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I. Introduzione
1.1 motivazione
Ho avuto la prima esperienza d’imparare una lingua straniera a tredici anni,
durante l’estate prima della scuola media. Da allora imparare una lingua
straniera è sempre una passione per me. In sei anni di media inferiore e
superiore, l’inglese restava la mia materia preferita, anche la materia in cui ho
sempre avuto più risultati migliori. Così ho scelto di fare inglese all’università,
dove cominciavo ad appassionarmi alla linguistica, soprattutto alla fonetica e
fonologia, e dove ho iniziato una seconda lingua straniera— il francese. Mi
chiedevo spesso come mai i miei compagni di classe all’Alliance Française
continuavano a usare gli stessi suoni inglesi nella pronuncia del francese, anche se
ciò non significa necessariamente che avevano una buona padronanza della lingua
inglese. Dopo la laurea, ho insegnato inglese per quattro anni in una scuola
media. La conoscenza della fonetica mi è stata di grande aiuto per correggere la
pronuncia dei miei allievi. Più lavoro con la lingua, più trovo che una buona
pronuncia dia una bella impressione appena apri la bocca, e come essa ti aiuta ad
aver più fiducia in te stesso. Quando finalmente ho deciso di studiare in Italia,
ho cominciato a imparare la mia terza lingua straniera (oltre al mandarino). La
stessa domanda mi girava in mente— perché i miei compagni di corso italiano
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(molti si sono laureati in francese, oppure hanno una buona conoscenza della
lingua inglese perché lavorano in aziende import-export internazionali)
trasferiscono, inconsapevolmente, le loro abitudini di pronuncia della lingua già
acquisita nell’apprendimento di una nuova lingua? È vero che in italiano, certi
suoni sono difficili per un cinese, come la r. Però anche se finora il mio tentativo
di pronunciarla bene è fallito, non userei la r inglese o francese nella pronuncia
italiana perché so che sto parlando italiano, non inglese o francese.
Dai miei quattro anni d’insegnamento d’inglese, mi rendo conto che è
indispensabile per un insegnante di lingua poter cogliere le varie pronunce
approssimative degli studenti. In questo modo può aiutarli ad accorgersi dei loro
problemi, e riuscire a migliorarne la pronuncia. A Taiwan, l’insegnamento
dell’italiano è ancora nella fase iniziale. A differenza delle lingue vicine come il
giapponese o coreano, o di quelle occidentali come l’inglese, il francese, lo
spagnolo e il tedesco, non esistono tante istituzioni dove s’impara l’italiano.
Però con la moda della cucina italiana, del caffè, cinema e cultura italiana, anche
con l’aumento del turismo in Italia, l’italiano sta diventando una lingua popolare
presso i borghesi, e anche per i giovani. Dato che da pochi anni è obbligatorio
l’insegnamento della lingua inglese nella scuola elementare, è inevitabile che gli
apprendenti dell’italiano, quando iniziano a impararlo, abbiano, oltre la
madrelingua cinese, una conoscenza non irrilevante dell’inglese. Il compito
dell’insegnante italiano non sarà più semplicemente di offrire un buon modello
della pronuncia italiana, ma anche di diagnosticare le difficoltà e interferenze
dovute sia alla prima lingua, sia alle altre lingue apprese precedentemente. Di
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conseguenza, vorrei approfondire quali sono i problemi fonici dei cinesi che
apprendono l’italiano, e quali saranno i rimedi per risolvere questi problemi.
1.2 metodo
Per inquadrare meglio i problemi fonici dei cinesi nell’apprendimento
d’italiano, ho effettuato una registrazione con cinque taiwanesi che risiedono a
Venezia per individuare i problemi della loro produzione. Le cinque informatrici
sono tutte parlanti del mandarino e provengono da diverse città di Taiwan: Taipei
(nord di Taiwan), Yilan (nord-est dell’isola), Taoyuan (nord-ovest), Taizhong
(centro di Taiwan) e Tainan (sud-ovest). Quella di Yilan è l’unica che si serve
spesso del dialetto min nella vita quotidiana. Occorre accennare che a Taiwan, in
linea di massima, si parla più dialetto a sud che a nord. Molti meridionali
dialettofoni che superano una certà età non hanno nemmeno una capacità passiva
del mandarino. Ciò non perché sono analfabetici e non abbiano mai frequentato
la scuola, ma perché quando andavano a scuola, imparavano solo il giapponese.
A Taipei, il centro economico e culturale, il mandarino è frequentemente usato
oltre al min. Invece Yilan, nonostante la sua collocazione settentrionale, è un
paese dove si parla più il min e soprattutto, un tipo di min con accento diverso da
tutti gli altri posti di Taiwan. È logico pensare che dove si utilizza più il dialetto
ci s’aspetti una pronuncia più marcata del mandarino. Allora la mia indagine
non riguarda solo i problemi universali dei sinofoni (parlanti mandarino) che
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imparano l’italiano, ma anche i problemi condizionati dal primo dialetto, che
reagisce sulla pronuncia mandarina. Di conseguenza, il testo della registrazione
comprende una parte in cinese, un’altra in italiano. La parte in cinese serve
come un riscontro. Lo scopo principale è di vedere come la pronuncia marcara
del cinese mandarino potrebbe influire sulla pronuncia italiana, dato che a Taiwan
molti dialettofoni hanno non pochi problemi nella pronuncia del mandarino.
