4
in ordine alla progressiva e continua estensione della portata
applicativa.
Dopo un’iniziale esposizione del significato della non contestazione e
dei suoi primi riconoscimenti soprattutto dottrinali, la presente
esposizione si snoderà lungo le più importanti pronunce
giurisprudenziali intervenute sul tema, mettendo in luce le diverse
contrapposizioni all’interno delle stesse sezioni della Suprema Corte.
Successivamente, evidenziati gli aspetti più innovativi concernenti la
portata del principio nel rito ordinario, oltre che nel rito lavoro, si
esaminerà la portata della non contestazione nel rito tributario, ed
infine il tentativo legislativo, di seguito bocciato da una pronuncia di
incostituzionalità, di estensione della portata del principio in parola
anche in capo alla parte contumace all’interno rito societario.
5
CAPITOLO PRIMO
1. Introduzione al tema.
Il principio di non contestazione, seppur privo di un esplicito
riconoscimento nella legge processuale, è di certo un principio di
“diuturna applicazione nelle controversie civili, di importanza
essenziale per non rendere impossibile o comunque eccessivamente
difficile l’onere probatorio delle parti processuali […] e quindi per
realizzare esigenze di semplificazione ed economia processuale”
1
.
Tale principio si fonda sull’assunto secondo cui, nel processo civile
relativo a diritti disponibili
2
, i fatti che non sono oggetto di
contestazione non hanno bisogno di essere provati, ed anzi vanno
considerati come esistenti da parte del Giudice adito
3
.
Come poco prima accennato, il principio in esame non è
espressamente codificato all’interno del nostro codice di rito. Ciò
1
Così A. PROTO PISANI, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel
processo civile, in Foro It., 2003, 606.
2
Sul punto, CARRATTA, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano,
1995, 171, precisava che, nonostante sia i diritti disponibili che i diritti indisponibili
“presuppongano l’accertamento tendenzialmente veritiero delle circostanze fattuali, […]
appare perfettamente logico, riguardo i primi che nel processo relativo venga riconosciuto
alle parti il potere di incidere in maniera vincolante per il giudice sulla ricostruzione dei
fatti”, stante la circostanza che lo Stato non ha alcun interesse ad ottenerne la composizione
necessariamente per via giudiziale.
3
Vedi sul punto A. PROTO PISANI, op. cit., 606; S. DEL CORE, Il principio di non
contestazione: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni
giurisprudenziali, in Giust. Civ., 2004, 111.
6
tuttavia, non permette di ritenere che tale “lacuna” normativa sia in
alcun modo circostanza decisiva per negare l’esistenza stessa della
non contestazione. Giova infatti ricordare come la più autorevole
dottrina, che lungamente si è occupata dell’analisi del principio di non
contestazione, ha in più occasioni evidenziato come un principio non
scritto è agevolmente ricavabile in via interpretativa per via deduttiva,
e cioè desumendo l’esistenza di un principio da altro principio scritto,
ovvero per via induttiva, ossia dimostrando l’esistenza del principio in
parola da aspetti tipici che emergono dalla disciplina positiva dei
singoli istituti
4
.
In tale ultimo senso, sono ravvisabili nel nostro codice di rito
numerosi casi in cui il legislatore ha previsto che una delle parti venga
esonerata dal provare fatti allorquando la controparte non li abbia
contestati ovvero li abbia espressamente ammessi.
A titolo esemplificativo si citano di seguito solo alcune ipotesi in cui
trova espressa regolamentazione il principio in parola.
Basti pensare a quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 14 c.p.c.
secondo cui, quando l’oggetto della controversia attenga a somme di
denaro o beni mobili, la non contestazione del convenuto in ordine al
valore della causa dichiarato dall’istante o desunto dalla competenza
4
Vedi S. DEL CORE, op. cit., 111; A. CARRATTA, op. cit., 335 e ss.
7
per valore del giudice adito entro e non oltre la prima difesa,
cristallizza il valore dichiarato o presunto nei limiti della competenza
del giudice adito anche agli effetti del merito
5
.
Ed ancora, l’art. 35 c.p.c., derogando ai criteri ordinari di fissazione
della competenza per valore del giudice adito, dispone che nell’ipotesi
in cui venga sollevata eccezione di compensazione, qualora il
controcredito su cui è fondata tale eccezione non è contestato, il
giudice trattiene presso di sé la causa e decide sull’eccezione, anche
se la stessa esorbita la sua competenza per valore
6
.
Gli articoli 186 bis c.p.c. (rito ordinario) e 423 c.p.c. (rito lavoro),
prevedono entrambi che, in caso di non contestazione da parte del
convenuto di somme dovute all’attore, quest’ultimo può chiedere,
fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, la concessione di
un’ordinanza costituente titolo esecutivo, quale provvedimento
anticipatorio dell’eventuale condanna finale
7
.
5
Sul punto, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno precisato che, per poter ritenere
esercitato l’onere di contestazione, il convenuto non può limitarsi ad una mera
affermazione di incompetenza del giudice adito, essendo necessaria una specifica ed
articolata contestazione del valore dichiarato o presunto. Più in generale, sull’onere di
specificità della contestazione, vedi cap. 2.
