiene tutto ciò che vi è di assolutamente
mitologico, e l’abbiamo perduto anche a causa dello spirito scientifico fin
troppo pronto ad aiutarci e fin troppo ricco di mezzi sussidiari.”
1
>>
La mitologia per i greci non solo “aveva senso” ma oltre a questo “dava
senso” cioè l’uomo greco la usava per interpretare il presente, il mito
veniva considerato come la manifestazione di una realtà superiore e di più
alta importanza.
1
Carl G. Jung e Karoly Kerenyi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino,
1980, p. 14.
Il teatro, il rito e il mito
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Per Malinowski il mito esprime in maniera diretta quello che in esso viene
raccontato, cioè un fatto dei tempi primordiali, ma nega che in esso si possa
esprimere qualcosa di più universale e simbolico. Secondo lui inoltre non
esistono miti eziologici: i miti cioè non spiegano niente, non esprimono
“aitia” ma fissano sempre un precedente ideale, hanno una funzione
sociale ma non danno una spiegazione delle cose.
In breve la mitologia non fornirebbe cause (aitia) ma fonda, dice da
quali origini (arcai) derivano le cose.
I fatti di natura archetipica si riferiscono a qualcosa di essenzialmente
inconscio. Un contenuto archetipico è sempre espresso in forma di
similitudine.
In alcuni miti compare la figura del “fanciullo eroe” che già da bambino,
combatte con mostri oscuri; questo mito sarebbe la rappresentazione del
trionfo della coscienza sull’inconscio, ossia diventare coscienti sarebbe,
secondo Jung, la più grande esperienza primordiale, ed è per mezzo di
questa esperienza che sarebbe “sorto” il mondo;
Anche quando nelle Sacre Scritture Dio dice: “E sia luce” si tratterebbe
della proiezione di quella stessa esperienza primordiale del distacco della
coscienza dall’inconscio.
Ancora oggi presso le popolazioni d’interesse antropologico, la “perdita
dell’anima”è ancora possibile e provoca, nell’ambito della medicina
primitiva, interventi “psicoterapeutici” da parte dello sciamano.
<<Tutto ciò di cui l’uomo abbisogna, in senso positivo o negativo, e di cui
egli è ancora incapace, vive in forma mitologica e di anticipazione a lato
della sua coscienza, o come proiezione religiosa o, ciò che è più pericoloso,
come contenuto dell’inconscio che poi si proietta spontaneamente su cose
inadeguate, per esempio le dottrine e prediche dell’igiene o di altre
Il teatro, il rito e il mito
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promesse di salvezza. Tutto ciò non è che surrogato razionalistico della
mitologia e il suo carattere artificioso è più pericoloso che utile
all’umanità”
2
>>
Jung riprende l’idea, espressa in altri termini anche da Kerènyi, e che sarà
poi una delle basi su cui si fonderà la formulazione del concetto di
“inconscio collettivo”, secondo cui nel mito parla “il mondo stesso” e più
arcaico, profondo, fisiologico è un simbolo, più è collettivo, universale e
materiale. Al contrario, più è astratto, differenziato e specifico e legato a
funzioni coscienti, meno è legato alla sua natura universale. Più è legato
alla coscienza più corre il rischio di diventare una mera allegoria che in
nessun punto trascende dal pensiero cosciente diventando così anche
oggetto di interpretazioni razionali.
E il tradurre sempre qualcosa di fondamentalmente inconscio in qualcosa di
razionale, traduzione che si effettua sempre per mezzo delle parole, spesso
significa togliere ad esso tutta la sua forza, trasformarlo in qualcos’altro e
asservirsi sempre a quella fede generalmente diffusa, nelle parole, che può
costituire una vera e propria “malattia dell’anima”
L’uomo “primitivo” al contrario, non trova in se stesso alcun enigma o
dualità: il problema di se stesso è sempre l’ultimo che si pone.
