Pubblicità interattiva per il digitale terrestre Introduzione
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l’interattività pone come soggetto e agente della comunicazione stessa lo
spettatore, siamo penetrati in profondità per capire fino a che punto egli è
pronto ad accogliere la nuova tecnologia e fino a che punto ha interesse ad
interagire con il testo pubblicitario. Quindi, abbiamo considerato tutti i limiti e
tutte le possibilità che la tecnologia odierna fornisce, per non cadere in un
pensiero futuristico e rischiare di azzardare ipotesi non fondate.
Evidenziato i limiti del contesto e del medium, abbiamo potuto definire un
modello semiotico capace di smontare il testo interattivo e gestirne la
complessità in modo sistematico. Rintracciati due filoni principali entro cui il
lettore ha libertà di intervento, il processo di interpretazione del testo e
quello di azione nel testo, abbiamo osservato l’interattività a livello di
enunciazione.
Abbiamo riscontrato due tipologie di interattività differenti, quella cooperante
e quella dialogica, sulla base delle:
analogie con il dialogo prototipico;
implicazioni interoggettive;
tipologie di Lettori Modello;
gradi di libertà del lettore;
turni interattivi.
Presupposte queste definizioni, ci siamo addentrati nella specificità della
pubblicità interattiva televisiva, da un punto di vista narrativo. In questo modo
abbiamo individuato un nuovo processo di fruizione che pone lo spettatore nel
ruolo di Protagonista del messaggio.
Le nostre ricerche si concludono con una messa in prova del modello
riscontrato. Si sono scelte due cases hystory differenti, per strategia e per
formato interattivo, e siamo andati a scavare nella profondità della loro
significazione per osservare con quali criteri e secondo quali strategie è stata
ideata e sviluppata l’interattività.
Alla fine di questo lavoro, non si pretende certo di aver esaurito l’argomento,
ma siamo certi di aver impostato un metodo semiotico coerente per osservare
un testo interattivo pubblicitario in tutta la sua complessità.
Parte I. Il contesto di consumo
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1. Il contesto di consumo
Lo studioso Falabrino in “Pubblicità serva e padrona” (1999) inserisce nel
secondo dopoguerra la nascita della società dei consumi in Italia, in occasione
della liberazione dell’esercito americano. Egli afferma che proprio grazie i
soldati americani la società italiana conobbe per la prima volta la cultura dei
consumi, simbolo del periodo di benessere sociale e politico degli Stati Uniti.
Il consumo è dunque una cultura, un modo di agire, uno stile di vita che
pervade ormai costantemente le nostre decisioni. La nostra vita non può più
prescindere dal consumo, ma fortunatamente questo comporta anche un
osservazione critica del fenomeno. La pubblicità vive e sopravvive grazie a
questo contesto di riferimento, che essa stessa contribuisce a costruire e
mantenere vivo attraverso le sue azioni performative.
Osservare quindi come il contesto di consumo è composto e quali sono le
dinamiche che lo regolano è il primo traguardo fondamentale per poter capire
attentamente dove la pubblicità si sta dirigendo e come poterla indirizzare per
una giusta evoluzione.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
9
1.1 LA SITUAZIONE ATTUALE
Per capire dove la pubblicità odierna potrebbe dirigersi, è necessario
capire dove sta sbagliando ora, quali sono i suoi limiti e i suoi difetti e
quali sono i principali fattori di cambiamento.
1.1.1 L’affollamento pubblicitario
“Gli spot pubblicitari sono soggetti a un limite orario che per
le televisioni commerciali è fissato al 18% per ora di
trasmissione. Vi è inoltre un limite quotidiano che è fissato al
15%, ed elevabile al 20% comprendendo anche
telepromozioni e televendite, fino a un massimo di un'ora e
12 minuti al giorno. Per le tv locali il limite quotidiano di
affollamento pubblicitario è del 40%, comprese le
televendite.”1
Secondo una definizione di Claude Shannon2, ingegnere dei laboratori
Bell negli anni quaranta, l’informazione è un messaggio che riduce
l’incertezza: quando i messaggi cominciano ad essere troppi rispetto
alla capacità di assorbirli, non solo non riducono l’incertezza, al
contrario provocano confusione.
