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INTRODUZIONE
Questa tesi, a carattere empirico, nasce dalla volontà di conoscere e analizzare come
gli enti autorizzati all’adozione internazionale fanno pubblicità sociale e la loro
comunicazione nel web.
Da ciò il titolo della tesi: “Pubblicità sociale e web communication: il caso delle
adozioni internazionali”.
Questo elaborato può essere considerato una “prosecuzione” della tesi triennale, il
cui oggetto di studio è stato l’adozione internazionale.
Gli enti autorizzati sono organizzazioni non profit, categoria che include fondazioni,
associazioni, movimenti di cittadini e gruppi sociali. Attraverso queste
organizzazioni la società civile si autorganizza, esprimendo i suoi interessi e le sue
opinioni.
Il comune denominatore di queste agenzie è il loro carattere non profit cioè il loro
disinteressamento verso il profitto, anche se la raccolta di fondi può costituire per
esse un’importante e talvolta indispensabile attività sussidiaria.
Attraverso la comunicazione e i suoi strumenti, questi enti cercano di sensibilizzare
l’opinione pubblica verso i valori o la causa di cui essi sono sostenitori e far in modo
che rientrino nell’agenda pubblica.
Uno degli strumenti della comunicazione sociale è la pubblicità.
“Il suo utilizzo isolato o promosso in modo casuale o improvvisato, o comunque
slegato da politiche comunicative ben definite, può tradursi per l’organizzazione in
un boomerang negativo. Molte volte la scarsità delle risorse costringe
l’organizzazione a fare affidamento al contributo gratuito delle agenzie pubblicitarie
e dei media, sia per la produzione che per la diffusione delle campagne, con
conseguenze talora negative ai fini dell’efficacia della campagna stessa. La
necessità ad esempio di pianificare le uscite secondo le fasce orarie di maggior
ascolto per il target di riferimento, può confliggere con quella di dover sottostare
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all’offerta degli spazi e dei tempi concessi gratuitamente dall’emittente. Cosi pure la
limitatezza delle risorse economiche rende quasi sempre impossibile per
un’organizzazione avviare delle ricerche mirate ad una maggior conoscenza del
target o dei target cui rivolgere la comunicazione. Naturalmente non è possibile
generalizzare tali riflessioni”. (Gadotti, 2009: pag. 234)
Gli obiettivi principali che le organizzazioni non profit vogliono raggiungere
attraverso la comunicazione sono:
- far conoscere l’organizzazione e le sue attività o servizi;
- creare o migliorare la sua immagine;
- supportare il fund raising;
- attirare donatori e volontari;
- riuscire ad ottenere visibilità sui media.
L’elaborato è strutturato in quattro capitoli.
Nel primo capitolo viene spiegato in primis il concetto di comunicazione, bisogno
fondamentale dell’uomo che gli permette di interagire con gli altri all’interno della
società. Successivamente viene focalizzata l’attenzione sulla comunicazione sociale
che permette di mettere in evidenza temi di interesse generale, le sue caratteristiche e
gli enti che utilizzano questa tipologia di comunicazione ossia i soggetti pubblici, le
organizzazioni non profit e le imprese.
Nel secondo, invece, vengono trattati argomenti come la pubblicità, definita una
tecnica della comunicazione di massa che permette alle imprese e alle altre
organizzazioni di creare consenso intorno alla propria immagine e ai propri prodotti
o servizi. Inoltre vengono riportate le varie tappe storiche che hanno caratterizzato lo
sviluppo della pubblicità in generale e in Italia. Viene anche spiegato come nasce una
campagna sociale e i diversi linguaggi utilizzabili.
La pubblicità è una forma di comunicazione persuasiva; per questo motivo viene
approfondito questo tema e spiegato che l’efficacia della comunicazione persuasiva è
legata a diversi fattori come la fonte del messaggio, il contenuto del messaggio
stesso, il mezzo utilizzato nella trasmissione e il bersaglio.
Nel terzo capitolo vengono spiegati gli argomenti trattati nella tesi scritta a
conclusione della laurea triennale e la ricerca correlata. L’attenzione viene
concentrata su come i genitori adottivi vivono il tempo dell’attesa cioè quello che
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precede l’incontro con il bambino, poi l’incontro e la nascita della nuova famiglia.
Infatti vengono riportati i risultati delle quattro interviste fatte a delle coppie adottive
per comprendere anche le emozioni legate a questa esperienza.
Nel quarto e ultimo capitolo è riportata la ricerca svolta sugli enti autorizzati
all’adozione internazionale e nello specifico su come essi comunicano all’esterno
tramite il web prendendo soprattutto in considerazione i loro siti internet. Si è cercato
anche di comprendere come questi enti fanno pubblicità sociale.
