1
I.
IL VIAGGIO NEL TEMPO
Metodologia della ricerca
Rientrando da una lunga vacanza, solitamente si riuniscono gli amici
per un resoconto; si mostrano le fotografie e si cerca di descrivere dettaglia-
tamente luoghi, odori, sapori, usi e costumi di un popolo lontano e poco co-
nosciuto.
Nel mio viaggio non ho percorso distanze spaziali, ma temporali.
Non mi sono allontanata fisicamente dal mio paese natale, ma ho viaggiato
nei ricordi di quelli che sono i “nonni ” di S. Pancrazio, nella loro memoria,
nei loro racconti. Grazie ad essi ho avuto la possibilità di immergermi in un
mondo completamente diverso da quello che io conosco, un mondo lontano,
che i protagonisti del mio lavoro mi hanno fatto vedere e sentire, come ca-
tapultandomi indietro nel tempo a riscoprire luoghi, odori, sapori, usi e co-
stumi di un popolo che, pur essendo parte integrante del mio passato pros-
simo, rimane lontano e poco conosciuto.
Ripercorrere i ricordi della propria gioventù genera, per forza di co-
se, emozioni molto forti in chi racconta; queste emozioni sono arrivate a me
quasi direttamente mentre raccoglievo le testimonianze e la memoria di
queste persone; forse anche grazie alla mia volontà di creare un rapporto
personale con i protagonisti, in modo che le interviste non fossero percepite
come tali, ma come domande che una nipote pone, appunto, al nonno o alla
nonna.
L’obiettivo pri m o di q uesta ricerca è quell o di indagare, attraver so
interviste sul campo, i ricordi sulle comunicazioni del Ventennio fascista, in
quello che Samuel definisce un «tentativo di avvicinare la storia alle preoc-
cupazioni centrali nella vita della gente, sia attraverso la struttura
2
dell’indagi ne (il tipo di dom a nde e il modo di valutare i dati) sia attraverso
il ricorso all’es perienza personale e alle tes ti monian ze orali per reinterpreta-
re ciò che il passato ci ha lasciato
1
». Ma se è vero che «una delle ragioni
importanti per fare delle interviste è che in tal modo si fanno parlare perso-
ne che nei documenti non possono mai apparire
2
», non è da sottovalutare
l’apporto che queste testimonianze potrebbero portare, a mio avviso, allo
studio degli effetti della propaganda mediatica in un regime autoritario co-
me è stato quello fascista.
Finora i media del Ventennio sono stati analizzati principalmente a
partire dall’e m i ttenza;; certo la mia non prete nde di essere un’ analisi esau-
stiva del punto di vista del ricevente, ma punta comunque a ridare quella
che, secondo me, è la giusta importanza ai destinatari e a dare un’id ea, se p-
pure approssimativa, di cosa effettivamente è arrivato a loro.
Ricorda Sorcinelli
3
che Croce considerava oggetto di storia solamen-
te i soggetti produttori di documenti scritti, mentre oggi consideriamo fonti
con uguale dignità tutte le testimonianze del passato: «La migliore storio-
grafia non ritiene che esistano in via generale fonti storiche buone e cattive,
ma che tutte ci forniscano la loro parte di informazioni sul pas sat o. [ …] L e
fonti sono tutte soggettive come la storia è tutta soggettiva, frutto di azioni
di singoli individui e di gruppi sociali le cui intenzioni e le cui finalità (e il
cui agire) non sono completamente recuperabili, come non lo erano nem-
meno durante la loro esistenza
4
».
Come studentessa di Scienze della Comunicazione, non posso non
essere affascinata dal tentativo, attuato dal Regime fascista, di controllare la
popolazione attraverso ogni tipo di comunicazione, dalla radio ai giornali,
dagli eventi alle scritte sui muri, dalla scuola alle canzoni. Sono proprio
questi gli aspetti che ho cercato nelle storie di chi mi ha fatto da cicerone in
1
R. Samuel, in L. Passerini, 1978, p. 104.
2
J. Shankleman, in L. Passerini, 1978, p.85.
3
Cfr. P. Sorcinelli, 1996, pp. 14-15.
