essere identificata nella credenza in questi Esseri, i cui attributi furono da lui
delineati in modo del tutto simile a quelli del Dio unico cristiano. Sulla base dei dati
raccolti da Lang, poi, nacque la cosiddetta teoria del monoteismo primordiale,
patrocinata in modo particolare da uno dei più illustri esponenti della scuola storico –
culturale viennese, Padre Wilhelm Schmidt (1868-1954). Questi, per mezzo dei
nuovi dati raccolti grazie a ricerche etnografiche sempre più accurate, riuscì,
secondo Pettazzoni, a dare nuova luce alla vecchia teoria della Rivelazione, secondo
cui la prima forma di religione dell’umanità fu la credenza in un solo Dio, rivelata
all’uomo da Dio stesso.
Pettazzoni rifiutava questa teoria in modo netto e deciso, come pur respingeva
l’ipotesi sulla formazione del monoteismo proposta dagli evoluzionisti, in
opposizione alla quale era nata la dottrina dell’Urmonotheismus. In relazione a
quest’ultima, in una recensione che egli scrive al quarto volume dell’opera di
Schmidt1, Pettazzoni esprime i propri dubbi circa “la problematicità e la
provvisorietà dei risultati” della ricerca dello studioso austriaco, dal momento che lo
stesso Schmidt sente il bisogno d’avvertire che “data la quantità e complicatezza dei
fatti e la vastità delle argomentazioni onde quest’ultima soluzione fu ottenuta, non si
può ancora parlare di una sua forma definitiva”2. Pettazzoni spiega che “quest’ultima
soluzione” concerne l’origine stessa della religione, “cioè la sua origine divina, che
lo Schmidt crede di aver dimostrata coi dati dell’etnografia”3.
Ed è proprio contro l’ipotesi di una rivelazione originaria che Pettazzoni
insorge, poiché essa non avrebbe fatto altro che accreditare la teoria creata
dall’Apologetica cristiana sull’origine della religione. La preoccupazione di
Pettazzoni era infatti quella di tutelare la ricerca storico – religiosa da ingerenze
1
Pettazzoni, recensione a W. Schmidt, DerUrsprung der Gottessidee, vol. IV, Munster, 1926, in “Studi e materiali di
storia delle religioni”, n. 13, 1937, pp. 124-125.
2
W. Schmidt, DerUrsprung der Gottessidee, vol. IV, Munster, 1926, p. IX.
3
Pettazzoni, recensione a W. Schmidt, cit.
4
fideistiche che ne avrebbero inficiato a priori i risultati, impedendo di portare avanti
un vero studio scientifico: con la teoria di Schmidt, infatti, a suo parere
i risultati della scienza dei popoli e delle civiltà primitive (etnologia) verrebbero in
certo qual modo a coincidere con i presupposti del pensiero teologico, e la dottrina della
rivelazione sarebbe suffragata dalla ricerca scientifica4.
Lo stesso concetto verrà ribadito da Pettazzoni in molte altre delle sue opere,
ad esempio, nell’Introduzione al suo lavoro del 1955 intitolato L’Onniscienza di Dio,
Pettazzoni dichiara:
la teoria del monoteismo primordiale è un compromesso tra ricerca storica e teologia
perché ciò che si pone come prima forma di religione non è il monoteismo come ci appare
nelle grandi religioni storiche monoteistiche ma l’idea monoteistica in astratto, con gli
attributi ad essa assegnati dalla speculazione teologica5.
In seguito a queste riflessioni, prese vita l’idea di un disegno organico e di un
preciso progetto circa un’attenta ricerca sulla origine e svolgimento dell’idea di Dio e
sulla formazione e lo sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni. Questa
analisi avrebbe dovuto essere atta
a chiarire i destini di quella figura divina che appariva comune alle credenze
religiose di tutta – o quasi – l’umanità sotto la triplice forma di Essere Celeste o di Iddio
ottimo massimo o di Iddio unico. Essa teoria doveva dunque dar ragione degli elementi e
4
Pettazzoni, L’essere supremo nelle religioni primitive, Torino, 1957, p. 17.
5
Idem, L’Onniscienza di Dio, Torino, 1955, p. 7.
5
fattori che concorsero alla formazione del monoteismo e che presiedettero al suo sviluppo
attraverso la storia universale delle religioni6.