Più ampiamente, il sistema percettivo permette di eliminare e "non
vedere" o "non sentire" ciò che non interessa. Anche indipendentemente
dalla pubblicità, la quantità di stimoli quotidiani è infinitamente
1
Dati parafrasati della legge 6 agosto 1990, n. 223, fonte: www.parlamento.it.
2
Shannon, C.E. e Weaver, W., La teoria matematica delle comunicazioni, ETAS LIBRI, Milano,
1983, ed. it. di The Mathematical Theory of Communication, University of Illinois Press, 1949,
pp.21.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
10
superiore alla capacità di percepirli. Prove sperimentali3 hanno
dimostrato come le persone sappiano "non vedere" (o rimuovere)
qualcosa se per loro non è interessante, anche se si presenta davanti ai
loro occhi. Questo è uno dei motivi per cui è molto difficile far
"cambiare idea" a una persona.
Il consumatore oggi è un esperto nell’uso delle tecniche di selezione per
filtrare i messaggi che riceve. Un esame superficiale dei messaggi gli
basta per decidere quali ascolterà ed elaborerà e quali ignorerà. Ci sono
solo due grandi fattori rilevanti per questa selezione: le sue esigenze, i
suoi gusti e umori del momento; e la capacità creativa dei pubblicitari
per essere considerati e richiamare la sua attenzione.
“Dei mille messaggi quotidiani, un consumatore normale
arriverà a ricordarne con precisione tre. I restanti 997
possono rimanere sterili, perciò, nella lotta per superare
questa soglia, non dobbiamo lesinare sforzi creativi.” 4
Il "ricordo" specifico di un messaggio pubblicitario non è la misura della
sua efficacia. Ci sono annunci, film, manifesti eccetera che vengono
ricordati, per qualche loro caratteristica insolita o interessante, ma di
cui l’individuo alla fine non tiene conto nelle sue scelte. Ci sono,
invece, infinite cose di cui subisce l’influenza, anche senza ricordare
esattamente da quale persona, fonte, fatto o circostanza ha ricavato
quella convinzione: questo vale anche per la pubblicità. Secondo Volli5:
“di comunicazione ce n’è troppa, dappertutto intorno a noi, e
siamo addestrati fin dalla prima infanzia (o forse
geneticamente) a selezionarla: moltissimi esperimenti
mostrano che la percezione e il ricordo di messaggi mediatici
3
Evan Hirsh and Mark Schweizer, The Advertising Saturation Point, Illustration © 2005 Dan Page,
2005. Fonte: http://www.strategy-business.com/media/file/sb40_05307.pdf.
4
Giancarlo Livraghi e Luis Bassat, Il Nuovo Libro della Pubblicità, ed. Sole 24 Ore, 2001. Fonte:
Capitolo 1, disponibile sul sito di Giancarlo Livraghi: www.gandalf.it.
5
Ugo Volli, Semiotica della Pubblicità, Editori Laterza, 2001, p. 15.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
11
sono selettivi, e soprattutto che gli stimoli sono classificati
non uno a uno, ma a gruppi, per provvisorie categorie di
senso, che vengono smontate solo in caso di necessità.”
Ogni messaggio che si riceve (pubblicitario o non) non è un segnale
isolato: nel momento in cui lo si percepisce, si mescola
immediatamente con le proprie conoscenze, esperienze e opinioni, e
diventa una conoscenza personale, che può essere molto diversa da
quello che l’emittente aveva intenzione di comunicare. La non
comprensione di questo metabolismo mentale6 è uno dei motivi per cui
si produce tanta comunicazione inefficace.
