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1 HANNAH ARENDT, CREATURA SOVRANA
1.1 La figura del «ritrarsi»
Hannah Arendt (1906-1975) fu pensatrice - ci ha lasciato numerosi contributi in termini di
riflessione storica, politica, teoretica - e donna di azione - saggista, insegnante
universitaria, giornalista presente al suo tempo. Tuttavia provava una resistenza interiore
ad investirsi del ruolo di pensatrice o di “filosofa” e a riconoscersi in modo unilaterale in un
gruppo o in un movimento particolari.
In ogni suo scritto ha sempre offerto, quasi con fierezza, un'immagine di sè come apolide,
sradicata, stateless person, outsider. Non si schiera politicamente, nè a destra nè a
sinistra, rimane «schubertiana fanciulla straniera», come la chiamò Jaspers in una lettera
del 1963 1.
Il suo stesso essere ebrea è fattore di sradicamento; si sente pariah, consapevole della
propria differenza originaria, in opposizione al parvenu, l' ebreo assimilato.
Questo aspetto della sua personalità è stato colto, tra gli altri, da Laura Boella, verso la
quale sono debitrice per quanto riguarda la metafora del «ritrarsi»2, e da Alessandro Dal
Lago, che la definisce «apolide del pensiero», giocando sull'apparente contraddizione tra
le sue dichiarazioni e le sue opere.
Filosofa di formazione ha sempre sottolineato la sua estraneità alla filosofia pura, salvo scrivere,
poco prima della morte, una grande opera teorica, Vita della mente, che si potrebbe anche
leggere come un elogio appassionato del pensiero filosofico.
Ha avuto sempre un atteggiamento di completo distacco verso le ideologie laburiste e progressiste,
salvo scrivere poi un saggio perfino commuovente su Rosa Luxemburg.
Si professa estranea a qualsiasi clichè femminista, salvo compiere, nel suo libro più personale e
rivelatore, l'analisi esemplare del destino di una donna ebrea, Rahel Varnhagen 3.
1Lettera di Jaspers, del 22/10/1963, in H. ARENDT- K. JASPERS, Briefwechsel 1926-1969 a cura
di L. Köhler e H. Sauer, Piper, München-Zürich 1985; trad. it. parziale, Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, a cura di A. Dal Lago, Feltrinelli, Milano 1989, p. 205 cit. in L. BOELLA,
Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, Feltrinelli, Milano 1995, pp. 43-44.
Das Madchen aus dem Fremde (fanciulla straniera) è il titolo di una poesia di Schiller, che
costituisce il testo dell'omonimo Lied di Schubert.
2
Cfr. L. BOELLA, Hannah Arendt. Agire politicamente..., pp. 19-22.
3
A. DAL LAGO, La città perduta, introduzione a H. ARENDT, The Human Condition, Chicago
University Press, Chicago 1958; trad. it. Vita activa. La condizione umana, a cura di S. Finzi,
Bompiani, Milano 1989, pp. lX-X.
3
In lei emerge una nota di ambiguità di fondo che rende difficile inquadrarla, farla rientrare
in un sistema. Ornella Crotti suggerisce di definirla attraverso «trasparenze» che
appaiono «all'improvviso» e fanno scorgere la sua «più intima natura di pensatrice»,
sostenendo l'idea di una «verità che sfugge al soggetto» per «apparire all'altro che si
accosta» 4.
A mio avviso, si tratta di un'interpretazione quasi assimilabile alla visione romantica di
Schleiermacher 5. Ritengo, invece, che nessun critico possa dirsi detentore della verità
totale dell'individuo che studia; credo inoltre che le parole che l'autore sceglie per dire di
sè e del proprio percorso svolgano un ruolo essenziale per il compito ermeneutico e non si
possa evitare il confronto con esse.
Continuo ad essere affascinata dalla proposta di L. Boella, «ritrarre la Arendt a partire dal
suo ritrarsi»6 : vi leggo la scelta di non tradire lo spirito dell'autrice.
