6
fruizione non è esclusiva ma si accompagna ad altre attività.
Possiamo definire trasversali gli ascoltatori della radio, in virtù della
loro eterogeneità (capitolo 2).
La grande novità fra gli anni Novanta e gli anni Duemila è stata il
passaggio alla tecnologia digitale. La transizione è ancora in corso,
ma alcune prospettive ci sembrano ormai chiare: l’ibridazione è in
larga parte attuata; la trasmissione in Internet non ha eroso
ascoltatori, in maniera significativa, alla tradizionale trasmissione via
etere; si è aperta la dimensione sovranazionale, il linguaggio degli
sms e delle e-mail ha modificato anche quello degli speakers; grazie
ai siti Internet è possibile interagire tramite chat, forum, newsgroup,
e-mail. Il cammino è ancora in corso ed il futuro della radio può
indirizzarsi verso molteplici direzioni (capitolo 3).
Fra i vantaggi della tecnologia digitale, c’è la possibilità di
recuperare la memoria. Questa possibilità è divenuta una realtà
sistematica nel 2000, con la costituzione di Radioscrigno, struttura
della Divisione Radiofonia della Rai deputata al recupero del
patrimonio nastrodiscografico dell’azienda. Da questo progetto sono
scaturiti quattro programmi radiofonici ed un sito Internet,
www.radioscrigno.rai.it, all’interno del quale si possono riascoltare
frammenti sonori di artisti italiani e stranieri del passato (capitolo 4).
In conclusione, sosterremo che l’ibridazione con la tecnologia
digitale è la forma culturale non solo presente e futura della
radiofonia, ma anche del passato, come testimonia l’esperienza di
Radioscrigno. La doppia anima della radio - cuore antico e cervello
giovane - è il futuro di questo straordinario modo di comunicare
(capitolo 5).
7
1. La radio in Italia: cenni storici (1990 - 2004)
1.1 La specificità radiofonica nell’industria culturale italiana
Per inquadrare in maniera storicamente corretta la radio
all’interno dell’industria culturale è necessario tracciare un quadro
d’insieme che mostri lo sviluppo dei media in Italia. Il nostro paese
ha infatti alcune peculiarità, riguardanti la struttura e la fruizione dei
mezzi di comunicazione di massa, che lo differenziano dalla gran
parte degli altri paesi europei: debole penetrazione di massa della
stampa, dovuta ai persistenti ritardi nell’alfabetizzazione di larghi
strati della popolazione e ai tardivi provvedimenti relativi al
prolungamento del periodo di frequenza scolastica obbligatorio;
enorme penetrazione della televisione generalista; scarsa
dimestichezza con le tecnologie informatiche; industria del cinema
storicamente incapace di fare sistema, nelle componenti di ideazione,
produzione e distribuzione; associazionismo culturale effimero;
elevato ascolto della radio. Tutti questi fattori spingono a parlare di
caso italiano
1
.
Le cause di questo scenario sono complesse e un buon punto di
partenza può essere costituito dallo schema delle quattro fasi
dell’industria culturale
2
:
Strategia
Fase
Strategia artigianale /
universalistica
Strategia industriale /
ideologica
Fase pedagogica
I media sono legittimati
solo all’interno di un
progetto pedagogico
Dimensione morale
Ciclo produttivo dall’alto
al basso
I media sono legittimati
all’interno di una chiara
vocazione propagandistica
I media sono strumenti di
coesione sociale e difesa
dalle ideologie nemiche
8
Dimensione manipolatoria
Strategia
Fase
Strategia artigianale /
universalistica
Strategia industriale /
ideologica
Fase del mercato
I media sono continuatori
dell’intrattenimento
popolare
Forme culturali straniere
modellizzate sulla
tradizione nazionale
Creazione di prodotti
dotati di un proprio
spessore a prescindere
dalla risposta del
pubblico
Produzione spesso
vincolata all’analisi dei
bisogni del pubblico
potenziale
Creazione di genere
I media sono strumenti di
distribuzione del prodotto
Forme culturali straniere
assunte come parametri
del “prodotto finito”
(format)
Risposta del pubblico
reale come strumento di
validazione del prodotto
Organizzazione della
produzione come funzione
della risposta di pubblico
La promozione è
indipendente dalle logiche
di produzione
Sviluppo di prodotti
“seriali” e di catene di
consumo
Tabella 1.1. Le quattro fasi dell’industria culturale italiana (Sorice
1998).