Così lo stesso Pettazzoni annuncia nella prefazione del suo libro dato alle
stampe nel 1922, ma già pronto nel 1915 e pubblicato più tardi a causa della guerra:
Dio. Formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni. La sua teoria
“doveva essere svolta naturalmente in tre parti, in rapporto con quelle tre forme della
figura divina, corrispondenti a tre forme fondamentali della religione, nonché a tre
momenti dello sviluppo culturale dell’umanità”(ibidem). Il primo volume, che
trattava appunto dell’Essere celeste dei primitivi, avrebbe dovuto essere seguito da
un secondo incentrato su il Dio supremo nelle religioni politeistiche, e da un terzo,
riguardante il Dio unico nelle religioni monoteistiche:
Queste tre parti corrispondevano, nel mio pensiero, a tre momenti di un ideale
continuità, fondata sopra un’essenziale identità di natura, e cioè: gli esseri supremi dei popoli
primitivi erano […] degli esseri celesti (personificazioni del cielo), i quali, in ragione della
cosmica grandiosità della loro comune natura uranica diventavano poi, ad un superiore
livello culturale, gli dei supremi dei vari pantheon politeistici, e questi a loro volta passavano
come iddii unici nelle religioni monoteistiche7.
Il progetto non fu però portato a termine, poiché Pettazzoni nel corso delle
sue ricerche modificò i suoi piani, scelta dovuta in parte alla vastità dell’opera, che
gli fece dubitare di poterla realizzare nel modo che si era proposto; e in parte
motivata dalla revisione della sua interpretazione degli esseri supremi incentrata sulla
loro natura esclusivamente uranica. Inoltre, la disputa con Schmidt verteva sul
6
Idem, Dio. Formazione e sviluppo del monoteismo nella storia delle religioni. L’Essere celeste nelle credenze dei
popoli primitivi, Roma, 1922, p. XVII
7
Pettazzoni, Prefazione al volume Saggi di storia delle religioni e di mitologia, Roma, 1946, p. 30, Monoteismo e
Urmonotheismus.
6
monoteismo delle popolazioni primitive, e non su quello attuale, motivo per cui gli
studi di Pettazzoni si focalizzarono soprattutto sulle religioni d’interesse etnologico.
L’indagine di Pettazzoni riguardo le figure degli esseri supremi lo fece
giungere a conclusioni nettamente discordanti rispetto a quelle di padre Schmidt,
dimostrando l’inconsistenza della sua teoria del monoteismo primordiale: il presunto
monoteismo dei primitivi venne infatti ridotto da Pettazzoni alla più modesta
credenza in un essere celeste, appercepito in figura personale del cielo, secondo i
meccanismi di quel pensiero mitico che, a suo avviso, presiedeva alle forme della
religione dei primitivi. Per il nostro autore dunque, era stata solo la volontà
apologetica dell’ecclesiastico austriaco a dar vita all’ Urmonotheismus, mentre, al
contrario, per discutere di monoteismo bisognava rivolgere l’attenzione non ai popoli
primitivi, ma a quelle che Pettazzoni reputa le uniche vere religioni monoteistiche,
cioè l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islamismo e lo Zoroastrismo.
Pettazzoni rileva , invece, come quest’esigenza metodologica sia sempre stata
ignorata dai diversi autori che nel corso dei secoli si sono interrogati sulla natura e
sulla genesi dell’oggetto in questione, in quanto al centro delle loro speculazioni
troviamo sempre le religioni dei popoli primitivi, e mai quelle che egli chiama
‘monoteismi storici’. E’ proprio da qui che parte la critica di Pettazzoni alle svariate
ipotesi avanzate sulla nascita del monoteismo, ipotesi che egli vaglia prima di fornire
la propria soluzione al problema. Queste teorie sono ricondotte da Pettazzoni a due
opposte posizioni: da una parte, quelle che pongono il monoteismo alle origini stesse
della religione umana, considerandolo poi soggetto ad un processo degenerativo;
dall’altra, quelle per cui il monoteismo si trova invece alla fine di uno sviluppo
religioso che ha visto la progressiva riduzione delle figure divine da molte a poche a
7
una. La prima posizione viene da Pettazzoni assimilata a quella della dottrina della
Rivelazione, la seconda invece è identificata con la prospettiva evoluzionista8.
