I
Introduzione
Quando ho scelto di iscrivermi al corso di laurea in Infermieristica non avevo
ben chiaro il percorso di studio che avrei dovuto affrontare né quale sarebbe stato
il tempo da dedicare e le rinunce ad esso collegate.
Le esperienze di questi intensi tre anni di lavoro mi hanno portato a concentrare la
mia attenzione sulla centralità dell’assistenza alla Persona, talvolta ignorata a
vantaggio di altre attività che poco hanno a che fare con la vera Assistenza ai
bisogni della Persona; in questi ultimi anni, complice la carenza di personale
infermieristico, le figure di supporto (ausiliari socio sanitari specializzati A.S.S.S.,
operatori tecnici dell’assistenza O.T.A., operatori socio sanitari O.S.S., etc.) hanno
tentato di aprirsi un varco con lo scopo di impadronirsi velatamente di alcune
attività proprie dell’Infermiere; quanto accade oggi, credo che debba far riflettere
gli Infermieri di oggi e del domani su come intendano seguire, confermare e
sviluppare concretamente i principi di base e le Teorie della Professione.
Come studente Infermiere, ho avuto la possibilità di sviluppare una spiccata
sensibilità di captazione e di osservazione maturata durante il tirocinio nelle varie
Unità operative. Questo è stato possibile grazie al “punto di osservazione
privilegiato” dello studente che ha reso evidenti anche gli “errori” e le “omissioni”
che si compiono sul campo, l’interazione tra i diversi ruoli, i comportamenti dei vari
professionisti.
Questo progetto di ricerca è quindi maturato nell’ultimo anno di corso, anche in
seguito alla proficua esperienza di tirocinio nel reparto di Rianimazione dell’Aurelia
Hospital di Roma, dove ho potuto comprendere quanto - all’Infermiere che lavora
in questo ambito - s ia richiesta la capacità di rispondere con competenza e
tempestività a situazioni spesso imprevedibili.
In questi ultimi anni si è incrementato il ricorso alla sistemazione in posizione
prona dei pazienti con insufficienza respiratoria nei reparti di terapia intensiva e di
rianimazione.
Un numero crescente di studi clinci evidenzia un miglioramento dell’ossigenazione
arteriosa in posizione prona; in particolare si è registrato che la distribuzione delle
densità polmonari si modifica con un miglioramento della compliance toraco-
polmonare e dell’ossigenazione nel 65% dei pazienti rispetto al periodo
antecedente la pronazione. Purtroppo questi effetti non sembrano andare di pari
II
passo con la riduzione della mortalità, ma qualcosa si sta muovendo: l'Istituto di
Anestesia e Rianimazione del Policlinico di Milano (Prof. Luciano Gattinoni) ha
recentemente concluso un nuovo studio che si prefigge di valutare l'effetto di un
protocollo di pronazione prolungata (20 ore giornaliere) in pazienti con ARDS più
grave (sottogruppo in cui era stata dimostrata una tendenza della pronazione a
migliorare la sopravvivenza nello studio precedente).
Benché esista una nutrita letteratura sull’ARDS e sugli effetti della posizione
prona, le evidenze su tecniche e modalità di gestione del paziente in posizione
prona, che si basano prevalentemente sull’esperienza degli operatori, sono
scarse. Ci si chiede ad esempio quale sia il modo migliore di posizionare braccia e
piedi, in modo da evitare lo stiramento delle articolazioni, quali precauzioni
prendere rispetto alla gestione della nutrizione enterale, se vada continuata o
sospesa.
Esiste anche la problematica riguardante i rischi e l’aumento del carico di lavoro
da parte del personale di assistenza che può portare ad una avversione alla
pronazione, perché non è semplice ruotare un paziente critico ed assisterlo
quando è in posizione prona.
Oggi la tecnologia viene ancora una volta in aiuto dell’assistenza infermieristica,
con l’introduzione di presidi automatici (RotoProne
®
o Vollman prone positioner
®
)
che contribuiscono non poco alla diminuzione del carico di lavoro, ma purtroppo
sono macchinari molto costosi.
Quanto detto contrasta concretamente con la politica attuata del nostro Paese,
che sta sempre più razionalizzando la spesa sanitaria.
1
CAPITOLO I
1.1 Il paziente critico e l’organizzazione nel reparto di rianimazione e di
terapia intensiva
Il reparto di area critica, rianimazione e/o terapia intensiva, è l’area
logisticamente definita nell’ambito della struttura sanitaria, con personale
qualificato e attrezzature idonee al monitoraggio e al trattamento, 24 ore su 24, di
pazienti in condizioni critiche.