9
Queste quattro fasi corrispondono a lunghi periodi della storia
dell’Italia unita ma bisogna chiarire che l’industria culturale italiana
non ha una data di nascita unanime. Il periodo storico sul quale gli
studiosi concordano va dal 1875 ai primi anni del Novecento. Così,
David Forgacs propone il 1876, anno di nascita del “Corriere della
Sera”
3
; Fausto Colombo segnala il 1881, anno in cui viene pubblicato
il Pinocchio di Carlo Collodi
4
; Michele Sorice indica il 1902, anno in
cui Caruso ottiene il primo importante contratto discografico
5
.
E’ possibile effettuare un parallelo tra le quattro fasi e le metafore
utilizzate da Fausto Colombo (1998) per tratteggiare lo sviluppo
dell’industria culturale.
Alla prima fase, quella pedagogica e dominata dalla strategia
artigianale e universalistica, si può associare la logica del grillo,
rappresentato dal celebre grillo parlante de “Le avventure di
Pinocchio”. In questa fase è evidente la dimensione morale e il
progetto pedagogizzante dei media, che devono prima di tutto
educare il pubblico.
La seconda fase mantiene caratteristiche pedagogiche, ma con una
torsione in senso industriale e, soprattutto, ideologico. In Italia siamo
ormai negli anni del fascismo, ma Colombo propone il film
Uccellacci e Uccellini di Pier Paolo Pasolini, prendendo in prestito la
figura del corvo che «insegna, enuncia precetti dotti, esemplifica
pedagogicamente. E finisce cotto. Ma ciò che più conta è che nelle
sue parole si coglie l’impossibilità di un progetto complessivo alla
luce delle ideologie»
6
.
La fase del mercato dominata dalla strategia artigianale e
universalistica era già iniziata, lentamente, durante gli anni Trenta,
ed è rappresentata dal topo, che richiama il famoso Topolino -
l’adattamento del disneyano Mickey Mouse - creato da Nerbini.
L’adattamento del prodotto culturale straniero alla realtà nazionale è
tipico di questo periodo ed anche la televisione italiana, quando
arriverà, utilizzerà per molti anni la logica del topo.
La quarta fase è quella che viviamo oggi. Ovvero i media come
vere e proprie industrie dell’intrattenimento, che lavorano con
10
logiche di marketing e che hanno nella serialità e
nell’autoreferenzialità la propria cifra distintiva. E la metafora del
gatto si richiama proprio ad un premio come il “Telegatto”, che
sancisce l’autocelebrazione della televisione e in generale
dell’industria dei media.
Fin qui lo sviluppo dei media nella loro globalità.
Occupiamoci, ora, della radio. A differenza dell’industria
culturale italiana, essa ha una data di nascita convenzionale: 1895
7
.
Nei primi, pionieristici, anni viene utilizzata come strumento di
comunicazione punto-punto, soprattutto sulle navi e per le
comunicazioni militari, rivelando la sua preziosità già durante la
Prima guerra mondiale. Anche dopo il conflitto rimane sempre sotto
il controllo dello Stato, in linea con la tradizione giuridica europea di
quegli anni, e il 6 ottobre 1924 iniziano le prime trasmissioni regolari
in Italia, sotto l’egida dell’Uri (Unione Radiofonica Italiana).
Durante gli anni Venti, il fascismo non si curò troppo della radio, dal
momento che era più impegnato a irreggimentare la stampa. Dal
1927, comunque, l’Uri cambiò denominazione in Eiar (Ente italiano
audizioni radiofoniche). Il Vaticano, invece, dopo qualche iniziale
diffidenza, comprese l’importanza della radio e già nel 1931
iniziarono le trasmissioni di Radio Vaticana, con un’offerta
qualitativamente elevata. Negli anni Trenta il fascismo recuperò
terreno, comprendendo l’importanza per il consenso al regime della
voce che poteva arrivare in ogni paese. Ma gli apparecchi erano
ancora troppo costosi e una reale diffusione della radio si avrà
solamente durante la Seconda guerra mondiale
8
.