4
V. Fumagalli, in P. Sorcinelli, 1996, p. 15.
3
questo viaggio; aspetti che mi hanno permesso di avere un ’idea di c he cosa è rimasto, nella loro memoria, delle comunicazioni e della propaganda fa-
scista, di quanto, cosa e come ricordano.
1. I protagonisti
S. Pancrazio è il mio paese natale. Si tratta di un paesino nella pro-
vincia di Ravenna di circa 2.300 abitanti, dove tutti conoscono tutti e dove
ho avuto la possibilità di intervistare 10 persone, grazie alla mediazione di
mia madre: 4 nati dal 1910 al 1916 e 6 nati dal 1921 al 1925; l’a ppartenenza
sociale va da “bas sa” a “m e dio-alta ” a secon d a del lavoro svolto dai genito-
ri: braccianti, contadini (ovvero mezzadri) o proprietari terrieri; per quanto
riguarda invece il livello di istruzione, 5 hanno concluso gli studi in terza
elementare, 2 in quarta , 1 ha concluso l’Avvia m e nto co mm erc iale, 1 le M a-
gistrali e 1 è anda to all’ Università. Nessun a ca ratterizzazion e politic a
5
.
In realtà le interviste a S. Pancrazio sono state 13, ma 3 di loro si so-
no trasferiti in paese solamente dopo la seconda guerra mondiale
6
. Ho inol-
tre raccolto 2 testimonianze a Predappio, 2 a Rimini e 4 a Roma.
Le 12 interviste “ ester ne” hanno la pres unzi one di rappres e ntare u n
amplia m ent o dell a visi one d’ins ie m e, co m pre ndendo e sperienze m o lto d i-
verse tra loro, caratterizzate non solo dai diversi luoghi in cui i protagonisti
hanno vissuto quegli anni, ma anche dall’e sp erienza politica m i litan te i n un
senso o nel l’altro (r epu bblichini Vs partig iani) .
Nell’a m bit o di quest o l av oro queste testimonianze non pretendono di
dare conto dei tipi di esperienza nei diversi luoghi, anche per la casualità
della scelta dei soggetti, esse mettono però in evidenza quelle che sono le
5
Per “caratterizzazione politica ” è qui intesa la presa di posizione netta, nello schieramento
partigiano o in quello repubblichino, in quella che viene da alcuni definita la “guerra civile ”, dal
1943 al 1945.
6
Per questi tre protagonisti la mediazione è stata sempre di mia madre.
4
assenze esperienziali dei protagonisti del paesino, assenze dovute sia al luo-
go che alla situazione socio-economi ca della f am i glia d’o rigine.
S. Pancrazio è un paese in pianura, in una zona privilegiata dal punto
di vista delle colture, dove «pròpri fame fame cò m a in d’j étar pòst la
gn’éra
7
», mentre Marzeno è già sulle colline di Faenza (restiamo tuttavia
nella provincia di Ravenna) e lì la terra era molto meno fertile; Pietro Caroli
(1915), detto “Pietrino ” e Maria Pasi (1927), sua moglie, vengono proprio
da lì, per entra m bi l ’appa rtenenza sociale è bassa e si sono fermati
all’ist ruzio ne ele m enta re . A S. Sofia, in provincia di Forlì, dove abitava la
mia nonna materna, Benilde Mordenti (1905), detta “Argentina ”,
l’appennino diventa ancora più ostico per chi deve far fruttare la terra, infat-
ti la sua appartenenza sociale era decisamente bassa e lei non è mai stata a
scuola. In n essuno di q uesti tre casi c’è caratt e rizzazione p olitica.