1
In esso vengono ripristinate le funzioni vitali
(respiratoria, circolatoria, neurologica ecc..) compromesse temporaneamente
dall'insorgenza di una malattia acuta o di un evento traumatico. È orientato verso
la patologia del sopravvissuto, cioè di quel paziente che é scampato alla morte e
che si trova in uno stato di salute critico. L’obiettivo del reparto è sì di curare le
malattie, ma di mantenere principalmente l'organismo in vita mediante l'utilizzo di
manovre, presidi e farmaci intesi a recuperare o supplire a una o più funzioni
d'organo deficitarie, fino al loro parziale o completo recupero. È strettamente
dipendente dal concetto di monitoraggio intensivo delle funzioni vitali; infatti, il
termine terapia intensiva è sinonimo di rianimazione specie nelle culture
nordeuropea e nordamericana.
Il paziente che giunge in un reparto di rianimazione o di terapia intensiva, viene
sistemato nell’unità assegnata, prontamente monitorizzato e assistito
continuativamente. Il paziente cosciente, nella maggior parte dei casi viene sedato
con lo scopo di raggiungere un adeguato comfort, un accettabile controllo del
dolore, per garantire un’adeguata ansiolisi ed amnesia con stabilità emodinamica,
per ridurre il consumo di ossigeno, per facilitare le manovre di nursing e per
adattare il paziente alla ventilazione meccanica.
Una volta sedato, necessita di un’assistenza infermieristica completa con lo scopo
di soddisfare anche alcuni tra i bisogni principali della persona. Circa la metà dei
bisogni di base identificati da Virginia Henderson (1897-1996) - illustre teorica e
rappresentante della professione infermieristica – sono imprenscindibili e trovano
applicazione nel reparto di rianimazione e/o di terapia intensiva:
• respirare normalmente;
1
Marchetti R, Romigi G, Stievano A. Lavorare in area critica. 1ª ed. - parte seconda – cap. 7.6 a cura di
Marchetti R e Onelli A. Roma: Ed. Carocci Faber; 2005. p.139.
2
• alimentarsi in modo adeguato;
• eliminare le sostanze di rifiuto;
• dormire e riposare;
• mantenere la temperatura del corpo ad un livello normale;
• tenere il corpo pulito;
• evitare i pericoli derivanti dall’ambiente.
Il ricovero in un reparto di area critica ha sì lo scopo di mantenere l’organismo in
vita, ma anche e soprattutto aiutare la persona a recuperare la sua indipendenza e
il ritorno a una vita normale.
In questo ambito la mobilizzazione del paziente assume un importante aspetto sia
della gestione clinica sia di quella infermieristica.
In tale contesto l’infermiere di area critica deve:
• essere in grado di allestire le varie linee e apparecchiature di monitoriaggio e
di controllarne il funzionamento;
• essere in grado di rilevare i parametri fisiologici del paziente, sia con sistemi
tradizionali, sia con l’utilizzo delle sofisticate apparecchiature messe a
disposizione;
• avere competenza nella manipolazione delle attrezzatre messe a sua
disposizione, per garantirne un corretto utilizzo e prevenire complicazioni al
paziente;
• essere tempestivo nel rilevare alterazioni fisiologiche del paziente e prendere
subito i dovuti provvedimenti;
• essere in grado di affrontare con calma, determinazione e senza panico le
situazioni di emergenza;
• avere spirito di collaborazione e capacità di lavorare in équipe con tutto il
personale di assistenza, garantendo un gioco di squadra, in cui ognuno ha il
suo ruolo nel fornire la migliore assistenza possibile al paziente;
• essere in grado di utilizzare scrupolose tecniche asettiche nella
manipolazione delle linee di monitoraggio e nell’esecuzione di manovre
invasive, al fine di ridurre l’incidenza di questa complicanza.
2
Per quanto riguarda il modello organizzativo, è il fulcro della riuscita
2
Marchetti R, Romigi G, Stievano A. Lavorare in area critica. 1ª ed. - parte seconda – cap. 7.8 a cura di
Marchetti R e Onelli A. Roma: Ed. Carocci Faber; 2005. p. 142-143.
3
qualitativa dell’assistenza che viene così orientata a interventi mirati,
personalizzati e razionali.
Nella maggior parte dei reparti di area critica la persona viene assistita seguendo il
modello “primary care”, mediante il quale l’infermiera/e assume la responsabilità
della gestione del piano assistenziale di due/tre persone, in base a elementi di
complessità assistenziale o a competenze specifiche dell’infermiera/e; il piano
assistenziale viene così realizzato nelle sue fasi operative dagli infermieri in turno.
