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gusto”, completata con interviste al Dipartimento Educazione e Formazione del
Comune di Reggio Emilia e l’analisi della Legge Regionale dell’Emilia Romagna
n.29/2002.
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CAPITOLO 1 I PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI TIPICI DELLE
PROVINCE DI MODENA, REGGIO EMILIA E PARMA
1.1 Regolamentazione del prodotto tipico
Il prodotto tipico, in questi ultimi anni, sta assumendo sempre maggior rilevanza sul
mercato in quanto i consumatori ricercano sempre più nel prodotto le garanzie di
salubrità, igienicità, tutela della salute e dell’ambiente.
Per definire che cos’è il tipico ci si può rifare alla letteratura: “…un prodotto si può
considerare tipico, quando in esso si realizza la concomitanza di alcuni fattori, che sono
riconducibili alla loro cosiddetta memoria storica, alla localizzazione geografica delle
aree di produzione, alla qualità della materia prima impiegata nella loro produzione, ed
alle relative tecniche di preparazione”
1
. La memoria storica di un prodotto riguarda tutte
le tradizioni collegate al prodotto stesso. Ciò implica inevitabilmente una presenza
antica di tale prodotto in un territorio circoscritto, dove le condizioni ambientali
specifiche di un luogo geografico lo caratterizzano e lo rendono unico. La materia prima
è considerata di qualità proprio grazie alla lunga tradizione tramandata negli anni.
L’ultimo elemento che reca tipicità ad un prodotto è la tecnica di preparazione, che
assume poca importanza per i prodotti non trasformati e molta per quelli trasformati.
Quando si parla di tecniche di preparazione, ci si riferisce all’esperienza degli artigiani,
agli strumenti utilizzati, ai tempi scelti per la preparazione, mezzi e metodologie
anch’esse tramandate con una memoria storica.
Detto questo, bisogna poi sapere da cosa sia stabilita la caratterizzazione dei prodotti
tipici e quindi fare riferimento alla loro regolamentazione giuridica.
Esiste dunque una denominazione di tipicità regolamentata, in altre parole un marchio
identificativo dei prodotti tipici, che ha come scopo la salvaguardia dei produttori e dei
consumatori. Per tutti i prodotti alimentari tipici, riuscire ad ottenere un marchio di
qualità, significa rispondere a canoni specifici richiesti dal disciplinare. Se ciò non
avviene, il prodotto non può fregiarsi del marchio comunitario d’origine.
1
Giardiello A., 1995
2
Il marchio comunitario d’origine è disciplinato dal Regolamento CE n. 2081/92
2
che
tutela le produzioni tipiche locali di qualità con un marchio nazionale. Il Regolamento
riconosce i requisiti qualitativi per i quali un prodotto può adottare il nome originario
anche se ottenuto da altri Paesi e con procedimenti diversi. Tale apertura, però, rende
possibili imitazioni e vendite con denominazioni originarie di produzioni tipiche
italiane. Il produttore tradizionale può conservare una certa priorità solo con le
Denominazioni d’Origine (DOP, IGP):
a- Il marchio DOP Denominazione di Origine Protetta
designa un prodotto agricolo o alimentare, le cui qualità o caratteristiche sono dovute
essenzialmente od esclusivamente all’ambiente geografico, comprensivo dei fattori
naturali, umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area
geografica delimitata.
La DOP, in sostanza, si applica a produzioni il cui intero ciclo produttivo, dalla
produzione della materia prima al prodotto finito, è svolto all’interno di un’area
geografica ben delimitata e quindi, date le condizioni produttive, non riproducibile al di
fuori di questa area.
2
vedi regolamento in appendice
Il marchio DOP, come il marchio
IGP, sui prodotti è rappresentato da
un logo blu e giallo con i solchi di
un campo arato al centro di un sole
circondato dalle 12 stelle
dell’Unione Europea.
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b- Il marchio IGP Indicazione Geografica Protetta
designa un prodotto agricolo o alimentare di cui la
qualità, reputazione od altra caratteristica, possa
essere attribuita all’origine geografica e la cui
produzione, trasformazione, elaborazione
avvengano nell’area geografica determinata.