Predappio
8
, luogo natale del Duce, è ovviamente un sito privilegiato,
meta, in quegli anni, di gite, scolastiche e non, e di visite diplomatiche: «noi
qui ci vestivamo spesso perchè c’erano tante cerimonie qui, spesso e volen-
tieri veniva il Re a Predappio, veniva il principe, venivano a visitare la casa
di Mussoli ni e c’erano le m a nif estazioni in p ia z za;; c’era l’EN IT all ora, la
7
Calderoni Luigi (1923). Proprio fame fame co me in a ltr i p o s ti n o n c’ era .
8
«Predappio s'incontra sulla Statale 9 ter, risalendo la vallata del Rabbi. Nettamente divisa
dall'antica Predappio (denominata Predappio Alta con regio decreto del marzo 1936), è la testimo-
nianza dell'impegno di Benito Mussolini per valorizzare i luoghi che gli dettero i natali. L'interven-
to più vistoso è la trasformazione della vecchia frazione di Dovìa, dov'è ubicata la casa dell'ex-
dittatore, che divenne in breve capoluogo comunale. Nell'ambito di quella che fu un tempo Dovìa
(Duae viae, cioè due strade: per Rocca S.Casciano e per Premilcuore) è evidente una concezione
architettonica particolare dettata dai numerosi edifici e costruzioni nel tipico stile dell'epoca fasci-
sta. L'antica Dovìa, del resto, il cui sviluppo fu deciso nel 1924, appena un secolo fa non era che
un piccolo agglomerato di case rurali. La cerimonia di fondazione del nuovo paese avvenne il 30
agosto 1925, grande assente il capo del governo che invece ne fu ispiratore e assiduo controllore.
La causa ufficiale della fondazione del nuovo centro abitato - a differenza di Sabaudia e Littoria -
fu trovata inserendo, con regio decreto, Predappio Alta negli elenchi dei centri abitati che erano
interessati da forti movimenti franosi, tali da compromettere la stabilità degli edifici e la sicurezza
degli abitanti. Una perizia del genio civile attestò che si rendeva quanto mai necessario spostare
l'antico sito di Predappio Alta in un'area più a valle. Venne individuata l'area di Dovìa-Predappio.
Il piano generale della città fu elaborato nel 1926 (ma la storia costruttiva del paese copre un arco
di 15 anni) da Florestano Di Fausto, architetto ed ingegnere romano, seguendo uno studio dell'uffi-
cio del Genio Civile di Forlì. Predappio diventò meta obbligata delle personalità che occupavano
le più alte cariche dello stato, degli esponenti della nobiltà, della casa regnante e dello stesso re»;
www.altraromagna.net (settembre 2006).
5
pubblicità turistica si chiamava ENIT e avevano fatto questo opusco lo “La
terra del Duce”, che v eniva dato in o m aggi o ai visit atori di Pre dap pio
9
»;
«venivano certi determinati pellegri n aggi c he non c’era la capienza per le
m ac chine, anche se all ora c’erano poche m ac chine, arri vavano f ino a Fi u-
mana
10
;; c’era l’uff icio stampa e propaganda a Predappio, e facevano un li-
bretto che si chia m av a “Ricordo di Predap pio ”, era un m is to di f oto con d i-
dascalie , poi c’era un a parte propagan distica : “credere, obbedi re, co m b att e-
re” eccetera eccetera, p oi c’era un po’ di pr opaganda
11
, non so, benzina Api,
ed era venduto, mi pare, a 5 Lire; ora, ho imparato dopo la fine della guerra
che è successo questo episodio, a un certo punto quando Muti divenne se-
gretario del F asci o vide questo opuscol o e vi de che c’era questa prop aganda
e che ci facevan dei quattrini, mandò a chiamare il segretario e gli disse:
“entro do m ani q uesto o puscolo deve sp arire” e l’interruppe tutt o in un a vo l-
ta
12
».
U n’altra pa rticolarità di Predappio era la presenza degli Stabilimenti
Aeronautici Caproni
13
che spostavano la maggior parte della manodopera
dal settore agricolo a quello industriale; «qui se si lamentano dicono una
fesseria, perchè qui la gente lavorava tutta, anzi, chi non lavorava alla Ca-
9
Me n g h i Gi u s ep p e ( 1 9 2 7 ) . L ’ i n ter v i s tato m i h a m o s tr ato l’ o p u s co lo in q u esti o n e, u n o d ei ta n-
ti cimeli che Menghi ha recuperato dopo la guerra, andando per mercatini.
