Introduzione
In economia si misurano due visioni contrapposte riguardo il
ruolo che la pubblicità svolge all’interno di un mercato.
La prima è la cosiddetta teoria tradizionale, che ha utilizzato
prevalentemente modelli economici di tipo statico: dal lato dei
consumatori la considera come persuasiva poiché distorce i
gusti dei consumatori in favore delle marche pubblicizzate,
mentre dal lato delle aziende è causa di barriere all’entrata per
nuovi produttori, poiché crea potere monopolistico oltre ad
essere economicamente dispendiosa.
L’altra visione alternativa è la cosiddetta teoria moderna, che
ha utilizzato principalmente modelli economici di tipi
dinamico: sottolinea il ruolo informativo della pubblicità,
sostiene che questa non è dannosa per il benessere dei
consumatori, anzi da la possibilità di fare la migliore scelta
poiché le informazioni da lei veicolate permettono di conoscere
le varie disponibilità, caratteristiche del prodotto e dei
produttori.
Entrambi gli sviluppi teorici hanno sottolineato l’importanza
della struttura interna dei mercati e l’impatto che la pubblicità
ha sulle interazioni strategiche delle aziende, fornendo spunti
interessanti oltre che per l’economia anche per la sociologia e
la psicologia per l’impatto significato sui consumatori.
La tesi è suddivisa in cinque capitoli. Nei primi due capitoli
saranno esposte le due impostazioni teoriche su elencate,
quindi il modo in cui interpretano il ruolo della pubblicità.
Il terzo capitolo è dedicato al dilemma del prigioniero, dove
sarà esposto come questo semplice “gioco teorico”, noto al
pubblico anche come paradosso, possa essere traslato in un
contesto economico, dove il mercato può considerarsi il
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“gioco” in cui i rispettivi giocatori, ossia le aziende , possono
partecipare in modo strategico per mezzo della pubblicità.
Nel quarto capitolo invece saranno presentate le verifiche
empiriche a conferma o meno delle due impostazioni. Infine
l’ultimo capitolo sarà dedicato alle conclusioni.
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Capitolo primo
La pubblicità persuasiva
1.1. La pubblicità come persuasione
Tra i maggior esponenti di questa teoria, i nomi di spicco
erano: Bain, Comanor e Wilson, ed in particolar modo Bain,
per il quale la pubblicità creava vantaggi a chi investiva per
primo in essa (First mover o incumbent) poiché poteva
conferire barriere all’entrata per le aziende che decidevano di
entrare successivamente (Me too)
1
.
Essa veniva considerata come un bene complementare al
prodotto stesso, che portava benefici alle aziende
incrementandone le vendite, permettendole di aumentare i
prezzi, creare preferenza verso i suoi prodotti e fidelizzazione
ad essi. Con il termine di concorrenza perfetta la teoria
cosiddetta tradizionale intendeva:
1. Un mercato dall’elevato numero di produttori e prodotti
perfettamente omogenei.
2. Un mercato con libertà e possibilità di entrata e uscita delle
aziende, che impediva agli imprenditori di fissare i prezzi
di vendita dei beni prodotti, che derivavano esclusivamente
dall’incontro della domanda e dell’offerta.
1
Cfr. J.S. Bain, Barriers to new competition, Harvard UP, Cambridge MA,
1956.
11
Un mercato di questo tipo non poteva essere un’espressione
veritiera della realtà concorrenziale, però costituiva un
presupposto comune a molti modelli economici di analisi di
equilibrio, equilibrio concorrenziale che nonostante si
contrapponesse con altri modelli, possedeva caratteristiche che
lo rendevano desiderabile dal punto di vista dell’efficienza
economica.
Riassumendo, un mercato poteva definirsi perfettamente
concorrenziale quando si verificavano le seguenti ipotesi:
1. Che il bene prodotto fosse omogeneo.
2. Che la condizione in cui operavano le aziende fosse di
informazione perfetta, quindi che tutti gli operatori
disponessero di informazioni complete in merito a costi di
produzione, prezzi, salario reale di equilibrio
2
, ecc…
3. Che la dimensione in cui operavano le aziende fosse
atomica, tale che non potesse influenzare in alcun modo i
prezzi di vendita e che non esistessero barriere all'ingresso
e all'uscita dei concorrenti.