La differenza sostanziale tra DOP e IGP sta nel fatto che nel primo caso si riconosce
l’importanza fondamentale dell’origine della materia prima, mentre nel secondo caso si
riconosce soprattutto il valore della componente umana, della tradizione e
dell’evoluzione caratteristica di un processo di trasformazione e di elaborazione.
A differenza della DOP quindi, la IGP non richiede necessariamente la produzione in
loco della materia prima, purché questa consenta di ottenere un prodotto corrispondente
e conforme ai requisiti imposti dal disciplinare di produzione.
Il disciplinare permettere di verificare se le condizioni per la registrazione del marchio
sono rispettate e rappresenta il codice di autodisciplina al quale tutti i produttori si
devono attenere per poter utilizzare la denominazione.
L’Unione Europea negli anni ha continuato ad occuparsi di regolamentazione del settore
agro-alimentare, e nel Gennaio 2000, anche a seguito delle gravi emergenze
determinatesi con la “mucca pazza”, ha approvato il Libro Bianco per lo sviluppo di una
politica comunitaria sulla sicurezza alimentare in Europa. Il documento contiene
importanti novità al fine di garantire il grado più elevato possibile di tutela per i
consumatori. Tra le novità, introdotte dal Regolamento CE n.178/2002, spicca la
costituzione dell’Agenzia Alimentare Europea, indipendente per la sicurezza alimentare.
L’Unione Europea, il 13 dicembre 2003 ha scelto Parma come sede dell'European food
authorithy (Efa). La Food Valley italiana diventerà la capitale europea
dell'alimentazione.
4
Obiettivo dell'Agenzia alimentare è quello di creare un organismo indipendente, capace
di presentare al legislatore Ue pareri scientifici credibili, frutto delle informazioni più
attuali, in continuo confronto con i centri scientifici europei ed internazionali.
Un organismo in grado di diventare mediatore in caso di dissensi tra Stati o istituzioni,
di allertare e informare i cittadini, di prevenire crisi alimentari e di controllare le reti di
monitoraggio e sorveglianza della salute pubblica per l’intera area dell’Unione Europea.
L'Agenzia metterà a punto strategie per la sicurezza alimentare spesso minacciata, come
ci ricordano i problemi recenti legati all'emergenza della cosiddetta "mucca pazza" o dei
"polli alla diossina", per non parlare delle problematiche relative all'approccio con i
prodotti transgenici.
L’Agenzia europea di Parma sarà dotata anche delle competenze sulla qualità dei
prodotti biologici.
In questo quadro normativo occorre mettere in evidenza la scelta dello strumento della
rintracciabilità della filiera agroalimentare, destinato ad assicurare oltre a standard di
sicurezza alimentare, anche la differenziazione dell’offerta e la valorizzazione della
qualità delle produzioni.
L’obiettivo della normativa UE è l’affermazione delle specifiche richieste del
consumatore sulla sicurezza di filiera. Quindi lo strumento della rintracciabilità di filiera
è chiamato a rendere trasparente il legame con il territorio e dunque l’origine dei
prodotti agricoli ed agroalimentari, in quanto la rintracciabilità è l’identificazione
documentata delle aziende che hanno contribuito alla produzione e
commercializzazione di un prodotto materialmente e singolarmente identificabile.
3
3
Definizione ADICONSUM
5
Grafico 1: La filiera agro-alimentare
LA TRASFORMAZIONE LA DISTRIBUZIONE
fino al consumo sulla tavola del
fonte: COOP
LA FILIERA AGROALIMENTARE
è una catena che partendo dalla
PRODUZIONE
CONSUMATORE
che attraverso
- L’ETICHETTA
- LA RINTRACCIABILITA’
- I COMPORTAMENTI ADEGUATI
IN CUCINA
ricerca
passa per
LA SICUREZZA
ALIMENTARE
6
1.2 Le problematiche e i fattori di successo dei prodotti tipici italiani
La tipicità dei prodotti alimentari è frutto di una costruzione sociale, di un processo di
"negoziazione" tra i vari attori coinvolti.
4
Diviene allora fondamentale indagare le
motivazioni ed i comportamenti assunti da tali attori per capire le modalità con cui
interagiscono nella filiera il consumatore, il produttore e le istituzioni.