1.1.2 Inflazione e iperseduzione
Riprendendo due concetti fondamentali di Volli, è necessario
soffermarsi sul valore semiotico che l’affollamento pubblicitario
sottende nei suoi effetti. Per Volli, parlare di inflazione significa
parlare di inflazione di leggerezza e inflazione semiotica, cioè di
inflazione comunicativa della semiosfera7. Più precisamente:
“Sembra difficile negare che nella semiosfera sia in atto una
crisi strutturale: in particolare una crisi del modello secondo
cui la nostra semiosfera è stata sviluppata negli ultimi
decenni. È ragionevole pensare che questa crisi abbia un
carattere inflazionario. In termini molto banali, l’inflazione
economica si può descrivere come una condizione di
instabilità che consiste nella circolazione di una quantità di
moneta sproporzionata alla quantità di beni che si rendono
disponibili. Si può azzardare l’ipotesi che l’inflazione
comunicativa della semiosfera consista nel fatto che una
6
Giancarlo Livraghi e Luis Bassat, Il Nuovo Libro della Pubblicità, ed. Sole 24 Ore, 2001. Fonte:
Capitolo 1, disponibile sul sito di Giancarlo Livraghi: www.gandalf.it.
7
Cioè, “il testo di tutte le testualità, di tutte le comunicazioni che si depositano e si producono in
una società”, Ugo Volli, Manuale di Semiotica, La Terza, 2003, pag.112.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
12
società emetta una quantità di messaggi (e di assiologie al
loro interno) incompatibile con la quantità di valore semiotico
in essa prodotto.”8
Osservando l’affollamento pubblicitario da questo punto di vista, la
nostra società sta dunque emettendo troppi messaggi rispetto ai valori
semiotici9 che vi circolano, e questo sta producendo una perdita di
qualità, una forte svalutazione del senso, dei significati, dei contenuti
comunicati. Ma soprattutto, come sottolinea lo stesso Volli,
un’abitudine a usare i messaggi per sostituire i valori semiotici (o
addirittura quelli economici e tecnici) o per simulare tali valori.
Questo significa che i messaggi diventano autoreferenziali, parlano di
sé, si impongono come valori e il sistema comunicativo non riesce più a
istituire quelle differenze e quelle opposizioni di senso che creano
significato. Codeluppi10 parla di metapubblicità, una pubblicità che si
mette a nudo svelando il suo funzionamento interno, che parla di sé da
una parte per stabilire un rapporto di complicità con il destinatario, e
dall’altra per far crollare le sue difese psicologiche.
Nel discorso pubblicitario, questo si associa anche alla natura stessa del
messaggio, che è implicitamente ma chiaramente finalizzato,
8
Ugo Volli, Manuale di Semiotica, La Terza, 2003, pag.112. Per il concetto di assiologia ci
rifacciamo alla stessa definizione di Volli, secondo cui “l’assiologizzazione è una mediazione
semantica e narrativa, un complessa costruzione di senso che fa riferimento a temi, personaggi,
ambienti, immagini e parole, che sono già valorizzati in ambito culturale”. Volli intende per
assiologizzazioni i riferimenti timici costruiti all’interno del testo, che si basano sul concetto di
opposizione timica: “strato molto elementare della nostra esperienza”, ovvero, “quell’alternativa
fra star bene e star male (euforia e disforia).” (Volli, p.24).
9
In questa contesto e nelle accezioni future, per valore semiotico intendiamo: ”la capacità di un
sistema comunicativo di istituire differenze e le opposizioni che ne derivano”, come definisce Volli
(Manuale di Semiotica, La Terza, 2003, pag.112), riprendendo la definizione di valore semiotico
data da Saussure: “relazione orizzontale che lega e oppone un segno agli altri che si trovano nello
stesso ambito, definendo la sua funzione comunicativa per opposizione rispetto alle altre possibili
unità dello stesso sistema semiotico” (Saussure 1967, pp.134-48). L’opposizione sottolinea
l’importanza di ciò che non è, i significati che esclude.