Il paziente viene quindi posto al centro della struttura e gli operatori devono
“ruotare” attorno ad esso in stretta connessione tra loro.
Per una efficace realizzazione del piano di assistenza sono indispensabili:
a) la cartella infermieristica come strumento operativo;
b) delle competenze specifiche in termini di metodologia scientifica;
c) un gruppo di lavoro, inteso come modalità organizzativa;
d) la responsabilità sul caso, ovvero il “case manager”.
Relativamente al punto d) sopraindicato, il modello organizzativo del “case
manager” - che non ha ancora ampia applicazione nel nostro Paese - trova origine
in motivazioni di carattere prevalentemente economico; infatti il controllo dei costi
è il principale obiettivo di un modello che, attraverso la figura chiave del
responsabile del caso, offre un contributo determinante all’organizzazione dei
percorsi terapeutici.
La società occidentale ha sviluppato un concetto di salute inteso come assenza di
malattia, di handicap o comunque di limitazione fisico-psichiche; salute quindi
come sinonimo di efficienza, vitalità e produttività.
In tale contesto hanno trovato particolare attenzione e sviluppo le Unità operative
orientate alla cura della malattia grave e tese a spostare sempre più in avanti il
confine tra la vita e la morte. I nuovi traguardi in campo diagnostico e terapeutico
hanno consentito il dilatarsi di situazioni che pongono la società, e soprattutto gli
operatori, di fronte a nuovi confini e quesiti etici.
Fecondazione assistita, eutanasia, accanimento terapeutico sono solo alcune
situazioni nelle quali il dibattito sociale si confronta con valori individuali e collettivi
originati dalle nuove possibilità sull’inizio della vita, sulla sua qualità e sulla sua
fine.
In area critica, inoltre, la declinazione del continuum salute-malattia si sviluppa con
4
un persorso significativamente diverso: la persona in condizioni vitali
critiche/instabili è, per definizione, una persona gravemente malata la cui
assistenza non è finalizzata tanto al recupero della salute, ancorché relativa,
quanto alla stabilizzazione di una situazione si malattia in modo che essa diventi
”gestibile”.
La stabilizzazione della situazione di criticità vitale è un primo ma grande risultato,
senza il quale diventa impossibile allontanare l’exitus e dare speranza alla
persona e ai caregivers una possibile ridefinizione del progetto di vita.
3
Negli ultimi anni, con la razionalizzazione della spesa sanitaria nazionale e quindi
regionale, anche nell’Area critica è sorto il problema di determinare il fabbisogno
infermieristico valutandone conseguentemente i carichi di lavoro.
4
Di conseguenza, sono necessarie ulteriori indagini per verificare il rapporto
costi/benefici. Costi: stress del paziente durante le operazioni di cambio posturale,
dispendio di risorse (numero di persone dello staff addetto alla pronazione e al
monitoraggio del paziente), l’uso dei materiali per eseguire tale procedura.
Benefici: miglioramento dell’ossigenazione e della compliance toraco-polmonare
dei pazienti con ARDS, diminuzione della mortalità.
3
Sasso L, Silvestro A, Rocco G, Tibaldi l, Moggia F. Infermieristica in area critica secondo la metodologia del
problem based learning.1ª ed. Milano: McGraw-Hill: 2005; p. 7.
4
Lucchini A, Chinello V, Lollo V, De Filippis C, et al. Utilizzo dei sistemi di rilevazione NEMS (Nine Equivalent
of Manpower Score) e NAS (Nursing Activities Scores) per determinare il fabbisogno infermieristico in una
terapia intensiva polivalente. Assistenza Infermieristica e Ricerca: 2008; 27, 1, p. 18-26.
5
1.2 La Sindrome da Distress Respiratorio Acuto (A.R.D.S.)
Prima di affrontare le problematiche di nursing nel paziente ventilato
artificialmente in posizione prona, è necessario descrivere la patologia che porta
all’assistenza ventilatoria e sull’importanza che la posizione ha sul trattamento
clinico.
L’A.R.D.S. (Sindrome da Distress Respiratorio Acuto) rappresenta una delle forme
di Insufficienza Respiratoria Acuta di origine polmonare più frequentemente causa
di ricovero nei reparti di Rianimazione e di Terapia Intensiva; fu inizialmente
descritta nel 1967, in base all’osservazione di 12 pazienti con insufficienza
respiratoria ipossiemizzante a diversa eziologia, ma con quandro clinico comune,
nei quali il riscontro autoptico dimostrò edema interstizio alveolare con evoluzione
verso la formazione di membrane jaline e la fibrosi polmonare diffusa.