5
A- Il Consumatore
II nostro paese da tempo ha raggiunto la fase della sazietà, in cui i bisogni alimentari di
base sono in media soddisfatti e le disponibilità nutritive superano generalmente le
necessità fisiologiche della popolazione, tanto da determinare fenomeni diffusi di sovra-
alimentazione.
In questo contesto il consumo alimentare ha smesso i panni del semplice atto volto a
soddisfare unicamente un bisogno nutrizionale, ma si configura come un'attività
complessa frutto di una scelta dettata da una molteplicità di fattori.
Nei paesi avanzati i consumatori, malgrado siano inseriti in un contesto globale,
manifestano sempre più con convinzione istanze ad un forte connotato individualista.
6
Quanto affermato è tanto più vero per i prodotti tipici, per i quali la natura e la dinamica
del rapporto che si instaura tra il consumatore e gli alimenti coinvolge una molteplicità
di elementi e di condizioni tale da rendere detto rapporto assolutamente differente ed
unico rispetto a quello che sottintende l'acquisto dei prodotti indifferenziati di massa.
7
In dettaglio, la scelta di consumare prodotti tipici rispecchia il bisogno da parte del
consumatore moderno di soddisfare due esigenze principali:
1. attenzione agli equilibri socio-ambientali;
2. ricerca del benessere soggettivo.
La prima tendenza si riconduce ad una dimensione solidaristica che il consumatore
esprime perseguendo, attraverso l'alimentazione, la tutela delle risorse materiali ed
umane e la lotta al degrado ambientale.
4
Eymard Duvemay F., 1993
5
Rossi A., Rovai M., 1999
6
Vastola, Covino D., 1999
7
Endrighi E., 1999
7
I prodotti tipici rispondono pienamente a questa tendenza perché nella maggior parte dei
casi essendo frutto di sistemi produttivi tradizionali consentono l'instaurazione di
relazioni positive con l'ambiente e contribuiscono in maniera significativa a tramandare
un patrimonio storico culturale di cui la nostra penisola è estremamente ricca.
La seconda tendenza si riconduce alla crescente attenzione che i consumatori
manifestano riguardo gli aspetti materiali ed immateriali della propria soggettività.
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Il primo aspetto origina dalla constatazione che la "dieta mediterranea" risulta essere
decisamente preferibile al modello di consumo occidentale, soprattutto per l'azione di
prevenzione svolta nei confronti dell'insorgenza delle cosiddette "malattie del
benessere" (obesità, cardiopatie, ecc.).
La conseguenza prima di questo atteggiamento si manifesta nella crescente richiesta di
prodotti realizzati nel rispetto delle tradizioni e a forte immagine salutistica quali,
appunto, i prodotti tipici italiani. Il secondo aspetto, diversamente, riflette il bisogno
dell'individuo di realizzare attraverso il consumo alimentare un desiderio di
identificazione ed aspirazione personale.
9
In questo caso prevale l'aspetto sensoriale e gustativo, si mira quindi a ricercare
l'esaltazione del gusto e dell'aspetto estetico dei cibi.
Questa tendenza edonistica è ampiamente soddisfatta dalle caratteristiche organolettiche
superiori dei prodotti tipici e dalla loro capacità di ravvicinare il consumatore alla
tradizione gastronomica italiana ed ai valori di serenità e genuinità evocati dal mondo
rurale.
B- Il Produttore
La qualificazione e la valorizzazione dei prodotti tipici riveste un ruolo strategico nel
miglioramento della competitività del settore agro-alimentare italiano ed in particolar
modo meridionale. Infatti in questa epoca di forte globalizzazione, la differenziazione e
la qualità che caratterizzano le produzioni tipiche possono fungere da volano per
rilanciare l’economia delle piccole e medie imprese nazionali.
8
Belletti G., Marescotti A., 1995
9
Arfini E., 1999
8
La riduzione dell’asimmetria informativa esistente tra aziende produttrici e cliente
consumatore rappresenta un passaggio obbligato per la valorizzazione delle produzioni
tipiche locali. Soltanto un consumatore informato è in grado di comprendere e percepire
quella serie di elementi extra produttivi che sono alla base del processo generante
plusvalore che caratterizza i prodotti tipici.