10
Fiumana è un paesino sulla strada da Forlì a Predappio a una decina di chilometri da
q u est ’ ultimo.
11
P r o p ag an d a in q u e s to ca s o s i g n i f ica P u b b licità. All’ ep o ca q u esta p ar o la n o n av e v a a n co r a
acquisito i significati politici che ha oggi.
12
Boattini Leo (1923).
13
«Fu l'unico impianto industriale sorto a Predappio in epoca fascista. La parte bassa dell'inte-
ro complesso, i cui lavori iniziarono nel 1933, venne edificata inglobando due edifici gemelli ap-
partenenti alla Società Zolfi. Terminata nel 1935 iniziò la propria attività con la costruzione degli
aerei trimotori Savoia Marchetti S.M. 81 Pipistrello. A partire dal 1937 ospitò la produzione in e-
sclusiva, per un totale di 150 esemplari, dell'aereo Caproni Ca. 164, biplano da addestramento. Nel
1940 lo stabilimento venne ampliato per far fronte all'attività di costruzione di aerei da guerra, sti-
molata dall'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale. Con l'occupazione nazista buona
parte dei macchinari fu trasferita al nord e la produzione interrotta. Nel dopoguerra lo stabilimento
fu adibito ad altre attività, fra cui incubatoio scientifico legato all'avicoltura e industria di arreda-
menti per navi. Sulla destra ci sono i locali che ospitavano un tempo le officine; sulla sinistra, nelle
viscere della collina, un sistema di tunnel sotterranei, fungeva da deposito e da difesa. Al loro in-
terno sono state impiantate, tra le prime in Italia, coltivazioni di funghi champignons. Oggi, per il
complesso, si valutano progetti di allestimento di un museo aeronautico»; www.altraromagna.net
(settembre 2006).
6
proni, le m a mme che a vevano un po’ di p osto tenevano a dozzena g li operai
che venivano da fuori
14
».
Qui ho cercato la caratterizzazione politica e per farlo mi sono ini-
zial m ente rivo lta ad un negozio di “sou venir” (articoli nosta lgici) sull a str a-
da principale, chiedendo se conoscessero de i f ascisti di ot tant’ anni circa. Mi
hanno presentato Giuseppe Menghi (1927), il quale mi ha poi indicato Leo
Boattini (1923). Oltre alla caratterizzazione politica (fascista appunto), pe-
culiare è la condizione agiata di en tra m bi e l’istruzion e;; Menghi, infatti,
conclude l’Avvia ment o a grario e inizia subito a lavorare alla Caproni, fino
a quando parte volontario, a sedici anni, in RSI; Boattini, impiegato di ban-
ca subito dopo aver concluso le magistrali, si iscrive alla facoltà di Lingue
all’Univ ersi tà Ca’ Fosc ari di Vene zia, ma non sostiene nessun esame: siamo
alla fine del 1942, in pieno periodo bellico e viene chiamato come volonta-
rio universitario alla leva bersaglieri; ben presto ottiene il grado di Coman-
dante; nel maggio 1943 viene catturato a Tunisi dagli alleati e deportato in
America dove si rifiuterà sempre di collaborare con «il detentore
15
».
A Rimini ho conta ttato l’ANPI pr ovinciale e s ono stata messa in co n-
tatto con due partigiani: Walther Casadei (1922) proviene da una classe so-
ciale media, ha studiato fino al tecnico superiore e ha svolto attività parti-
giana a Rimini città; Giuseppe Brolli (1925) invece, proviene da un ceto
basso, è andato a scuola solo fino alla terza elementare e ha fatto il partigia-
no sulle colline del riminese.