Poi ho sommistrato un questionario a 14 taiwanesi e 5 cinesi residenti in
Italia da diversi anni. Otto di questi taiwanesi sono donne sposate con italiani e
hanno già la cittadinanza italiana. Gli altri taiwanesi lavorano o studiano nel
Veneto. Tranne uno che studia a Siena, gli altri 13 fanno parte di
un’associazione taiwanese del Veneto che raccoglie, oltre le donne sposate, tutti i
taiwanesi d’oltremare che risiedono nel Veneto per motivi o di studio o di lavoro.
Per non complicare il quadro, tutti e cinque i cinesi da me intervistati sono anche
parlanti mandarino, però hanno in comune come primo dialetto il wu. Il
questionario che ho ideato riguarda i suoni italiani difficili nella percezione per i
sinofoni. Sulla base degli errori commessi dagli intervistati, ho calcolato la
percentuale degli sbagli per questi 19 sinofoni. Confrontando gli esiti della
registrazione con quelli del questionario, si avrà un’idea generale delle difficoltà.
Dai risultati ottenuti si potrà procedere a un approccio per la didattica della
pronuncia italiana.
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1.3 procedure
Per poter capire meglio le fonti di difficoltà che sorgono presso i sinofoni, la
mia ricerca comincia con un’analisi comparativa della fonetica e fonologia fra
l’italiano e il cinese. Nel secondo capitolo presenterò la lingua cinese. §2.1
concerne piuttosto l’informazione storica della lingua: dalla classificazione dei
suoi gruppi dialettali, parlerò delle sue denominazioni e della sua periodizzazione
per arrivare alla lingua in questione— il cinese mandarino moderno. §2.2 è il
perno del capitolo in cui presenterò la fonetica e fonologia cinese. Comincerò
con la nozione di sillaba e le strutture sillabiche in cinese. Dalle particolarità che
caratterizzano le sillabe cinesi, accennerò alle lacune sillabiche e al trattamento
dei termini stranieri in cinese. Tutto ciò è strettamente collegato con §2.2.3, che
riguarda le restrizioni fonologiche. Data la chiusura del sistema fonologico
cinese, gli elementi stranieri vengono adattati e resi cinesi tramite qualche
modifica. Dopo di che saranno presentati i fonemi cinesi. Sarà presentato un
tipo di suffisso -r che provoca mutamento fonico nel parlato. Parlando della
fonetica cinese, non si possono tralasciare i toni, un aspetto fondamentale della
lingua. L’esistenza dei toni in cinese non costituisce maggior ostacolo
nell’apprendimento della lingua straniera, ma è un tratto significativo senza il
quale un discorso sulla fonetica e fonologia cinese non sarebbe completo.
Dopo essersi fatti un’idea dell’inventario dei foni cinesi adoperando un
approccio più scientifico, parlerò dei sistemi della traslitterazione del cinese. Il
pīnyīn è quello ufficialmente riconosciuto nel mondo. Però a Taiwan per
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trascrivere i nomi di persone o i toponimi in alfabeto grafemico, si preferisce il
Wade-Giles. A parte i due sistemi della romanizzazione del cinese, si adopera
anche il zhùy īn fúhào a Taiwan, i simboli fonetici che tutti imparano da bambini,
anche prima di cominciare la scuola elementare. La presentazione del pinyin e
zhuyin fuhao porterà a una trattazione più tradizionale della fonetica cinese, in cui
i suoni sono classificati o come iniziali o come finali. Visto che il pinyin rimane
il sistema più utilizzato nel mondo occidentale, mi soffermerò sul Progetto intero
per la trascrizione della lingua cinese. L’ultima sezione del secondo capitolo
discuterà la pronuncia marcata del mandarino nell’isola di Formosa. La sezione
inizia con l’introduzione della situazione linguistica a Taiwan. Noto anche dal
nome Formosa, non tutti gli occidentali capiscono bene la realtà linguistica
sull’isola. Da una presentazione della storia taiwanese, dei suoi rapporti con la
Cina e col mondo occidentale, si capiscono le diversità etniche dei popoli, anche
le diversità degli idiomi. Da qui procederò a discutere la pronuncia divergente
del mandarino a Taiwan. In tutto il secondo capitolo tratterò piuttosto la lingua
standard come riferimento, con rilievo su Taiwan, anche se il mandarino parlato a
Taiwan non viene considerato standard. Poi visto che il min meridionale è il
dialetto che conosco meglio e che si presenta come la parlata più usata a Taiwan,
m’interessa limitarmi a vedere se sull’isola la pronuncia del cinese colorita dal
min influisca anche sull’apprendimento della lingua italiana.