<<Ma per il primitivo c’è tanto di psichico al di fuori della coscienza che
l’esperienza del psichico indipendente da lui gli è molto più familiare anche
di quanto non lo sia a noi. La coscienza circondata, protetta, sostenuta o
minacciata e ingannata da forze psichiche è un’esperienza primordiale
dell’umanità”
3
>>
2
Ivi, p. 133.
3
Ivi, p. 145
Il teatro, il rito e il mito
7
Secondo Jung la totalità umana consiste infatti nell’unificazione della
personalità cosciente con quella inconscia, poiché tra queste due c’è
generalmente un qualche conflitto strutturale, scopo dell’archetipo, e quindi
del mito e del rito (e forse del teatro quando segue la sua vocazione più
profonda) è quello di farsi mediatore di questo conflitto.
1.2 Il Mito greco e il suo tempo (e in che punto s’incontra col Teatro)
<<La filosofia occidentale ammette solo due forme di conoscenza, quella
legata alla percezione sensibile, che fornisce i dati chiamati empirici, e
quella legata ai concetti dell’intelletto (le leggi che regolano i dati empirici).
Di ciò che sarebbe dovuto stare tra questi due poli non se n’è parlato per
niente, e questo, cioè l’immaginazione, fu lasciato ai poeti.
Questa filosofia scientifica non poteva assolutamente prendere in
considerazione l’idea che quest’immaginazione abbia una funzione
NOETICA e CONOSCITIVA propri, che cioè permetta di accedere ad una
regione dell’Essere che altrimenti ci è preclusa.
Per questa filosofia l’immaginazione era solo qualcosa che aveva a che fare
con l’irreale, col meraviglioso, con la finzone.”
4
>>
Ed è in uno stato mentale che ha qualche analogia con questo che si colloca
e si può percepire il mito e la sua particolare dimensione temporale.
Secondo la maggior parte degli studiosi del mondo antico c’era perfetta
coincidenza tra rito, dramma e festa.
In particolari momenti dell’anno,legati principalmente al calendario
agrario, c’erano delle feste all’interno delle quali avevano luogo varie
rappresentazioni drammatiche al cui centro c’era il Mito.
4
H. Corbin, Corpo spirituale e tema celeste, Adelphi, Milano, 1986
Il teatro, il rito e il mito
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Tra gli altri scrive Toschi:
<<Tutte le forme drammatiche da cui si sviluppa il nostro teatro
riconoscono la loro prima e unitaria origine nel rito. Nascono come i
momenti essenziali e significativi delle cerimonie religiose. Anche la
commedia, e in genere, quello che si fa chiamare teatro profano, ha avuto in
origine carattere sacro né più né meno del dramma cristiano. Solo che la
nascita è avvenuta nel mondo ritualistico della religione pagana.”
5
>>
I Miti greci sono i più antichi e completi che abbiamo a disposizione, ma
vediamo in essi delle caratteristiche comuni ai miti di molti popoli: Ci sono
per esempio molti punti in comune tra la Teogonia di Esiodo e il “Poema
della Creazione Babilonese” che risale al 2000 a. C. circa e che ci è
pervenuto nella redazione eseguita durante il regno di Assurbanipal 668-28
a. C.: le strutture mitiche sono quindi molto simili tra loro.
6
La Philippson prende in considerazione la Teogonia di Esiodo perchè pensa
che essa rappresenti in realtà una spiegazione in forma genealogica del
cosmo.
Ed è proprio questo che fanno i miti: spiegano in maniera metaforica e sono
al centro, allo stesso tempo fulcro e punto di arrivo delle rappresentazioni
tragiche greche.
Ed è appunto a causa del carattere sacro del mito che anch’esse sono sacre.
Non si tratta di semplici omaggi o rappresentazioni mimetiche o didattiche
di racconti allegorici.