10
Codeluppi, Che cos’è la pubblicità?, Carocci, Roma, 2001.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
13
strategico, o meglio, esplicitamente perlocutivo11. Questa sua
caratteristica lo rende seduttivo, cioè:
“capace di spostarci(Volli, 1998) da noi stessi e indurci a fare
delle cose che non intendevamo, usando la simpatia o la
bellezza, argomentazioni razionali o il divertimento.”12
In effetti, continuando il pensiero di Volli, i messaggi pubblicitari hanno
una funzione conativa e manipolativa, perché vengono creati e
comunicati apertamente per far fare qualcosa. Questa finalità, però, ha
portato a tralasciare il contenuto della comunicazione in funzione solo
dell’azione perlocutiva del messaggio, avviando uno slittamento del
punto focale dall’informazione critica sulle merci alla totale
sollecitazione dei comportamenti dei consumatori13.
Volli parla pertanto di iperseduzione, proprio per indicare questo
processo dei media e specialmente della pubblicità, che ha portato i
consumatori ad agire e ad essere l’oggetto della comunicazione, il
protagonista della comunicazione al posto dei contenuti:
“Più che parlare di storie, e di notizie, e magari anche di
merci, la pubblicità e i media si sono messi a parlare dei loro
lettori ai lettori stessi, adulandoli secondo le modalità
caratteristiche del circuito seduttivo, allo scopo di far fare loro
qualcosa”.
11
Secondo la definizione di Volli: “Quando il linguaggio, e più in generale la comunicazione, viene
usato per compiere un’azione dichiarandola esplicitamente - ad esempio quando si chiede a
qualcuno l’ora o in un locale si affigge un cartello che invita a usare una certa uscita - allora
siamo di fronte a un’illocuzione. Quando invece l’azione è obliqua (n.d.r. e quindi risulta implicita
la sua intenzione comunicativa) - come nel caso di chi adula un potente per ottenere un favore -
si parla di perlocuzione”. Un atto esplicitamente perlocutivo è quindi per sua stessa definizione un
paradosso della comunicazione, un ossimoro, perché è un’atto comunicativo obliquo che esplicita
la propria intenzione comunicativa. (Fonte: Ugo Volli, Manuale di Semiotica, La Terza, 2003,
pag.22).
12
Ibidem, pag.23
13
Si veda a riguardo Volli, ibidem, pp.111-116.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
14
Sul piano pubblicitario, Volli afferma che questo passaggio è coinciso
con l’affermarsi dell’idea che contasse soprattutto fare affezionare il
consumatore al mondo delle marche, per indurre il consumatore ad
assimilarsi all’universo narrativo, debole e fragile, di un mondo fittizio e
incantato, da favola14. La concezione dell’uomo si è adattata a questa
dimensione riducendo l’individuo alla condizione di bambino, e quindi:
“disposto ad accettare come motivazioni all’acquisto storie e
argomenti essenzialmente infantili e non pertinenti.”15
Questo ha comportato la produzione di progetti comunicativi focalizzati
essenzialmente sulla rassicurazione del destinatario, una sorta di
psicoterapia in pillole16, in cui non c’è più informazione critica sulle
merci, ma solo la strumentalizzazione del comunicato per la
coltivazione di un immaginario collettivo il più possibile staccato dalla
realtà.
La pubblicità odierna ha dimenticato l’aspetto informazionale per
colpire solo l’emotività del consumatore, celebrarlo in tutte le sue
debolezze e catturare la sua attenzione. Lo stesso Livraghi conferma
che un messaggio pubblicitario non può trascurare quella che è una
delle principali aspettative del consumatore di fronte alla pubblicità:
“Molti annunci non fanno altro che intrattenere. Alcuni
arrivano all’estremo di preoccuparsi così tanto di essere
attraenti da dimenticare di spiegare a spettatori o lettori a che
cosa serve il prodotto. Questa caduta in picchiata nel mondo
14
“Dato che le marche hanno una natura finzionale semplice e valorizzata delle favole, quel che
sembrava contare nelle campagne pubblicitarie era appunto un universo narrativo, debole e
fragile quanto si vuole, “da favola”, ma costruito in maniera tale da indurre il consumatore ad
assimilarsi ad esso”, Volli, ibidem, pp.113.
15
Volli, ibidem, pp.114.