6
Vedi MERLIN, Compensazione e processo, Milano, 1994, 241 ss; BORGHESI, voce
Compensazione nel processo civile, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., III, Torino, 1988, 78 ss..
7
In merito all’ambito di operatività dell’art. 423, 1 co, c.p.c., la dottrina è divisa circa
l’applicabilità o meno anche a favore del datore di lavoro. Sul punto TARZIA, Manuale del
processo del lavoro, Milano, 1987, 180 ss, il quale tuttavia osserva che nella pratica può
8
Inoltre, gli articoli 785 e 789 c.p.c., in merito allo scioglimento delle
comunioni, stabiliscono che in caso di mancata contestazione, il
giudice dispone la divisione e ne dichiara esecutivo il progetto.
Si ricordano ancora gli articoli: 663 e 666 c.p.c. sul procedimento
sommario di convalida della licenza e dello sfratto; 548 c.p.c., relativo
alla mancata dichiarazione del terzo nell’espropriazione presso terzi;
30, comma 3, della legge n. 392 del 1978 per la procedura di rilascio
dell’immobile locato a equo canone; 101, comma 3, della legge
fallimentare, per la procedura di accertamento dei crediti
tardivamente ammessi al passivo; 669 novies c.p.c., comma secondo,
nel quale è espressa la previsione secondo cui se non vi è
contestazione sulla causa di inefficacia del provvedimento cautelare,
il giudice la dichiara con ordinanza avente efficacia esecutiva.
Nel diritto sostanziale si rammenta l’art. 2734 c.c. in merito alla non
contestazione della verità dei fatti o delle circostanze aggiunte alla
confessione, nel qual caso le dichiarazioni aggiunte alla confessione
fanno piena prova nella loro integrità se la controparte non contesta la
verità dei fatti o delle circostanze aggiunte
8
.
essere più frequente l’applicazione in tal senso a favore del lavoratore anziché del datore di
lavoro; CARRATTA, op. cit., 369.
8
Sul punto CARRATTA, op. cit., 355, secondo cui “la norma contenuta nell’art. 2734, sia
per la sua presenza all’interno della disciplina sull’istituto confessorio, sia per la sua
specifica formulazione, si presenta con le caratteristiche di una norma eccezionale, non
suscettibile di essere estesa al di fuori dei richiami espressi”.
9
Dalla sintetica elencazione delle disposizioni di cui sopra, emerge che
queste ultime sono tutte accomunate dal fatto che il legislatore
richiede alla parte costituita di non rimanere in silenzio di fronte a
quanto affermato dall’avversario, ma piuttosto di attivarsi, elevando le
proprie contestazioni.
Sul piano sistematico, e dunque sul fondamento del principio in
parola, è stata a lungo prevalente la tesi secondo cui “i
comportamenti processuali relativi alla non contestazione di
determinati fatti rappresentino manifestazione diretta del principio
dispositivo”
9
, regolato dall’art. 115 c.p.c. ed a mente del quale le
parti detengono il monopolio della gestione processuale dei diritti
sostanziali, così determinando, con effetti vincolanti per il giudice, sia
il thema probandum che il thema decidendum, e scegliendo quali, tra i
fatti allegati, siano bisognosi di prova.
Di converso, la più autorevole dottrina, ha ritenuto che la non
contestazione costituirebbe un “problema di mera tecnica
Nell’ambito dei sub procedimenti probatori si ricordano altresì l’art. 215 c.p.c. in ordine al
riconoscimento tacito della scrittura privata, in cui la non contestazione della stessa è
utilizzata dal legislatore come espediente per evitare il giudizio incidentale di verificazione
della sottoscrizione; l’art. 2712 c.c. in merito alla non contestazione della conformità della
riproduzione meccanica all’originale, ottenendo così piena prova dei fatti e delle cose
contestate.
9
Così DEL CORE, op. cit. 4; vedi anche VERDE, voce Prova – Teoria generale e diritto
processuale civile, in Enc. Dir.., XXXVII, 1988, 616.
10
processuale, che ciascun ordinamento può risolvere a propria
discrezione”
10
In particolare, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, la
non contestazione costituirebbe un atto di non allegazione di fatti
contrari a quelli allegati dall’avversario, il cui fondamento è dato dal
principio di autoresponsabilità che governa l’attività e la non attività
delle parti nel processo
11
.
In altre parole, secondo questa tesi, la non contestazione del fatto da
parte di chi ha l’interesse di contestarlo determina l’automatica
equiparazione della non contestazione all’ammissione del fatto stesso.
La diversa configurazione della non contestazione sul piano
sistematico, o in termini di espressione del principio dispositivo
ovvero del principio di autoresponsabilità delle parti nel processo,
produce non poche differenze in merito alla sua operatività pratica.
Appare opportuno in questa sede evidenziare le prime e più
macroscopiche differenze che discenderebbero da queste due
differenti impostazioni sistematiche, rimandando al secondo capitolo
della presente trattazione per una più approfondita analisi sul punto.
10
Così DEL CORE, op. cit., 139.
11
Così CARRATTA, op. cit., 330; MORTARA, Commentario del codice civile e delle
leggi di procedura civile, III, Milano, 1905, 568.