Si tratta piuttosto di un altro registro di realtà che viene instaurato e che
come tale viene percepito dagli spettatori dell’antica Grecia, una realtà e
5
P. Toschi, 1976 pp. 7-8, in Satta, Le Feste, Teorie e interpretazioni, Carocci, Roma, 2008, op. cit. p. 68
6
P. Philippson, Origini e forme del mito greco, Boringhieri, Torino, 1983
Il teatro, il rito e il mito
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degli eventi appartenenti ad un altro luogo e ad un altro tempo Die Zeitart
des Mythos: Il tempo del mito.
E’ un incontro tra due tempi e due realtà diverse ma che sono le due facce
della stessa medaglia.
E’ forse qualcosa di simile all’appollineo e al dionisiaco di Nietzsche.
Secondo lui il mito era un fattore di salvaguardia delle energie dissolutrici
del Dionisiaco; la danza, il canto e il ritmo dovevano schiudere le porte alla
verità del mito, il quale ci proteggeva allo stesso tempo da essa; era
un’allegoria che impediva di restare abbagliati dal confronto con la “vera
idea del mondo”, con la verità senza veli che la mente umana potrebbe
percepire come una negazione assoluta del proprio essere.
Quel che, secondo Nietzsche, nella tragedia esprimeva di più il dionisiaco e
tutto il suo orizzonte di simboli, era il danzatore del coro ditirambico che
sacrificava la propria individualità e attuava una simbiosi tra la sua umanità
e la sua animalità. Si rende satiro entro altri satiri; nel processo del coro
tragico consiste il fenomeno drammatico primitivo. Consiste cioè in una
sorta di “incantesimo” collettivo in cui l’individuo rinuncia a se stesso e si
vede in una natura a lui estranea, si vede satiro e così tutti gli altri si
considerano tramutati a vicenda. In questa nuova condizione l’attore
dionisiaco vedendosi satiro (egli è dentro la condizione del dionisiaco) si
comporta come tale e contempla “fuori di se” un’altra visione: vede il Dio,
e questo è il perfezionamento apollineo del proprio stato.
Rovescia quindi l’idea secondo la quale il dramma è l’arte della
rappresentazione di dialoghi e azioni ma parla qui di un processo molto
simile alla trance in cui entrando in uno stato mentale particolare e
diventando in un certo modo “altro da se” si ha una sorta di visione,
un’apparizione di sogno che, pur non avendo le caratteristiche di realtà
della realtà sensibile non può comunque essere “tacciata di inesistenza.”
Il teatro, il rito e il mito
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Questa visione può essere anche considerata l’oggettivazione di uno stato
d’animo dionisiaco, non è la liberazione totale dal mondo dell’apparenza
ma l’unificazione dell’individuo con una sorta di unità primigenia.
Questa visione è generata da e all’interno del coro tragico e si esprime con
la danza i suoni, le parole e tutto l’apparato simbolico connesso ad esso.
Così, dice Tessari, si attua una particolare forma di sintesi tra teatro e rito,
con uno dei pochi metodi che permetteva all’uomo di vivere le più alte
energie fascinatrici, che si consideravano facenti parte della sfera del
dionisiaco, senza che venisse da queste lacerato, si cercava di conciliare e
controbilanciare l’elemento dionisiaco e quello apollineo.
7
La Philippson partendo dall’analisi della Teogonia individua due momenti
e due dimensioni:
In un primo momento Esiodo parla di Caos e Gaia, ai quali si
succedono Ouranos e Cronos e nei quali la dimensione è atemporale
e eterna, è la dimensione dell’Essere e i vari figli non sono nient’altro che
l’esplicazione delle caratteristiche dei padri, cioè dell’Essere, di tutti i
fenomeni, espressi e contemplati in maniera divina.
Il secondo momento, rappresentato dall’instaurarsi del Kosmos, cioè del
mondo dell’ordine di Zeus, è il tempo del divenire in cui appunto è
presente la dimensione temporale. Gli stessi Dei del regno di Zeus sono
chiamati Neoi in contrapposizione a quelli antichi, non sono atemporali
ma sono semplicemente azanatos “immortali” perdurano cioè
finchè perdura il Kosmos di Zeus che non è il mondo nella sua struttura
universale, ma solo quello di un determinato stato, una fase del mondo in
contrapposizione alle altre.