E se fino ad allora poteva essere chiaramente inquadrata nella fase
pedagogica dominata dalla strategia industriale/ideologica, proprio
durante il secondo conflitto mondiale la radio comincia a rivelare la
sua collocazione centrale e periferica, interna ed esterna al sistema
dei media. Radio Londra e Radio Mosca, due fra le radio simbolo
della lotta al nazifascismo, potevano essere captate anche nell’etere
italiano e costituivano una preziosa fonte di informazioni e speranza,
durante la guerra per gli italiani, costretti ad ascoltarle di nascosto
per non incorrere nella repressione del regime.
11
Dall’altra parte c’era la voce ufficiale del fascismo a raccontare il
conflitto. A presagire il cambiamento dei tempi, la nuova
denominazione dell’Eiar che fu, dal 1944, Rai (Radio Audizioni
Italia).
Nel secondo dopoguerra, la radio tornò saldamente nelle mani
dello Stato e, dal 1954, dovette confrontarsi con la televisione.
Proprio in quell’anno la Rai cambiò nuovamente denominazione
sociale in Rai - Radiotelevisione italiana. L’avvento del nuovo
medium determinò un periodo di flessione per la radio. I primi anni
della televisione avevano profondamente influito sia sugli altri
media, pensiamo al calo nella vendita dei biglietti nelle sale
cinematografiche, sia sulle abitudini degli italiani, per i quali
l’emozione di vedere il mondo nel piccolo schermo domestico era
come inebriante. La radio, pero’, seppe arrivare prima a comprendere
i meccanismi della società italiana che, dagli anni Sessanta, stava
gradualmente entrando nella piena modernità. La Rai si era
cautamente aperta, infatti, alla sperimentazione radiofonica con
programmi come Bandiera Gialla (1965), Per voi giovani (1966),
Chiamate Roma 3131 (1969) e Alto Gradimento (1970)
9
.
Ma è negli anni dal 1974 al 1976 che avviene un cambiamento
epocale: le sentenze della Corte Costituzionale che scardinano il
monopolio radiotelevisivo della Rai, permettendo la trasmissione in
ambito locale. E’ l’avvio della stagione delle emittenti private. Il
panorama radiofonico non sarà mai più lo stesso. La radiofonia
pubblica perde inesorabilmente il pubblico giovanile, che si dirige
sulle radio private, più in sintonia sul piano dei linguaggi e dei
contenuti. Ma è la programmazione Rai, sia radiofonica sia
televisiva, ad essere avvertita come paludata e istituzionale. In questi
anni, la radio rivela potentemente la sua doppia collocazione,
esogena ed endogena, all’interno del sistema italiano dei media
10
.
Utilizzando il concetto di «core culture» (cultura dominante),
proposto dalla sociologa americana Diana Crane (1992), si può
affermare che la radio si sia resa interprete del flusso culturale
dominante, nel caso italiano rappresentato dalla radio pubblica. E si
12
può ritenere che la radiofonia privata abbia interpretato, da quel
periodo in poi, anche gli spazi del margine
11
.
A questo proposito si può richiamare il modello del diamante
culturale
12
, (così denominato in onore del gioco del baseball, molto
diffuso in America), elaborato dalla sociologa americana Wendy
Griswold (1994), e rielaborato da Fausto Colombo (2001), per
illustrare, in questo caso, lo sviluppo della radiofonia italiana nella
seconda metà degli anni Settanta, e valido anche per capire il
posizionamento della radio nell’industria culturale italiana negli anni
successivi
13
.
Figura 1.1. Rielaborazione del modello del diamante culturale
(Colombo - Farinotti - Pasquali 2001).