Una politica commerciale con questi caratteri presenterebbe almeno due grandi
vantaggi: favorirebbe un processo di delocalizzazione delle produzioni e faciliterebbe,
attraverso l’informazione, la costituzione di un’importante barriera all’entrata di tipo
“sunk cost”.
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Accanto a queste strategie non propriamente economiche occorre affiancare iniziative
che mirino a migliorare l’efficienza e l’economicità delle imprese produttrici di prodotti
tipici. A questo riguardo una strada percorribile sembra quella dell’associazionismo
cooperativo
11
.
Oggi i consorzi hanno funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione e di cura
generale degli interessi relativi alle denominazioni. Ai consorzi è attribuita la facoltà di
controllo del rispetto del disciplinare e di adottare programmi di produzione recanti
misure di carattere strutturale e di adeguamento tecnico, quantitativo e qualitativo, allo
scopo di evitare fenomeni di sovrapproduzione e quindi squilibri di carattere
economico.
C- Le istituzioni
Esiste un forte interesse da parte delle istituzioni alla promozione dei prodotti tipici.
Tale interesse discende, da una parte, dal ruolo che tali produzioni possono giocare nelle
rilancio delle piccole e medie imprese agro-alimentari italiane, dall’altra si riconduce
all’intimità che lega tali alimenti al territorio di origine.
12
Il binomio prodotto tipico e turismo è sempre più vincente, con ampie possibilità di
crescita e di sviluppo, in grado di valorizzare allo stesso tempo sia l’enorme patrimonio
10
Bureau J.C., Marette S.S., Schiavina A., 1998
11
Quaglia C., 1995
12
Carboni R. 1999
9
enogastronomico del nostro Paese che le realtà delle aree rurali.
13
L’Italia vanta 136 denominazioni protette DOP e IGP registrate a livello comunitario
sulle 580 totali riconosciute in Europa, seconda solo alla Francia. In Emilia-Romagna i
prodotti tipici certificati, sono ben 23, il numero più alto fra tutte le regioni d’Italia. Tra
i più conosciuti e apprezzati in tutto il mondo vi sono alcuni prodotti tipici trasformati
delle Province di Modena, Reggio Emilia e Parma. Di seguito vado ad elencarne alcuni
con le caratteristiche peculiari di prodotto e loro tutela.
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Trevisan G., 2000
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1.3 Prosciutto di Parma DOP e Prosciutto di Modena DOP
L’origine della materia prima, l’allevamento e la macellazione sono identiche per i due
prosciutti DOP.
PRESCRIZIONI PRODUTTIVE
Le cosce suine fresche devono essere ottenute da suini nati, allevati e macellati in una
delle seguenti regioni: Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Veneto, Lombardia,
Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio; devono essere
esclusivamente di razza Large White, Landrace e Duroc, alimentate con cibi di qualità
(granoturco, orzo, siero derivato dalla produzione del Parmigiano).
ALLEVAMENTO
Per la rintracciabilità di filiera gli allevatori devono essere ricompresi nel circuito della
produzione tutelata. L’allevatore riconosciuto appone su ogni suino, entro il
quarantacinquesimo giorno dalla nascita, un timbro indelebile recante il proprio codice
di identificazione.
MACELLAZIONE
Raggiunta l’età di almeno 9 mesi si procede alla macellazione e alla trasformazione in
prosciutto. Sulle cosce fresche, destinate alla preparazione del prosciutto, il macellatore
appone il suo timbro indelebile, impresso a fuoco sulla cotenna.
11
1.3.1 Il Prosciutto di Parma DOP
LA STORIA
Duemila anni di storia
testimoniano il successo
del Prosciutto di Parma
14
:
Marco Terenzio Varrone,
nel I secolo a.C.,
presentava gli abitanti
della Gallia padana, nel
suo “De rustica”, come
grandi esperti nella
lavorazione delle carni
suine, tanto che esportavano a Roma sia i prosciutti che interi quarti di maiale.