4. Che i fattori della produzione fossero perfettamente
sostituibili fra loro, ossia potessero essere riallocati alla
riproduzione di diversi beni mantenendo sempre la stessa
produttività marginale. Questa ipotesi era naturalmente
riferita al lungo periodo ed era fondamentale affinché il
prezzo di equilibrio fosse pari al minimo del costo medio di
lungo periodo.
2
Salario nominale corretto per tener conto dell’inflazione. Si calcola
dividendo il salario per il livello dei prezzi.
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Secondo la teoria microeconomica classica, la concorrenza
perfetta era il meccanismo ottimale per l’allocazione efficiente
delle risorse, in quanto il prezzo di vendita che si formava sul
mercato era quello che remunerava tutti i fattori di produzione
in base alla loro produttività marginale, non consentiva
creazione di extra-profitti.
Inoltre il prezzo era anche quello che permetteva ai
consumatori di massimizzare la loro soddisfazione, ecco perché
non vi era necessità di attività promozionali, in queste
condizioni era naturale che se un venditore desiderasse
incrementare le vendite attraverso la pubblicità, quindi facesse
una promozione, ciò non avrebbe favorito solamente lui, ma
tutti i venditori di quel bene.
Il risultato finale sarebbe stato a vantaggio di tutti, poiché in un
mercato omogeneo i beni dei vari venditori o produttori erano
facilmente sostituibili perché indistinguibili l’uno dall’altro, in
un simile contesto era naturale che la pubblicità si considerasse
incompatibile con la concorrenza e destinata ad alterare gli
equilibri di mercato.
L’impostazione che considerava la pubblicità come
persuasione, che poteva essere definita anche come teoria
tradizionale, cercava di dimostrare che la pubblicità persuasiva
si muoveva esattamente al contrario, proprio per attenuare le
condizioni di concorrenza a favore dell’investimento
pubblicitario, parlando delle sue conseguenze rappresentate
dalla crescita di due fattori importanti in un mercato:
• Potere di mercato
• Prezzo
Il potere di mercato è definito come le quote percentuali di
mercato possedute da un’impresa. Secondo questa teoria la
pubblicità influiva nella struttura di mercato, in quanto
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aumentava le cosiddette barriere d’entrata, ossia i costi
economici e sociali delle nuove imprese che volevano entrare
in un nuovo mercato già presieduto da altri.
Quindi per le nuove imprese risultava difficile ottenere sia
profitti che guadagnarsi la fiducia di consumatori già clienti
degli incumbents.
Per costi sociali naturalmente si intendevano quei costi che non
riguardavano esclusivamente le spese affrontate in pubblicità o
per la produzione del bene, ma l’impiego di forze umane nel
cercare di realizzare idee alternative che si distinguessero
chiaramente dalle aziende rivali: ad esempio la strategia
pubblicitaria da seguire; il suo contenuto persuasivo;
l’efficienza del messaggio pubblicitario nell’orientare il gusto
del consumatore verso il proprio bene ed indurlo a cambiare
prodotto lasciando il precedente.
Sostanzialmente questa teoria affermava che la pubblicità
orientava i gusti dei consumatori, che per sua causa erano
indotti a desiderare di acquistare i prodotti maggiormente
pubblicizzati.
Secondo questa teoria la pubblicità era complementare al
prodotto, quindi era considerata come un altro costo che
concorreva alla produzione del bene, di conseguenza un
aumento delle spese pubblicitarie causava un innalzamento del
prezzo del prodotto stesso.
Teoricamente un aumento di prezzo doveva favorire un nuovo
entrante che poteva offrire lo stesso bene ad un prezzo più
basso, ma in realtà ciò non accadeva poiché la pubblicità dava
un vantaggio competitivo creando l’immagine della marca.
La domanda del prodotto diveniva meno sensibile al prezzo,
perché anche in presenza di un prezzo inferiore del
concorrente, il consumatore avrebbe preferito comunque
acquistare il prodotto più pubblicizzato, quindi c’era una
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riduzione dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo
3
tra i
prodotti pubblicizzati ed i succedanei più stretti.
I consumatori erano meno recettivi se le aziende rivali
riducevano o aumentavano la loro attività promozionale,
mostrando un maggior attaccamento per le aziende esistenti,
c’erano meno persone che si muovevano tra i brands per
provare nuovi prodotti ed era molto difficile per un nuovo
concorrente strappare vendite a chi già deteneva quote di
mercato.