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CAPITOLO 1. LA COMUNICAZIONE SOCIALE
La comunicazione è uno scambio interattivo tra due o piø partecipanti, dotato di
intenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezza, in grado di far
condividere un significato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di
significazione e di segnalazione secondo la cornice culturale di riferimento. (Anolli,
2006)
Si può dire che la comunicazione tout court è sempre sociale poichØ presuppone una
relazione tra attori singoli o collettivi. Tuttavia, utilizzare l’aggettivo “sociale”
significa connotare questa relazione, aggiungendo qualcosa in piø. Il quid che si
aggiunge implica una dimensione valoriale condivisa o collettiva e presuppone
attenzione per l’esistenza di uno spazio pubblico. Tutto ciò non è esente da rischi
perchØ comporta la negazione di punti di vista alternativi e di prospettive che in quel
particolare collettivo non riescono a riconoscersi o nel quale non sono incluse da chi
ha il potere di decidere la natura dei confini. (Bosco, 2005)
I valori hanno all’interno della società la funzione di “collante” cioè il compito di
tenere uniti i vari ambiti dell’organizzazione sociale e gli individui che ne fanno
parte. Gli studiosi, a tal proposito, parlano della funzione di integrazione simbolica
che la comunicazione sociale, con il richiamo ai valori, svolge. (Mancini, 2001)
Quindi la sua valenza principale riguarderebbe, non tanto e non solo il contenuto
informativo veicolato dai messaggi che la connotano, quanto l’effetto di coesione
implicito nel suo utilizzo.
La comunicazione sociale non è un fenomeno recente. Uno dei primi esempi dei
tempi moderni, di questa tipologia di comunicazione, viene realizzato a due anni dai
primi esperimenti cinematografici dei fratelli Lumière. Si tratta di un film educativo
che ha per oggetto un tentativo di profilassi in ambito sanitario.
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Un forte impulso si ha nel corso della seconda guerra mondiale quando negli Stati
Uniti viene fondato l’Advertising Council (insieme di pubblicitari, clienti e grandi
mezzi di informazione), che dà avvio ad alcune campagne su argomenti collegati alla
guerra come il risparmio energetico e alimentare. Da quel momento in poi nascono
anche negli altri paesi occidentali iniziative simili che permettono di dare visibilità e
legittimità al settore.
In Italia, durante gli anni della guerra vengono fatte campagne non solo legate a
questo tema. Si tratta di campagne di pubblica utilità firmate da enti come la Croce
Rossa, che negli anni trenta attiva una lotta per l’igiene e la profilassi contro malattie
quali la tubercolosi e la malaria, l’Inail (istituto nazionale infortuni sul lavoro) e
l’Enpi (ente nazionale per la prevenzione degli infortuni).
Nel 1970 viene istituita Pubblicità Progresso, organizzazione privata non profit con
l’obiettivo di realizzare campagne di utilità sociale e allo stesso tempo promuovere
un’immagine positiva della pubblicità, considerata da molti strumento di
manipolazione e simbolo di consumismo. ¨ la prima volta che un soggetto privato si
occupa di tematiche di interesse collettivo.
Molto successo hanno le prime campagne pubblicitarie a carattere sociale, di seguito
si riporta la prima sulla donazione del sangue.
1971 prima campagna sociale, realizzata da
Pubblicità Progresso per sensibilizzare la
popolazione sul tema, facendo appello al senso
di solidarietà.
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Si tratta dei primi passi della comunicazione sociale in cui diritti e bisogni dei
cittadini, fino ad allora inespressi, vengono rappresentati, per la prima volta, grazie ai
mezzi di comunicazione di massa.
In Italia la comunicazione sociale si è intrecciata negli anni ‘80 con un insieme di
processi che l’hanno poi caratterizzata: il declino del welfare state e la riforma della
pubblica amministrazione; la crescente presenza dell’associazionismo e delle
organizzazioni non profit e il loro crescente grado di istituzionalizzazione; una
rinnovata attenzione al “sociale” da parte dei cittadini; il diffondersi di
comportamenti pro sociali da parte delle aziende private, nel quadro della sempre
maggior centralità dei media e del diffondersi delle nuove tecnologie.
I vari attori che si occupano di comunicazione sociale utilizzano i media come
strumenti per attirare l’attenzione su diverse problematiche. Quest’ultimi diventano
un’arena in cui gli attori non solo competono per mettere in luce determinate
questioni, a volte influenzando anche l’agenda pubblica, ma anche per dare una data
visione di quella realtà. C’è da dire che gli spazi/tempi di accesso ai media non sono
uguale per tutti gli attori. Tale accesso è il risultato di rapporti di potere che si basano
sulle risorse economiche, qualora si tratti di campagne pagate o sulle risorse di
lobbyng se si tratta di avere accesso gratuito ai media. (Gadotti, 2005)
“La comunicazione sociale può essere intesa come un’esigenza primaria dell’uomo
sociale. Essa rappresenta il bisogno di esprimere le proprie idee, di conoscere e di
confrontarsi con gli altri”. (Pira, 2006: pag. 21)
Questo bisogno è riconosciuto come diritto nell’art. 21 della nostra Costituzione, che
tutela il diritto di diffondere le informazioni. Un diritto, quello all’informazione, che
è direttamente connesso al diritto di cittadinanza, intesa come partecipazione
consapevole, dunque informata, ai processi decisionali pubblici.
Questa definizione appare di particolare rilievo perchØ strettamente correlata ai temi
della comunicazione sociale. In questo contesto “comunicare” è legato all’esercizio
del diritto di cittadinanza, inteso anche come dovere di cittadinanza e di civile
convivenza. (Pira, 2006)
Dunque diritto all’informazione secondo tre accezioni cioè diritto di informare,
informarsi ed essere informati, ma anche come espressione del diritto di cittadinanza,
ossia come partecipazione consapevole al processo decisionale pubblico.