L'ambiguità, la riluttanza svelerebbero il desiderio di sfuggire alla trappola di un'identità
codificata; Hannah Arendt non vuole diventare la filosofa, la studiosa di politica o la
militante, va incontro ai problemi, ai compiti pratici e intellettuali del presente con la
«riserva di non farne una vocazione nè tanto meno una professione nè di dedurne un
senso delle cose, del mondo e ancor meno di sè» 7 . In lei è insopprimibile l'esigenza
di sottrarsi ad ogni schema classificatorio, ad ogni maschera 8: per questo, conclude la
4
O.CROTTI, Hannah Arendt. La passione del pensare, Tre Lune Edizioni, Mantova 2004, p. 12.
5 Schleiermacher (1768-1834), filologo e teologo tedesco, ritiene che la comprensione sia frutto di
uno sforzo di immedesimazione interiore, grazie al quale l'interprete possa far rivivere l'universo
spirituale e creativo in cui è nata l'opera. L'esegeta riuscirebbe quindi ad andare oltre l'autore, la
sua posizione di esterno gli consentirebbe di portare alla luce quanto di sè l'autore ha
inconsapevolmente espresso nel testo. Cfr. anche le obiezioni che Gadamer muove a
Schleiermacher in H. G. GADAMER, Wahrheit und Methode. Grundzüge der philosophischen
Hermeneutik, Tübingen, 1960; trad. it. Verità e metodo. Lineamenti di un'ermeneutica filosofica, a
cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1989, pp. 340-350.
6
L. BOELLA, Hannah Arendt. Agire politicamente..., p. 22.
7
Ibidem.
8
Potremmo istituire un confronto riguardo il tema della maschera tra la Arendt e Pirandello,
trovandovi analogie e differenze. Mentre Pirandello illustra, attraverso i suoi personaggi, e quindi
nella modalità della finzione letteraria, una condizione umana ineludibile, la Arendt parla di sè e di
un rischio a cui pensa di potersi sottrarre «ritraendosi», ossia rifiutando di riconoscersi in gruppi o
ideologie, difendendo strenuamente il Selbstdenken e la propria indipendenza di pensiero.
L'analisi di Pirandello conduce il tema della maschera alle estreme conseguenze: il soggetto,
costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra, si riduce a personaggio (maschera),
recita la parte che la società esige da lui e che egli stesso si impone attraverso i propri ideali
morali. L'individuo è intrappolato nell'oggettività di un ruolo, può scegliere l'incoscienza e
l'adeguamento passivo o la sfida della consapevolezza di sé, ma viene comunque rigettato nel
proprio personaggio. Chi prova a strapparsi la maschera di dosso, scopre la propria nudità, il
proprio esser nulla al di fuori della funzione sociale, e diventa dolorosamente cosciente degli
autoinganni propri e altrui.
4
Boella, rivendica la non appartenenza tipica dell'esule, dell'apolide, del diverso.
Hans Jonas la definisce «creatura sovrana», ricordando la sua impertinenza «splendida»
nelle discussioni 9.
Arendt si dichiara fedele solo al Selbstdenken (pensare da sé), che esprime la singolarità delle
sue posizioni: l'indipendenza di giudizio, il coraggio intellettuale, ma anche un'orgogliosa volontà
di autoaffermazione.
Ciò che ti confonde è che le mie argomentazioni e il mio metodo sono diversi da quelli a cui tu sei
abituato; in altre parole, il guaio è che io sono indipendente.
Con questo intendo dire, da un lato, che non appartengo ad alcuna organizzazione e parlo sempre
e solo per me stessa; dall'altro, credo profondamente nel Selbstdenken di Lessing che né
l'ideologia, né l'opinione pubblica potranno mai sostituire.
Qualunque cosa tu possa obiettare a queste conclusioni , non le capirai se non ti renderai conto
che sono davvero mie e di nessun altro 10.