Selezione ideologico - culturale
Ottimizzazione
produttiva
Ordinamento e
organizzazione
dell’offerta
Integrazione nell’offerta
Compatibilità con il
consumo
Costruzione
del consumo
Incorporazione
Circolarità
Circolarità
Adeguatezza
culturale
13
La radio ha svolto, dunque, un ruolo di apripista tra i media e nella
società italiana. E in questo senso condividiamo l’analisi di
Abruzzese (2001) :
La rivoluzione radiofonica è consistita soprattutto nell’introdurre una
“comunicazione per flusso”. Una comunicazione, cioè, che si avvicina ai
movimenti quotidiani del corpo ed anche si sottomette alle sue esigenze. E’
la nascita della radio che ha segnato il lento tramonto del cinema, la
necessità della televisione, il destino dell’uomo verso la telematica. E’ la
radio che ha sfondato i rapporti spazio-temporali, i ritmi narrativi, dell’
“opera” rappresentata in sala, ed ha veramente reso “simultaneo” il mondo.
[…] La radio ha abituato, acclimatato, organizzato l’uomo nel suo
progressivo e traumatico ingresso nella “giungla” della civiltà
metropolitana. Operazione tanto più necessaria sul territorio italiano in cui i
processi di metropolitanizzazione hanno avuto laceranti contrasti e
discontinuità
14
.
Emerge, ora, il ruolo fondamentale della radio come dispositivo
che ha contribuito ad introdurre gli italiani nella modernità.
1.2 Anni Novanta: crescita e consolidamento
Gli anni Novanta segnano una svolta per il mercato della radio
italiana. Sul piano degli ascolti, della legislazione ( in questo campo
non si può parlare di vera e propria svolta, ma di provvedimenti che,
comunque, hanno dato almeno un’impronta legislativa al settore,
dopo i molti anni di vuoto normativo seguiti alle sentenze della Corte
Costituzionale del 1974 e 1976), dei formati e dei linguaggi.
14
1.2.1 Gli ascolti
Nel 1988 è stata costituita Audiradio, una s.r.l. (società a
responsabilità limitata), fondata dall’UPA (Utenti pubblicitari
associati), ovvero le aziende produttrici di beni e servizi, con sede a
Milano e con capitale sociale diviso in eguale misura fra: 1) Rai; 2)
broadcasting privato; 3) utenti, agenzie ed altri soggetti
pubblicitari
15
, che «rileva e implicitamente certifica l’ascolto
radiofonico»
16
. Si ha, quindi, una prima svolta sul piano degli ascolti,
che sono ora forniti da un soggetto riconosciuto come attendibile
dagli operatori.
Figura 1.2. Ascolto medio giornaliero nel giorno medio ieri – dati in
migliaia. Nel 1992 l’indagine Audiradio non è stata eseguita (Fonte:
Audiradio 2003).
15
Nel 1991 ci fu un primo consistente incremento degli ascolti,
dovuto alla capacità informativa in tempo reale della radio durante la
prima guerra del Golfo
17
, caratteristica che viene generalmente
esaltata durante i conflitti, momenti in cui si fa molto forte la
richiesta di informazioni aggiornate. Ma i dati degli anni successivi
indicano inequivocabilmente un trend crescente, fino ad arrivare agli
attuali 35 milioni. Dalla figura 1.2. emerge chiaramente l’incremento
degli ascoltatori negli anni Novanta, passati dai 26 milioni del 1989
ai 35 milioni di oggi. Il dato del 2003 è di 35.409.000 ascoltatori, in
leggera flessione rispetto al 2002. Dopo la corsa nella prima metà del
decennio si può notare una certa stasi ed anche un leggero calo.
Probabilmente ciò è dovuto, secondo noi, al raggiungimento di un
tetto massimo di ascolti, difficilmente superabile in futuro.
1.2.2 La legislazione
Nel 1990 si era giunti, dopo 15 anni di anarchia dell’etere, ad una
prima sistemazione legislativa, con l’approvazione della legge n.