Nelle sue opere, Pettazzoni spiegherà le ragioni dell’inaccettabilità di
entrambe queste teorie, ragioni riconducibili al fatto che esse non vengono
confermate dai dati osservati, ma anzi ne risultano inficiate. Il motivo di ciò, è che
esse sono basate su presupposti aprioristici, che non consentono un’analisi obbiettiva
dell’oggetto della ricerca, tendendo invece a plasmarlo secondo un’interpretazione
preconcetta. In particolare Pettazzoni denuncia la persistenza della teoria della
degenerazione anche in autori apparentemente ‘immuni’ da influenze fideistiche,
come Voltaire: nonostante egli avesse infatti proclamato la sua lontananza dal mondo
religioso, dichiarandosi un convinto anticlericalista, la sua teoria sull’origine della
religione riprenderebbe in larga misura quella dell’Apologetica cattolica, non
apportandovi delle modifiche sostanziali (vedi par. 2.1). E’ proprio contro ciò che
Pettazzoni vuole salvaguardare gli studi storico – religiosi. Nella Prolusione del
19249, egli afferma infatti di credere in una storia delle religioni “rispettosa di tutte le
fedi e libera da preoccupazioni apologetiche”. Questo resterà un principio fisso che
guiderà Pettazzoni nelle sue ricerche future e che lo porterà ad insorgere contro chi,
invece, userà il proprio credo religioso come paradigma per interpretare tutti i
fenomeni religiosi partendo dal proprio punto prospettico, escludendo la possibilità
di metterlo in discussione, anzi cercando nei risultati della ricerca una sua conferma.
Lo scopo di questo lavoro – e la sua singolarità – consiste nell’evidenziare il
modo in cui Pettazzoni è andato alla ricerca delle radici storiche che sono alla base
della teoria di Schmidt, aspetto cui finora nessuno ha ancora prestato l’attenzione che
8
Vedi M. Gandini, (a cura di), “Strada Maestra”. Quaderni della Biblioteca Comunale “G. C. Croce” di San Giovanni in
Persicelo, 1994, n. 36 – 37. “L’anno cruciale 1912”, 201 – 202.
9
Pettazzoni, Svolgimento e carattere della storia delle religioni, Bari, 1924. Lezione inaugurale pronunciata
all’Università di Roma il 17 gennaio 1924.
8
merita, poiché nelle varie ricostruzioni della polemica tra i due studiosi10 si è
preferito insistere sull’esame dei temi e degli argomenti di Pettazzoni, trascurando
l’analisi compiuta da lui stesso dei presupposti e delle eredità della teoria dell’
Urmonotheismus. Noi abbiamo invece scoperto come, nell’impostare la maniera in
cui trattare questa teoria, il nostro autore decida di non limitarsi ad una polemica, ad
un semplice confronto diretto con Schmidt e la sua scuola; egli ne rileva, al contrario,
il condizionamento storico, presentando una ricognizione storiografica di come nel
pensiero occidentale sia stato affrontato il problema del monoteismo nel corso dei
secoli XVIII e XIX, risalendo fino a Hume e Voltaire. Al posto di una teoria sulla
posizione teologica e teocentrica assunta da Schmidt, Pettazzoni propone dunque una
storicizzazione, rilevando il lungo percorso storico dal quale la tesi di Schmidt
muove in ambiti laici. Egli rimarca in particolare il caso dei razionalisti, capeggiati
da Voltaire, la cui ipotesi sulla genesi del monoteismo ricalcava quella
dell’Apologetica tradizionale; o il caso di Hume, il quale può essere considerato
come precursore della sua interpretazione mitologica degli esseri supremi, in
contrapposizione a quella causalistica offerta dall’etnologo austriaco. L’intento di
Pettazzoni è quindi quello di segnalare, storicizzandola, la presenza – e il pericolo –
di infiltrazioni teologiche nelle teorie concepite in ambienti dichiaratamente laici. A
questa prospettiva di studio abbiamo dedicato il capitolo centrale della tesi (capitolo
due).
Esaminando il modo in cui Pettazzoni ha posto il problema dei residui
teologici presenti nello studio della formazione del monoteismo, abbiamo rilevato,
inoltre, come egli non soltanto ne effettui una ricognizione storiografica diacronica,
ma apra anche un dibattito alimentato da studiosi di storia delle religioni a lui
contemporanei. Il principale animatore di questa discussione è Ernesto de Martino,
10
Vedi, ad esempio, S. Giusti, Storia e mitologia (con antologia di testi di Pettazzoni), Roma, 1988; U. Casalegno, Dio,
esseri supremi, monoteismo nell’itinerario scientifico di Raffaele Pettazzoni, Torino, 1979.