Il Selbstdenken di Lessing rappresenta dunque, secondo L. Boella, «l'emblema del
“pensare senza balaustra”», libero da vincoli nei riguardi della tradizione, «senza
appigli»11; un pensiero che si esercita con ciò che sta oltre i propri limiti e non rinuncia a
pensare le “questioni ultime”, consapevole del fatto che esse riguardano un bisogno di
significato e non di verità, esulano dal campo della conoscenza e del sapere 12.
Tale esito tragico sembrerebbe escluso nella Arendt: qui la maschera dà vita ad una dialettica di
mostrato/ nascosto; nasconde, ma rende anche riconoscibile, è intesa come rivelazione pubblica di
un ruolo più che come travestimento o mistificazione del vero io.
La realtà esistenziale, tuttavia, non può essere rigidamente codificata, se non nella forma
dell'impoverimento e della rinuncia a sé; bisogna quindi fare attenzione a non identificare la
persona reale, in carne ed ossa, (sfera privata), con le funzioni che ricopre (sfera pubblica). Cfr. tra
gli altri, R.LUPERINI - P. CATALDI - L. MARCHIANI - F. MARCHESE, La Scrittura e
l'Interpretazione, vol lll, tomo ll, Palumbo Editore, Firenze-Palermo 2001, pp. 204-209.
9
Il giudizio di Hans Jonas è riportato da M. DENNENY, The Privilege of Ourselves: Hannah Arendt
on Judgment in M. A. HILL, Hannah Arendt. The Recovery of the Public World, St. Martin's Press,
New York 1979 p.268 cit. in L. BOELLA, Hannah Arendt. Agire politicamente..., p. 43.
10
Lettera a Scholem, 24/7/1963 in H. ARENDT, Ebraismo e modernità, a cura di G. Bettini,
Unicopoli, Milano 1986 p. 226.
11
Cfr L. BOELLA, Hannah Arendt. Agire politicamente..., p.178.
12
Cfr. H. ARENDT, The Life of the Mind, Harcourt Brace Jovanovich , New York-London 1978
;trad. it. La vita della mente, a cura di G. Zanetti, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 95-96; 137-150. In
questi passi l'autrice richiama la distinzione kantiana tra Vernunft e Verstandt , "ragione" e
"intelletto" e quindi tra "pensare" e "conoscere", tra "ricerca del significato" e "ricerca della verità":
tratterò il tema nel capitolo quinto, dedicato alla reinterpretazione della vita contemplativa. Cfr.
anche il par. 2.4, Metafisica come «disposizione naturale». La Arendt interpreta Kant.
5
Il fatto che l'interrogazione sulle cose ultime non abbia più un “fondamento” nella regione del
pensiero e si circondi di silenzio, di non detto, non significa affatto che essa si sporga sul vuoto.
Essa si sporge piuttosto sul reale, su ciò che non potrà mai essere preda o prodotto del pensiero,
né modellarsi su di esso13 .
La filosofia con la Arendt ricomincia a dialogare con la realtà, senza pretendere di poterla
ridurre nelle proprie categorie: per quanto lontano possa spingersi il pensiero, il mondo
quale si dà al sensus communis resta sempre al di là della sua presa.
1.2 Il problema della ricezione critica.
Hannah Arendt: rapporto tra praxis e teoria
L'originalità del pensiero arendtiano, difficilmente ascrivibile ad una specifica scuola o
corrente di pensiero, e lo stretto intreccio tra analisi storica ed opzioni teoriche - tra prassi
e teoria - espongono spesso l'autrice al fraintendimento da parte della critica, come scrive
Simona Forti, proponendoci una sintetica ricostruzione delle tappe che hanno segnato la
ricezione delle opere di Hannah Arendt14 .
Il "caso Arendt"
La sua notorietà inizia con la pubblicazione di Le origini del totalitarismo (1951), accolto
subito positivamente dall'ambiente americano (Hughes e Macdonald); i punti più
contestati, invece, sono la mancata spiegazione del passaggio storico dall'imperialismo al
totalitarismo e la «scandalosa equazione tra nazismo e stalinismo» (Aron). Secondo S.