223, conosciuta anche con il nome di legge Mammì (dal nome del
ministro proponente). Fra le disposizioni più importanti per la radio:
la creazione di un piano nazionale di assegnazione delle
radiofrequenze; la fissazione dei limiti dell’affollamento
pubblicitario per ogni ora - 18% per la radiodiffusione nazionale,
20% per quella locale, 5% per quella comunitaria -, la distinzione fra
concessionarie a carattere commerciale e concessionarie a carattere
comunitario è dovuta al fatto che queste ultime non hanno fine di
lucro e sono volte alla diffusione di programmi destinati ad una
determinata comunità, che si riconosce in particolari valori culturali,
etnici, sociali, politici, religiosi; la possibilità, in pratica, di
trasmettere in syndication; l’obbligo per l’emittenza privata
nazionale di trasmettere giornali radio. Ora c’era il sigillo dello Stato,
ma non si può affermare che la legge Mammì sia stata uno
spartiacque nell’affollato etere italiano
18
.
Gli altri interventi legislativi significativi del decennio sono le
leggi n. 515/1993 e n. 28/2000, che disciplinano la comunicazione
16
politica in periodo di campagna elettorale, e la legge n. 249/1997
detta anche legge Maccanico (dal nome del ministro proponente),
che aveva l’obiettivo di garantire il pluralismo nel settore
dell’informazione, fissando limiti per il cumulo di più concessioni
destinate ad uno stesso soggetto, la raccolta di risorse economiche e
gli incroci multimediali nel settore della comunicazione.
Ma tratteggiare la giurisprudenza del settore radiofonico è
estremamente complesso, per due ordini di motivi:
1) la normativa sulla radiotelevisione è sempre stata più sbilanciata
sul versante televisivo, ritenuto più forte nel condizionare
l’opinione pubblica, e i provvedimenti sono stati pensati con
logiche televisive, con il risultato che le leggi per la televisione si
potevano applicare, con qualche adattamento tecnico dovuto alla
diversità del mezzo, anche alla radiofonia, non comprendendo
che essa necessitava di una vera e propria regolamentazione a sé.
2) Lo sviluppo della tecnologia ha determinato la ricezione della
radio e dei suoi messaggi su terminali diversi dal tradizionale
apparecchio radiofonico. Oggi la radio si può ricevere anche su
personal computer, telefono cellulare, set top box digitale. E le
leggi attuali non sempre sono al passo con l’innovazione
tecnologica
19
. Nel momento in cui scriviamo, è stata appena
approvata dal Parlamento la legge Gasparri (dal nome del
ministro proponente), che ha l’obiettivo di ridisegnare
complessivamente il sistema dei media in Italia, soprattutto alla
luce delle innovazioni portate dalle tecnologie digitali. Voci
contrastanti si sono levate su questo provvedimento legislativo, e
ci sentiamo di condividere le lucide critiche ad esso rivolte dal
politologo Giovanni Sartori nei suoi interventi sul “Corriere della
Sera”
20
.
17
1.2.3 I formati
Parola o musica ? Il cardine della comunicazione radiofonica si
muove tra questi due poli. I formati sono nati nell’America degli anni
Cinquanta quando, con l’avvento della televisione, si puntò su una
programmazione che tenesse più in considerazione i gusti del
pubblico e che si differenziasse dalla radio di palinsesto, che era
organizzata secondo la triade reithiana (dal nome del direttore della
BBC, sir John Reith, che coniò l’espressione) «educare, informare,
intrattenere»
21
.
Sempre dall’America provengono i concetti di rotation, clock e
playlist. La rotation è la ripetizione ciclica di programmi e servizi
che, scardinando la logica della radio di palinsesto, permette la
fruizione in momenti diversi, senza essere legati all’appuntamento in
onda alla determinata ora. Il clock è lo schema orario caratteristico di
ogni emittente, in cui ad ogni porzione di ora è assegnato un
elemento della programmazione. Così, ad esempio, al quindicesimo
minuto del clock andranno in onda le previsioni del tempo, al
trentesimo il giornale radio, al quarantacinquesimo le quotazioni di
borsa. La playlist è, infine, la lista dei brani da trasmettere in un dato
intervallo di tempo, e la sua composizione varia da emittente a
emittente, a seconda del formato
22
.
Da allora, abbiamo assistito ad una crescente moltiplicazione dei
formati, fino ad arrivare ad una vera e propria polverizzazione di
questi ultimi, in funzione di un pubblico sempre più specifico. I due
insiemi di formati che rappresentano il panorama radiofonico attuale
sono il formato per la parola e il formato per la musica.