9
dal momento che egli fu colui che, più di ogni altro, in Italia condivideva i motivi
che erano alla base della disamina della teoria di Schmidt da parte del nostro autore,
riguardo le intenzioni apologetiche dell’ecclesiastico austriaco. Il terzo e conclusivo
capitolo del nostro lavoro è finalizzato quindi a capire i termini di questa discussione.
Ciò significa offrire un ulteriore punto di vista sull’impostazione laica del tentativo
realizzato da Pettazzoni di individuare i problemi riguardo l’esigenza del recupero
della religione (nella sua forma più propriamente cristiana, ovvero monoteistica) alla
storia.
Lo studio della storicizzazione (capitolo due) e della discussione (capitolo
tre) intraprese da Pettazzoni, riguardo al tema del preteso monoteismo primordiale, ci
ha così condotto ad individuare tanto il pericolo avvertito dall’autore di una
risoluzione teologica della storia delle religioni, quanto quello di una dissoluzione
della religione nella storia, in nome di una difesa della cultura laica da parte di
invadenze confessionali.
A questa ricerca premettiamo un primo capitolo, nel quale abbiamo fornito
alcuni tra gli elementi più importanti della teoria di Pettazzoni sul processo di
formazione del monoteismo, elementi che verranno ripresi in modo più veloce nei
successivi capitoli. Si tratta soprattutto della dimostrazione di come esso debba
essere considerato posteriore al politeismo, poiché, per il nostro autore, il
monoteismo si configura essenzialmente come negazione di quest’ultimo, e in quanto
tale, “non si trova dunque alla base iniziale della storia religiosa, bensì al termine di
uno svolgimento lunghissimo”11. Svolgimento in cui, per Pettazzoni, ha avuto un
ruolo rilevante anche la figura dell’Essere Supremo, in quanto egli suggerisce
l’ipotesi di una ‘linea di sviluppo’ che, partendo dall’Essere Supremo, arrivi fino al
dio unico delle religioni monoteistiche.
11
Pettazzoni, La formation du monothéisme, « Revue de l’histoire des religions », 44 (1923), Parigi, 1923, p. 28.
10
1 La prospettiva di Raffaele Pettazzoni
1.1 Dal “noto all’ignoto”
E’ noto come Raffaele Pettazzoni (1883 – 1959) abbia sottoposto ad una
ragionata e travagliata critica le diverse ipotesi avanzate sulla formazione del
monoteismo nella storia delle religioni12. Di questa complessa critica, di cui
ricostruiremo in questa sede i vari elementi e contesti, per iniziare ci preme
evidenziare un argomento in particolare, ritenuto essenziale da Pettazzoni stesso.
Innanzitutto, egli reputa errato il fatto che tutte le indagini moderne svolte in
precedenza sul problema storico del monoteismo si siano basate sullo studio delle
religioni dei popoli primitivi.
In un articolo intitolato La formation du monothéisme, del 195013, Pettazzoni
si chiede “cosa giustifica (da un punto di vista oggettivo) la preferenza per le
religioni dei popoli primitivi all’interno di uno studio sul monoteismo”, e quindi si
domanda se e in che misura esse siano in effetti qualificate per affrontare un
problema così importante nella storia delle religioni”14. Egli così denuncia uno
spostamento dello sguardo storiografico sui popoli primitivi, che distoglierebbe
l’attenzione dalle religioni monoteistiche storiche, ovvero quelle che si sono
dichiarate monoteiste fin dalla nascita, che secondo Pettazzoni sono invece quelle a
cui dovrebbe e deve rivolgersi uno studio serio sulla formazione del monoteismo.
12
Vedi ad esmpio: S. Giusti, Storia e mitologia (con antologia di testi di Pettazzoni), Roma, 1988; U. Casalegno, Dio,
esseri supremi, monoteismo nell’itinerario scientifico di Raffaele Pettazzoni, Torino, 1979; M. Gandini, Il contributo di
Raffaele Pettazzoni agli studi storico – religiosi: appunti per una bibliografia, in AA.VV., Raffaele Pettazzoni e gli
studi storico – religiosi in Italia, Bologna, 1969.
13
Pettazzoni, La formation du monothéisme, “Revue de l’Université Bruxelles”, 3 (1949-1950), 209-219, Bruxelles,
1950. Tratto da una lettura tenuta all’Aula Magna dell’Univ. Brux. il 6 aprile 1949. Ripubblicato sia in “Numen” 1,
(1954), che in Essays on the History of Religions.
14
Op.cit., p. 210.
11