Anche negli scritti degli storici Polibio, Strabone e Catone il Censore si trova conferma
di questa voce. Un'epigrafe che si trova nei Musei Capitolini recita nel menù del giorno
oltre a pullum (pollo) e piscem (pesce) anche perna (prosciutto).
I Longobardi erano grossi consumatori di carne di maiale selvatico che veniva salata e
trasformata in prosciutti, lardo ed insaccati.
Quelli stanziati nella pianura padana erano agevolati nel reperimento del sale perché
potevano estrarlo dalle sorgenti saline come quelle di Salsomaggiore, vicino Parma.
Qui, nelle particolari condizioni ambientali, naturali ed umane che caratterizzano la
zona, trova le sue origine storiche il Prosciutto di Parma, la cui fama si è poi diffusa in
tutta Italia e nel mondo.
ZONA DI PRODUZIONE
La zona tipica di produzione comprende il territorio della provincia di Parma, a non
meno di 5 chilometri a sud della via Emilia, fino a un’altitudine non superiore a 900
metri, delimitato a est dal corso del fiume Enza e a ovest dal torrente Stirone.
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Riferimenti normativi: Registrazione Europea con regolamento CE n. 1107/96 pubblicato sulla GUCE
L. 148/96 del 21 giugno; Riconoscimento nazionale con L. 13 febbraio 1990 n. 26 pubblicato sulla GURI
l. 42/90; Incarico di Vigilanza: DM. 12 aprile 1994 pubblicato sulla GURI n.102 del 4 maggio 1994
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FASI DELLA LAVORAZIONE
Dopo la macellazione, la coscia viene isolata dalla mezzena e messa in cella a 0°C per
24 ore. Le cosce impiegate per la produzione del Prosciutto di Parma non devono
subire, tranne la refrigerazione, alcun trattamento di conservazione.
Segue la rifilatura, con l’asportazione del grasso e della cotenna della zona mediale per
favorire la salagione e conferire la forma tipica a coscia di pollo, con una perdita del
24% del peso.
Grafico 2: Alcune fasi della lavorazione del Prosciutto di Parma DOP
RIFILATURA
SALAGIONE
RIPOSO
LAVATURA
PRE-STAGIONATURA
NELLE SCALERE
SUGNATURA
Durata: 20-25 giorni
Durata: 2-3 mesi
Favorisce la distribuzione
e la penetrazione del sale.
In stanzoni con finestre
contrapposte
Per ammorbidire gli
strati superficiali
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Al settimo mese inizia la vera stagionatura con il trasferimento del prosciutto in locali
più freschi e meno ventilati; durante il passaggio si effettuano anche le operazioni di
“spillatura” (esame di tipo olfattivo). Con la "spillatura", un ispettore darà il verdetto.
Viene verificata la maturità e qualità del prosciutto con un ago d'osso in 5 precisi punti.
Solo se passa il difficile test, al dodicesimo mese, meriterà il marchio a fuoco della
“Corona Ducale a 5 punte”, rispettando i requisiti del disciplinare di produzione.
Il prodotto finale deve aggirarsi tra gli 8 e i 10 chili e comunque non può mai pesare
meno di 7 chili.
Una volta affettato il prosciutto presenta un bel colore rosa intenso, e un bordo di grasso
bianco. Il profumo è dolce e delicato.
CONTROLLI E ISPEZIONI
Durante le fasi della lavorazione, gli incaricati dell’Istituto Parma Qualità possono
operare controlli ed ispezioni sia per effettuare verifiche ed esami sulle carni, sia per
accertare la regolarità della tenuta dei registri e di ogni altra documentazione, sia per
constatare che le modalità di lavorazione corrispondano alle prescrizioni della legge e
del presente regolamento.
Il veterinario ufficiale incaricato della vigilanza sanitaria mette a disposizione
dell’organismo abilitato, su richiesta dello stesso, tutti gli atti d’ufficio ritenuti necessari
per controllare il regolare svolgimento delle operazioni e l’osservanza delle prescrizioni
previste dalla legge e dal regolamento.
Questo contrassegno è l’ultimo di una serie
che garantisce l’avvenuto controllo in ogni
fase, riportando anche il codice
identificativo delle imprese che hanno
preso parte all’intero ciclo di lavorazione.