Anche Rimini, cittadina di mare, è stata, a modo suo, un luogo privi-
legiato dal punto di vista politico, dato che i gruppi antifascisti sono so-
pravvissuti, quasi indisturbati, anche durante il Ventennio. Casadei mi ha
raccontato che n egli sc ontri che hann o anticip ato un po’ in tutt ’Italia la sal i-
14
Menghi Giuseppe (1927). Uno degli operai che venivano da fuori è stato Walther Casadei
(1922), intervistato di Rimini, che ha lavorato alla Caproni per qualche mese prima di entrare in
ferrovia.
15
Boattini Leo (1923).
7
ta al potere «le han prese i fascisti dagli antifascisti qui
16
», e in particolare
le hanno prese da un c erto Enric o Er meti, det to “Gòra” , «un pezzo d ’uo m o
che faceva lotta libera
17
», che ha tenuto testa agli squadristi che avevano
cercato di picchiarlo; « d opo non l’hanno p iù toccato
18
». Mentre nel Rione
Clodio, dove abitava Brolli «il primo maggio era proibito, però tu vedevi
che lì c’era se m p re la f am iglia, l’a mico, il co noscente che q uel gior no non lavorava, non ti diceva magari: “ par nù l’è fè sta òz ”, erano degli an tif asc i-
sti, però racchiusi nel suo intimo, non è che dimostrassero, però il giorno
del primo maggio chiudevano con una scusa, capito, e facevano i cavoli
propri; ecco, queste cose qui si son viste, non eran tante però si
no
19
».
Per le interviste di Roma mi sono innan zitutt o rivolta all’Uni one N a-
zionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana, qui ho conosciuto
Vincenzo Bianchi che mi ha messo in contatto con Loris Lolli (1922) ed
Emilio Cavaterra (1925), due associati, entrambi giornalisti, entrambi laure-
ati, entrambi appartenenti a famiglie benestanti. Cavaterra si è trasferito a
Roma solo dopo la guerra, mentre Lolli ha sempre abitato nella Capitale, se
si esclude un breve periodo nel quale ha frequentato il Liceo Ginnasio
“Gianbattista Morgagni ” di Forlì (a Roma non lo volevano più in nessuna
scuola perc h é era un po ’ troppo tur bolento ).
L’ANPI i nvece mi ha messa in contatto con Rosario Bentivegna
(1922), partigiano a Roma, nonché arte f ice dell’attentato di Via Rasel la, cui seguì la ben nota rappresaglia delle Fosse Ardeatine
20
; laureato in medicina
(conclude gli studi dopo la guerra), anche lui è sempre vissuto a Roma e
proviene da una famiglia molto ricca.
Sempre a Roma grazie ad Annalina Ferrante (la responsabile
dell’audiote ca Rai dov e ho avuto la possibilità di ascoltare tutte le bobine
16
Casadei Walther (1922).
17
Casadei Walther (1922).
18
Casadei Walther (1922).
19
B r o lli Giu s ep p e ( 1 9 2 5 ) . ( …) “p er n o i è fest a o g g i” ( …) .
20
Cfr. R. Bentivegna, 2004.
8
rimaste dell’e poca) ho conosciuto Gianni Bongioanni (1921) che dal feb-
braio del 1944 dà la voce a “Vindex ” (corsivo politico) su Radio Tevere
della RSI (a Milano), dove a un certo punto sarà anche regista. Studia fino
all’avvi a m e nto co mme rciale, pro s eguirà poi da autodidatta gli studi di liceo,
facendosi passare per studente universitario per entrare al Cineguf; viene
da una famiglia medio-bassa di Torino (il padre è un piccolo artigiano) e
sceglie di lavorare per l a “ Repubbli china” pe r cercare di salvarsi da i co m-
battimenti, come spiega egli stesso nel suo libro
21
.
L’ulti m o caso pa rtic olare è q uello di Luigia Angelini (1913).