Il terzo capitolo comincerà con una presentazione breve della fonetica e
fonologia italiana. Parlerò innanzitutto del vocalismo e consonantismo italiano.
Dopo di che commenterò i suoni italiani inesistenti nella mia lingua. Questi
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suoni sono fondamentali e servono come base per il mio questionario. Visto che
nel secondo capitolo vengono presentate le strutture sillabiche cinesi, discuterò
anche le sillabe italiane e il trattamento dei prestiti stranieri in italiano. Dagli
studi contrastivi delle due lingue, si capisce come il cinese diverge dall’italiano, e
come l’apprendimento della lingua italiana sarà vincolato da queste differenze.
La parte comparativa delle due lingue si conclude con il cenno sulla lunghezza
consonantica, una caratteristica assente non solo in cinese, ma anche in tante altre
lingue. Terminata la ricerca contrastiva, dedicherò la seconda parte del capitolo
alla diagnosi del questionario. Analizzerò i risultati del questionario che ho
effettuato per trovare i suoni difficili per un sinofono percettivamente. Si tratta
di un test per vedere come i cinesi percepiscono certi suoni italiani, sia simili che
nuovi. Il questionario comprende quattro parti: la prima sulla distinzione del
vibrante r e del laterale l; la seconda ha a che fare con gli occlusivi sonori e
non-sonori; la terza sulla quantità consonantica, e la quarta sui due nasali
alveolare e palatale.
Successivamente nel quarto capitolo presenterò la diagnosi della
registrazione. Non procederò subito all’analisi della registrazione; anzi,
comincerò con delle teorie sull’acquisizione linguistica, sia della prima lingua che
della seconda. Così dalla nozione del transfert linguistico, discuterò
l’acquisizione della fonologia nell’apprendimento d’una lingua straniera.
Avendo il quadro generale di come si acquisisce una seconda lingua, saranno
presentati gli esiti della registrazione. Cinque informatrici hanno contribuito ai
miei dati, che forniscono un modello di come parlano l’italiano i taiwanesi. I
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risultati ottenuti precedentemente sulle difficoltà percettive si paragonano con i
risultati sulle difficoltà produttive, così si confermano i vari problemi che si
presentano a tutti gli apprendenti cinesi della lingua italiana. Inoltre visto che
l’inglese è estensivamente insegnato a tutti i livelli (anche alla scuola materna,
soprattutto a Taipei che vanta numerosi “bilingual kindergarten”), mi soffermerò
anche sull’influenza di questa lingua, non solo sull’italiano, ma anche sul cinese.
Si saprà che i problemi fonici produttivi non sono dovuti semplicemente al
transfert lingusitico della madrelingua, ma anche all’interferenza dell’inglese
americano.
Dopo queste analisi, arriverò al quinto capitolo, dove suggerirò delle
strategie per la didattica della pronuncia italiana. Queste strategie sono il frutto
della mia formazione fonetica precedente, anche delle mie esperienze personali in
qualità d’insegnante, e anche di apprendente di lingue straniere. La didattica
riguarda non solo gli aspetti segmentali, cioè, i fonemi vocalici e consonantici, ma
anche quelli soprasegmentali, ovvero, prosodici. Parlerò dell’insegnamento
dell’intonazione, che ritengo importante per conquistare una buona pronuncia
italiana. Nell’ultimo capitolo concluderò coi risultati delle mie ricerche.
1.4 soggetti delle mie ricerche
I soggetti delle mie indagini sono apprendenti adulti della lingua italiana.
Vorrei sottolineare che la mia tesi tratta esclusivamente degli adulti (cinesi o
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taiwanesi) che apprendono l’italiano sia per motivi pratici (per lavoro, per
matrimonio, o semplicemente per piacere), sia per motivi più seri e accademici
(per studio). Il risultato delle mie ricerche sarà applicabile solo agli apprendenti
adulti. La ragione per cui è indispensabile limitarmi solo agli apprendenti adulti
è che, molti dei miei soggetti taiwanesi dai matrimoni internazionali hanno figli
che sono nati in Italia e frequentano scuole italiane. Nonostante la loro origine
per metà cinese, questi figli che sono nati e crescono in ambiente bilingue (cinese
e italiano) sono più italiani che cinesi e parlano decisamente meglio l’italiano.
Anche se conoscono la lingua cinese e possono servirsi del cinese per comunicare
con i loro parenti taiwanesi dalla parte materna, questi bambini non affrontano le
difficoltà che si presentano alle loro mamme. Non discuterò neppure dei figli
degli immigrati cinesi. Anche se, appena trasferiti in Italia, questi bambini
incontrano all’inizio non pochi problemi, spesso riescono a superare gli ostacoli
più velocemente dei loro genitori. Di conseguenza, le mie ricerche s’imperniano
solo sugli adulti, che cominciano a imparare l’italiano perché vogliono studiare o
lavorare in Italia, o perché sono donne sposate con italiani.