5
Questa sindrome ha ricevuto negli anni diverse definizioni: polmone umido,
polmone da shock, edema polmonare da lesione capillare. Tra le diverse
denominazioni, si è affermata n e g l i anni la definizione d i “Acute Respiratory
Distress Syndrome”.
La sindrome clinica è caratterizzata da un improvviso edema polmonare
progressivo, infiltrati bilaterali ingravescenti alla radiografia del torace, ipossiemia
refrattaria all’ossegenoterapia e ridotta compliance p olmonare. Questi segni si
verificano in assenza di scompenso cardiaco sinistro. I soggetti con ARDS, di
solito, richiedono la ventilazione meccanica con una pressione delle vie aeree più
alta del normale.
6
La patologia di base dell’ARDS è un processo infiammatorio diffuso che coinvolge
entrambi i polmoni. La consolidazione polmonare nell’ARDS è originata da
un’attivazione sistemica dei neutrofili circolanti. I neutrofili attivati aderiscono
all’endotelio vascolare nei capillari polmonari e rilasciano il contenuto dei loro
granuli citoplasmatici (enzimi proteolitici e metabolici tossici dell’ossigeno)
danneggiando l’endotelio e provocando un’essudazione di tipo lesionale nei
capillari del parenchima polmonare. I neutrofili e altri mediatori dell’infiammazione
5
Ashbaugh DG, Bigelow DB, Petty TL, Levine BE. Acute respiratory distress in adults. Lancet; 1967. p.
319–323.
6
Brunner Suddarth. Infermieristica medico-chirurgica (3ª Ed.) Milano: Casa Editrice Ambrosiana: 2006; p.
652
6
possono quindi accedere al parenchima polmonare e sostenere il processo
infiammatorio.
L’infiammazione produce alla fine la lesione polmonare.
Molte condizioni predispongono all’ARDS. Caratteristica comune è l’attivazione dei
neutrofili nella circolazione polmonare o sistemica.
Condizioni comuni che predispongono all’ARDS:
• ipertensione endocranica;
• lesioni polmonari (contusione, infezione, radiazioni, gas irritanti);
• tumori;
• pancreatite;
• sepsi;
• trasfusioni multiple;
• politrauma ed ustioni;
• CID (coagulazione intravasale disseminata);
• shock;
• insufficienza epatica;
• by-pass cardiopolmonare;
• chetoacidosi diabetica;
• uremia;
• AIDS (Sindrome da ImmunoDeficienza Acquisita o Acquired Immune Deficiency
Syndrome);
• tossici (farmaci, glicole etilenico, chemioterapici);
• embolia da liquido amniotico e gassosa.
L’evoluzione naturale dell’ARDS, in assenza di trattamento, è classificabile in tre
fasi: fase precoce o fase essudativa (24-96 ore), in cui si sviluppa edema
interstiziale e poi alveolare di tipo lesionale, non cardiogeno, secondario
all’alterazione della permeabilità della membrana, con elevata concentrazione di
proteine e cellule infiammatorie all’interno degli alveoli;
1. fase proliferativa precoce (3-10 giorni), caratterizzata dall’aggregazione di
proteine plasmatiche, detriti cellulari, fibrina e residui di surbactante che si
condensano e aderiscono alla superficie alveolare; inizia l’ispessimento dei
setti alveolari per la proliferazione fibroblastica;
2. fase proliferativa tardiva, durante la quale si ha l’evoluzione verso la fibrosi
7
polmonare.
Sul piano fisiopatologico, la compromissione del parechima e dei vasi polmonari
ha come conseguenze:
a) grave ipossiemia per la presenza di atelettasie, con alterazione del rapporto
tra ventilazione e perfusione ed effetto shunt, che può rapidamente portare a
morte;
b) riduzione della compliance polmonare, inizialmente dovuto all’edema
lesionale e successivamente all’evoluzione in fibrosi, che richiede un
aumento del lavoro respiratorio per garantire la ventilazione spontanea, fino
all’esaurimento delle forze, e condiziona la strategia di trattamento con la
ventilazione meccanica;
c) ipertensione polmonare in rapporto con l’ipossia e fenomeni di
leucoembolizzazione nella fase acuta, e rimodellamento strutturale del
compartimento vascolare nella fase terminale, che comporta un aumento del
postcarico ventricolare dx, con possibilità di scompenso.