L’appartenen za sociale qui è m edio -alta, non ha la possibilità di iscriversi
all’Univ ersi tà p erché deve cominciare a lavorare subito dopo la morte del
padre, fattore dei Farini (proprietari della maggior parte delle terre nel co-
mune di Russi). Maestra elementare dal 1933, ha insegnato anche alla Scuo-
la Ele m enta re di S . Pa ncrazio a pa rtire dal l’a nn o scolastico 1941-1942 (uno
dei suoi alunni era mio padre). Non si può parlare di caratterizzazione poli-
tica nel senso qui inteso, tuttavia sarà necessario considerare che come ma-
estra elementare era obbligata ad avere la tessera del PNF, inoltre faceva
parte delle massaie rurali e seguiva corsi estivi di ginnastica a Torino (suc-
cessivamente a Orvieto) e grazie a questo poi insegnava ginnastica alle pic-
cole italiane di Russi; aveva inoltre moltissimi amici, fra le gerarchie del
Partito, nel Comune e dopo la guerra ha sposato Gino Silvestroni, segretario
del Fascio di S. Pancrazio.
La scelta di rimanere in luoghi a me familiari non è stata dettata solo
da ragioni economiche o di comodità; avendo a che fare con persone anzia-
ne, avevo preventivato che molti di loro parlassero principalmente dialetto
e, ovviamente, è molto più semplice per me capire i dialetti romagnoli ri-
spetto a qualsiasi altro dialetto.
Lo svantaggio di lavorare in zone conosciute avrebbe potuto essere
una sorta di autocensura per quanto riguarda fatti o persone che potrei co-
21
G. Bongioanni, 2003.
9
noscere
22
; effetti vam ente l’autocen sura s i è veri f icata, m a in u n sol o c aso
23
,
a meno che non sia capitato senza che me ne rendessi conto.
2. Le interviste
Le interviste sono state tutte riprese con una telecamera
24
. Dopo ogni
intervista e prima della successiva con la stessa persona, ho riversato il gira-
to su un VHS che ho poi consegnato direttamente al protagonista, cogliendo
così l’occasio ne per ri ve derle, annotando le parti salienti ed eventualmente
le domande che avrei posto al nuovo appuntamento. Infine ho sbobinato tut-
to il materiale e l’ho ril etto in modo da poter memorizzare meglio i dati rac-
colti.
Ho inoltre tenuto un “Diario di bordo ” e cioè un qua dernino dove ho
riportato, di volta in volta, le impressioni immediate che seguivano ogni in-
tervista, tutto quello che succedeva a telecamera spenta, idee, spunti e
quant’altro, non ché gli appunti che prendevo ogni volta che rivedev o il g i-
rato, in modo da potermi rinfrescare più facilmente la memoria prima
dell’incontro successivo.
Prima di iniziare ogni intervista ho incontrato i protagonisti senza te-
lecamera e ho cercato di spiegare il più dettagliatamente, ma allo stesso
tempo, il più semplicemente possibile, il mio lavoro, quello che volevo da
loro e come avrei utilizzato il materiale raccolto. Ho chiesto loro anche di
recuperare materiale de ll’epoca (f otograf ie, do cu m enti, libri o quad er ni sc o-
lastici ecc.), in modo da predisporre la memoria anche grazie a questi ausili.
Quasi tutti mi hanno mostrato qualcosa.
22
Cfr. T. Vigne, Dibattiti al convegno di Leicester, in L. Passerini, 1978 p. 245-258; E. Ton-
kin, Le implicazio n i d ell’ o r a lità : u n p u n to d i v is ta a n tr o p o lo g ico , in L. Passerini, 1978, p. 89-98.
23
Ugolini Rosa (1923) non ha voluto dire nome e cognome del partigiano conosciuto come
“L o d o v o ”, u n a f i g u r a a m b ig u a e m o lto cr iticata.
24
La telecamera utilizzata è una SONY DCR VX2100E.
10
Questo primo contatto in f orm ale ha contri buit o, f ra l’altro, a creare il rapporto familiare che cercavo con i protagonisti lasciando loro il tempo per
riorganizzare i r icordi che m i avrebber o rac contato nell’i ntervist a vera e
propria.