7
R. Tessari, Teatro e antropologia tra rito e spettacolo, Carocci, Roma, 2004
Il teatro, il rito e il mito
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Pur essendo qualcosa di diverso non c’è cesura completa tra essere e
divenire, infatti l’universo di Zeus si forma ed è generato grazie
all’unione delle potenze atemporali dell’Essere che vengono a far parte
dell’Olimpo di Zeus e mantengono tutto il loro potere e i loro onori.
In sostanza secondo quest’interpretazione la Teogonia di Esiodo è il
racconto di questa dualità tra Essere e Divenire, e ciò si ritrova in ogni
espressione della cultura greca.
Il Mito è il modo in cui l’Essere atemporale dell’aion si manifesta nella
dimensione temporale.
E non si manifesta attraverso la noesis ma lo fa attraverso il simbolo.
Quando l’Essere divino invisibile e immutabile fa irruzione nel divenire
temporale, questo momento di intersecazione tra la linea retta del tempo del
divenire e il punto atemporale dell’aion fa nascere il kosmos symbolikos
il cui tempo è il chronos symbolicos; che è appunto il tempo del mito e
della tragedia, in cui tutto questo viene vissuto.
La concettualizzazione di Essere e Divenire è la proiezione di ciò e
corrisponde alla struttura di pensiero greca che è polare.
Questa organizzazione del pensiero vede e concepisce il mondo come
coppie di contrari, come uno sfondo da cui precipita qualcosa ad esso
intimamente legato.
Non si tratta del dualismo, in cui i due opposti o si escludono o si
conciliano a vicenda finendo di esistere come opposti, e non si tratta
nemmeno di una forma di pensiero lineare di tipo evoluzionistico e storico.
Qui, nel pensiero greco, i contrasti sono tra loro collegati
indissolubilmente, nella loro esistenza più intima, sono “parti di un’unità
che non si conclude con loro, punti di una sfera perfetta”
8
8
P. Philippson, op. cit. p. 42
Il teatro, il rito e il mito
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1.3 Il teatro greco, il mito e il rito.
Il teatro greco era l’incontro tra tre momenti, quello agonistico, quello
politico e quello rituale, che è quello che più prenderemo in considerazione.
Presso molti popoli, prevalentemente quelli agrari, le manifestazioni
teatrali erano inserite all’interno delle manifestazioni religiose.
In questa connessione appare il significato rituale e propiziatorio del teatro,
la rappresentazione tende a celebrare e favorire il rinnovarsi del ciclo (del
tempo, delle stagioni, della semina), alla regolarità e al ripetersi del quale
era legata la sopravvivenza della comunità.
Veniva rievocato e rappresentato un eroe, un antenato totemico e in
generale tutto ciò che era legato alla sfera mitica: la trasmissione del
patrimonio mitico-rituale è infatti uno degli elementi costanti del teatro di
tutti i popoli.
Inoltre alcuni studiosi, tra i quali Turner, hanno individuato una
connessione stretta con i riti d’iniziazione.
Per quanto riguarda il teatro greco e le sue origini non abbiamo notizie
storicamente certe ma da un passo della “Poetica” di Aristotele e dalle
“Storie” di Erodoto si deduce che la tragedia sia connessa con il ditirambo,
un canto lirico-corale in onore di Dioniso che veniva accompagnato da una
danza.
L’interpretazione è comunque controversa, Aristotele parla infatti di
Exarkontes ai quali si contrapponevano i coreuti o satiri, personaggi
animaleschi che rappresentavano gli spiriti della natura.
Alcuni studiosi considerano causale la corrispondenza delle tragedie con
Le grandi Dionisie. Ci sono varie altre ipotesi che la mettono in
correlazione con il dramma satiresco, ma al di là delle diverse
interpretazioni esistono comunque molti documenti figurativi che provano
Il teatro, il rito e il mito
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la connessione tra i capri, i satiri e la tragedia. Varie raffigurazioni infatti
mostrano una qualche connessione tra danze satiresche e temi mitici.