Forti, le diverse obiezioni possono essere ricondotte ad un motivo comune: la Arendt
analizzerebbe il totalitarismo come se fosse un universale astratto, dotato di una logica
propria, di cui si sarebbero date solo due manifestazioni concrete; in questo modo l'autrice
13
L. BOELLA, Hannah Arendt. Agire politicamente..., p. 195.
14
Cfr. S. FORTI, Hannah Arendt. Vita della mente e tempo della polis.Hannah Arendt tra filosofia e
politica, FrancoAngeli, Milano 1996, p. 16. Per quanto riguarda la ricostruzione della ricezione
critica di Arendt : Ibi, pp. 11-30; 359-366.
Cfr. anche l'introduzione alla seconda edizione dell'opera: S. FORTI, Hannah Arendt tra filosofia
e politica, Bruno Mondadori Editori, Paravia 2006, pp. lX-XXIX.
6
arriverebbe a dar forma ad un sistema concettuale ben poco diverso dall'ideologia da lei
così duramente criticata.”
E «dopo il “caso Eichmann” scoppiò il “caso Arendt "», scrive Martine Leibovici15: le
maggiori organizzazioni ebraiche boicottarono Banalità del male (1963) e la Arendt incorse
anche nella disapprovazione di molti suoi amici: tra cui Hans Jonas, Gershom Scholem,
Robert Weltsch; solo Jaspers e Mary McCarthy rimasero dalla sua parte. Perché
quest'opera ricevette un'accoglienza così negativa? Lo scandalo ebbe origine da una
decina di pagine nel settimo capitolo, riguardo la corresponsabilità dei consigli sionisti
nella deportazione degli ebrei - ciò figura tra i fattori che hanno messo a tacere la
coscienza del gerarca nazista Eichmann16. Uno dei brani incriminati è il seguente:
Ovunque c'erano ebrei, erano stati nominati, all'interno del loro gruppo, dei capi, e questi capi,
quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti, in un modo o nell'altro.[...] La verità era
che, se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci
sarebbe stato caos e dispersione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni.17
La Arendt aveva toccato una ferita ancora aperta nel cuore degli ebrei, la Shoah, per di più
incolpando apertamente i singoli di non essersi ribellati e di aver acconsentito, con
incredibile docilità, al proprio sterminio. Il suo concetto di banalità del male viene giudicato
infamante, sembra un modo per minimizzare i crimini di Eichmann e la scrittrice appare,
dunque, insensibile alla tragedia dell'olocausto; Gershom Scholem la accusa di non avere
amore per il popolo ebreo ( Ahabath Israel) né tatto del cuore ( Herzenstakt); lei risponde
incisivamente con una lettera privata, in cui dichiara di non avere alcun sentimento verso
le entità collettive, di amare solo gli individui. 18
La polemica raggiunge toni accesi e sembra incontrollabile: la Arendt decide di intervenire
personalmente solo in ambito universitario, dichiarandosi disposta a discutere con gli
studenti che avessero letto il suo libro; nella seconda edizione dell'opera (1964)
15
M. LEIBOVICI, Hannah Arendt. La passion de comprendre; trad. it. Hannah Arendt. La passione
di comprendere, a cura di A. Olivieri, Città Aperta Edizioni, Troina 2002, p. 221. Cfr. anche pp.
222-224.
16
In merito, rimando al paragrafo 3.2 della tesi, La «banalità del male»: il caso Eichmann.
17
H. ARENDT, Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil, The Viking Press, New
York 1963; trad. it. La banalità del male. Eichmann in Gerusalemm, a cura di P. Bernardini,
Feltrinelli, Milano 1992, p.132. Cfr. anche S. FORTI, Vita della mente e tempo della polis..., p.
18. I consigli ebraici erano stati istituiti dal nazismo per mantenere una parvenza di ordine
sociale e per compilare le liste per la deportazione; questo tuttavia, era già stato rivelato dagli
storici, tra gli altri, anche da Raul Hilberg.
18
lettera, datata il 24/07/1963 in L. BOELLA, Hannah Arendt. Agire politicamente..., p. 46. La
citerò per esteso nel paragrafo 3.2.