Quindi la pubblicità generava troppa fedeltà al marchio ed un
nuovo concorrente entrante poteva fronteggiarla solo con alti
investimenti pubblicitari e prezzi più bassi, le nuove aziende
risultavano avere una profittabilità fortemente influenzata
essendo destinate a non ottenere il profitti desiderati nel breve
periodo.
La spesa pubblicitaria generava quindi differenziazione e
costituiva una barriera o segnale in grado di impedire
l’ingresso di un nuovo concorrente: infatti la pubblicità era
presente in quei mercati in cui i prodotti erano differenziati e
differenziabili, questo consentiva al produttore di avere un
certo potere sul prezzo.
1.1.1. I sunk costs di Sutton
I sunk costs sono quei costi che sono già stati affrontati e non
possono essere recuperati, come ad esempio la spesa
pubblicitaria o la ricerca di un’idea di prodotto. Possono
essere una barriera d’entrata. Per i potenziali concorrenti
incorrere in simili costi senza possibilità di recupero in caso di
3
Misura la reattività della quantità domandata ad una variazione
percentuale del prezzo, cioè indica di quanto varia la quantità domandata di
un bene se il suo prezzo aumenta o diminuisce di una certa percentuale.
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entrata a vuoto, avrebbe potuto spaventarli e non farli
entrare
4
.
La pubblicità quindi era un sunk cost, infatti se una nuova
azienda decideva di entrare in un mercato, avrebbe dovuto
affrontare prima di tutto i costi inerenti alla spesa pubblicitaria
per farsi conoscere, poi quelli di ricerca per offrire un prodotto
che desse loro una titolarità innovativa che spiegasse perché un
consumatore che acquistava una determinata marca poi avrebbe
dovuto cambiarla in loro favore.
Sutton sosteneva che “il numero delle imprese di un settore era
direttamente proporzionale alla dimensione del settore stesso,
ma inversamente proporzionale alla dimensione
dell’investimento pubblicitario”.
Quindi in mercati molto grandi era normale che ci fosse un alto
numero di aziende che si facevano concorrenza, ma in quei
mercati dove una nuova azienda per entrare doveva investire un
altissimo budget pubblicitario (perché l’unico modo per
fronteggiare gli incumbents era investire moltissimo in
pubblicità ed offrire prezzi inferiori) era naturale che si
innalzassero i sunk costs, o meglio i costi di rischio, quindi si
riduceva la probabilità di entrata, poiché i costi fissi sarebbero
stati elevati, anche se molti studiosi ritenevano che potevano
essere contrastati con i costi variabili (i costi di produzione che
variano nel lungo periodo anche a secondo dell’output prodotto
dall’azienda
5
), più il nuovo entrante doveva attirare usando
pubblicità (i cui benefici erano limitati alla promozione del
prodotto in questione) meno era l’attrattiva ad entrare nel
mercato.
4
http://www.economist.com/research/Economics/alphabetic.cfm?TERM=S
AVINGS.
5
http://www.economist.com/research/Economics/alphabetic.cfm?LETTER=
V.
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Il potere dei First movers quindi era la possibilità di controllare
il mercato grazie alla loro posizione di vantaggio, infatti una
volta ridotta la minaccia di un nuovo entrante, si sarebbe
generato un mercato più concentrato di prima (perché sia le
economie di scala che la soglia nella pubblicità conferivano un
vantaggio per le grandi aziende), con effetti particolarmente
segnati su prezzo e profitti, il risultato sarebbe stato di prezzi
più alti per i consumatori e profitti più alti per i produttori
6
.
1.2. Pubblicità come mezzo per conquistare potere di
mercato
All’interno di questa teoria si distinsero due anime. Una
rappresentata da Chamberlin, che in virtù della presenza della
pubblicità persuasiva vedeva ogni produttore come un piccolo
monopolista che offriva la sua gamma di prodotti in
concorrenza con altri prodotti rivali
7
(la situazione su
descritta).
Questa forma di mercato veniva definita concorrenza
monopolistica, le cui caratteristiche principali erano:
1. Coesistenza di molte imprese.
2. Ogni impresa aveva un certo potere di mercato poiché era
in grado di influenzare il prezzo.
6
Cfr. J. Sutton, Sunk Costs and market structure: Price competition,
advertising and the evolution of concentration, The MIT press, Cambridge,
1991.
7
Cfr. E.H. Chamberlin, La teoria della concorrenza monopolistica, La
nuova Italia, Firenze, 1961.
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