7
Per riassumere, dal punto di vista clinico la sindrome è caratterizzata da una
rapida comparsa di una grave dispnea che, di solito si sviluppa da 12 a 48 ore
dopo l’evento iniziale. Un segno caratteristico è l’ipossiemia arteriosa che non
risponde all’ossigenoterapia. I reperti alla radiografia del torace sono simili a quelli
dell’edema polmonare cardiogeno con infiltrazioni bilaterali che peggiorano
velocemente. Il danno polmonare acuto evolve quindi in alveolite fibrosa con
ipossiemia grave e persistente. Inoltre si determina un aumento dello spazio morto
alveolare (alveoli ventilati ma poco perfusi) e una riduzione della compliance
polmonare (“polmoni irrigiditi”, difficili da ventilare). Dal punto di vista clinico un
paziente viene considerato in via di guarigione se l’ipossiemia scompare
progressivamente, la radiografia del torace migliora e i polmoni aumentano la loro
compliance.
All’esame obiettivo si evidenziano la retrazione intercostale e i crepitii quando i
liquidi iniziano a passare nello spazio interstiziale alveolare.
Una diagnosi di ARDS può essere basata sui seguenti criteri:
• una anamnesi positiva per i fattori di rischio polmonari o sistemici;
• insorgenza acuta di sofferenza respiratoria;
7
Chiaranda M. Urgenze ed emergenze - Istituzioni. Padova: Piccin; 2007. p.188.
8
• infiltrati polmonari bilaterali;
• assenza clinica di scompenso cardiaco sinistro;
• rapporto fra la pressione parziale di ossigeno e la frazione di ossigeno
inspirato (PaO
2/
FiO
2
) inferiore a 200 mmHg (grave ipossiemia refrattaria).
8
Per quanto riguarda le indagini diagnostiche, non esiste alcun test specifico per
l’ARDS; di conseguenza è necessario prendere in considerazione diversi
parametri:
• emogasanalisi (EGA): può indicare una moderata o grave ipossiemia (PaO
2
< 50 mmHg) anche quando la concentrazione di ossigeno inspirato (FiO
2
) è
al 60%, e ipercapnia (PaO
2
> 50 mmHg);
• gradiente alveolo-arteriolare: rivela un aumento (15 mmHg in aria-ambiente
oppure 50 mmHg se in ossigeno al 100%);
• calcolo dello shunt: rivela uno shunt polmonare aumentato del 5% rispetto al
valore normale, in genere compreso tra 20 e 30%;
• rapporto tra le proteine del liquido bronchiale e il siero: 0,5, che indica una
concentrazione insolitamente elevata di proteine nel liquido bronchiale (e
questo significa che la membrana alveolo-capillare danneggiata, consente
alle proteine di passare attraverso le pareti capillari);
• esame radiologico del torace: rivela infiltrati bilaterali diffusi;
• compliance polmonare: ridotta a livelli inferiori a 50 Ml/cm H
2
O, compresa tra
20 e 30 ml/cm H
2
O;
• pressione capillare polmonare (PWCP) con catetere di Swang-Ganz:
normale (18 mmHg), segno che l’insufficienza cardiaca sinistra non è la
causa della congestione polmonare.
Il paziente presenta ad un esame generale:
• stato di agitazione;
• a livello polmonare:
− tachipnea;
− iperventilazione;
− dispnea progressiva;
− piccoli crepitii polmonari diffusi;
8
Brunner Suddarth. Infermieristica medico-chirurgica. 3ª ed. Milano: Casa Editrice Ambrosiana; 2006. (1) p.
652-653
9
− aumento della pressione inspiratoria di picco (se in ventilazione polmonare
meccanica);
• a livello neurologico: possibile peggioramento graduale del livello di
coscienza per ipossiemia;
• a livello cutaneo: cianosi.
Per questo motivo sarà indispensabile monitorare il grado di ipossiemia e qualsiasi
squilibrio acido-base eseguendo un’emogasanalisi almeno ogni 4 ore per porre
l’attenzione alle diverse fasi che generalmente si manifestano:
• nella fase iniziale con PaO
2
normale, ipocapnia lieve e alcalosi respiratoria;
• nel periodo di latenza ipossiemia ai limiti della normalità;
• nella fase più grave dell’insufficienza polmonare ipossiemia progressiva,
ipercapnia in aumento e peggioramento dell’acidosi metabolica e
respiratoria;
• nello stadio terminale ipossiemia refrattaria, ipercapnia e grave acidosi
metabolica e respiratoria.
9
9
Sasso L, Silvestro A, Rocco G, Tibaldi l, Moggia F. Infermieristica in area critica secondo la metodologia
del problem based learning.1ª ed. Milano: McGraw-Hill; 2005. p. 36-37.