Da varie raffigurazioni e in particolare da quelle di un vaso,“Il vaso di
Pronomos”, datato probabilmente attorno al 410 a.C. sembra che i satiri e le
divinità olimpiche fossero compresenti ma non si mischiassero tra loro,
quasi a significare, e l’interpretazione di Molinari è simile a quella della
Philippson, il confronto tra la realtà umana e quella metafisica, tra l’essere
e il divenire.
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Il teatro tragico greco era quindi un teatro sacro ed era collegato in vari
punti col mito e con il sacro:
1. Il tempo: La dimensione temporale del mito come anche quella della
rappresentazione teatrale era extraquotidiana: il tempo che vigeva era
in entrambi il tempo del mito.
2. Il periodo: Le rappresentazioni tragiche molto probabilmente
avevano luogo durante due festività sacre. Le Lenee e le grandi
Dionisie in corrispondenza con l’inizio della primavera a Marzo, e ad
Aprile, erano quindi inserite all’interno di un ordinamento sacro.
3. Lo spazio: lo spazio del teatro, nel momento in cui si rappresentava
la tragedia, diventava lo spazio sacro di un’illuminazione; lo
spettacolo aveva luogo nel teatro di Dioniso, all’interno del recinto
sacro di Dioniso Eleutheros, sulle pendici meridionali dell’acropoli.
4. Il Contenuto della rappresentazione: gli eventi rappresentati erano
nella loro essenza più intima connessi all’anima, alla storia e ai
valori della collettività, le tragedie erano sempre ispirate al mito.
5. I referenti e la percezione che essi avevano: Le rappresentazioni si
rivolgevano a tutta la collettività e non ai singoli. Costituivano un
paradigma, un evento divino. I Greci andando a teatro si aspettavano
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C. Molinari, Storia del Teatro, edizioni Laterza, Milano, 2003
Il teatro, il rito e il mito
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di assistere ad un rito , tutto ciò che si svolgeva a teatro era una realtà
dotata di leggi logiche, spaziali e temporali proprie, era una realtà
che essi sentivano vera, tanto concreta come l’altra, una realtà il cui
centro, l’orchestra, era l’ombelico del mondo. Solo più in la quando
il mondo che l’aveva generata cambia e i suoi presupposti iniziano a
sgretolarsi, a partire da Euripide, il teatro diventa solo un’occasione,
seppur alta, d’intrattenimento. (Esattamente come succede nella
modernità, situazione alla quale molti artisti del cercheranno di
opporsi.)
Inoltre il teatro aveva anche un carattere politico ed era allo stesso tempo
una rappresentazione agonistica.
La gara era inserita in un rituale divino e sanzionata da un esito pubblico,
aveva una ratifica religiosa e civile, nella quale veniva convogliata
l’aggressività potenzialmente rovinosa per la società greca.
Era contemporaneamente un rito, un’assemblea ed una gara, era
caratterizzata da una potente impronta artistico-concettuale, era la
proiezione dell’intera attività e della riflessione artistica e spirituale che
pervadeva la vita ateniese.
La collettività ne era il committente e il destinatario e si identificava
profondamente nella tragedia e nel mito che ne era alla base.
Il teatro quindi era un momento innanzitutto religioso che raggiunse vette
artistiche altissime ma in realtà in questo periodo della civiltà ellenica era
difficile prendere in considerazione separatamente i due aspetti, poiché
l’elemento estetico investiva ogni aspetto dell’esistenza.
Secondo Del Corno la tragedia è l’espressione e l’esorcizzazione del
conflitto che c’è tra volontà e necessità, tra cioè la volontà dell’uomo di
decidere il proprio destino e gli ostacoli a questo rappresentati dalla volontà
imperscrutabile degli dei.