16
Si veda a riguardo Volli, ibidem, pp.111-116.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
15
dello spettacolo può essere mortale se non ci si protegge con
le reti di sicurezza dell’informazione e della fiducia.”17
L’informazione può essere di molti tipi, può risultare più o meno
evidente, ma deve esserci. Può essere l’essenziale, cioè far conoscere le
caratteristiche del prodotto, o andare oltre, per dimostrare come
funziona, che cosa fa in favore del consumatore o in che cosa è diverso
da altri prodotti simili. È informazione anche un’indicazione meno
diretta, ma che può essere ugualmente decisiva, come il riferimento al
tipo di persone che usano quel tipo di marca, o all’impresa che la
produce, o ai valori considerati importanti, in quel prodotto specifico,
per il consumatore.
Inoltre ci sono prodotti il cui acquisto è associato a un certo rischio,
come per esempio le automobili per il loro prezzo, o gli alimenti
infantili per la responsabilità che si assume. Ci sono diversi tipi di
rischio, come quelli che derivano dall’uso del prodotto (come nel caso
degli attrezzi meccanici o degli insetticidi) o quelli che riguardano la
soddisfazione delle aspettative (come nei prodotti di prezzo alto, quali
le automobili, gli elettrodomestici o le vacanze) o i rischi psicologici di
relazione (in quei prodotti di consumo che implicano ostentazione della
marca, come la moda, le bevande alcoliche, le sigarette ecc.).
Quanto più alto è il rischio, tanto più è estesa la ricerca e più probabile
è l’attenzione del consumatore alle varie fonti di informazione, e la
pubblicità riveste un ruolo importante per far diminuire l’incertezza e la
paura di aver acquistato qualcosa di sbagliato. Invece la fuorviante
dematerializzazione del prodotto ha portato a ignorare questo aspetto
essenziale della pubblicità, e ora si assiste a una crisi di sfiducia
generale, causato proprio dall’eccesso di spettacolarizzazione e dalla
mancanza di informazione.
17
Giancarlo Livraghi e Luis Bassat, Il Nuovo Libro della Pubblicità, ed. Sole 24 Ore, 2001. Fonte:
Capitolo 1, disponibile sul sito di Giancarlo Livraghi: www.gandalf.it.
Parte I. Il contesto di consumo 1.1 La situazione attuale
16
In pubblicità, la fiducia non si conquista infatti con l’impatto, ma con
un processo graduale. La fiducia totale arriva solo come risultato di
tante piccole fiducie parziali che si concedono ai prodotti. È stato
dimostrato18 precisamente che quando qualcuno compra un prodotto per
la prima volta, è portato a prestare attenzione alla pubblicità di quel
prodotto, perché sente la necessità di dimostrare a se stesso che la sua
scelta è stata giusta e il prodotto merita di essere usato.
Il consumatore preoccupato per il rischio che deve assumere, è ansioso
di trovare informazioni ed argomenti convincenti nella comunicazione a
favore della sua scelta. Senza il processo informativo questa
rassicurazione viene meno o comunque si riduce fortemente, e lo
sviluppo della fiducia si interrompe.
L’iperseduzione inoltre, concentrandosi sui discorsi di tipo assiologico
per convincere le persone ad agire, ha sollecitato il comportamento dei
consumatori, suggerendo solo una rincorsa infinita all’acquisto di novità
tutte uguali e tutte ugualmente inutili19. Questo acquisto compulsivo,
senza posteriori rassicurazioni informazionali, ha di fatto creato
sensazione di delusione e fastidio, incomprensione e inganno. Messo in
secondo piano il valore materiale delle merci, il consumatore si trova
spaesato e solo con il suo desiderio indotto, ma non soddisfatto. E
quindi frustrato, risentito, e sempre più incline al rifiuto e alla
resistenza. La pubblicità dovrebbe combattere qualsiasi senso di
delusione, sia nell’esperienza immediata che a distanza di tempo, e non
invece crearlo.
18
Fonte: Maurizio Goetz, La Pubblicità nell'era digitale, articolo apparso sul suo blog personale:
http://www.marketingusabile.blogspot.com/.
19
Volli, Manuale di Semiotica, La Terza, 2003, p.114.