In ogni primo incontro (intervista preliminare), ho lasciato parlare li-
beramente i protagonisti della loro vita, a ruota libera, così come veniva lo-
ro in mente, limitandomi a fare poche domande: o per stimolare la memoria
(ad esempio domande sul nucleo famigliare originario), come insegna Re-
velli
25
, o quando non sapevano cosa raccontarmi (domande generali su col-
ture, bachi da seta, ves tiario, ecc…) . Ho accuratamente evitato di interrom-
perli se non per chiedere chiarimenti. Sono convinta che ogni memoria se-
gua regole e percorsi unici, che possono anche non apparire logici, ma la
logica non necessa ri a mente dev’ ess ere que ll a t empor ale.
In questa fase ho raccolto la storia della vita di queste persone, ed è
stato doppiamente utile: mi ha aiutata a comprendere meglio le altre rispo-
ste specifiche, dandomi una panoramica molto più ampia sullo stile di vita e
sull’a m bie nte di a llora e ha tolto un primo strato di polvere dalla memoria
che, attraverso racconti personali, si è risvegliata anche in ricordi più pun-
tuali sugli argomenti trattati in seguito.
Nei successivi incontri ho cercato di dare un ordine tematico alle
domande, in modo da esaurire un argomento alla volta (radio, cinema, scuo-
la, stampa). Tuttavia non ho mai seguito un ordine degli argomenti prestabi-
lito. Mi sono basata su ll’interv ista preliminare per decidere da dove comin-
ciare e come proseguire, ma soprattutto ho lasciato che il discorso prendes-
se la sua strada, senza forzare mai la mano, lasciando anche in questo, mol-
ta libertà all’ intervis tat o.
Per ogni argomento avevo preparat o, c on l’a usilio di vari tes ti, una lista di domande; queste non riguardavano esclusivamente la propaganda
25
Cfr. N. Revelli, 1997; Id., Una esperienza di ricerca nel mondo contadino, in Lanzardo,
1989, p. 43-51.
11
fascista, ma tutti gli aspetti di radio, cinema, scuola e stampa (ad esempio le
operette, i telefoni bianchi, i nomi dei compagni di classe). In questo modo
oltre ad avere un quadr o generale dell’ argo m e nto e a sti m olare al meglio la
memoria, ho avuto la possibilità di “allegg er ire” l’inte rvista, nel se nso di non caricarla troppo di significato politico; questo è servito, a mio avviso,
soprattutto con i protagonisti impegnati ideologicamente in un senso o
nell’altro, che in quest o m od o non si sono se ntiti “attaccati” dalle m ie d o-
mande e hanno risposto in modo più naturale anche alle questioni specifi-
che.
Ho stilato infine una lista di domande più generali sulla vita politica
di al lora (da non conf o ndersi con l e do m an de dell’intervi sta preli min are che
riguardavano lo stile di vita), tese ad individuare giudizi, possibilmente di
oggi e di ieri, su quello che è stato il Ventennio fascista per chi lo ha vissu-
to. Queste domande so no state poste se mpre in chius ura de ll’interv i sta. Se consideriamo il fatto che nella maggior parte dei casi sono stati necessari
più incontri, sarà lampante il vantaggio conseguito in questo modo: tutte le
domande specifiche sulle comunicazioni fasciste hanno indubbiamente rin-
frescato certi ricordi, facendo riflettere i protagonisti; così sarà stato più fa-
cile per loro (e mi riferisco soprattutto a chi non aveva già fatto questo tipo
di riflessioni) ricordare i pensieri che potevano avere allora e analizzare
quelli che hanno oggi.
3. Il metodo
Secondo Feyerabend « l ’idea di un m et odo f isso, o di una teoria f i ssa
della razionalità , poggi a su una visione trop p o ingenua dell’u o m o e del suo
ambiente sociale. Per coloro che non vogliono ignorare il ricco materiale
fornito dalla storia, e che non si propongono di impoverirlo per compiacere
ai loro istinti più bassi, alla loro brama di sicurezza intellettuale nella forma